La storia insegna, ma non ha alunni

Contributo da Villa Roth occupata di Bari

Noi, la rabbia, le lacrime e gli Altri
 
 
Abbiamo preferito tacere per qualche ora. Non volevamo scrivere un’ulteriore inutile lettera di sgomento, tristezza o vicinanza per la morte di una ragazza innocente. Né volevamo lanciare slogan o proclami più o meno ideologici sulla vicenda di Brindisi. Per noi Melissa rimarrà per sempre ragazza, e la rabbia per i suoi occhi strappati via alla vita non è esplosa in grida o giudizi dissennati. Non abbiamo voluto farlo per il rispetto del dolore, di quella soglia oltre la quale non vogliamo andare per “restare umani” (che è un imperativo difficilissimo da mantenere nell’Italia di oggi). Purtroppo Altri non hanno taciuto, Altri si sono avventati come sciacalli furibondi sui corpi delle vittime o nel fumo delle bombe di Brindisi. Lo hanno fatto lanciando proclami, costruendo parallelismi assurdi, promettendo militarizzazioni, strette poliziesche, invocando addirittura l’uomo forte al comando (quel coprofago di Storace ha dichiarato proprio questo un’ora, solo un’ora dopo, l’esplosione; per ricordare a tutti gli smemorati la passione dei fascisti nostrani per le bombe che esplodono e proprio in quella Brindisi in cui vive in libertà da anni Franco Freda questo dovrebbe essere un segnale politico chiarissimo). Gli Altri per noi sono quelli che, seguendo un copione cinico quanto scontato in questo terribile paese, mentre i genitori, gli amici piangono ancora, si sono chiesti come riuscire a sfruttare a proprio vantaggio quest’episodio folle. E allora l’attentato alla scuola Morvillo – Falcone di Brindisi diventa il pretesto utile per rispolverare il caro vecchio “uniamoci tutti a difendere le istituzioni”, “ci vuole prevenzione”, “l’esercito difenderà i cittadini dalla follia terroristico/mafiosa”. Il che sta a significare che da domani, chiunque scenda in piazza a manifestare contro la crisi, contro la casta politica, contro i suicidi (cfr. le dichiarazioni dello sciacallo Susanna Camusso su Equitalia di ieri), contro i tagli, per i beni comuni, rischierà di disturbare la “vita tranquilla dei cittadini” (citando le dichiarazioni di Bersani a due ore dall’esplosione), rischierà di disturbare il manovratore, rischierà di contribuire al “caos da cui solo lo Stato può difenderci”. Gli Altri insomma, quelli di ieri e quelli di oggi, proveranno a dare giudizi, proveranno a trovare i colpevoli in fretta e furia, oppure a trovarne diversi in modo rocambolesco per intorbidire ulteriormente le acque. Proveranno a utilizzare una strage fatta per uccidere, fatta per spaventare e fatta insomma per lanciare un messaggio. Una strage fatta in un modo che, per analogie storiche e di fase, riporta alla mente la strage di via dei Georgofili di Firenze del ’93, per analogie di obiettivi, ricorda le stragi che vengono compiute per militarizzare la Palestina, Gaza, l’Afghanistan o il Pakistan e, in generale, porta alla mente le tante, troppe stragi di Stato senza colpevole del nostro paese. Quelle stragi di cui tutti sappiamo i nomi dei colpevoli ma “senza le prove né gli indizi”.Immaginiamo gli Altri nei loro studi televisivi a studiare le dinamiche, le anomalie dell’attentato, magari con un bel plastico su una scrivania in ciliegio, qualcuno dirà è stata la mafia, qualcuno dirà “terrorismo politico”, qualcun altro il gesto di un folle o chissà cos’altro e si andrà avanti così come una normale partita di calcio, come un reality show, tutti inquirenti, tutti concordi con una soluzione possibile per accontentare tutte le ipotesi possibili “Stato più forte, polizia, esercito, telecamere, controlli, arresti, intimidazioni”.Gli Altri che fino al giorno prima avevano paura. Avevano paura perché vedevano il consenso sociale delle loro azioni ridursi di giorno in giorno; perché la rabbia degna in Val di Susa o il 14 dicembre o il 15 ottobre o contro le vessazioni di Equitalia o contro un Governo non votato da nessun cittadino e sostenuto da una classe politica corrotta e volgare, diventava ripresa della vita contro i manganelli, contro le prigioni, contro i fili spinati e (ora dobbiamo dirlo) contro le bombe. Perché sospesa la democrazia in nome dell’austerità e delle misure economiche da imporre “costi quel che costi”, la svolta neo-autoritaria diventa la seconda gamba su cui si fonda la nascente Terza Repubblica. E tra crisi infinita e autoritarismo si può rinchiudere la gente nella disperazione, nella propria solitudine, ricacciarla nelle case mentre le strade potranno essere militarizzate e controllate.Non è il nostro ruolo trovare chi ha piazzato a Brindisi la bomba, nostro ruolo è capire a chi può giovare questo atto. Chi ne può trarre vantaggi, chi può specularci sopra, chi può insomma sfruttare al massimo l’indignazione e la rabbia che da un gesto così infame può generarsi.Non abbiamo dubbi a tal proposito. Sono proprio gli Altri che abbiamo nominato prima.Proveranno sulle macerie fumanti insomma a ridurci al silenzio a spaventarci, a terrorizzarci.Il film in Italia è noto come anche il finale.Sta a noi adesso, l’altro nostro ruolo, se siamo stati bravi alunni della Storia, cambiare questo finale. Facendo esattamente quello che và nella direzione uguale e contraria a quella a cui loro, gli “Altri” appunto, vorrebbero spingerci. La piazza di Brindisi di sabato sera è stata importante per questo; una piazza rabbiosa, che ha fischiato tutti i sepolcri imbiancati della politica locale e non e anche le autorità religiose salite sul palco e ha invece applaudito con forza quando dal palco si è detto: “non vogliamo più esercito, non vogliamo più polizia, non vogliamo la militarizzazione delle nostre vite”.Per questo quello che ci consegna quella piazza è quello che dovremmo fare da subito. Dobbiamo riversarci nelle strade, noi, la moltitudine irrappresentabile che tanto spaventa gli “Altri”, dobbiamo riappropriarci degli spazi di discussione, delle piazze, dei luoghi abbandonati, rendere impossibile progettare attentati, rendere impossibile determinare l’esito del conflitto fuori dagli spazi di discussione, dobbiamo definire questi spazi come Comune, dobbiamo finalmente prendere la nostra storia nelle mani, per la prima volta da cinquant’anni a questa parte, senza delegarla a nessun apparato corrotto o assassino, e costruire un’esondazione sociale  ridandoci la possibilità di decidere noi contro la loro austerity, contro la loro crisi, contro la loro polizia, contro le loro bombe.

Al fianco della Rimaia di Barcellona

…ogni sgombero dovrà diventare una barricata!

Con rabbia apprendiamo la notizia che questa mattina, verso le sei, un cospicuo e ingente dispiegamento di mossos d’esquadra ha sgomberato
uno degli edifici emblematici del movimento catalano:

La Rimaia.

 

Uno spazio occupato e autogestito nato tre anni fa in un contesto di
piena fermentazione delle lotte universitarie contro la, ormai
vigente, riforma Bologna. Uno spazio nato non solo con l’idea di voler
lottare contro chi ha voluto ridurre l’accesso ai saperi ad una logica
mercantile volta più a valorizzare i profitti piuttosto che la libera
conoscenza, ma anche uno spazio che ha saputo essere punto di
accumulazione, di espressione, di riappropriazione dal basso e di
presa di parola da parte di chi non solo questa crisi non la vuole
pagare, ma si propone, piuttosto, di superare le condizioni di
precarizzazione e frammentazione sociale in atto sulle nostre vite.
Lo sgombero è avvenuto senza preavviso, in mancanza di ordine di
sgombero e, soprattutto, nonostante il caso fosse già stato
archiviato, nel lontano 2008, dalle autorità giudiziarie. Durato più
di 5 ore e concluso con 14 denunce e un fermo. Dovremmo dunque
definirlo, come stanno facendo i media mainstream nella democratica
Catalunya, come sgombero illegale? No, noi questa la definiamo
retorica. Il quid non risiede nel concetto d’illegalità. Noi che
barcolliamo nell’incertezza costante e che, costantemente, facciamo
acrobazie per riprenderci quello che è nostro siamo ampiamente
coscienti che l’illegalità è un fattore che impregna la vita, un’arma
a doppio taglio che a volte ci si ritorce contro, dipende da chi la
usa e da qunato è potente, tutto qua.

 

Piuttosto dovremmo pronunciare
il più ben appropriato concetto d’illegittimità. Ma, nuovamente,
anche l’illegittimità è un principio duale, dicotomico che dipende
dal punto di vista. Per noi è illegittimo chi specula sulle nostre
vite e chi, in questo forte contesto di crisi, continua proponendo,
come unica soluzione, l’ingestione di pillole neoliberiste. Per noi è illegittimo
chi sgombera spazi pensando di annientare visibili segni di una
volontà diffusa di invertire la rotta e sottrarsi ad una speculazione
costante.
Inoltre a nessuno deve sfuggire la vicinanza con le date di
mobilitazioni del 12 e 15M che, proprio, a partire dai quei territori,
hanno assunto un carattere di spazio pubblico di cooperazione
internazionale. La logica filo-governativa dei buoni e dei cattivi ha
oggi provato a ripetere lo schema di sempre, definendo pericolosi e
violenti antisistema chi di fronte all’evidenza della catastrofe
sperimenta forme di autorganizzazione sociale volte a ribaltare lo
schema esistente.  La prossimità delle date di mobilitazione con
l’illegittimo sgombero di oggi convalida che il moralismo che
caratterizza questo genere di situazioni nel dibattito dei media non
regge piú facendo del conflitto sociale l’unica posizione e opzione
possibile.

Di fronte a questa società in sfacelo, c’è chi si indigna, chi
denuncia e chi si autorganizza. Noi siamo dal lato di quelli che si
organizzano. Solidarietà a La Rimaia, mai un passo indietro!

Laboratorio Acrobax

 

Le nostre ragioni e quelle della legge. Riflessioni di un NoTav dal Carcere di Saluzzo

Di Giorgio Rossetto

Mi trovo rinchiuso in prigione da alcuni mesi per essermi opposto,
assieme a migliaia di altre persone, alla militarizzazione della Val
di Susa, la valle dove abito, e all’imposizione manu militari del
progetto tav. Avevo messo in conto la possibilità di un provvedimento
giudiziario, come molti altri che hanno partecipato alla lotta.
Talvolta le mobilitazioni sociali richiedono un impegno da parte dei
singoli che può pregiudicare la loro libertà (o mettere a rischio la
loro vita, come è accaduto a Luca che saluto); eppure sono convinto
che valga la pena affrontare queste conseguenze, perché non condivido
il dogma imperante secondo cui ciascuno deve sempre e soltanto  curare
il proprio interesse individuale.

Sto affrontando questo periodo di detenzione con serenità, nonostante
la direzione carceraria si stia prodigando affinchè la mia permanenza
qui sia la meno piacevole possibile. Dai primi di febbraio a Saluzzo
sono in un regime anomalo di isolamento, a causa della  denuncia mia e
di altri compagni, nel carcere delle Vallette, delle difficili
condizioni in cui si trovano i detenuti.  Nonostante la mia sia una
carcerazione cautelare e io sia quindi secondo il codice penale un
“indagato” lo stato impone a me e ad altri detenuti, anch’essi in
attesa di giudizio, questa condizione di fatto persecutoria.
Ulteriormente inasprita della censura per 6 mesi della mia posta.

Non è mia intenzione, tuttavia, descrivere la mia condizione come
eccezionale; al contrario, vorrei condividere alcune riflessioni su
ciò che di puramente procedurale c’è nella repressione del dissenso in
un sistema istituzionale come il nostro, prendendo in questione lo
stesso metro di giudizio che viene usato dai tribunali: la legge.

Il procuratore Caselli ha spiegato  i provvedimenti precisando che
obiettivo dell’operazione è stato isolare e colpire le condotte
illegali da altre, che non lo erano. Non mi dilungo sul “rigore”
intellettuale che lo ha portato a queste affermazioni: la condivisione
politica della resistenza delle giornate di giugno e luglio da parte
di tutto il movimento, è stata affermata allora, ribadita in occasione
dei nostri arresti, e praticata nei mesi passati durante le
mobilitazioni contro l’allargamento del cantiere.

Ciò che mi interessa discutere è l’idea che il dissenso sia legittimo
soltanto entro i confini della legalità, e non perché l’ha detto un
magistrato, ma perché sono consapevole non mancano coloro che sono
pronti a condividere questo presupposto.

E’ sotto gli occhi di tutti le maleodorante corruzione sistemica e la
naturale indignazione contro i suoi abusi, hanno condotto negli ultimi
anni all’equivoci secondo cui schierarsi contro l’oppressione equivale
a sbattersi per il rispetto delle leggi; mi sembra, del punto di vista
dei movimenti, un’idea piuttosto astratta, slegata dalla realtà e
totalmente subalterna allo “status quo” e ai rapporti di forza
dominanti. L’infrazione della legge da parte del potente non è analoga
a quella dell’oppresso; l’illegalità delle istituzioni, che violano i
principi giuridici da loro stesse sanciti, per regalare continuamente
appalti pubblici all’imprenditoria, non è equivalente a quella del
valligiano che resiste per difendere la sua terra da quelle stesse
imprenditorie (legali o illegali). Non si può giudicare astrattamente
un gesto,  quasi il contesto storico e politico fosse qualcosa che si
declina soltanto al passato, sui libri di scuola: ogni gesto
dev’essere compreso in relazione a un fine.  Forse la violenza usata
per impedire uno stupro ( di una persona come di un territorio) è
equivalente, dal punto di vista morale, a quella usata per
perpetuarlo? C’è chi ne è convinto: ad esempio Marco Travaglio, che
pure si è prodigato in più sedi per evidenziare l’irrazionalità e
l’illegalità del tav, ma che ha altrettanto volentieri difeso
l’operato di Caselli contro di noi, dicendo che se un magistrato
rileva ciò che tecnicamente è un reato, non può voltarsi dall’altra
parte.

Sarebbe facile fare dell’ironia su quanto e come vengono perseguiti i
reati della controparte (ditte appaltatrici e polizia; ma per questo
c’è già il movimento con le sue puntuali inchieste.

Più interessante è chiedersi dove saremmo ora se, in ogni epoca e in
ogni stagione storica, tutti avessero ragionato come Travaglio:
avrebbero dovuto i partigiani, ad esempio, cessare la resistenza,
essendo essa bandita  per legge? Avrebbero dovuto  gli ebrei  o i
palestinesi, accettare di buon grado la deportazione, visto che invece
essa era imposta per legge da istituzioni operanti sui loro territori?
Mi si dirà che non si può paragonare il Tav al nazifascismo o alla
Nakba, ed è vero: non è quello che sto facendo e non lo farei mai. Il
carcere di Saluzzo non è un lager e il fascismo come regime è tutta
un’altra storia. Ma si può paragonare la pochezza morale di chi
difende lo status quo in contesti tra loro diversi, se tale difesa
trova giustificazione nel principio, in se evidente e proprio perciò
così debole, che la legge è la legge. Questo principio si traduce: il
più forte ha sempre ragione. Non mi risulta nemmeno che Berlusconi sia
stato “cacciato” dalla tanto sbandierata legalità di Caselli e le
inchieste giudiziarie nelle varie procure si sono arenate sugli scogli
o hanno getta “l’ancora  nel porto delle nebbie”. Noi, in Valsusa non
possiamo lasciarci devastare dalla Tav, né attendere che ci venga data
ragione ex post, o che in un lontano futuro opere dannose siano
impedite dalla legge stessa. Allora nessuno ci ridarà la nostra
tranquillità, ne restituirà la valle ai nostri nipoti.

Non è affatto necessario avere Mussolini o Berlusconi come governanti
per  decidere di ribellarsi, anche se la foglia di fico
della”democrazia” fa sempre comodo ai tanti imprenditori che lucrano
in tempo di pace sociale, prontissimi a votarsi alla dittatura quando
la pace sociale finisce o sta per finire. In questo senso mi rivolgo a
tutti coloro che in questi anni hanno trovato un punto di riferimento
in Travaglio o Saviano: autori cioè che hanno impostato la loro
critica/carriera sul concetto di legalità, invitando a un
interrogativo: possono essere i carabinieri “nei secoli fedeli”, e la
magistratura gli agenti del cambiamento, in una qualsiasi società, e
tanto più nella nostra? In Valsusa gli agenti di polizia, più volte
messi dalla popolazione di fronte alle loro responsabilità si sono
limitati meccanicamente a rispondere: “eseguo gli ordini di servizio,
sono pagato per questo”. Lo stesso afferma ogni procuratore capo,
quando deve sbattere in cella chi porta vanti la propria battaglia per
la libertà e per il futuro della sua terra o, in generale, un’idea
incompatibile con l’ordinamento attuale. Il nostro pensiero deve saper
produrre qualcosa di più intelligente di un semplice: “un poliziotto è
un poliziotto, un giudice è un giudice”. Siamo uomini e donne: questo
non ci attribuisce soltanto valore, ma anzitutto responsabilità. Chi
sceglie di rappresentare un’istituzione ha il dovere di chiedersi che
cosa quell’istituzione incarni: corruzione, sfruttamento, privilegi,
volgarità, sopraffazione, disumanizzazione e devastazione, e riduzione
della natura, delle donne, degli uomini e dei bambini a semplici
merci, a numeri o grafici nelle carte della finanza e delle banche.

Non basta  questo per rifiutare, oltre all’occupazione militare, la
sua logica profonda? L’idea che nulla deve esistere oltre e al di
fuori di ciò che è previsto dalle regole stabilite? Io non mi limito a
dire: “un partigiano è un partigiano, un notav è un notav”; io
dico:”un partigiano è molto meglio di un fascista, un notav è meglio
di un poliziotto occupante”. Con tutto il rispetto che nutro per i
lupi, non li si può trasformare in agnelli.  Ho ragioni per
argomentarlo, non prendo ordini per sostenerlo e nessuno mi paga per
dirlo.

Le ragioni della legge valgono quel che valgono, e in ogni  epoca e ad
ogni latitudine esistono i filistei. Condividere le ragioni di chi ha
incarcerato significa piegarsi all’idea che il mondo non possa pensare
la resistenza a ciò che esiste o è stato deciso, né i soggetti possano
pensare la trasformazione in modo autonomo. Nonostante i nostri
avvocati siano pronti a mostrare quanto le nostre accuse siano
inconsistenti anche sotto il profilo della legge, vorrei che si
chiedesse quanto la legge è metro di giudizio adeguato di fronte alla
sollevazione di un popolo, di una classe o parte di esso. Come sempre
quando un “no” rifiuta di diventare un “si” o un “ni”, con noi il
tempo della democrazia è finito, è iniziato quello della
militarizzazione e delle manette. Forse la nostra battaglia servirà
anche a far comprendere che è assurdo anche soltanto pensare che il
dissenso sia qualcosa che si può delegare ai giudici o alle
istituzioni in genere; e spero che la nostra prigionia serva anche a
ricordare che le battaglie, da che mondo è mondo, si vincono o si
perdono in prima persona e non per delega. Il criterio per scegliere
da che parte stare lo determiniamo noi, in autonomia; noi che non
abbiamo scelto di essere ingranaggi di un meccanismo ma persone aperte
alla critica dell’ingranaggio stesso.

Nella resistenza popolare di massa in Valsusa, ma innanzitutto nella
capacità di essere proposta politico organizzativa nella metropoli
vive l’idea forza dell’Autonomia come motore di un agire diverso.

Ringrazio tutti e tutte per la campagna contro la censura che sta
inondando l’ufficio casellario con decine di lettere e cartoline che
arrivano quotidianamente da tutta l’Italia e persino dall’estero. Il
registro della censura è molto spesso, ma di questo passo lo
riempirete piuttosto in fretta.

Giorgio

Un’operazione di polizia ai tempi del burlesque

sexy&cool riot/art from London

Rivedendo le immagini usate dai media come feticcio della rabbia precaria che loro definiscono senza alcun segno politico, come violenza gratuita da sventolare e mostrare come giustificazione del linciaggio mediatico nei confronti di quei giovani e meno giovani che sono stati i protagonisti degli scontri di piazza san Giovanni o delle azioni più o meno efficaci della manifestazione del 15 Ottobre –  al netto della disinformazione di regime ci chiediamo retoricamente ma a ragione quale diritto di informazione possiamo ancora sperare in questa democrazia blindata dai mercati, piegata dal neoliberismo, umiliata dall’abuso di potere recidivo e dalla corruzione diffusa in una continua coazione a ripetere?

Una volta ancora ci dobbiamo chiedere cosa si aspettavano governanti, politici, controllori, editorialisti, ma anche quel popolo di sinistra “indignato” da anni assopito dal berlusconismo o ancor peggio da un certo antiberlusconiano atteggiamento, cosa si aspettavano e cosa credevano? che quelli che vivono in emergenza abitativa e precariamente tra una vertenza e l’altra o tra un contratto intermittente e l’altro, coloro che studiano e lavorano o studiano e lavorano nel “quarto settore dell’economia”, coloro che riempiono i numeri e le statistiche della disoccupazione giovanile – che poi fanno indignare tutti quanti nel crogiuolo del bel paese cattolico dove la condanna delle ingiustizie ha il sapore del senso di colpa universale – sarebbero stati zitti e sorridenti fino alla morte?

O magari pensano che coloro che vivono nella zona grigia dei milioni di inattivi siano veramente inattivi e non già schiavizzati nella voragine del lavoro nero, dove cari governanti, politici ed opinionisti veniteci voi a vedere come si vive con la testa dentro il cesso. Orbene questi sfruttati e disperati, precari e precarizzati un tempo garantiti, vanno compatiti e sono anime buone quando si lamentano della propria condizione e magari lo fanno li in cima ad una torre o sul tetto di un palazzo, salvo poi fottersene alla prima minaccia di spread, quando invece si organizzano per manifestare la propria degna rabbia e delle volte lo fanno in forma non propriamente dialettica e decidono di rappresentare magari quell’inferno che vivono tutti i giorni nella propria solitudine per una volta tanto collettivamente e in pubblica piazza, diventano i mostri neri, il nuovo pericolo pubblico, i marziani del teppismo urbano, i cavalieri del nuovo terrorismo, forse i veri eredi di Mefistofele chissà “hai visto, hanno distrutto e ucciso la madonna!” E magari mangiano pure i bambini. Forse allora i benpensanti vogliono dire che è meglio continuare a guardare impotenti i suicidi che ormai si sommano uno all’altro, dal disoccupato al pensionato, dal cassa-integrato all’artigiano, dal venditore ambulante al piccolo imprenditore? Strano il suicidio dovrebbe essere anch’esso contro la morale cattolica, eppure scandalizzano evidentemente più due banche rotte che i suicidi continui per colpa delle stesse banche.

Forse semplicemente la realtà del 15Ottobre è andata ben oltre la finzione o la testimonianza. Per una volta il programma è cambiato. Ed è stato un accumulo di forze, di coincidenze e di processi sociali incodificabili per voi, cari padroni, governanti, poliziotti e magistrati zelanti. Processi della soggettivazione precaria, un po’ più insorgente di quella che pensavate governare. E questo vale anche per chi nei movimenti pensava di portare l’avanzo riscaldato del banchetto dei politicanti come premio ai più allineati alla governance, quella buona eh! quella della narrazione epica e del lavoro come bene comune, ecco tutti a braccetto con la minestra riscaldata per entrare in Parlamento. Ma il programma è cambiato per tutti, pure per loro.

E  dopo aver già accumulato qualche prima condanna nei mesi immediatamente successivi a questa giornata del 15 Ottobre 2011 – considerata ormai all’indice degli annali neri della Repubblica, sempre quella Repubblica delle banane, delle stragi di Stato senza colpevoli, quella della Diaz e di Bolzaneto, sempre la Repubblica della P2, P3 e P4, insomma quella della mafia, e della mafia dell’antimafia – arriva la chiusura delle indagini, con un baccanale di Antiterrorismo, Digos e Ros – ma non litigavano tra di loro una volta? –

Nel buio dei tempi abbiamo, un piccolo lumicino che una volta tanto, succede, regola i conti all’interno degli apparati, governa la overbalance statuale e decide per un’altra opzione. Nel mandato il GIP respinge l’impianto dell’accusa, ridimensionando le misure cautelari e assumendo a tratti quasi il tono se non assolutorio quanto meno tendente ad attenuare gran parte delle accuse. In Italia tralaltro l’habeas corpus pare che ancora non l’abbiano del tutto abolito.

Addirittura per Acrobax c’è un sostanziale riconoscimento del lavoro politico svolto “al fianco dei poveri, per i diritti della classi meno abbienti a difesa dei più umili”, giusto, tutto vero, siamo quasi lusingati. Nella boria di questi tempi dove per mesi tra “la palestra del terrorismo” e l’isola ribelle della sovversione, tra il capo della Polizia e l’ex ministro degli Interni si sono moltiplicate e sprecate le definizioni del brand della paura appiccicato a noi come ai compagni della Val di Susa. Oggi abbiamo finalmente trovato una cosa veritiera tra tante menzogne e provocazioni.

Si, è vero, ci battiamo per i più poveri, siamo da sempre a fianco dei meno abbienti, dei più umili e un domani noi crediamo, saremo al fianco dei ribelli contro il neoliberismo che saranno meno poveri e più liberi, finalmente affrancati dalla vostra pietas, ipocrita e codarda. Si è vero ci battiamo da dieci anni contro la precarizzazione della vita e del lavoro, contro la precarietà che è sempre più un dispositivo complesso di comando, controllo e  disciplinamento dei nostri corpi, delle nostre vite, esistenze, passioni e desideri. Si è vero, contro la “corruzione” della precarietà, scegliamo la strada della lotta per la libertà.

Una precisazione, Acrobax non è un laboratorio né anarchico, né comunista, né libertario, forse è un pò di tutto questo, ma sicuramente e risolutamente è una piccola, ma insorgente, Repubblica Indipendente

Il passato conoscilo, il presente vivilo, il futuro (senza la lotta) dimenticalo!

Nodo redazionale indipendente

Scrivi a Giorgio, contro la censura, inceppiamo il meccanismo!

Giorgio Rossetto è un Notav, detenuto dal 28 Gennaio nel
carcere di Saluzzo nella sezione Isol.

Le sue lettere da dentro il carcere ci hanno fatto
conoscere la situazione di tutti i detenuti prima ancora della sua situazione
personale, attraverso una corrispondenza epistolare della quale abbiamo dato
sempre massima diffusione.

Da Saluzzo sono arrivate lettere e comunicati collettivi
che più volte hanno denunciato la situazione che la popolazione carceraria vive,
nella fattispecie i reclusii nel braccio Isol, esclusi dalla socialità e dalle
attività del carcere, costretti in celle cubicoli con persino l’aria isolata
dagli altri.

In seguito a queste denunce e alla campagna Freedom4notav,
l’oliato meccanismo del carcere ha iniziato a scricchiolare e per questo la
direzione tenta di ostacolare la campagna dei detenuti prendendo, di accordo con
la Procura, di mira Giorgio infliggendogli la censura
alla posta in entrata ed in uscita per 6 mesi
con l’accusa di
aver tenuto un comportamento di “istigazione alla
ribellione”
di altri detenuti, anche in accordo con soggetti esterni al
carcere
”.

Atto di insubordinazione massima agli occhi di chi vuole
gestire nel silenzio la vita di centinaia di persone costrette alla
detenzione.

Scriviamo a Giorgio, contro la censura, inceppiamo
il meccanismo!

Dobbiamo inceppare il meccanismo collaudato del
carcere e delle sue strutture, rendendo un normale servizio come quello della
corrispondenza, un lavoro “faticoso” per guardie ed addetti.

Possiamo farlo tempestandoli di lettere,
cartoline, riviste, pacchi per Giorgio e gli altri detenuti della sezione,
dimostrando che da fuori, quell’istigazione alla ribellione, è forte da tempo  e
non lascia da solo nessuno.

 

@Invitiamo tutti a scrivere
a:

Giorgio
Rossetto
Casa di reclusione di SALUZZO
Regione Bronda, 19/b
Località
Cascina Felicina
12037 – SALUZZO (CN)

Sul 15 ottobre: le lotte per i diritti non si possono fermare

Roma, 21 aprile. Ieri mattina all’alba un ingente spiegamento di Polizia e Carabinieri (Digos e Ros), ha fatto irruzione nell’occupazione abitativa di via del Casale De Merode a Tormarancia, nell’ambito di un’operazione su scala nazionale relativa agli avvenimenti di piazza del 15 Ottobre scorso.

Ne è seguita la notifica di due ordinanze di misure cautelari, nello specifico obblighi di firma, e perquisizioni in altrettanti alloggi all’interno dell’occupazione che hanno portato, come unico risultato, al sequestro di uno zainetto da bambino.

Nelle stesse ore in diverse città si svolgevano perquisizioni e si notificavano misure cautelari tra arresti domiciliari ed obblighi di firma che hanno raggiunto complessivamente 14 persone in tutta Italia.

Nelle ore seguenti altri tre occupanti ed attivisti del Coordinamento Cittadino di Lotta per la Casa e dei movimenti per i diritti sociali di Roma, vengono segnalati come coinvolti nelle indagini (con nomi e cognomi sbattuti in prima pagina senza che fosse stato notificato nulla di ufficiale), dentro un impianto accusatorio che per tutti appare a dir poco fumoso.

In realtà si colpiscono persone “colpevoli” soltanto di aver scelto di essere presenti in una piazza importante come quella del 15 Ottobre così come ogni giorno si ritrovano nelle tante e necessarie battaglie contro le grandi lobby del mattone o della finanza, per la difesa dei territori, contro la precarietà.

Probabilmente opporsi alle politiche neoliberiste dei governi che hanno guidato e guidano oggi il nostro paese è un reato insopportabile per chi difende le ingiustizie e le ruberie di una classe politica e dirigente che concentra nelle mani di meno del 10% della popolazione la maggior parte delle ricchezze da noi prodotte e che continua, con inaudita testardaggine e determinazione, a difendere i propri privilegi e a distruggere le condizioni di vita della stragrande maggioranza delle persone.

L’operazione di oggi va ad aggiungersi ai già numerosi arresti e ai procedimenti sommari che negli ultimi mesi hanno portato a condanne spropositate elargendo anni di carcere a ragazzi per lo più giovanissimi, ad uno stillicidio oramai quotidiano di fermi, denunce, negazione del diritto a manifestare. Nell’era Monti, le ricette neoliberiste destinate a portarci al vero default cui vogliono arrivare, quello dei diritti, vanno difese “manu militari” criminalizzando la rabbia e le lotte sociali, chiudendo ogni spazio di espressione del dissenso e di partecipazione, come sta accadendo con il tradimento dei plebisciti referendari che hanno portato 27 milioni di italiani ad esprimersi contro la privatizzazione dell’acqua e dei servizi essenziali.

Non accetteremo mai supinamente, i diktat imposti dai grandi gruppi dell’economia e della finanza globale e con essi il presente ed il futuro che ci vogliono consegnare: fatto di suicidi per motivi economici, sacrifici, precarietà infinita.

Per questo oggi abbiamo il dovere, tutti e tutte, di denunciare ciò che sta accadendo, di mobilitarci contro questo prepotente scippo di democrazia e diritti, di continuare a costruire dal basso processi di opposizione ed alternativa.

Rivendicare libertà di movimento per tutti e tutte significa affrontare con la più grande solidarietà e vicinanza la repressione che colpisce e con la più grande determinazione le tante battaglie di giustizia sociale che vogliamo continuare a sostenere ed alimentare… liberare tutti vuol dire lottare ancora!

Invitiamo tutte le persone interessate e solidali, le realtà sociali della città, gli/le attivisti/e del supporto legale e della comunicazione indipendente a partecipare ad un’assemblea presso il L.O.A. Acrobax Via della Vasca Navale, 6

lunedì 23 aprile ore 18.30

 

Coordinamento Cittadino di Lotta per la Casa

Laboratorio occupato e autogestito Acrobax

Video | Invito alla discussione, per la libertà di movimento!

Foto della Comune di Parigi 1871

Con alcune fondate ragioni riteniamo che il convegno sulla Libertà di movimento tenutosi il 7 Marzo scorso all’università Roma3 sia andato bene, oltre le aspettative e diciamo subito il perché. A volte parlare di repressione significa parlare delle sfighe, di quanto ci si sente attaccati, controllati ed intimiditi. Molto spesso la si mette su un piano della denuncia o delle volte della commiserazione collettiva. Bene, l’incontro sulla Libertà di movimento ha decisamente preso un’altra strada.

Guarda i video degli interventi del convegno

Con una certa gioia e necessaria porzione di umiltà abbiamo affermato alcune semplici questioni: prima di tutto e ne siamo orgogliosi, con desiderio e determinazione abbiamo rivendicato il nostro elementare compito, riportare le forme del conflitto sociale su di un piano pubblico mettendone in luce non la sola legittimità quanto la più ampia e utile dinamica costituente propria di quell’eccedenza sociale, di quella partecipazione popolare, che si dispone contemporaneamente come dispositivo di rottura ed elemento costituente, per la libertà di movimento e per la stessa indipendenza politica delle lotte. Crediamo fermamente che il conflitto sociale sia il motore della costituzione materiale, vero unico prerequisito reale per lo sviluppo costituzionale – che in alternativa diverrebbe semplice feticcio esterno alla realtà stessa, come spesso la politica e le istituzioni strumentalmente la intendono e lì nel feticcio costituzionale poi si concepiscono e si riproducono. Non ci sentiremo mai dei perseguitati perché abbiamo deciso e autodeterminato un percorso che ci vede in conflitto con loro, scelta lucida e politica che noi per primi dispieghiamo e rivendichiamo alla luce del sole, contro la precarizzazione e i precarizzatori, contro le lobby e le mafie, anche quelle targate antimafia.

 

Fondamentalmente l’assunto di fondo che ha promosso e sviluppato le tracce del ragionamento è partito dalla consistente convinzione materiale che noi siamo risolutamente in conflitto con loro, conflitto per e con il diritto di resistenza. Per resistere alla prepotenza dello Stato, alla boria delle truppe di occupazione nelle montagne della Val Susa lo scorso 3 luglio, così come alle cariche della polizia della recente Piazza San Giovanni di Roma del 15 Ottobre, prendendo poi queste giornate solo come ultimi due esempi del recente conflitto sociale, esempi che vedono peraltro nel loro epilogo giudiziario ancora vergognosamente carcerati alcuni compagni e alle misure cautelari altre ed altri, di cui il convegno ovviamente ha chiesto, già dalla sua introduzione, la loro immediata ed incondizionata liberazione.

 

E nel corso di queste settimane rileviamo una prima importante sentenza che rappresenta un esito non scontato dell’epilogo giudiziario di uno dei processi ai movimenti, sul tema del caro vita, quando il 6 Novembre del 2004 vennero prima indagati 105 attivisti poi rinviati a giudizio in 39, poi giunti a sentenza in 15, con l’accusa di concorso in rapina pluriaggravata, differenziando per alcuni anche il ruolo di organizzatori, come se il mondo fosse volontà e rappresentazione delle loro gerarchie e dispositivi di potere. Bene, dopo 8 anni di maxiprocesso il giudice ha stabilito non solo l’assoluzione per tutti e tutte ma anche perimetrato uno spazio giuridico ancora più importante, il fatto non sussiste, non è stata una rapina. E a questo punto, lo diciamo noi, è stata solo una minacciosa montatura, per la quale peraltro sono state già scontate settimane e mesi tra misure cautelari di arresti domiciliari e obblighi di firma – applicati per di più a distanza di mesi dal fatto contestato. Una minaccia a mezzo giudiziario che ha limitato molto l’iniziativa delle lotte, interdetto per alcuni anni lo spazio politico delle legittime pratiche di riappropriazione, inibendo e reprimendo per via preventiva, eventuali e possibili nuove iniziative.

 

E ora non bastano i commiati e i pietismi anche di coloro che dentro e oltre i movimenti si dolgono il petto, dopo aver fino a poco tempo fa intessuto relazioni con il Partito cosi detto Democratico che, mentre con una mano offre scorciatoie politicamente opportunistiche, con l’altra bastona e chiude i cancelli lasciando dietro le sbarre i nostri compagni e le nostre compagne Notav, con la pretesa cortese del mandante, Presidente Napolitano e dell’esecutore e repressore, Procuratore capo di Torino Giancarlo Caselli.

E allora servono le alleanza ma serve chiarezza e intelligenza politica, serve cuore e passione, ma è fondamentale il cervello, collettivo e sovversivo, per l’utopia concreta, per affermare il comune tra di noi, di ciò che in comune coltiviamo per noi, per la libertà nell’indipendenza.

A presto nelle strade per rovesciare il potere.

 

Nodo redazionale Indipendente

 

A’ l’è Düra, ma non drammatizziamo (Giorgio dal carcere)

da www.infoaut.org

Saluzzo, 30 marzo 2012

Gli articoli sui giornali locali che
hanno riportato il comunicato della sezione “ISOL”, la visita della delegazione,
la conferenza successiva a Saluzzo, infine il partecipato presidio di sabato 4
marzo hanno rotto la normale “routine” del carcere e ulteriormente innervosito
la direzione e il comandante che si arrampicano sugli specchi per difendere il
loro operato. Il presidio è stato sentito in tutta la prigione, i detenuti che
incontro quando vado a messa, appartenenti alla prima e seconda sezione ALTA
SORVEGLIANZA, il barbiere, il bibliotecario e lo spesino riportano che in tutte
le sezioni sono sei in totale, sono contenti e ringraziano per l’attenzione che
c’è intorno al carcere di Saluzzo. Andiamo avanti a piccoli passi.

Vi racconto uno spiacevole episodio successo nella nostra sezione “ISOL”
DOMENICA 18 MARZO. Da metà marzo scendo all’aria dalle 13 alle 15, sono l’unico
quasi sempre, gli altri preferiscono rimanere a giocare a carte o chiacchierare
nel corridoio che scendere ognuno divisi nel suo cortile/box. Quando risalgo
vengo a sapere quello che è accaduto. Appena “aperti” due giovani detenuti hanno
un acceso diverbio per futili motivi dovuti al nervosismo che si è venuto a
creare nel fine settimana quando si sono esaurite le sigarette e il tabacco.
Intervento delle guardie e chiusura in cella per tutti. Un detenuto, lo stesso
che aveva già subito una “ripassata” di botte a metà dicembre si rifiuta ed
insulta gli agenti, quasi tutti graduati, viene portato in ufficio lontano da
sguardi indiscreti e colpito con una nuova scarica di botte e calci.

Pur essendo un ragazzo che fa palestra ed incassa “bene” quando è arrivata
giovedì la delegazione con Vattimo, Artesio e Biolè erano ben visibili i segni
sul volto e sul corpo. Nei giorni precedenti nonostante le proteste il
comandante aveva cercato di minimizzare, spingendosi a dire che il ragazzo si
era picchiato da solo. Dopo la visita della delegazione, il giorno dopo lo hanno
convocato per raccogliere la testimonianza e fatto refertare in infermeria. In
questi casi il detenuto cerca di farsi assistere dall’avvocato, che per ogni
istanza va pagato se no ti trascura o ti consiglia il silenzio che è sempre
meglio per il tuo futuro processuale.

Aldilà di frasi fatte in prigione c’è gente informata dei fatti che
raccontano problemi e speranze. E’ difficile aspettarsi da un detenuto che ha
dieci anni alle spalle scontati e che ne ha 28 da fare, che “spera” di avere il
primo permesso fuori per vedere la moglie ed i due bambini oramai ragazzi, che
si esponga quando un solo rapporto punitivo può precluderti ogni speranza.

L’attacco telematico di alcune settimane orsono di anonymous in cui è stato
attaccato il site del ministero di grazie e giustizia ha comportato a Saluzzo il
blocco della spesa per due settimane della “spesa” per i detenuti (risulta che
abbia colpito tutte le carceri italiane). Pur essendo la “spesa” uno dei momenti
importanti e delicati, non ho sentito un solo detenuto lamentarsi contro
anonymous, ma tutti contro la direzione, che non sistemi manuali vecchia maniera
avrebbe potuto garantire comunque lo stesso il servizio. E’ stato sicuramente un
attacco ben calibrato che ha colpito in profondità il sistema informatico del
ministero.

Alcune lettere che ricevo (ne approfitto per ringraziare) sono intrise di un
certo vittimismo: “poverino, tieni duro, che brutte cose ti stanno facendo”.
Ebbene questo è un modo sbagliato di porsi. Alessio, Maurizio, Marcelo, Luca e
Juan si trovano in forme diverse nelle mie stesse condizioni. Isolamento e
sovraffollamento, silenzio e rumore creano “stati d’animo” diversi e molto
soggettivi. Sdrammatizzando, ora c’è qualcosa di diverso nella mia vita, poco
avvezza alle novità e al nomadismo, che ha sempre preferito il fresco della
montagna e guardato con sospetto al rito del sole in spiaggia, il mare
considerato come una bacinella d’acqua o poco più. Non per niente da vent’anni
passo in tenda i primi 10 giorni di agosto ai duemila metri della valle
argentera, tra la val di susa e la val chisone. Eppure da quando è entrata in
vigore l’ora solare, dalle 13 alle 14, il sole “batte” in un angolo del cortile
d’aria, faccio la “tintarella” su un tappetino di fogli di giornali e una
bottiglia di plastica come cuscino, l’asciugamano è vietato, il capoposto
afferma che nemmeno il giornale sarebbe consentito all’aria dell’isolamento,
secondo lui, si potrebbe arrotolarli e dargli fuoco. Mah. (c’è solo cemento
dappertutto e una porta di ferro e i segnali di fumo stile apache non sono
capace di farli). La novità di oggi venerdì 30 marzo: un agente seduto su una
sedia posizionata a controllarmi davanti alla mia aria per tutta la durata della
stessa. Ha ricevuto l’ordine dal capoposto.

A differenza di qualcuno che è caduto dal ramo come un fico secco,
l’operazione scattata il 26 gennaio dagli “organi competenti” era prevedibile.
Come comitato di lotta popolare di Bussoleno, da settembre in avanti ci
siamo adoperati a preparare il terreno perché i nostri militanti e gli attivisti
del movimento prendessero in considerazione tale ipotesi con possibilità senza
inutili isterismi e paure, ben sapendo che per come è fatto il movimento NO TAV,
nel suo essere una comunità popolare in lotta variegata e trasversale, nulla era
scontato. Non volevamo cadere nella trappola lotta/repressione/ghetto, che con
il ricatto e la paura indebolisce fino ad ammazzarle le lotte, ma fosse invece
parte integrante, anzi una spinta propulsiva alla lotta, che ne rafforza la
mobilitazione.

Scontato, per noi, soggettività militanti che innocenza e colpevolezza sono
categorie dannose e distorte, che essere in attesa di giudizio o condannati poco
cambia. Dopodiché, da qualche parte che non siano le nostre granitiche certezze
bisogna partire per aprire contraddizioni e costruire consenso ad una battaglia
di libertà contro il carcere. Altrimenti accettiamo il terreno della finzione
dello “scontro totale” che necessita di ben più approfondite analisi e
riflessioni. Ma in quel caso perché fare gli “uccel di bosco” e poi costituirsi
usando l’alibi del gesto personale? Lì non serve più la continuità, ci si
inchina di fronte all’individuo, questa si massima personalizzazione
possibile.

Da quando tirano forti i venti della crisi si sente che qualcosa scricchiola,
c’è fragilità nel meccanismo ben oliato della riproduzione e dell’accumulazione
del comando capitalista sulla società. Quando Caselli a Torino, non a Palermo
ripete in continuazione la cantilena “mi sento solo”; quando i politicanti di
ogni sorta si ubriacano a suon di frasi fatte “siamo in democrazia, difendiamo
il vostro diritto a manifestare” senza disturbare troppo, perché nulla deve
inceppare il “sistema” in cui ingrassano i padroni, speculatori, devastatori,
sindacalisti vari, meschini individui, supposti amici e veri nemici. Quello che
accomuna un nostro ex alleato a Venaus nel 2005 Pecoraro Scanio, in pensione a
48 anni a quegli spaventapasseri bipartisan di Ghiglia ed Esposito.

Uno strano disgusto è quello provato dalla scenetta della maglietta sulla
Fornero con quel trombone di Diliberto che si smarca. Meno normale una Ministra
Fornero che dal suo punto di vista, di classe, dice “non ci hanno chiamato al
governo a distribuire caramelle” e si assume le sue responsabilità. E’ invece
penosa la signora che indossava la maglietta che per due giorni si è rinchiusa
in casa per la vergogna a piagnucolare. In questa storiella sta tutto lo schifo
di un certo modo di fare politica e sindacato a base di tarallucci e vino, pane
e democrazia, compromesso e mediazione, perché siamo tutti sulla stessa barca.
La signora lasci perdere t-shirt, video e foto, rispolveri qualche libro
novecentesco su chi è amico e chi è nemico, chi sta da una parte e chi sta
dall’altra parte della barricata.

Non ci si lasci imbambolare da Napolitano, non è sopra le parti, è parte del
problema. Alla retorica della democrazia come status quo per non cambiare mai
bisogna contrapporre la forza della partecipazione come diversità ed alterità al
quadro dominante. Lavoriamo perché prima o poi, non qualcuno ma pezzi

importanti di una nuova composizione di classe gliene chiedano il conto. Non
mi piace il gioco d’azzardo, però, siamo ambiziosi, aspiriamo nel nostro piccolo
a far saltare il banco.

A’ l’è Düra.

 

GIORGIO

Libertà per Giorgio e tutti i Notav

Una battaglia di resistenza, una battaglia di dignità. Oggi a Saluzzo, dove da ormai due mesi è detenuto Girogio Rossetto, uno dei no tav arrestati il 26 gennaio scorso i parlamentari Gianni Vattimo insieme ai consiglieri regionali Eleonora Artesio e Fabrizio Biolè hanno tenuto una conferenza stampa di denuncia rispetto alle gravi condizioni di detenzione e vita nel carcere della medesima cittadina. Giorgio insieme ad altri 12 detenuti è recluso in uno speciale braccio di isolamento costruito per l’applicazione del famoso articolo 41bis riservato ai mafiosi. La direzione ammette la situazione ma con la mera scusa del sovraffolamento usata ormai come acquasantiera per tutti i mali del carcere italiano, rinchiude in queste topaie ragazzi per lo più in attesa di giudizio, con tutti i diritti della presunzione di innocenza ma con
gli oneri dei mafiosi pluricondannati. Una battaglia di  dignità quella di Giorgio e del movimento no tav, che oggi si trova a raccontare e a vivere quello che tutti tacciono o peggio raccontano solo in occasione dell’ennesimo episodio di suicidio o pestaggio che riempie da troppo tempo il palinsesto dei tg. Prima della conferenza stampa i parlamentari hanno voluto fare l’ennesimo sopralluogo e poter così descrivere a tutti la situazione più volte denunciata da Giorgio con gli altri ragazzi nelle sue lettere e nei colloqui con i legali. Ne emerge una situazione gravissima che ha portato i deputati a richiede una immediata e rigorosa ispezione da parte del ministero competente, quello di grazia e
giustiza, sempre pronto in passato a riempire i tribunali italiani di ispettori quando l’imputato era il famoso cavaliere e che oggi vediamo latitare in maniera
neanche troppo disinteressata sulla questione no tav e anzi protagonista quando l’appoggio è richiesto dal procuratore capo di Torino Giancarlo Caselli. A
seguire poi negli interventi Alberto Perino e Lele Rizzo per il movimento no tav. Con loro il discorso si è sviluppato sul tema specifico dell’alta velocità con Alberto che ha ricordato a tutti come con una manovra degna delle peggiori oligarchie i governi abbiano recuperato i 168 milioni di euro destinati al tunnel geognostico di Chiomonte contro il quale Giorgio e gli altri no tav si sono spesi e per la quale opposizione sono accusati. Soldi recuperati con una delibera cipe dai fondi fas destinati e vincolati all’edilizia scolastica e ironia della sorte ma neanche troppo all’edilizia carceraria. In chiusura Lele che ha ricordato come il movimento non si sia tirato indietro neanche in questa situazione, tutti i no tav detenuti hanno da subito lottato per denunciare la situazione carceraria di detenzione loro e di tutti i detenuti che hanno incontrato. Una battaglia di resistenza a Chiomonte ma anche una battaglia civile di dignità, per tutti e tutte.

da www.notav.info

in streaming da www.infoaut.org

Libertà di movimento – Convegno all’università Roma Tre

I movimenti sociali e i precari indipendenti a convegno all’università Roma tre:

L’interdizione delle lotte sociali tra la crisi della democrazia, la dittatura dei mercati e la fine della mediazione politica, verso la costruzione materiale dell’alternativa: reddito, beni comuni, autogoverno.

La nostra libertà non si compra, non si paga.  Si strappa! Nella crisi economica a cui corrisponde la crisi della politica e della sua rappresentanza formale, prende forma la crisi della democrazia e delle sue fondamentali basi. Quello che sta avvenendo politicamente in seno alla governance europea e globale nell’ultimi anni di crisi economica è degno di nota e di riflessione se ancora si hanno a cuore gli spazi di democrazia reale e di agibilità politica in questa piccola parte di mondo. Ancor di più dovrebbe interessare chiunque voglia ancora opporsi ed alzare la testa di fronte alla dilagante e sistematica svolta autoritaria intrapresa dal nostro paese negli ultimi anni, ancor di più oggi che la nuova fase del Prof. Monti comincia a mostrare, oltre gli orpelli accademici, il suo volto feroce e insieme competente, quindi, ancor più pericoloso dell’archiviato governo Berlusconi.

La penalizzazione delle lotte sociali, dell’agibilità politica dei movimenti indipendenti, il bavaglio mediatico imposto alle opposizioni, il controllo poliziesco sugli attivisti, l’uso arbitrario della legislazione speciale antiterrorismo, significano molto di più e rappresentano un tratto ancor più inquietante se considerati all’interno nel contesto politico e sociale più generale nel quale si ascrivono. Dei movimenti sociali si occupa l’antiterrorismo quando questi assumono forme radicali ed indipendenti per imporre una capillare prevenzione e un’imminente e feroce repressione, oscura e vendicativa, che prende forma, nella fine della mediazione politica, come prerequisito della gestione autoritaria della crisi e diviene il vero tema del nuovo millennio, una crisi globale, generale, sistemica.

Un trattamento già avviato da tempo dentro quel generale laboratorio repressivo che i poteri dello Stato e dei centri di comando hanno inteso attuare all’interno di una profonda svolta autoritaria, cresciuta culturalmente e sedimentata particolarmente in Italia proprio all’ombra della crisi economica che da qualche anno in forma epocale travolge e ridefinisce lo spazio politico ed il tempo economico. All’interno di questa dimensione globale si va costituendo ovviamente anche in Italia la forma dell’ ”eccezionalità sulla norma” nel senso specifico della sospensione dell’ordinamento che la sorregge, trasformando in prassi politicamente consolidata la gestione autoritaria della crisi economica, politica e sociale. Certo non sempre seguendo percorsi lineari a volte come nel caso nel nostro bel paese per strappi e forzature, nuovi equilibri e rafforzati assetti di potere, come nel caso appunto del nuovo governo dei “Professori”.

Ma se qualcuno avesse raccolto i numeri su arresti, denunce, fermi e torture subite, morti in carcere o in commissariato, processi, pestaggi, a partire ad esempio dal recente 2001 ovvero l’anno del Global forum di Napoli e del G8 di Genova e ripercorresse fino ad oggi il decennio vissuto, ci troveremmo a fare i conti con decine di migliaia di cittadini passati per questure, varie Bolzaneto, carceri e tribunali, leggi speciali e dispositivi di prevenzione. Dopo Genova ci fu l’11 Settembre: la guerra globale dispiegò le sue strategie, forme, dispositivi, dal Patriot act in poi. Le manifestazioni contro i conflitti globali fino ai movimenti degli Indignados e di Occupy che hanno riempito le piazze e subìto la repressione di tutti i governi di destra e di sinistra hanno visto moltiplicarsi, mentre covava negli anni una crisi economica senza fine, le spese miliardarie per mandare truppe prima in Afghanistan, in Iraq poi in Libia, domani chissà anche in Iran. Fedeli agli USA con le basi Nato e le fabbriche di armi pronte a colpire, con commesse miliardarie come quelle degli F15 per le quali l’Italia è indebitata attraverso la Vergogna di Stato, crogiuolo di mazzette, corruzione, fascisti e servizi segreti, dal nome di Finmeccanica.

Con l’acuirsi della crisi economica e del suo impatto sociale, nei termini di crescente disoccupazione, precarietà, mancanza di elementari forme di welfare adeguate alle trasformazioni sociali, produttive e lavorative, nello spazio comune odierno, nella riproduzione delle forme di vita peraltro sempre più precarie e sempre più ai margini della libera scelta e della decisione politica, la repressione più o meno pubblicamente, colpisce ormai sempre più ampi settori sociali, dagli studenti in lotta ai lavoratori in sciopero con migliaia di precettazioni, dalle cariche della polizia sui blocchi stradali di cassaintegrati e disoccupati, agli sgomberi e agli sfratti delle case, agli ultras, assunti già da diversi anni come cavie sociali nel grande laboratorio della repressione, ai bloggers con le politiche liberticide di controllo e di censura nella rete. Fino ai precari devoti del Santo protettore, come quelli coinvolti dall’inchiesta su San Precario quando nella giornata nazionale per il reddito garantito del 6/11/2004 furono messe in campo azioni pubbliche di riappropriazione e autoriduzione in librerie e supermercati di Roma, furono indagati 105 attivisti di cui 15 oggi sono in attesa di giudizio e rischiano a breve di pagare la denuncia della precarietà e del caro vita che in quel giorno si voleva segnalare, con una sentenza pesante ed esemplare per la scelta arbitraria e strumentale della Procura di Roma d’imputare agli attivisti rinviati a giudizio il pesante e sproporzionato reato di rapina pluriaggravata.

O come in Val di Susa dove la determinazione popolare e radicale, gentile ma determinata a non indietreggiare di un solo metro, deve oggi fare i conti con un ignobile manovra a tenaglia, tra la criminalizzazione mediatica, la mistificazione “tecnica” e la retorica strumentale del governo che insieme ai sindacati utilizza il tema della crisi per avallare lo scempio del Tav con la devastazione, lo sperpero di risorse e il danno ambientale enorme che porta con se. La tenace resistenza No-Tav deve oggi fare i conti con una normativa d’emergenza varata a inizio anno che decreta l’inviolabilità del non-cantiere ritenendolo sito di interesse strategico nazionale, con la diretta ed esplicita minaccia di arresto per chiunque violi le disposizioni. Così come  in questi giorni il Movimento No-Tav deve fronteggiareun’ignobile inchiesta firmata dal Procuratore-capo di Torino, Giancarlo Caselli, che a tutt’oggi tiene tra misure cautelari e carcerazione preventiva, reclusi decine di attivisti e attiviste, nostri fratelli e sorelle di lotta, di cui chiediamo l’immediata scarcerazione.

E poi ancora il sovraffollamento delle carceri, di cui la stragrande maggioranza della popolazione è ancora in attesa di giudizio vivendo spesso una condizione detentiva disumana, all’applicazione infame del pacchetto sicurezza del Governo Berlusconi e delle leggi razziste che con gli illegali e famigerati CIE contribuisce a rendere nauseabonda l’aria che si vuol far respirare. Si arriva fino agli ultimi giorni del 2011 e alle ultime provocazioni solo dopo una lunga ed interminabile trafila di episodi e storie di quotidiana repressione ed intimidazione del dissenso contro quell’opposizione sociale che in questo paese, a tratti e seppur in forma discontinua e spontanea ha avuto comunque la capacità di porre al centro del dibattito “La Democrazia “ ed il fallimento della rappresentanza politica di segnare anche solo parzialmente il clima politico di questo paese. Il 14 dicembre del 2010 e del 15 Ottobre del 2011 sono lì a confermare quanto diciamo.

Urgono quindi spazi di confronto e di discussione.

Oltre l’indignazione è necessaria l’attivazione, il protagonismo sociale, l’iniziativa politica. È necessario aprire una vasta ed ampia campagna informativa che quantifichi la dimensione del processo autoritario in corso e ne denunci le condizioni, i metodi e le responsabilità politiche. È altrettanto necessaria una campagna comunicativa, una decisa presa di parola, che dia voce alla libertà di opporsi e di resistere, alla libertà di vivere e di non sopravvivere, al diritto naturale e profondamente radicato nell’uomo di pensare liberamente e di lottare per la condivisione dei beni comuni. Questo a cominciare non dal disperato e isolato urlo contro la repressione, ma attraverso un discorso politico che sia in grado non solo di misurare la miseria del presente ma anche e soprattutto di tracciare le vie della ricchezza del possibile, che mentre resiste con determinazione allo scempio che stiamo vivendo, sia in grado d’indicare le vie dell’alternativa, contro tutti i dispositivi di controllo, repressione ed interdizione.

Quindi a partire da una seria battaglia contro la precarietà e la precarizzazione che sia in grado di porre al centro dell’iniziativa di movimento il tema del reddito garantito, di base e incondizionato, proprio come conditio  per la vera libertà, come trampolino verso la libera attività umana, come dispositivo materiale di partecipazione e democrazia reale e radicale, come risposta non solo alla precarizzazione ed all’esclusione sociale, ma come via di costruzione di una società altra, i cui diritti e garanzie siano finalmente ancorate all’esistenza umana. All’intelligenza e alla partecipazione sociale, alla cooperazione e alla condivisione e non più al compianto lavoro, che con buona pace dei sindacati e partiti, è ormai sempre più precario, sempre più sfruttato, latente, peraltro a servizio dello sviluppo e della crescita  per l’accumulazione di pochi sulle spalle di molti, ormai troppi, per rimanere tutti schiavi, in silenzio e sorridenti.

 

Interventi

– Introduce e modera Rafael Di Maio – Laboratorio Acrobax

– Movimento Notav – Gianluca Pittavini – redattore di infoaut.org

– Prof. Luigi Ferrajoli: la crisi del potere formale nelle macerie della democrazia

– Prof. Giacomo Marramao: il ruolo nello Stato moderno nella crisi, la nuova polizeiwissenschaft

– Prof. Giovanni Russo Spena: Lo stato di eccezione, l’assolutismo liberista e la democrazia costituzionale

– Patrizio Gonnella, associazione Antigone

– Comitato Madri: Il potere e la vita, delle Madri di Roma città aperta

– Avv. Marco Lucentini: L’interdizione delle lotte sociali nella crisi

– Avv. Simonetta Crisci: Una panoramica dei processi giudiziari ai movimenti

– Prof. Andrea Fumagalli: il basic income come via per la vera libertà

– Cristian Sica – Laboratorio Acrobax – PsP-Roma: per un modello alternativo, reddito e beni comuni

– Bruno Papale – Coordinamento cittadino di lotta x la casa: Le lotte sociali come spazio di autonomia

– Studenti Roma3: condivisione dei saperi e libertà di movimento

Libertà x i NoTav – Libere tutte Liberi tutti!

mercoledì 7 marzo, ore 15
Fac. Lettere – Unirversità Roma3

Aula Verra