Conflitto sociale e Libertà di movimento – i bi/sogni non si arrestano – verso Teramo

Il 15 Ottobre del 2011 le moltitudini indignate e in lotta contro il neoliberismo si mobilitarono globalmente. In Italia nella preparazione di quella giornata, durante il suo svolgimento e dopo sono avvenute cose degne di un bilancio politico e più approfondito da parte dei movimenti: partiamo anzitutto da noi, ma dovrebbe essere un’incombenza sentita anche e soprattutto da coloro che quel giorno e nei seguenti gridarono al lupo e cercarono il nemico interno – abitudine brutta e antica, ahinoi, di chi a sinistra ricorrentemente giustifica i propri tatticismi mascherandoli per grandi strategie e poi cerca di scansare l’implacabile giudizio dei fatti. Abbiamo sentito in quei giorni quindi dare fiato alle trombe, fin sulle pagine dei giornali, con lucido risentimento: ritrovandoci così, noi insieme alla cospirazione precaria, ad essere tra i pochi alleati della sana disponibilità al conflitto che quel giorno ha dispiegato ciò che si andava concatenando da tempo.

Ostinatamente continuiamo a rivendicarlo come nostro punto di forza e di resistenza: essere variabile indipendente, volere e aprire un possibile varco per una necessaria rottura politica, un odio di classe come motore costituente che per noi è desiderante espressione di potenza e non di superficiale rancore tra gruppi. A cooperare per il conflitto e la praticabilità di un’opzione rivoluzionaria siamo tutt’oggi disponibili, ma con la chiarezza politica necessaria, chiedendo sempre – anzitutto a noi stessi, a partire proprio dalle lezioni di quel 15 ottobre – di giocare a carte scoperte nelle alleanze e nelle pratiche di relazione politica.

Andremo a Teramo prima di tutto per chiedere l’immediata e incondizionata libertà per i fratelli e le sorelle, i/le compagn* rastrellat*, pedinat*, seguit*, ricattat* e minacciat* dallo stato o dai suoi solerti funzionari in divisa o in doppiopetto. Da quella giornata di rivolta e di rabbia precaria, che ha tenuto piazza San Giovanni per ore resistendo alle cariche e ai caroselli di polizia, carabinieri, finanza e polizia in borghese, lo Stato per come ha reagito nell’immediato e deciso di vendicarsi nel medio e lungo termine dimostra di aver avuto paura della sollevazione quale mezzo di partecipazione. Ci hanno preso troppo sul serio, verrebbe da dire nell’indagare i limiti in seguito espressi dalle soggettività di movimento.
Ora in tante e tanti stiamo subendo la repressione a suon di processi e di sentenze che già hanno accumulato un ammontare spropositato di anni di carcerazione somministrati, proprio mentre il nostro bel paesello viene redarguito davanti al mondo dal tribunale dei diritti dell’uomo di Strasburgo per la vessazione e disumana condizione in cui versano le patrie galere – e, verrebbe da aggiungere, le celle dei commissariati e dei CIE che quotidianamente praticano la tortura fisica e psicologica su tutti i malcapitati; la maggior parte, come si dice in gergo, comuni, cioè cittadini comuni nelle mani dello Stato in balia delle sue prove tecniche di governo autoritario.
Perciò non basta dire no alla repressione. Occorre, e lo diciamo da tempo, una più ampia campagna di denuncia del clima insopportabile che prima di tutto il corpo sociale sta subendo in termini di chiusura degli spazi di libertà: a partire da quei particolari laboratori della repressione che si esercitano sugli stadi, i migranti, il precariato delle periferie, e insieme alla progressiva delinquentizzazione delle lotte sociali attraverso la fattispecie di reato di devastazione e saccheggio.

In un paese compresso da politiche di austerity durissime è necessario dunque aprire una vertenza generale per la libertà di movimento, coniugarla alla più estesa battaglia per una democrazia reale, radicale, esercitata dal basso contro le politiche autoritarie inflitteci nella logica del sacrificio e con le armi della precarizzazione e dell’esclusione sociale. Da qui nasce l’esigenza non solo di sottolineare il paradosso della traduzione della conflittualità sociale in “probema di ordine pubblico”, ma soprattutto di ri-significare la parola libertà.

Parlare di libertà di movimento significa anzitutto mettere a fuoco il cambiamento di paradigma che sta trasformando le realtà sociali: significa prenderne coscienza delle meccaniche del profitto dentro lo sfruttamento e della disciplina sociale che l’austerity impone. Parlare di libertà di movimento significa rovesciare il senso delle accuse e cercare di creare quelle condizioni sociali per cui siano la devastazione del mercato del lavoro e il saccheggio del nostro futuro ad essere combattuti, con le lotte e il protagonismo sociale.

Laboratorio Acrobax

Bartleby è ovunque, siamo tutt* Bartleby

L’hanno murata, la casa di Bartleby a Bologna, stamattina. E’ così che si tratta la produzione di ricchezza comune, di idee e cultura e libera socialità, sotto i governi democratici dell’austerità.
Volevano espellerla dalla città, quella casa, dalla pericolosa promiscuità con i flussi del sapere in conflitto nell’Università da cui Bartleby era spuntato, nato dall’Onda, dicendo ancora una volta quasi quattro anni fa “avrei preferenza di No”.
E anche stavolta ha detto così, Bartleby, come quando per più volte gli avevano violentemente chiuso la sua prima casa: “avrei preferenza di No”, resto in San Petronio, convenzione o non convenzione, non son un tipo convenzionale, ne converrete…
Ora che hanno messo su un muro al posto di una porta e un altro muro di divise e blindati intorno, Bartleby risponde con la sua persona plurale che più preoccupa il Potere: “Dissotterriamo le asce di guerra”.
Noi che con Bartleby abbiamo nel nostro piccolo condiviso moltissimo in questi anni, cose come la pretesa di indipendenza, la costruzione di autonomia, la libertà di tessere reti e immaginare la nostra comune esplosione di precarie e precari in uno sciopero inevitabilmente e sapientemente sociale che infine inizia a divampare nell’EuroMediterraneo, possiamo avere una sola risposta: Augh! Bartleby, fratello e sorella! Le nostre asce con le vostre e sarà terribile la risata che li seppellirà sotto le macerie dei loro muri!
Ogni giorno, ogni notte, con Bartleby che è dovunque perché è moltitudine.
Laboratorio Acrobax –  All Reds – Alexis occupato – America occupato

Lotte, nell’indipendenza, per la libertà

E’ arrivata anche la sentenza del tribunale dei diritti dell’uomo di Strasburgo a schiaffeggiare l’Italia davanti al mondo per la quotidiana vessazione in cui versano le decine di migliaia di prigionieri nelle carcere italiane piene di gente comune, spesso di esclusi, emarginati, immigrati, prigioni sovraffollate, dense di storie di vita, di ingiustizie, soprusi, pestaggi, quasi tutti detenuti in attesa di sentenza, vite vissute nell’inferno delle carceri italiane. Storie di precari nelle metropoli franate ai tempi della crisi economica.

E ultimamente, nuovamente almeno da quando era a regime lo stato di emergenza degli anni 70 e 80,  le carceri italiane cominciano ad essere riempite anche con decine di compagne e compagni, giovani, rivoltosi, presi durante scontri con la polizia, per occupazioni di case o sgomberi di centri sociali, per iniziative di antifascismo militante, per manifestazioni di riappropriazione o di contestazione alle politiche economiche o alle grandi opere come il Tav nella Val di Susa.  E’ da tempo che stiamo assistendo ad un evidente inasprimento delle misure repressive con un susseguirsi continuo di misure cautelari ogni qualvolta quel minimo di rabbia che portiamo dentro prova ad organizzarsi ed a scendere in piazza. Nella giornata dell’altro ieri pesantissime condanne sono state inflitte a 5 compagni (4 di Teramo ed 1 di Roma) per aver partecipato alla manifestazione dello scorso 15 ottobre 2011 a Roma contro le politiche di austerity. Sei anni di reclusione e trentamila euro di risarcimenti al comune di Roma che costituendosi come parte civile ha legittimato l’utilizzo del reato di devastazione e saccheggio come dispositivo di punizione contro ogni forma di dissidenza sociale in nome della sua essenza storicamente fascista.

Lo abbiamo detto più volte e lo ribadiamo con forza, come ricorda Davide Rosci nella lettera aperta scritta dopo la sentenza dell’altro ieri, non ci sentiamo dei perseguitati poiché da lunghe notti fatte di anni abbiamo scelto di configgere con lo stato di cose presenti e abbiamo messo in conto tutto nella nostra convinzione, anche quella della vendetta dello Stato che promuove impoverimento e tanta polizia come unico nuovo sistema di welfare ai tempi dell’austerity.

Uno su tre di noi è senza lavoro, senza casa e senza futuro, i due su tre che rimangono sono precari, spesso si trova il reddito nell’illegalità e in un paese di banditi in doppio petto, con 60 miliardi di euro persi nella corruzione della Pubblica amministrazione, con 120 miliardi persi nell’evasione dei grandi patrimoni, con il tasso di disoccupazione record e livelli di impoverimento della popolazione complessiva, mai vista dal dopoguerra ad oggi, ribellarsi è necessario, legittimo, per noi lecito. E a fianco di tutta la popolazione carceraria dobbiamo far vivere la denuncia della svolta autoritaria che aumenterà nei prossimi mesi come penalizzazione, delinquentizzazione, interdizione delle lotte sociali, che in questi anni hanno dato grandi prove di resistenza, dignità e determinazione.

Dobbiamo fare nostra senza bandiere di appartenenza dal basso la necessaria battaglia per il diritto di resistenza e coniugarla con la libertà di movimento che per essere affermata come diritto costituente deve necessariamente essere strappata. In tempi di elezioni e campagne elettorali, oggi più che mai dobbiamo tracciare una distanza necessaria con la rappresentanza politica per fare di ogni battaglia una sfida senza inganni e menzogne a partire dalla conquista di una piena e legittima agibilità politica. Se un’amnistia come chiedono tutte le associazioni di detenuti ed ex-detenuti sarà necessaria anche solo per cominciare ad immaginare un mondo diverso, sarà nostro compito farla vivere e sedimentare come una battaglia di principio non sindacabile, per la democrazia reale, per la libertà.

Nodo redazionale indipendente

15 ottobre: a ridere eravamo in tanti

di GIROLAMO DE MICHELE

La condanna a sei anni per devastazione, saccheggio, resistenza e lesioni a pubblico ufficiale pluriaggravate di sei compagni imputati per l’assalto al blindato dei carabinieri in piazza San Giovanni, nel corso degli scontri del 15 ottobre 2011, segue ad analoghe condanne per gli stessi fatti, e merita alcune considerazioni. In primo luogo, è degno di nota che i compagni siano stati arrestati e sottoposti alla domiciliazione forzata non perché arrestati in flagranza di reato, ma perché

identificati dai video a disposizione delle forze dell’ordine. Vale a dire che per un reato di rilevante gravità quale “devastazione e saccheggio”, ma altresì per lesioni pluriaggravate, è sufficiente essere riconoscibile all’interno di una ripresa, non importa in quale posizione o ruolo: come nel caso di Davide Rosci, che non ha tirato una sola pietra o bottiglia, limitandosi ad osservare l’accaduto senza fuggire. E a ridere: …e l’infame sorrise, ci insegnavano un tempo alle elementari, è lo stigma dell’infame Franti, possibile alter ego di Gaetano Bresci. Ride mentre viene assaltato un blindato che, lanciatosi all’interno di piazza San Giovanni, si trova isolato e viene abbandonato dai suoi occupanti: in quel momento quel parallelepipedo di lamiere, usato per criminali caroselli contro una moltitudine di compagni che non accettavano di essere scacciati dalla piazza, diventa un simbolo dello Stato, e come tale meritevole di tutela giuridica ben maggiore di quei dimostranti che solo per la prontezza individuale e la capacità collettiva di improvvisare una resistenza comune non sono finiti sotto i pneumatici (come Carlo Giuliani, come Giannino Zibecchi).

Oltre allo sberleffo nei confronti del potere costituito, i sei condannati pagano la colpa di esserci. Quel pomeriggio la rappresentazione della rappresentazione di un movimento doveva consegnare a dirigenti politici e sindacali, a leader di partiti e di giornali-partito, la rassicurante parvenza di un movimento docilmente variegato, ironicamente innocuo, pronto ad avallare la rappresentazione di una radicalità in assenza di una reale, perturbante capacità antagonista: una rivoluzione dolce in diretta tv, introdotta da anchormen e anchorwomen, giornalisti d’inchiesta e politologi di fama. Com’è noto, non è andata così: e la spontanea, immediata resistenza, accresciutasi nel corso del pomeriggio, a piazza San Giovanni ha dimostrato l’impossibilità materiale di rinchiudere entro i limiti della rappresentanza la rabbia, l’indignazione, l’odio nei confronti del governo della finanza, dell’uso violento e disciplinare della crisi, dell’attacco alle condizioni minime di esistenza. Solo una lettura disincarnata del diritto e delle sue procedure, che ignora i corpi, le passioni e i desideri concreti che agivano quel pomeriggio può non vedere, dietro l’algido “fatto tecnico” dell’applicazione di un rodato articolo del codice penale – il 285, già sperimentato nelle condanne per gli scontri di Genova – non solo una risposta vendicativa, ma sopratutto un avvertimento nei confronti di quella resistenza collettiva che manifestava una pericolosa disponibilità a generalizzarsi. Che questa rabbia spontanea e irrappresentabile – dalla Val di Susa all’Ilva di Taranto, dai movimenti studenteschi ai lavoratori dell’Ikea – possa trovare un punto di coagulo è stata del resto l’ossessione degli yesmen e delle mosche cocchiere del “governo tecnico”: da cui la denuncia del rischio di “conflitto delegittimante”, o di un possibile “esito greco” della crisi.

In questa situazione i sei compagni colpiti da un reato da Codice Rocco sono, nella loro concreta esistenza, figure di soggettività della crisi: condividono, nelle personali biografie, l’essere precarizzati nei processi lavorativi e nelle esistenze, indebitati per effetto della crisi che utilizza la forma del debito come strumento di governance, mediatizzati perché ridotti a quei cliché e stereotipi – il “black bloc”, il “violento”, l’”ultras”, i “quattro stronzi” – con cui i media riconfigurano e ridefiniscono le identità, e infine securizzati nel loro essere usati come monito dai gestori delle politiche della paura e del panico sociale. Una sola figura di soggettività non si attaglia loro: quella del rappresentato. Ed è questa irrappresentabilità, questa indisponibilità a delegare ad altri la pratica attiva della cittadinanza e il desiderio collettivo della democrazia, ciò viene fatto loro pagare con sei anni di galera.

Lettera aperta di Davide Rosci, condannato per i fatti del 15 ottobre 2011

Quando sono stato arresto il 20 Aprile scorso dissi che ero sereno; ciò che mi portava ad esserlo era la fiducia che riponevo nella giustizia, la consapevolezza che gli inquirenti non avessero in mano niente di compromettente e la percezione che, nonostante il grande clamore creato ad hoc dai mass-media, il processo fosse equo ed imparziale, così come previsto dalla legge.
Mi sbagliavo! Ieri ho visto la vera faccia della giustizia italiana, quella manipolata dai poteri forti dello stato, quella che si potrebbe tranquillamente definire sommaria. Una giustizia che mi condanna a pene pesantissime, leggete bene, solo per esser stato fotografato nei pressi dei luoghi dove avvenivano gli scontri. Avete capito bene, ieri sono stato punito non perché immortalato nel compiere atti di violenza o per aver fatto qualcosa vietato dalla legge, ma per il semplice fatto che io fossi presente vicino al blindato che prende fuoco.
Non tiro una pietra, non rompo nulla, non mi scaglio contro niente di niente. Mi limito a guardare il mezzo in fiamme in alcune scene, e in un’altre ridere di spalle al suddetto.
Tali “pericolosi” atteggiamenti, mi hanno dapprima fatto guadagnare gli arresti domiciliari (8 mesi) ed ora anche una condanna (6 anni) che definirla sproporzionata sarebbe un eufemismo.
Permettetemi allora di dire che la giustizia fa schifo, così come fa schifo questo “sistema” che, a distanza di anni e anni, dopo una lotta di liberazione, concede ancora la possibilità ai giudici di condannare gente utilizzando leggi fasciste. Si, devastazione e saccheggio è una legge di matrice fascista introdotta dal codice Rocco nel 1930, che viene sempre più spesso riesumata per punire dissidenti e oppositori politici solo perché ritenuti scomodi e quindi da annientare.
Basta! Non chiedetemi di starmi zitto e accettare in silenzio tutto ciò, consentitemi di sfogarmi contro questo sistema marcio, che adotta la mano pesante contro noi poveri cristi e che invece chiude gli occhi dinanzi a fatti ben più gravi come il massacro della Diaz a Genova e i vari omicidi compiuti dalle forze dell’ordine nei confronti di persone inermi come Cucchi, Aldrovandi, Uva e molti altri ancora.
Non posso accettarlo! Grido con tutta la voce che ho in corpo la mia rabbia a questo nuovo regime fascista che mi condanna ora a Roma per aver osservato un blindato andare in fiamme e che ora mi accusa di associazione a delinquere a Teramo, solo per non aver mai piegato la testa.
Non mi resta altro che percorrere la via più estrema per far sì che nessun’altro subisca quello che ho dovuto subire io e pertanto così come fece Antonio Gramsci, durante la prigionia fascista, anche io resisterò fino allo stremo per chiedere l’abolizione della legge di devastazione e saccheggio, la revisione del codice Rocco e che questo sistema repressivo venga arginato.
Comunico pertanto che da oggi intraprenderò lo sciopero della fame e della sete ad oltranza fino a quando non si scorgerà un po’ di luce in fondo a questo tunnel eretto e protetto dai soliti noti.
Concludo nel ringraziare i mie fratelli Antifascisti, i splendidi ragazzi della Est, i firmatari del Comitato Civile, i tantissimi che mi hanno dimostrato solidarietà in questi mesi e soprattutto quanti appoggeranno questa battaglia.
Quando l’ingiustizia diventa legge, la resistenza diventa un dovere!
Rosci Davide
 

 

A Davide e a tutte/i le/i compagne/i condannati la nostra sincera solidarietà e un abbraccio fraterno e affettuoso. LIBERI TUTTE/I

La libertà non cade dal cielo, si strappa giorno per giorno

Puntuali come un orologio svizzero, a soli tre giorni dall’imminente mobilitazione di sabato prossimo a Lione, arriva su tutto il territorio nazionale l’ennesima vile operazione repressivo-mediatica nei confronti di 19 attivisti No Tav.

I fatti contestati nell’operazione scattata all’alba di oggi riguardano l’occupazione simbolica degli uffici della GeoValsusa del 24 agosto 2012, impresa complice della devastazione e militarizzazione del territorio della Val Susa, nonchè i fatti avvenuti il 29 febbraio 2012 durante il blocco autostradale realizzato in quei giorni a Chianocco, quando giornalisti del Corriere della Sera presenti con tanto di furgone attrezzato, non solo per le riprese ma anche  per le intercettazioni, sono stati cacciati dagli attivisti che hanno smascherato il ruolo di una informazione embedded inviata come arma di propaganda di massa contro la verità di chi lotta in difesa del proprio territorio.

Per l’ennesima volta, e a dieci mesi dall’ignobile inchiesta firmata dal Procuratore-capo di Torino, Giancarlo Caselli, i poteri forti tentano la carta della criminalizzazione volta a intimidire chi ogni giorno si mobilita contro la becera retorica strumentale di un governo liberista che utilizza il tema della crisi economica per sostenere lo scempio ambientale ed economico del Tav. Per tutelare l’operazione si è ricorsi nuovamente alla pratica dell’occupazione militare: centinaia di uomini hanno letteralmente bloccato l’accesso al centro abitato di Chiomonte, violato e rimosso il presidio dei No Tav, sancendo che l’unico modo di colpire il movimento è l’imposizione di un vero e proprio stato d’eccezione.

A questo si aggiunge l’ignobile tentativo di pochi giorni fa di stigmatizzare i genitori che portano i propri figli alle manifestazioni NoTav, denunciandoli ai servizi sociali.

Come troppo spesso accade, non possiamo che constatare come i poteri dello stato e i suoi esecutori stiano sperimentando e sedimentando pratiche repressive per cui, in questo contesto di crisi gestito a colpi di austerity, la sistematica svolta autoritaria sta diventando prassi quotidiana. Il ministro Cancellieri solo pochi giorni fa ha nuovamente invocato uno strumento di repressione preventiva, una sorta di Daspo, che impedisca agli attivisti di partecipare ai cortei più significativi.

Le cariche selvagge, le identificazioni di massa e gli arresti scattatati il 14 novembre, nuova giornata di sperimentazione di uno sciopero sociale coordinato a livello europeo, si sommano al susseguirsi di misure cautelari per chi il 15 ottobre 2011 ha partecipato ad un corteo esprimendo legittimamente solo una minima parte della rabbia che ci portiamo dentro. Questi sono solo alcuni esempi di come la penalizzazione delle lotte sociali e la riduzione dell’agibilità politica dei movimenti indipendenti non siano nient’altro che dispositivi di controllo volti ad imporre un’analitica, capillare e strutturata prevenzione di ogni dissidenza sociale.

“Tutti insieme facciamo paura”: l’abbiamo gridato in migliaia nelle ultime manifestazioni e lo sanno bene i signori chiusi nei palazzi. Questa consapevolezza pone però la necessità di articolare un discorso politico ampio e comprensibile che rompa l’isolamento della repressione, che sappia trovare meccanismi e dispositivi di cooperazione dentro e fuori i movimenti in grado di mettere la solidarietà al centro delle nostre pratiche per spazzare via la delazione e il giustizialismo diffuso.

Nel governo dell’austerity e della paura, non solo gli/le attivist* ma tutt* dovremo aver ben chiara l’urgenza di guadagnare una piena agibilità, una vera libertà di movimento, oltre le continue limitazioni delle libertà personali e collettive che hanno reso l’Italia un enorme e insostenibile recinto.

Libere/i tutte/i

La nostra libertà non si paga. Si strappa!

Mentre scriviamo veniamo a conoscenza della riconquista del presidio di Gravella a Chiomonte: pensate davvero di poter vincere contro il popolo della montagna?

Siamo tutte antifascisti!

SABATO 24 NOVEMBRE

MANIFESTAZIONE ANTIFASCISTA ORE 14:30 PIAZZA DELL’ESQUILINO.

La grande mobilitazione di questa settimana che ha messo in rete tantissime realtà antifasciste anche molto diverse fra loro, ha ottenuto che non venisse consentito ai fascisti di sfilare per le strade del centro di Roma, dove dalla mattina si svolgeranno le mobilitazioni degli studenti e di tutto il mondo della scuola e della conoscenza. Casapound decide infatti di spostare il suo corteo nazionale contro l’austerity nel quartiere più alto borghese di Roma! E lì, nelle vie dello struscio della Roma bene, loro ambiente naturale, terranno la “grande marcia nazionale” contro il governo Monti, tra SUV e localetti alla moda.

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Come antifascisti e antifasciste manifesteremo comunque sabato 24 a partire dalle ore 14:30 a Piazza dell’Esquilino per ribadire ancora una volta che i fascisti non hanno nessuna legittimità a sfilare e per dire che è una vergogna che il Comune di Roma, che taglia sui servizi sociali e ha un deficit di cui nessuno conosce l’entità, stanzi quasi 12 milioni di euro per regalare lo stabile di via Napoleone III agli squadristi: contro l’austerity vogliamo chiudere Casapound e tutte le sedi neonaziste, sostenute e foraggiate dalla giunta Alemanno con patrocini, fondi e posti di lavoro!Saremo noi gli antifascisti a riprenderci le piazze e le strade del centro di Roma dove avrebbero voluto sfilare i fascisti “del terzo millennio”, riprendendocele fin dalla mattina al fianco delle scuole e dei giovani precari e precarie in movimento: a loro lasciamo la riserva indiana della Roma per bene.Appuntamento ore 14:30 piazza dell’Esquilino

Gli antifascisti e le antifasciste romani

LE LOTTE NON SI ARRESTANO MA LA REPRESSIONE COLPISCE ANCORA

Mentre il governo Monti procede nella ferrea applicazione delle sue misure volte a rendere noi lavoratori e lavoratrici sempre più precari e sempre più poveri, finalmente anche in Italia le piazze iniziano a scaldarsi, soprattutto grazie agli studenti.

E mentre sono, per una volta, sotto i riflettori le violenze della polizia nelle piazze, arrivano, puntualissimi, provvedimenti delle autorità giudiziarie volti a colpire chi le lotte sociali non ha mai smesso di portarle avanti.

Questa mattina, prima dell’alba, gli agenti della DIGOS si sono presentati in forze a bussare alle porte di due occupazioni abitative del Coordinamento Cittadino di Lotta per la Casa, per eseguire nuove perquisizioni e notificare altri provvedimenti cautelari.

Apprendiamo dai giornali che lo stesso genere di operazioni, di cui non conosciamo ancora i dettagli, sono in corso anche in altre città d’Italia, con lo scopo dichiarato di punire i presunti colpevoli della manifestazione del 15 ottobre 2011 a Roma.

Si tratta evidentemente dell’ennesimo tentativo di dissuadere, con la repressione, chi ha voglia di lottare, dopo le abnormi sentenze per i/le compagni/e finiti in carcere per le giornate di Genova del luglio 2001.

Noi sappiamo invece che, con una politica economica come quella perseguita dal governo Monti, le lotte sociali non possono che crescere ed inasprirsi, a dispetto di qualunque misura repressiva.

Sappiamo anche chi sono i responsabili di efferate violenze in piazza: i numerosi corpi di polizia di questo paese e i loro mandanti, impegnati a depredare il Paese restandosene comodamente seduti in Parlamento.

Coordinamento cittadino di lotta per la casa – Roma
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Contro la marcetta su Roma di Casapound, il 24N tutti in piazza per la liberazione di Roma

Il prossimo 24 novembre i fascisti di CasaPound hanno annunciato una  manifestazione nazionale a Roma.  In nome della memoria di questa città e contro ogni forma vecchia o nuova di fascismo impediremo questa manifestazione. I fascisti del terzo millennio dopo aver marciato a braccetto con Berlusconi, con la Lega e il Pdl, dopo aver votato e aver fatto votare  Polverini e Alemanno, ricevendo in cambio finanziamenti e patrocini, favori e posti di lavoro, tentano la carta dell’”anticasta” e “antisistema” convocando una manifestazione che vorrebbe essere “di opposizione”. CasaPound prova a scimmiottare le piazze dei movimenti e degli studenti che in tutta Europa e non solo, si stanno mobilitando contro i sacrifici imposti dalla Bce e contro la dittatura della finanza. Quella del 24 altro non è che una manifestazione di campagna elettorale di un partitino di estrema destra che prova a trovare un po’ di visibilità, nella difficoltà della crisi, per far passare le proprie parole d’ordine populiste e accaparrarsi così una fetta di potere. Come è diventato visibile il 14 Novembre, i movimenti sociali, i precari e gli studenti si stanno ribellando alle politiche d’austerity portate avanti dal Governo Monti, occupando strade, scuole e facoltà. Le risposte sono state cariche della polizia, pestaggi e arresti in tutta Italia e soprattutto a Roma. In questo quadro i fascisti fanno il solito vecchio gioco provando a provocare chi lotta tutti i giorni alla luce del sole in maniera determinata e radicale. Non è un caso che il 24 novembre sia indetto da tempo lo sciopero della scuola e che migliaia di persone dalla mattina torneranno a riempire le piazze di Roma e di molte altre città. Da più parti si sono levate proteste contro la decisione di autorizzare la marcia fascista del 24 nel cuore di Roma. Le risposte del sindaco Alemanno non stupiscono e confermano lo stretto rapporto tra i partiti neofascisti, il Pdl e la giunta del Comune di Roma. Mettere sullo stesso piano, come ha fatto il sindaco, movimenti e sindacati con organizzazioni dichiaratamente fasciste è inaccettabile. Per molti motivi è quindi importante mobilitarsi in tanti in quella giornata e invitiamo tutte e tutti a farlo anche in altre città in Italia. Mentre la Roma antifascista e antirazzista non permetterà ai fascisti > di sfilare!

★ NOI SIAMO IL 99% VOI NON ARRIVATE ALL’1% ★ > > Prossima assemblea > mercoledì 21 ore 17 Facoltà di Lettere della Sapienza > > Appuntamento per tutte e tutti > Sabato 24 novembre ore 14,30 > PIAZZA VITTORIO

Intervista a Mario dell’Area Antagonista Campana.

Valutazione sulla giornata del 12?

 Ieri come è noto è iniziato il vertice a Napoli tra il Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali italiano Elsa Fornero e il Ministro federale del Lavoro e degli Affari Sociali tedesco Ursula von der Leyen. La conferenza “Lavorare insieme per l’occupazione dei giovani. Apprendistato e sistemi di formazione duale” proseguirà oggi nel pomeriggio con l’incontro tra il Ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca italiano Francesco Profumo e il Direttore Generale per la Cooperazione Internazionale ed europea per l’istruzione e la Ricerca Volker Riecke. Un vertice incentrato sull’apprendistato oltre che accompagnato da una manciata di milioni di euro che servono a coprire la cassintegrazione in deroga, per un pezzettino di lavoratori. Dentro questo non c’è tutta la vicenda di Pomigliano e delle centinaia di fabbriche che stanno chiudendo per andarsene da un’altra parte, mentre i disoccupati continuano a crescere, senza nessuna copertura di ammortizzatori sociali. La Fornero veniva a presentare il progetto di apprendistato duale per i ragazzi, a partire dai 15 anni, che avranno la possibilità di essere sfruttati per poi finire a lavorare al nero.

Niente di nuovo da queste parti. Stiamo parlando di una vicenda completamente diversa da quella tedesca dove nonostate la crisi esistono garanzie per il diritto alla studio e garanzie di protezione sociale, nonostante siano condizionate al lavoro. Qui a Napoli naturalmente non vi è nulla di tutto ciò, ma probabilmente in tutta Italia. A fronte di questo ci siamo trovati un vertice segreto e clandestino di cui nessuno ha parlato per il timore della provocazione che il Ministro del Lavoro veniva a fare nella capitale del lavoro nero, della precarietà e della disoccupazione.

 

Com’è andata la manifestazione?

Nei confronti di questo vertice tenuto segreto fino a qualche ora prima c’è stata una grande attivazione di tutti i soggetti colpiti dalla crisi: studenti, precari in formazione, disoccupati, lavoratori in nero, operatori sociali, precari della scuola ed era presente anche delegazione degli operai della Fiat di Pomigliano. Tutti questi soggetti rivendicano il diritto ad un’esistenza dignitosa, il diritto ad un reddito garantito ed incondizionato indipendentemente dalla crisi e sganciato dal lavoro. Le banche continuano ad accrescere i loro profitti e i loro interessi nei confronti dello Stato mentre il Governo continua a sostenerle e non è capace di varare nemmeno una mini-patrimoniale. Naturalmente dall’altro lato crescono: miserie, povertà e precarietà. Tutti questi soggetti precarizzati hanno fatto sentire ieri la loro voce contro i signori dell’austerity, gridando con forza che i responsabili di queste politiche non sono i benvenuti, tanto più se vengono a parlare di apprendistato e sfruttamente del lavoro minorile, perchè di questo si tratta.

C’è stata una grande partecipazione, ci siamo mossi in migliaia in corteo verso la mostra d’Oltremare sede del vertice. Siamo stati bloccati da un importante schieramento di forze dell’ordine messo a protezione della Fornero. Le cariche della polizia hanno cercato di fermare Il dissenso verso le politiche di austerity, così come sta avvenendo in tutta Europa. Dopo un’oretta di resistenza, con lanci di lacrimogeni ad altezza uomo, un ragazzo ha perso tre denti e vari altri compagni sono rimasti feriti. Abbiamo continuato il corteo per portare la voce del dissenso nelle strade di Napoli per poi continuare la giornata con una grande assemblea all’università. A partire dalla mobilitazione di oggi contro il Ministro Profumo e dalla giornata del 14 in cui ci sarà lo sciopero generale euromeditteraneo. Il 14 a Pomigliano ci sarà la Fiom con Landini e Di Pietro, soggetti già screditati, invece noi saremo con gli operai cassaintegrati, disillusi dagli ammortizzatori sociali, per rivendicare un reddito garantito e incondizionato. Inoltre saremo anche nelle strade di Napoli per realizzare lo sciopero sociale.

 

La rivendicazione di reddito è sempre più importante nel sud, c’erano diverse delegazione alla manifestazione. Questa piazza contro l’austerity rivendicava un reddito garantito?

Lo striscione di apertura del corteo diceva “pusat’ e sord’ e jatevenne! reddito per tutt@”, gli altri immediatamente seguenti recitavano “Reddito per tutti, voto per nessuno”, una campagna che abbiamo lanciato per il reddito incondizionato e universale. Anche gli operatori sociali erano con noi nella rivendicazione di reddito. Questo tema del reddito è stato centrale nella giornata di ieri, in maniera trasversale ai soggetti disoccupati, precari fino ai lavoratori della Fiat di Pomigliano: il Sud martoriato che si è incontrato la settimana scorsa a Palermo ed in parte era presente con delegazioni venute a Napoli.

Vogliamo realizzare un percorso fatto di azioni di lotta ma anche di vere e proprie campagne culturali come è stato fatto appunto la settimana scorsa con la presentazione del libro di Guy Standing “Precari la nuova classe esplosiva” all’Orientale di Napoli.  Dentro la crisi, contro la crisi il reddito è uno strumento di ricomposizione sociale oltre che un concreto obiettivo di lotta. Un reddito appunto come parte centrale di una piattaforma di rivendicazione dell’opposizione sociale nel nostro paese.