San Paolo: sgomberato ex deposito Atac

Roma, 31 ottobre. Questa mattina verso le ore 7 ingenti e arroganti forze del reparto celere della Polizia di Stato hanno circondato l’ex deposito ATAC di San Paolo per sgomberarlo.

Gli e le occupanti sono saliti/e sul tetto per cercare di restare nelle loro case. In questi frangenti mentre gli uomini sono stati portati via al commissariato di zona ci sono state poi alcune aggressioni alle donne con i bambini in braccio, sono tirate per i capelli, insultate e maltrattate.

Nel frattempo occupanti e solidali giunti da tutta Roma hanno provato a partire in un corteo comunicativo che spiegasse cosa stava succedendo al quartiere e perchè Alemanno avesse sgomberato quel posto che tante nuove attività sociali aveva portato nel quartiere durante questi mesi di occupazione.

Questa pacifica manifestazione comunicativa è stata impedita dalla Polizia che si è schierata davanti agli uomini, donne e bambini del corteo con caschi, scudi e manganelli… pronti a colpire.

Non cadiamo in queste trappole, ma lo diciamo fin  da subito che ci riprenderemo il diritto a manifestare nelle strade della nostra città e che questa stretta autoritaria fascistoide di Alemanno ha i minuti contati.

Alemanno se ne deve andare al più presto e questo sarebbe sicuramente un bene comune per la cittadinanza di Roma.

Il deposito ATAC ormai da tempo abbandonato era stato occupato il 20 giugno per sottrarlo alla speculazione dopo che il sindaco Alemanno aveva approvato la delibera 35 per poter vendere ai privati i beni di ATAC per trovare nuovi fondi dopo i disastri combinati dalla sua amministrazione oscenamente implicata nello scandalo parentopoli all’ATAC e nel saccheggio di tutte le altre minucipalizzate del comune di Roma.

San Precario vince contro Rinascita…e quando vince festeggia!

Quando San Precario vince, festeggia!

Il Santo sarà presente con una processione all’isola pedonale del Pigneto per un brindisi con le lavoratrici di Rinascita che dopo una lunga e travagliata trattativa sono giunte ad una conciliazione con il datore di lavoro, ottenendo importanti risultati,coadiuvate dal team legale dei punti san precario.

Si vuole rilanciare con un aperitivo in cui verrà raccontata l’esperienza della cospirazione, del potere che ha di ribaltare la percezione della precarietà in un moto di consapevolezza di un rapporto di forza ancora tutto da agire.

Giovedì 10 novembre a partire dalle 19, invitiamo tutt@ a brindare con noi da Tuba a un aperitivo musicale, perchè se nelle nostre vite precarie c’è il motore che muove il mondo è ora che cominciamo a prenderne il comando.

Insieme, la cospirazione precaria prosegue!

Firmata la conciliazione.

Alcuni mesi fà, i Punti san precario di Roma effettuarono un’incursione comunicativa alla presentazione d’un libro nella Libreria Rinascita dove fra i relatori sedeva la segretaria nazionale della CGIL.

Precarie e precari chiesero a Susanna Camusso di prendere parola contro la precarizzazione delle lavoratrici e dei lavoratori delle Librerie Rinascita, già denunciata pubblicamente in precedenza: lavoratrici e lavoratori che erano impiegati al nero, non pagati da mesi, talvolta licenziati senza preavviso.

In quell’occasione Camusso non intese prendere parola rispetto alle condizioni sottolineate dall’iniziativa, chiudendosi in una risposta (“Non mi interessa niente, con voi non parlo”) che la dice lunga rispetto all’impegno e alla tutela che il sindacato esprime nei confronti dei precari.

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A seguito delI’azione,  il team legale dei punti san precario in collaborazione con alcune precarie della libreria, avviarono una vertenza nei confronti del datore di lavoro. La vertenza riguardava il ricorso a rapporti di lavoro in nero, licenziamenti illeggittimi, mancato pagamento di mensilità arretrate (in alcuni casi due anni di arretrati) e gli altri diritti maturati in corso di rapporto di lavoro quali TFR, tedicesime mensilità e ferie.
Il primo risultato ottenuto dai punti san precario è stato il reintegro immediato di una librai licenziata in modo illeggittimo.
Dopo una lunga e travagliata trattativa il team legale dei punti san precario è giunto ad una conciliazione con il datore di lavoro, ottenendo degli importanti risultati, quali il pagamento delle differenze retributive, le ferie, i riposi, lavoro straordinario, festività, tredicesima e quattordicesima mesilità e i ratei del TFR .

Presto vi comunicheremo il luogo e la data dell’apertivo che festeggierà questa vittoria invitando le reti dei precari a brindare con noi.

Verso lo sciopero precario

ALTRE APPARIZIONI DI SAN PRECARIO:

I Punti San Precario sostengono i giornalisti precari del quotidiano Terra

San Precario nella moltitudine della giornata globale contro l’austerity

San precario sanziona la sede di Equitalia!

Primo risultato del comitato licenziati ItaliaLavoro e Punti San Precario

Sacconi contestato al Cnel da licenziati d’Italia Lavoro e Punti San Precario

PUNTI SAN PRECARIO

Hub Meeting: comunicato di solidarietà con il movimento italiano

Di fronte alle minacce di arresti preventivi e indiscriminati e alla forte ondata repressiva a cui é sottoposto parte del movimento italiano, vogliamo esprimere, mediante questo comunicato, la nostra massima vicinanza e solidarietá.

“Organizzatori di guerriglia urbana, provocatori professionisti”, ecc… sono alcune delle definizioni qualificative che i media main stream, i partiti politici e i corpi di polizia stanno utilizzando per criminalizzare quelle forze antagoniste che hanno partecipato attivamente alla costruzione collettiva del 15 Ottobre a livello internazionale.

Dimostrazione di tutto questo é la partecipazione all’Hub Meeting del 15 Settembre a Barcellona degli Stati Generali della Precarietá, rete italiana che include diversi collettivi e centri sociali come San Precario e Acrobax.

In questo incontro internazionale, il dibattito fra le molteplici reti, movimenti e realtá sociali é stato fondamentale per la costruzione di un moltitudianria ed eterogenea giornata di mobilitazione globale contro la poltica di tagli e austerity che incide sui pilastri delle diverse forme di welfare e sui diritti sociali dei paesi europei.

La rete degli Stati Generali della Precarietá ha contribuito attivamente alla costruzione pubblica e collettiva di un ambito di dibattito comune e condiviso per molte e molti dove denunciare la crisi del potere e iniziare la costruzione di concrete alternative contro la precarietá delle condizioni materiali di vita.

É per tutto questo che rifiutiamo qualsiasi attribuzione di responsabilitá e di una organizzazione preventiva rispetto ad un’esplosiva situazione che si é verificata durante la manifastazione, cosí come rifiutiamo il linciaggio mediatico e repressivo in atto contro attivisti e movimenti per la ricerca di capri espiatori da parte del governo italiano.

Ribadiamo la nostra vicinanza e solidarietá alle reti sociali che sono ingiustamente criminalizzate e chiediamo la scarcerazione immediata degli attivisti arrestati.

Rete internazionale del Hub Meeting

http://bcnhubmeeting.wordpress.com/

 

 

COMUNICATO DI SOLIDARIETÁ CON IL MOVIMENTO ITALIANO

Di fronte alle minacce di arresti preventivi e indiscriminati e alla forte ondata repressiva a cui é sottoposto parte del movimento italiano, vogliamo esprimere, mediante questo comunicato, la nostra massima vicinanza e solidarietá.

Organizzatori di guerriglia urbana, provocatori professionisti”, ecc… sono alcune delle definizioni qualificative che i media main stream, i partiti politici e i corpi di polizia stanno utilizzando per criminalizzare quelle forze antagoniste che hanno partecipato attivamente alla costruzione collettiva del 15 Ottobre a livello internazionale.

Dimostrazione di tutto questo é la partecipazione all’Hub Meeting del 15 Settembre a Barcellona degli Stati Generali della Precarietá, rete italiana che include diversi collettivi e centri sociali come San Precario e Acrobax.

In questo incontro internazionale, il dibattito fra le molteplici reti, movimenti e realtá sociali é stato fondamentale per la costruzione di un moltitudianria ed eterogenea giornata di mobilitazione globale contro la poltica di tagli e austerity che incide sui pilastri delle diverse forme di welfare e sui diritti sociali dei paesi europei.

La rete degli Stati Generali della Precarietá ha contribuito attivamente alla costruzione pubblica e collettiva di un ambito di dibattito comune e condiviso per molte e molti dove denunciare la crisi del potere e iniziare la costruzione di concrete alternative contro la precarietá delle condizioni materiali di vita.

É per tutto questo che rifiutiamo qualsiasi attribuzione di responsabilitá e di una organizzazione preventiva rispetto ad un’esplosiva situazione che si é verificata durante la manifastazione, cosí come rifiutiamo il linciaggio mediatico e repressivo in atto contro attivisti e movimenti per la ricerca di capri espiatori da parte del governo italiano.

Ribadiamo la nostra vicinanza e solidarietá alle reti sociali che sono ingiustamente criminalizzate e chiediamo la scarcerazione immediata degli attivisti arrestati.

Rete internazionale del Hub Meeting

Distruggere la paura, affermare il comune

 di COLLETTIVO UNINOMADE

0. Nella sera romana illuminata dai fuochi di Piazza San Giovanni, abbiamo cominciato a interrogarci sulla giornata del 15 ottobre, su ciò che ha rivelato nelle molteplici scale geografiche che si sono incrociate a produrne la dimensione globale, sulla forza e sulle potenzialità che ha fatto emergere, sui problemi che consegna alla nostra riflessione e alle nostre pratiche. Lo abbiamo fatto e continuiamo a farlo da materialisti, convinti – per citare uno che la sapeva lunga – che le azioni umane non vadano derise, compiante o detestate, ma prima di tutto comprese. Proviamo a farlo con queste note, segnalando alcuni dei punti che ci sembrano più rilevanti.

1. Partita da un appello degli indignados spagnoli, la mobilitazione del 15 ottobre si è diffusa in centinaia di città ai quattro angoli del pianeta, a riprova dell’efficacia di uno stile di azione e di un linguaggio politico (quello degli indignados, appunto) che meglio di altri paiono adattarsi alle modalità asimmetriche con cui la crisi colpisce società e popolazioni in diversi contesti geografici. La profondità della rottura dello sviluppo capitalistico si è riflessa nello specchio globale del 15 ottobre, offrendo un quadro ancora parziale ma tuttavia rivelatore dell’intensità delle lotte e delle ipotesi costituenti che ovunque cominciano a presentarsi. Straordinarie sono state le mobilitazioni di Madrid e Barcellona, concluse con assedi ai palazzi del potere, con occupazioni di scuole, palazzi e ospedali. Ma molto importanti sono state anche le manifestazioni negli Stati Uniti, che hanno portato un osservatore attento come Immanuel Wallerstein a parlare del più rilevante movimento sociale in quel Paese dal ’68. Anche qui l’occupazione fisica di uno spazio centrale a New York e l’indignazione di fronte al potere della finanza sono stati i tratti fondamentali di una radicalità che si è diffusa, in particolare dopo l’occupazione del ponte di Brooklyn, in altre città statunitensi. Attorno a questi punti alti della dinamica di indignazione si sono disposte le altre iniziative, più o meno consistenti dal punto di vista della partecipazione ma comunque essenziali nel dare un respiro globale alla giornata.

2. La manifestazione di Roma si è collocata all’interno di questo quadro con evidenti elementi distonici, che erano apparsi chiaramente già nelle modalità della convocazione e nel percorso della sua preparazione. Politicismo e provincialismo hanno pesato in Italia come in nessun altro contesto, e troppi sono stati i tentativi di sovrapporre il classico format della “manifestazione nazionale” a una convocazione che, proprio in quanto proveniente “dall’esterno”, garantiva una mobilitazione che nessuna forza organizzata è oggi in grado di determinare. Le logiche della rappresentanza (politico-istituzionale e/o di movimento) hanno così fin da principio introdotto elementi di “corruzione” all’interno della costruzione italiana del 15 ottobre. E non è certo un caso che realtà di lotta forti e radicate ma estranee alla logica della rappresentanza, come il movimento NoTav e gli “stati generali della precarietà” siano stati immediatamente indicati dai media come “responsabili” degli incidenti. La ricerca del precario gentile e del militante ragionevole, meglio ancora se ravveduto da un passato di sregolatezza, è stata una costante nei giorni successivi al corteo romano, essenziale alla costruzione della favoletta di un movimento “buono” (cioè compatibile con le logiche della rappresentanza) e una minoranza di “cattivi” e guastatori. Repubblica è stata particolarmente zelante in questa ricerca, a cui ha fatto da contraltare una patetica attività “investigativa” per individuare le realtà politiche da colpire. Ma come spesso accade, il “partito dell’ordine” ha unito in un unanime coro forcaiolo improbabili alleati – da Di Pietro a Maroni, da Repubblica al TG1.

3. La manifestazione, in ogni caso, è stata prima di tutto gigantesca, percorsa al proprio interno da una profonda eterogeneità sociale e culturale, prima ancora che politica. L’antiberlusconismo è stato senz’altro ben presente nei toni e nei sentimenti di molti e molte partecipanti. E abbiamo visto nella delazione di massa cominciata già in piazza, e poi rilanciata dai media (in primo luogo ancora da Repubblica), la faccia più inquietante dell’apologia della legalità che ha attraversato negli ultimi anni gli stessi movimenti. Su tutt’altro versante, è emersa la presenza di un’area che ha caratterizzato la prima parte del corteo con azioni dirette, a volte contro obiettivi chiaramente individuati (ad esempio le banche) a volte con cieca furia distruttiva. Tra queste due aree, il corteo romano era fin troppo affollato di gruppi, gruppetti e gruppazzi, ciascuno con le sue ipotesi su come rappresentare l’unità del movimento che manifestava a Roma. Nessuno è stato in grado di farlo, tutte quelle ipotesi si sono dimostrate non all’altezza del problema che politicamente la giornata del 15 poneva, quando non velleitarie. Questa “densità” di strutture politiche che in forme diverse fanno riferimento al “movimento” è una peculiarità italiana che ha finito per agire da freno rispetto al dispiegarsi di dinamiche di unificazione della protesta che altrove, ad esempio nei due casi citati in precedenza (in Spagna e negli Stati Uniti), si sono dispiegate in modo originale e autonomo. Nel vuoto politico che si è aperto a Roma sabato (ma che già si era palesato nelle settimane precedenti) lo spaesamento si è unito alla rabbia, fino all’esplosione di rivolta sociale in Piazza San Giovanni, con ore di resistenza e attacco di fronte alla violenza della polizia, a cui hanno partecipato migliaia di giovani e meno giovani. Qui, con ogni evidenza, comportamenti, pratiche, modi di stare in piazza (tra cui vanno ricordati quelli delle migliaia di altri manifestanti che semplicemente hanno rifiutato di andarsene) hanno dato allo scontro un segno totalmente diverso rispetto a quanto si era visto nelle ore precedenti.

4. Là dove si è manifestata in forme politicamente significative, la dinamica dell’indignazione presenta caratteri di radicale rottura, indipendentemente dal fatto che si esprima in forme diverse dallo scontro di piazza. E’ evidente in Spagna la rottura con la rappresentanza politica, a partire dalla banale circostanza che il movimento si è formato contro un governo di “sinistra” in cui molti avevano visto l’astro nascente di un nuovo riformismo socialista e non può certo avere nel Partito popolare il suo interlocutore. Ma l’occupazione degli spazi urbani, il dilagare nei quartieri, le occupazioni e le esperienze di autogestione dei servizi alludono a una dimensione pienamente costituente. Negli Stati Uniti d’altro canto, in un contesto completamente diverso dal punto di vista delle tradizioni e delle dinamiche politiche, è stata in primo luogo l’occupazione degli spazi urbani, al prezzo di centinaia di arresti, a esprimere la radicalità e consolidare la forza del movimento. Diffusa ovunque è poi la parola d’ordine della lotta contro il debito, che allude a un essenziale terreno di campagna comune. Crediamo che questi aspetti di radicalità e rottura segnino un punto di non ritorno per lo sviluppo delle lotte e dei movimenti dentro la crisi. Si tratterà di “tradurli” nei diversi contesti, senza pensare che esistano modelli “universali” (o “globali”). Ma indietro non si torna! A fronte dei processi di precarizzazione lavorativa ed esistenziale, di pauperizzazione generalizzata, di esclusione e declassamento, di espropriazione finanziaria, di emarginazione sociale, che nella crisi mostrano la loro faccia più feroce, la radicalità delle pratiche deve impiantarsi su una composizione sociale che sempre più trova nella povertà la propria cifra d’insieme. Tutto questo è prodotto dal Capitale. E a noi sembra che le lotte dentro la crisi debbano essere e siano innanzitutto lotte contro il Capitale e contro la povertà che esso ci impone.

5. Se questo è lo scenario che si prefigura per i prossimi mesi, si tratta di comprendere che la povertà viene vissuta da posizioni soggettive assai diversificate, profondamente eterogenee. Questa eterogeneità è un elemento costitutivo della composizione del lavoro vivo contemporaneo. Non lasciamoci ingannare dalla retorica, certo utile per costruire mobilitazione ma non priva di insidie, del 99% della popolazione contrapposto alle oligarchie finanziarie: suggerisce un’immagine di compattezza e di omogeneità dei referenti “sociali” del movimento che ovviamente non trova riscontro nella realtà. Comportamenti distruttivi, se non auto-distruttivi, sono connaturati ad alcune di queste posizioni soggettive. Quando alcune periferie della povertà, come era accaduto a Roma il 14 dicembre ed è tornato ad accadere il 15 ottobre, scendono in piazza, non è il caso di attendersi da loro proposte di riforma costituzionale. Lo si era visto del resto con la rivolta delle banlieues francesi nel 2005 e lo si è visto di nuovo quest’estate in Inghilterra. Non si tratta di fare un’apologia “estetizzante” dei comportamenti che hanno caratterizzato queste insorgenze. Si tratta di scegliere prima di tutto da che parte stare. E c’è una bella differenza tra stare con i poveri, anche se spaccano tutto, e non starci – considerali intoccabili, lebbrosi. Media, polizia e sistema politico non hanno dubbi su quale sia la parte giusta da cui stare. Noi neppure.

6. Solo un programma positivo, maggioritario, materialmente definito può probabilmente vincere gli eventuali caratteri distruttivi di alcuni settori del movimento dei poveri. Per dirla nei termini più semplici possibili: il problema di come far stare insieme in un corteo romano l’artista del Teatro Valle condannato alla precarietà e l’adolescente di Tor Bella Monaca che tendenzialmente a teatro non andrà mai è il problema che poniamo quando parliamo di programma. Il fatto che anche la semplice allusione a questo programma sia mancata nella preparazione del corteo romano del 15 ottobre è ampiamente riconosciuto nel dibattito che attraversa il movimento in questi giorni. Al più si è avvertita la presenza da parte di alcune componenti di un “programma minimo” costruito interamente attorno a linee di alleanza sindacale e politico-istituzionale (e non può stupire che a molti quel programma minimo sia apparso come un “opportunismo massimo”). A ciò si aggiunge la mancanza di obiettivi caratterizzati a un tempo da radicalità, immediata leggibilità e potenziale condivisione da parte della grande maggioranza dei manifestanti. C’era qui, soprattutto considerando i numeri imponenti del corteo, un limite di fondo che ha avuto un ruolo di primo piano nel determinare la dinamica romana di sabato scorso. Davvero grottesco, in particolare, ci è sembrato il tentativo di riesumare per l’occasione del 15 ottobre il modello del “social forum”. Ci è sembrato grottesco perché non teneva in nessun conto i cambiamenti profondi che si sono prodotti rispetto a una stagione di lotte e mobilitazioni certo importantissima, ma che aveva tra l’altro conosciuto il proprio scacco in una dinamica di rappresentazione sul terreno dell’opinione pubblica e della società civile di cui proprio il modello del “social forum” era stato espressione. La sconfitta della straordinaria mobilitazione globale contro la guerra in Iraq il 15 febbraio del 2003, quando milioni di donne e uomini scesero in piazza in tutto il mondo inducendo il New York Times (e l’ineffabile Repubblica di rimbalzo) a parlare della “seconda potenza mondiale”, è ancora viva nella memoria dei movimenti. Immaginiamo che qualcuno, il 15 ottobre, abbia ricordato con nostalgia l’oceanica manifestazione romana di quel giorno di febbraio. Molti di noi hanno invece ripensato al senso di impotenza provato in quell’occasione di fronte a una guerra che stava per cominciare e che non eravamo riusciti a fermare. E hanno semmai avvertito una certa somiglianza tra quel senso di impotenza e lo spaesamento di molti manifestanti romani il 15 ottobre. Né nelle piazze spagnole né a Zuccotti Park a New York si respirano senso di impotenza e spaesamento.

7. Attorno al metodo – è bene sottolinearlo – i movimenti italiani conoscono un limite di fondo: mai sono stati capaci di cogliere nell’orizzontalità, nella massificazione del movimento, la singolarità della decisione, ovvero la decisione voluta da tutti, e che nasce solo quando se ne parla prima, quando se ne discute a lungo, quando se ne dibatte senza la paura di esser ascoltati, senza aver voglia di esser subito intervistati. Speriamo che quanto è avvenuto non rappresenti l’ultima avventura dei movimenti nati negli anni Novanta, che riconobbero nella forma-manifestazione l’evento decisivo. C’è un nuovo movimento oggi, che considera il comune costituente come il suo orizzonte e la discussione senza paura e senza autorità come il suo metodo. In Italia, questo movimento si è espresso attorno alle elezioni amministrative e nei referendum della scorsa primavera, nelle lotte contro la TAV in Val di Susa, vive nelle mille esperienze di auto-organizzazione e di lotta di precari e migranti. Si tratta di lasciargli spazio e voce, nella consapevolezza che solo un progetto costituente può unificare tutti nel movimento. In Spagna, l’elemento qualificante di questa unificazione è stato senz’altro l’acampada. Il vivere insieme nelle piazze. Poi si sono sviluppati comitati di quartiere su cui si sono assommate le funzioni dell’emancipazione concreta del proletariato moltitudinario. Si tratta di camere del lavoro metropolitano e di centri di occupazione e di autogestione delle istituzioni del Welfare ormai disertate dallo Stato. Ma c’è ben altro. La chiave del modello costituente nella vita condivisa sta nella distruzione della “paura” che troppi ancora sentono, non appena si tratta di stare insieme. Una distruzione praticata con esperienze pacifiche, collettive, di massa – quando questo è possibile –, ma senza mai cedere alla facilità di abbandonare i poverissimi della società, i senza tetto, gli ipotecados, gli indebitati, i nuovi poveri, e tutte le altre vittime del saccheggio capitalistico odierno. Non aver paura è resistere al potere ed esprimere potenza d’invenzione, di produzione sociale e politica. Attorno alle lotte contro il debito, le privatizzazioni, contro la speculazione sulle “grandi opere”, per l’organizzazione comune dei servizi di Welfare e per la riappropriazione della rendita finanziaria alcuni elementi di programma stanno cominciando materialmente a definirsi. Non è certo all’interno dei confini degli Stati nazionali che questi elementi possono comporsi e saldarsi efficacemente! La conquista dello spazio europeo, lacerato dalla crisi e trasformato nelle sue stesse geografie tanto dalla crisi stessa quanto dai movimenti di rivolta nel Maghreb, torna qui a proporsi come compito immediato e straordinariamente urgente per le lotte e per i movimenti.

Ps: mentre scriviamo molte ragazze e ragazzi sono ancora in galera. Chiederne l’immediata scarcerazione, senza se e senza ma, è il dovere comune di tutte e tutti. Pensiamo che nessuno possa avere dubbi su questo.

www.uninomade.org

 

Il coordinamento cittadino di lotta x la casa sul 15Ottobre

Sabato 15 ottobre eravamo in piazza.

 Sabato 15 ottobre eravamo in piazza. Ci capita spesso, abituati/e come siamo a contendere metro dopo metro la città agli speculatori e a chi ne difende gli interessi. Eravamo in piazza con la nostra solita composizione: uomini e donne da tutto il mondo che hanno scelto la via dell’auto-organizzazione e della lotta per non soccombere alla schiavitù degli affitti o del mutuo.

 

Non eravamo soli. Insieme a noi centinaia di migliaia di persone, a Roma come nel resto del mondo manifestavano contro le politiche di austerity imposte con la forza dalle istituzioni finanziarie mondiali per far pagare a sfruttati e sfruttate i debiti con cui i finanzieri si sono arricchiti.

 

In tutte le sedi possibili, prima del 15, abbiamo evidenziato che la rabbia sociale contenuta in una giornata del genere non avrebbe potuto essere circoscritta nel ristretto spazio che una serie di organizzazioni più o meno rappresentative le avevano riservato: una passeggiata lontano dai palazzi del potere con comizi finali, che in alcuni casi prefiguravano una candidatura a succedere a Berlusconi nell’ordinaria amministrazione della crisi.

 

I fatti ci hanno dato ragione. Non ci interessa la cronaca. Ci basta rilevare che l’andamento di quella giornata ha travolto gli argini di qualunque rappresentanza, comprese quelle “di movimento”.  

Il variegato mondo di soggetti sociali colpiti dalla crisi ha dimostrato di essere irrappresentabile. Resta aperto il problema di come possa auto-organizzarsi ed estendere il conflitto dalle grandi piazze alla quotidianità delle contraddizioni sociali: territori, reddito, lavoro e beni comuni.

 

Siamo abituati/e anche, di tanto in tanto, ad essere sbattuti come mostri in prima pagina dai mass-media dei padroni di centro-destra o di centro-sinistra, secondo le circostanze. Per questo esprimiamo la nostra assoluta vicinanza a tutti quei compagnie e quelle compagne a cui la forsennata campagna stampa in atto attribuisce la “regia occulta” degli scontri. In primis compagni e compagne del LOA Acrobax, che da anni, a volto scoperto e alla luce del sole, sono parte integrante del nostro movimento e nelle nostre occupazioni, nei nostri picchetti, nelle nostre tendopoli si battono per conquistare il diritto ad una abitazione dignitosa, in una città vivibile per tutti e per tutte.

 

Quello a cui non siamo abituati né abituate è ad assistere ad una vergognosa campagna di invito alla delazione di massa che vede in prima fila quegli esponenti del centro-sinistra che, ahinoi, alcuni pezzi di movimento anelano a vedere alla guida del paese. Costoro gareggiano con Maroni nel chiedere arresti in massa e leggi speciali. Inevitabilmente questo costituisce uno spartiacque: da una parte chi ci vuole in galera, dall’altra chi vuole aiutare lo sviluppo di un movimento di massa di opposizione sociale, in grado, finalmente, di invertire i rapporti di forza nella nostra società, mettendo in pratica, mediante la lotta, l’auto-organizzazione e la riapproprazione le parole d’ordine contro il debito, per il reddito e per i beni comuni.

 

Solidarietà a chi ha avuto la casa perquisita.

Solidarietà a compagni e compagne arrestati/e.

Libertà subito per tutti e tutte.

 Coordinamento cittadino di lotta x la casa – Roma

 

Comunicato del Presidente dell’XI° Municipio Andrea Catarci in solidarietà con il Laboratorio Acrobax

Il Laboratorio Acrobax è una realtà attiva da anni nel Municipio Roma XI. Negli spazi dell’ex Cinodromo occupati e recuperati ad uso pubblico dal 2002, è presente un centro giovanile, uno spazio socio-abitativo in cui vivono 15 persone, una palestra, un campo di basket, un campo di rugby in cui si gioca il campionato di serie C, una sala prove per la musica. Si fanno iniziative quotidianamente ed alla luce del sole, per contrastare il precariato, l’emergenza abitativa, il caro-vita e l’uso delle armi, per promuovere lo sport per tutti, elemento di integrazione e confronto leale, per migliorare il quartiere, in particolare il degradato tratto di Lungotevere Dante. Tra il 2006 ed il 2007 due giovani di questa comunità, Antonio prima e Renato poi, hanno vista troncata la propria breve esistenza, il primo sul lavoro facendo trasporti veloci col motorino, l’altro assassinato all’uscita di uno stabilimento balneare da due giovani con simbologie neofasciste. I tragici fatti hanno rafforzato i legami con le altre realtà territoriali, già ampiamente consolidati.

Se qualcuno ha partecipato al rito vuoto e ingiusticabile della rottura di vetrine ed ha compiuto gesti ed azioni illegali va ovviamente accertato, ma che si indichi quel posto come palestra per il terrorismo oltre ad essere falso sa di sadico. E che Acrobax venga sbattuto in prima pagina e diventi una priorità del Ministro Maroni e del Sindaco Alemanno, in un clima da caccia alle streghe, è quanto di peggio sta producendo l’imperante subcultura antidemocratica ed autoritaria.

 

Andrea Catarci

Presidente del Municipio Roma XI

“Né buoni, né cattivi” – Intervista di Acrobax al Manifesto

di Eleonora Martini –

ROMA DOPO GLI SCONTRI – Grande discussione tra i partecipanti alla manifestazione.

Polemiche sugli incidenti Né buoni, né cattivi

«L’album di figurine ricostruito da certi media è ridicolo. Gli avvenimenti di sabato rivelano la temperatura sociale del Paese».

Parla un militante di Acrobax, uno dei centri sociali additati come cabina di regia degli scontri Sono stati additati dai media mainstream come la macchina organizzativa degli scontri di sabato scorso a Roma. I militanti del centro sociale romano Acrobax, insieme ai torinesi di Askatasuna e ai padovani del Gramigna, sarebbero secondo un «teorema preordinato» – così lo definiscono – la base logistica e di regia della battaglia che ha trasformato per la prima volta da tempo immemore la piazza di arrivo di una manifestazione in un campo di macerie. «È falso». Un confronto con loro deve partire necessariamente da questo assunto. Non vuole avere un nome, il militante di Acrobax con cui parliamo, «per una scelta politica, non giudiziaria: perché una voce senza nome è più ascoltata di tanti personalismi».

Dunque non siete voi gli artefici degli scontri di sabato?

L’album di figurine ricostruito da certi media è ridicolo. Noi, i militanti del Gramigna, per esempio, non li abbiamo nemmeno mai visti in una riunione. Con gli attivisti No Tav, invece, come con molte altre realtà italiane ed europee della rete degli Stati generali della precarietà abbiamo costruito insieme un percorso di lotta che continueremo a portare avanti. Un percorso condiviso da un movimento amplissimo, internazionale ed europeo, che sulla base dell’appello del 15 ottobre si è riunito a Barcellona per organizzare la resistenza alla politica di austerity dettata dai poteri finanziari globali. Non a caso, eravamo a pieno titolo nello spezzone iniziale del corteo. Ma il punto che sfugge ai più è che uno spezzone sia pur organizzato e militarizzato di rivoltosi non avrebbe avuto la forza di tenere sotto scacco per ore la polizia e trasformare piazza San Giovanni in un campo di battaglia. La resistenza, lì, è stata diffusa, la guerriglia l’hanno fatta migliaia di manifestanti. E noi con loro. Ma è su questo che si deve riflettere: come mai un piccolo gruppo di «violenti» è riuscito a trascinare con sé tanta gente? Chi erano queste persone?

È vero. Chi era in piazza quel giorno ha visto crescere il numero di “arruolati” alla guerriglia nel giro di qualche ora. Dapprima solo un “plotone” di miliziani nero vestiti, poi, a San Giovanni, gruppi non più definibili. Dunque tra di voi non c’era un disegno prestabilito per far saltare la manifestazione degli indignati?

Il comitato 15 ottobre sapeva benissimo che noi non riconoscevamo e contestavamo le loro scelte politiche. Come è avvenuto in tutto il mondo – da New York a Milano – noi volevamo portare la nostra protesta sotto i palazzi del potere. Quando dico «noi» intendo dire le migliaia di persone che hanno partecipato ad un’intera area di corteo. La nostra manifestazione sarebbe dovuta finire altrove, non in piazza San Giovanni. Le nostre azioni erano mirate, politiche. Volevamo sanzionare l’abuso di potere che costruisce zone rosse off-limits. Ma soprattutto mettere in pratica il diritto all’insolvenza, riappropriarci dei beni di consumo, far valere i nostri diritti negati – dalla casa al lavoro, dai saperi alla salute. Su questo tipo di lotte ci mettiamo la faccia e puntiamo alla riproducibilità delle nostre azioni. Non lasceremo soli chi vive sulla propria pelle l’esclusione imposta dalle banche centrali e dalle finanze globali, né li lasceremo alle destre o alla Lega.

Avete raggiunto i vostri obiettivi, sabato scorso?

Non abbiamo risolto il problema ma l’abbiamo reso evidente. Anche se non siamo caduti nella trappola della polizia e non abbiamo forzato il muro costruito a difesa del centro trasformato in zona rossa. E non abbiamo nemmeno paura di dire che certe azioni, come bruciare le auto all’interno del corteo o danneggiare la statua della Madonna, sono stupide e irresponsabili. Ma è stata colpa delle cariche della polizia e del modo di gestire le forze dell’ordine se gli scontri sono finiti proprio dentro la piazza dove il corteo avrebbe dovuto approdare. È davanti ai caroselli impazziti della polizia e alle auto lanciate contro la folla, che i manifestanti si sono uniti ai pochi «violenti», come li chiamate voi, iniziali.

 Abbiamo già raccontato ai lettori del manifesto la strana gestione delle forze di polizia in piazza San Giovanni. Ma insomma, non la firmate voi, quella violenza primaria e impulsiva senza grandi doti comunicative che ha devastato Roma?

Bisogna capire che c’è anche quella, anche se non era affatto nei nostri piani. Dovremmo tutti cercare di leggere i fatti di sabato come un termometro che misura la temperatura sociale di questo Paese.

Ha spiazzato anche voi, dunque?

Noi non facciamo le pulci alle varie anime del movimento, ciascuno sceglie la propria pratica politica. Così come non consideriamo nemici nemmeno coloro che scelgono strade di rappresentanza politica. C’è il massimo rispetto per chi sceglie le rappresentanze sindacali e studentesche. La nostra non è antipolitica, ma la consapevolezza dello svuotamento delle rappresentanze politiche. Certo, però, non saremo il capro espiatorio di un Paese – il cui tasso di disoccupazione giovanile sta al 30-35%, che vive in una dittatura mediatica unica al mondo, in assenza totale di tutele per i lavoratori e con un welfare tradizionale azzoppato dai tagli – nel quale è ovvio che il tappo è ormai saltato. Noi non provochiamo la rivolta ma nemmeno faremo i pompieri: meglio che tutto ciò emerga. A questo punto, o le rappresentanze politiche mostrano uno scatto di responsabilità, cercando di comprendere il senso e di dare delle risposte al conflitto, oppure quello che è successo sabato non è che l’inizio. E non è una minaccia, è una constatazione.

Cosa è cambiato rispetto alla manifestazione del 14 dicembre scorso?

Quello era solo corpo studentesco, sabato scorso invece in piazza c’era il corpo sociale metropolitano e precario. Allora si puntava alla sfiducia del governo e l’opposizione costituita ancora una sorta di rappresentanza politica parlamentare. Oggi le politiche di austerity sono condivise da tutto l’arco parlamentare. Per questo, senza fare alcuna apologia della violenza, diciamo che se il conflitto non trova altri sbocchi, in qualche modo esplode. È chiaro che si vuole instaurare uno stato d’eccezione per poi gestirlo in emergenza.

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Sono un acrobata…

Sono un acrobata e Sabato 15 Ottobre ero in piazza.
Sono un acrobata perchè sono all’interno di uno spazio sociale e politico che si chiama Acrobax; un nome frutto di una mediazione tra quella che è la condizione contro cui ci battiamo e la X dell’incrocio, della mescolanza e contaminazione, dell’incontro e della sperimentazione. Laboratorio occupato ce lo siamo scelto per questo.
Sono un acrobata perchè sono sul filo della precarietà e quotidianamente combatto per non cadere, per non perdermi dentro le strade buie che il liberismo capitalista mi impone. Strade senza futuro in cui essere silenziosi e camminare sempre soli.
Sono un acrobata perchè, ostinatamente e in senso contrario, scelgo di riprendermi tutti i giorni i miei diritti, i miei spazi, costruendo possibilità e relazioni per uscire da quelle strade e costruire con le mie mani percorsi di liberazione della mia vita da un giogo, facendolo con altre decine di persone acrobate come me. Tutti/e testardamente dedicate a rimanere su quel filo di una vita costretta tra affitti troppo alti, spese sempre più care, preoccupati di cure mediche che non ci possiamo permettere, asili e scuole per i nostri figli che saranno sempre più carenti e dequalificate; e dall’altra parte prendendo in mano le nostre stesse vite, riappropriandoci di sogni e costruendo conflitto.
Io sono un acrobata e in piazza ho visto migliaia di persone, determinate, sorridenti, accigliate, pensierose, incazzate, urlanti o silenziose. Ho visto migliaia di donne e uomini scendere nelle strade per affermare le loro stesse vite contro il capitale, in quel conflitto perenne che ci vede schiacciati in una produzione sempre più mortifera per il nostro pianeta.
Ho fatto comunicazione e dato vita ad azioni e ne sono contento le rivendico come le parole che sto scrivendo. Ho visto altre azioni praticate infiammare banche e macchine e a me nel profondo non ha creato scompensi e malumori. Molto di più me l’ha creato vedere persone che scappavano e urlavano, portavano via bambini e amici, si arrabbiavano per essere stati, ancora una volta nella loro vita, sovradeterminati nella loro vita. E allora mi chiedo se questo non sia un limite, una discussione da affrontare o se possa essere sacrificato tutto in nome della rivoluzione.
Io sono un acrobata e vivo nell’orizzontalità e condivisione delle scelte; quelle scene mi hanno posto una contraddizione in termini che voglio condividere e sulle quali vorrei trovare una condivisone delle pratiche. Perchè penso che a la radicalità, a volte, possa essere anche questo ma che vadano rispettati i contesti e le scelte individuali. Vecchio tema, vecchia discussione.
Io sono un acrobata e sono arrivato di corsa in piazza san giovanni perchè un idrante con diverse camionette ci caricavano e sono riuscito a salvare capre e cavoli, le persone che erano intorno a me e correvano sbilenche su quella strada.
Io sono un acrobata perchè ho ballato sul filo della rabbia e della resistenza insieme a migliaia di altri/e respingendo le cariche e difendendo quella piazza che era anche la mia, di tanti, di tutti. Non di un coordinamento o di una parte.
E quella rabbia, quell’espressione, ancora una volta praticata a Roma è un narrazione di una pressione sociale che vedo comprimere sempre più le vite di tutti noi. E’ una rabbia che chiede forme radicali di alterità dell’esistente. Chiede la redistribuzione delle ricchezze, chiede protagonismo sociale, chiede di chiudere una storia ed aprirne un’altra. Ed è disposta a difenderla con le unghie e con i denti.
Quale che sia la complessità dei fili sui quali mi muovo so che dovrò continuare a muovermi sapendo che non tutti saranno solidi e che alcuni verranno tagliati.
Ma continuerò ostinamente a rimanere in piedi.

San Precario nella moltitudine della giornata globale contro l’austerity

Comunicato Stampa (da precaria.org)

A Roma San Precario si è trovato circondato da 200.000 persone o forse di più, una moltitudine di indignate e indignati, di studenti, di precari, di migranti, di cassa integrati, di disoccupati. Una moltitudine eterogenea di persone che non ci stanno a vivere sotto ricatto, a vivere massacrati da una crisi pesante e da un governo inetto e immobile, che non ci stanno ad accettare ricette draconiane da banche che dopo aver risucchiato i loro risparmi dettano diktat per uscire dalla crisi. Una moltitudine che vuole riprendere in mano le retini della propria vita per galoppare nel proprio futuro.

A Roma San Precario e lo Sciopero Precario sono entrati nell’ Hotel Exedra-Boscolo in Piazza Esedra calando dalla terrazza uno striscione e disperdendo santini e cartoline nella hall mentre il corteo partiva da Piazza della Repubblica. Fumogeni colorati e santini sono volati dalla tettoia di un altro albergo in via Cavour mentre striscioni venivano appesi ai fili del tram. Colori, slogan e banda ritmavano e coloravano lo spezzone dello sciopero precario un serpentone di 15.000 persone. Il banner Whose the History? Our History appeso alla balconata del Foro Romano esplicitava la voglia di conquistarsi il futuro partendo dal passato in un luogo simbolo della nostra storia. Dal carro decine gli interventi, a volte rabbiosi sempre indignati delle più diverse realtà sociali: studenti, cassa integrati di Pomigliano, NoTav, precari del pubblico impiego, migranti … Inutile dire che è ridicolo semplificare i contenuti espressi in ore di interventi virgolettando semplici frase estrapolate dal loro contesto e comunque riferite solo alle azioni pensate e realizzate dalle realtà dello sciopero precario nato e costruito in un lungo percorso di Stati Generali della Precarietà che hanno coinvolto decine di realtà nazionali portando alla nascita della Costituente per lo Sciopero Precario. Uno spezzone che rivendica un nuovo welfare, un reddito incondizionato, accesso ai beni comuni e uno sciopero precario   della e nella precarietà. Esprimere il punto di vista precario è stata la nostra priorità.

A Roma San Precario ha visto una carica alla coda dello spezzone dello sciopero precario; ha visto inorridito camionette della polizia entrare a velocità folle tra la gente; ha visto caricare indiscriminatamente; ha visto litri e litri di liquido sparato dagli idranti montati sulle camionette; ha lacrimato per le migliaia di lacrimogeni lanciati dalle forze dell’ordine. Ha visto una Piazza San Giovanni piena di gente, una moltitudine eterogenea che è stata costretta a respingere cariche violente e a resistere in maniera diffusa a cariche reiterate e ai caroselli dei blindati. Ha visto anche una resistenza spontanea che non può essere attribuita a nessuna regia e a nessuna forza organizzata.

Respingiamo al mittente i tentativi di criminalizzazione dello spezzone dello sciopero precario e/o di alcune sue componenti politiche, come il Centro Sociale Acrobax, uno spezzone che ha agito a viso aperto e che si rivendica le azioni scelte collettivamente e qui sopra segnalate. Tutto quello che è successo attorno, dietro, davanti, prima, dopo, durante non è farina del nostro sacco e non accettiamo di fare il capro espiatorio. Non sono esistite operazioni clandestine, non esistono carbonari nascosti nelle tane, noi agiamo sempre alla luce del sole forti delle nostre idee, arricchiti dai nostri contenuti.

Roma, il racconto di un autonomo: “Niente comizi, la piazza si conquista”

Gianluca, redattore di Infoaut, spiega dall’interno l’origine politica della violenza alla manifestazione degli indignati a Roma. “Bruciare macchine e spaccare la statua della Madonna è stata una gigantesca cazzata, ma attaccare banche e ministeri è un segnale politico”. E conferma la presenza in piazza di ultras del calcio e “reduci” degli anni Settanta
“Certo ci sono stati episodi deliranti, come bruciare le macchine, cosa che finisce solo per spaventare il corteo, o spaccare la statua della Madonna. Sono cazzate pazzesche. Ma attaccare le banche o gli uffici dei ministeri, che piaccia o meno, è un’indicazione, un segnale politico”. Gianluca, redattore di Infoaut, portale di politica e controinformazione di diversi collettivi dell’area autonoma, spiega la violenza esplosa alla grande manifestazione degli Indignati a Roma, terminata in ore di scontri in piazza San Giovanni, e con l’annullamento di tutti gli interventi finali.

Lui era lì, nel cosiddetto “blocco nero”, quello dei manifestanti coperti da caschi e cappucci che sono diventati protagonisti delle violenze. “Non raccontiamoci la storiella di due o trecento ‘black bloc’, magari fascisti o infiltrati della polizia”, continua Gianluca. “Tra il Colosseo e piazza San Giovanni, alla testa del corteo si è venuta a formare una componente di migliaia di giovani che non si riconoscevano negli organizzatori della manifestazione”. Addirittura cinque-diecimila, secondo il redattore di Infoaut, testata che in un editoriale definisce i fatti di Roma un episodio di “resistenza”.

Qui sta il cuore della frattura tra pacifici e violenti, con i secondi che di fatto hanno monopolizzato le cronache della protesta tra incendi e sassaiole. “La costruzione del 15 ottobre in Italia è stata nettamente al di sotto di quello che doveva essere. Gli organizzatori sono cadaveri: gruppi, sindacati e partitini che non esprimono niente nelle città, nelle scuole… Secondo loro, il corteo doveva finire con dei comizi elettorali, un modo secondo noi stupido di coronare una giornata di lotta. E la manifestazione sarebbe passata lontano dai veri luoghi della responsabilità”. Vale a dire i palazzi del potere, ritenuti colpevoli della crisi e del “furto” del futuro per le giovani generazioni.

Così, ragiona ancora Gianluca, molti hanno deciso di “uscire” dal programma preconfezionato. “Si possono anche deprecare le violenze di due o trecento persone, ma quando migliaia di giovani resistono per ore alla polizia è un fatto politico, come è accaduto anche nella manifestazione studentesca del 14 dicembre, sempre a Roma. Invece di aspettare i comizi, si sono presi la piazza. Questi giovani sanno che il loro futuro non esiste e non sono più riassumibili e compatibili in partiti, sindacati, associazioni. Se il percorso ufficiale della manifestazione avesse toccato i palazzi del potere, forse le cose sarebbero andate diversamente”.

Le azioni dei “neri” hanno provocato rabbia e reazioni molto decise da parte dei manifestanti che, nella stragrande maggioranza, puntavano a una giornata pacifica. E che invece si sono visti “scippare” i contenuti della protesta dalla risonanza mediatica degli scontri. Ma Gianluca la vede diversamente: “I contenuti politici ormai si conoscono: la crisi economica, il governo che sta in piedi a stento. Non si capisce perché la rivolta vada bene solo in Egitto”.

Alla fine, chi erano i violenti di piazza San Giovanni? “Al di là dei gruppi storici, c’è ormai uno strato sociale che si esprime in questo modo. Certo che Nichi Vendola dice che non si riconosce in quella piazza, ma neppure quella piazza lo voterà mai, perché sa che da lui arriveranno le solite ricettine”. Gianluca conferma che a manifestare a Roma c’erano anche gruppi ultras del calcio: “Ho visto ragazzi con lo striscione contro la ‘tessera del tifoso’, ma va capito che gli ultras sono un fenomeno sociale di massa. Rappresentano una forma di conflitto che per me sta al di sotto, ma dopo la normalizzazione del ministro Maroni tornano in strada e trovano un ambiente affine. Non sono alieni, sono anche loro proletari, stanno anche loro nelle scuole, nei luoghi di lavoro”. Così come, in mezzo a tanti ragazzi, si sono dati da fare contestatori più attempati, “quaranta-cinquantenni provenienti da altre battaglie”.

A questo punto, conclude, la definizione di “black bloc” diventa stretta. Il termine lo inventò la polizia tedesca negli anni Ottanta per definire gli Autonomen, che nei cortei facevano più o meno le stesse cose viste a Roma il 15 ottobre e si vestivano tutti di nero anche per rendere più difficile il riconoscimento nei filmati della polizia. In seguito, è stato utilizzato per definire la tattica di piccoli gruppi più o meno coordinati che si infiltravano nei cortei e ne uscivano per colpire gli obiettivi simbolo del capitalismo. Per Gianluca, i protagonisti degli scontri di Roma sono invece “una minoranza, ma di massa”.