Report dagli Stati Generali della Precarietà 2.0

15-16 Gennaio 2011 Stati Generali della Precarietà 2.0 – Che la forza sia con noi!”

Se credete, come noi, alla potenza dei processi cooperativi, ebbene fidatevi: quella forza è stata con noi il 15 e il 16 di gennaio nel nuovo spazio occupato del C.S. Sos Fornace in via Moscova 5 a Rho (MI). Ecco un esempio concreto di ciò che intendiamo per costruzione del comune: in 48 ore il punto di vista precario è diventato un’intuizione collettiva, colma di promesse. Slogan scandito in ogni intervento, ha palpitato nelle stanze, ha girato e rigirato, si è trasformato in passaparola. Quando, nel freddo di gennaio, centinaia di persone si mettono a ragionare all’unisono sull’importanza di scommettere sulla costruzione di un punto di vista precario possono anche accadere miracoli. Intanto l’indomani, dopo settimane, Milano si è svegliata con il sole.

La prima edizione degli Stati Generali, a metà ottobre, ha creato il tessuto che oggi ha reso possibile questo nuovo, fondamentale, passaggio, ovvero l’opportunità di creare reti di prossimità e di relazione tra i vari gruppi, collettivi, associazioni sparsi per l’Italia ed impegnati sul tema della precarietà, del lavoro e della vita. Si è così ribadito che la condizione di precarietà è l’elemento generale e strutturale del mercato del lavoro di oggi. Qualunque sia il segmento di lavoro considerato (operaio, callcenter, migrante, lavoratore della conoscenza, studente, formatore, terziario, ecc.), la condizione attuale del lavoro è caratterizzata in modo pervasivo da incertezza, intermittenza e ricattabilità. I recenti accordi Fiat di Pomigliano e Mirafiori lo hanno ampiamente dimostrato.

Siamo dunque a una svolta. Ciò che è accaduto in questi anni – le nefaste conseguenze della legge Treu (1997), della Turco-Napolitano prima (1998) e della Bossi-Fini poi (2002), della legge Biagi (2003) e, infine, dell’ultima perla del Collegato Lavoro – ha trasformato interamente i riferimenti culturali e sociali, erodendo diritti e salari, frammentando in mille pezzi i corpi del sociale (e la sinistra, istituzionale e sindacale), privatizzando ogni ambito della vita, dai servizi ai territori, e ciò che noi chiamiamo beni comuni. Un processo che si è mangiato tutto, progressivamente, prima una generazione poi più generazioni e ora anche gli (ex) “intoccabili” della Fiat, simbolo della produzione made in Italy e del conflitto operaio. Tutto ciò è stato visto e raccontato nel corso dei differenti incontri di questa seconda edizione degli Stati Generali attraverso le lenti dei precari e delle precarie, nel tentativo di costruire e affermare un punto di vista precario.

Oggi parlare di precarietà è parlare alla totalità del mondo del lavoro: una condizione che va oltre la tradizionale separazione tra lavoro e vita. La precarietà è il modo con cui si crea profitto, controllo e ricchezza, ma anche la maniera con cui si tengono insieme ricatto e consenso.

Una condizione precaria che tracima nei territori, nella difficoltà di avere una casa, nel tempo di vita che ci viene rubato, nella programmazione di un futuro che sempre più ci viene negato. Una nuova consapevolezza sta nascendo. Una consapevolezza che il più delle volte viene mistificata da quelle istituzioni – sindacali e partitiche – che pretendono, senza riuscirci,  all’interno della mediazione politica, di interpretare e rappresentare i bi/sogni e i desideri della generazione precaria o, più correttamente, delle generazioni precarie. E’ in questa prospettiva che si è discusso della precarietà migrante intesa come forma paradigmatica della precarietà di vita e della cittadinanza; della precarietà formativa e della conoscenza, strette tra la svalorizzazione e dequalificazione degli istituti dell’istruzione (esemplificati dal DDL Gelmini) e  la continua espropriazione dei saperi nella morsa della proprietà intellettuale e della mercificazione della cultura; delle nuove condizioni di precarietà che sempre più minano il lavoro dipendente (operaio e non), anche quando formalmente si presenta come lavoro stabile.

Durante la plenaria questo punto di vista precario è diventato una narrazione collettiva trasformandosi in un’idea comune, potente e condivisa: la voglia di uno sciopero precario! Non semplicemente (come se fosse semplice) uno sciopero dei precari e delle precarie, bensì uno sciopero sulla precarietà e nella precarietà. “Sulla precarietà”, ovvero che ponga come elemento centrale la questione della precarizzazione e di come si possa uscirne. “Nella precarietà”, ovvero tramite nuove forme di conflitto che non siano appannaggio dei soli militanti: quindi uno sciopero che dovrà necessariamente essere costruito e sviluppato con una varietà di soggetti e situazioni il più possibile ampia, coinvolgendo tutti coloro che si trovano senza tutele né numi tutelari. Siamo coscienti delle difficoltà, ma pensiamo che questo sia il nodo principale che deve essere affrontato, la vera questione, centrale e imprescindibile. Sul come costruire lo sciopero precario, sui modi per coinvolgere chi è ricattato, ci affideremo ancora una volta all’intelligenza collettiva delle precarie e dei precari, degli operai e dei migranti discutendone in modo approfondito in una nuova edizione degli Stati Generali tutta incentrata su questo argomento: gli Stati generali della Precarietà 3.0: laboratori dello sciopero precario! che si terranno a Roma la prossima primavera.

Lo sciopero precario dovrà inventare nuove forme di lotta, in grado di far collaborare e rafforzare le diverse soggettività precarie, e dovrà mirare al blocco dei flussi della produzione e della circolazione delle merci e delle persone: in una parola il sabotaggio del profitto. Sarà dunque necessario immaginare nuove azioni e strumenti affinché l’astensione dal lavoro dei precari si renda praticabile, colpendo viceversa duramente quei gangli della produzione materiale e immateriale che oggi maggiormente sfruttano il lavoro dei precari, migranti e nativi. Uno sciopero che dovrà essere in grado di presentare proposte e indicare obiettivi per creare le premesse di un superamento di questa infame condizione esistenziale e strutturale. E anche su questo punto la due giorni ha espresso indicazioni precise: le proposte saranno accomunate dalla richiesta di un nuovo welfare in grado di rendere praticabili il diritto alla scelta del lavoro (garanzia di reddito incondizionato per tutti i residenti, libero accesso ai servizi sociali e ai beni comuni, introduzione di un salario minimo orario) e il diritto a una vivibilità e mobilità sostenibili, in opposizione alla nuove forme di rendita (immobiliare e finanziaria) che oggi sempre più sono alla base della crescita dei profitti delle imprese industriali, dei servizi e della finanza.

L’assemblea conclusiva, infine, si è trovata d’accordo nell’attraversare i prossimi importanti appuntamenti di lotta, dallo sciopero Fiom e del sindacalismo di base del 28 gennaio, allo sciopero dei migranti del 1 marzo, a tutte le altre date che verranno a crearsi nelle settimane da qui a primavera, generalizzando il più possibile le parole d’ordine del punto di vista precario: è questo l’impegno assunto al termine degli Stati Generali della Precarietà 2.0.

Questo documento, in ogni caso, non è un comunicato e non pretende di essere esaustivo di tutto ciò che è emerso nella due giorni del 15 e 16 gennaio. E’ piuttosto un primo tentativo di evidenziare ciò che pensiamo sia stata la potenza degli Stati Generali 2.0: la conoscenza profonda della precarietà e una condivisione vera delle pratiche che ad essa si oppongono nei territori, nel sociale e nella produzione. E’ un inizio, ma è un buon inizio!

Stati Generali della Precarietà 2.0 (14-15 gennaio)

Stati generali della Precarietà 2.0

La rabbia di Roma viene da lontano

Il movimento che si è sviluppato in queste settimane e che ha trovato nelle manifestazioni di questi giorni la sua espressione estetica (dal salire sui tetti, sulle gru e sulle torri, dall´occupazione delle piazze, sino ai riots del 14 dicembre 2010) è un movimento variegato e scomposto. Come è la precarietà. E non può essere altrimenti. È la manifestazione del disagio della condizione di precarietà, ma senza che la “soggettività precaria” venga mai nominata e posta al centro dell´azione.

Si parla infatti sempre di segmenti di lavoro: i ricercatori, gli operai, gli studenti, i lavoratori della cultura e dello spettacolo, ecc.. Solo con la condizione migrante si regista un´accezione unica che travalica le singola condizione professionale, ma tale condizione è comunque vista come “separata”, a sé stante. Insomma, non si è ancora espresso un movimento della precarietà, se non come manifestazione di esistenza, nell´affermazione “siamo noi,precarie e precari, a produrre la vostra ricchezza, lo rivendichiamo, siamo visibili”. Ora più che mai occorre creare un punto di vista precario: proposte capaci di ribaltare ricatti e impoverimento in una visione corale, innotiva,capace di riproporre una priorità: della (nostra) vita sul lavoro.

Diverse generazioni hanno attraversato la piazza. E in essa forse si è percepito una discontinuità. I più giovani che hanno fortemente contribuito a scaldarla sono i primi a rendersi conto che non c’è l’illusoria possibilità di un ritorno al passato ai vecchi diritti, alle vecchie categorie, ai vecchi protagonismi. Speranza che invece ha albergato molto nelle in/coscienze delle prime generazioni precarizzate (che oggi vanno sulla quarantina) e per questo hanno manifestato tutta la loro rabbia e frustrazione. E ci sta tutta.

Lo ripetiamo: le migliaia di persone che il 14 dicembre a Roma si sono scontrate con gli sbirri non sono black-bloc, non sono infiltrati, non sono cattivi e finalmente hanno smesso di essere buoni. Per questo è fondamentale che l’elaborazione di un punto di vista precario venga declinato come prioritario.

Cosa significa? Che i diversi segmenti del lavoro si riconoscano nell´essere parte di una condizione precaria esistenziale, strutturale, generalizzata e per di più”generazionale”. E´questa condizione comune che viene prima dell´essere migranti, chainworker, operai, cognitari, ecc., ecc. Invece purtroppo, la logica politica delle alleanze e dell´immediatezza spesso piega al contingente ciò che è invece l´essenza della presa di coscienza conflittuale.

Gli Stati Generali della Precarietà sono uno strumento per la ricomposizione sociale della condizione precarietà. Condizione necessaria (anche se non sufficiente) perchè il conflitto si manifesti non solo come strumento di distruzione dell´esistente (banche comprese), ma anche come momento di appropriazione del futuro.

14-15 gennaio, Stati Generali della Precarietà 2.0. Stay tuned.

Report “Che la forza sia con voi!”

Audio Workshop “Nodi Metropolitani”

Stati generali della Precarietà 1.0

Segnaliamo da www.precaria.org

SGP1A Milano il 9-10 ottobre 2010 si sono svolti i primi Stati Generali della Precarietà. Due giorni di dibattito e discussioni su lavoro, precarietà e diritti. Si è parlato delle strategie da usare per un autunno all’attacco sui luoghi di lavoro e nei territori. Inventando nuove modalità di azione contro la precarietà per riprendere in mano il nostro futuro!

Contributo post stati generali

http://www.precaria.org/stati-generali-della-precarietaun-primo-bilancio.html

Qui invece trovate i report dei workshop

Appello che ha lanciato gli Stati Generali. Gli Stati Generali saranno composti da seminari e workshop per riflettere insieme ma anche per scambiare idee, tattiche, innovazioni e proposte legate a precarietà e lavoro. L’incontro nasce dall’esperienza decennale della Mayday ma è aperto a collettivi, sindacaliste, mediattivisti, avvocati, precarie e precari: proponete un workshop o un intervento per condividere l’idea, la pratica, la tattica, la campagna che volete. Oppure semplicemente venite agli Stati Generali e dite la vostra.

Ecco le aree tematiche che vorremmo sviluppare:
– Chi paga? Gli effetti della crisi su precari e precarie
– Welfare for life! Quali diritti vogliamo? Per una campagna che chieda garanzia di reddito e accesso ai servizi
– Agire sul territorio. Strumenti e alleanze per lanciare vertenze sui territori
– Nuove forme di organizzazione per lavoratori e lavoratrici. Dove non arriva il sindacato
– Cash and Crash. Dal boicottaggio alle azioni legali, dalla cospirazione precaria allo sciopero: come trattare un’azienda?
– Be your media. San Precario, social network, subvertising, Ansa… chi più ne ha più ne metta. Nuove e vecchie forme di comunicazione
– Motore, ciak, azione! Flash mob, Mayday, picchettaggi e manifesti. Creatività di strada al servizio del precariato
– RI/GENERIamo. Continuiamo il percorso di riflessione su genere, violenza, stereotipi tra maschile, femminile e molto più
– PrecaritYOU. Argomenti e suggestioni della platea precaria

Gli Stati Generali si terranno a Milano il 9-10 ottobre 2010 presso l’Arci Bellezza, via Bellezza 16A

Segui l’evoluzione degli Stati Generali della Precarietà su www.precaria.org

Per proposte o domande scrivi a statigenerali@sanprecario.info

Qui puoi scaricare il pdf con l’invito agli Stati Generali

“Nel 1789, Luigi XVI di Francia fu costretto a indire gli Stati Generali sulla crisi economica francese. Dopo mesi di boicottaggio, i rappresentanti del Terzo Stato si autoconvocarono nella Sala della Pallacorda e aprirono i lavori dell’Assemblea Nazionale per promuovere una nuova Costituzione che abolisse l’Ancient Regime. Il 10 ottobre re Luigi XVI venne definitivamente deposto”

San Precario vota NO a Mirafiori

San Precario vota No a Mirafiori

Oggi e domani si vota sull’accordo-capestro di Mirafiori. E’ stata imposta una scelta che non ha nulla di democratico. Un referendum è tale quando consente una libera scelta tra due opzioni, senza che ciò vada a incidere sulle condizioni di esistenza dei partecipanti al referendum. Non è questo il caso di Mirafiori. Qualunque sia l’esito, infatti, tutti i lavoratori ci perdono: o in termini di diritti e condizioni di vita e salute o in termini di lavoro e reddito.

L’accordo di Mirafiori (e prima quello di Pomigliano) ci dicono chiaramente che cosa è oggi la democrazia politica (la democrzia economica non è mai esistita)in questo paese: l’arte dell’imposizione di un interesse particolare, spacciato come generale. Prima si schiacciavano i diritti in nome della competitività, della flessibilità come strumento di crescita, del controllo dell’inflazione e del debito pubblico. Ora con la crisi l’approccio è diretto: o la borsa o la vita! Anche i modi si sono fatti espliciti: con la forza o con la corruzione. Dal regime economico al regime politico tutto si compra (dai sindacati ai partiti); chi pretende politica viene zittito. Per i migranti e il precariato in generale, così come per gli studenti e gli operai, non c’è mediazione che tenga.

L’accordo di Mirafiori è ancor più peggiorativo di quello di Pomigliano. Se a Pomigliano non c’è stata trattativa ma un diktat stile “prendere o lasciare”, a Mirafiori si aggiunge la negazione della visibilità e dell’agibilità politico-sindacale del sindacato riottoso. È il preludio di un nuovo modello di governance delle relazioni industriali che riprende e allarga ciò che già avviene a livello istituzionale. Regime politico e regime economico non sono altro che due facce della stessa medaglia. Si chiede agli operai di votare a favore dell’incremento del proprio sfruttamento. Cominciamo a riutilizzare questa parola, che i precari già conoscono molto bene: sfruttamento. E come diversamente si può chiamare l’aumento di un turno alla settimana, la riduzione di 10 minuti delle pause, lo spostamento della mensa a fine turno, l’obbligo di 120 ore di straordinario (estendibili a 200 se l’azienda lo richiede), il non pagamento dei primi due giorni di malattia? Il tutto per un incremento mensile di poche decine di euro!

San Precario non può che essere contrario ad un simile accordo-capestro. Anche perché tutto questo ci porta a ciò che San Precario ripete come un mantra da alcuni anni. La condizione di precarietà è generalizzata; non riguarda solo chi è contrattualmente precario con un rapporto di lavoro atipico: riguarda anche chi ha un contratto di lavoro a tempo indeterminato. Perché chiunque sa che basta un niente – una delocalizzazione, una ristrutturazione, una dichiarazione di stato di crisi (più o meno presunta) – a far sì che da un giorno all’altro un lavoro stabile si trasformi in lavoro precario. E la vicenda della Fiat ci ricorda che la precarietà non riguarda solo l’intermittenza di lavoro o il rischio di chiusura, ma anche le condizioni di lavoro e di salario.

http://www.precaria.org/mirafiori.html

Per non dimenticare Antonio.

Scrivemmo queste due righe per ringraziare tutti coloro che nei giorni successivi a quel 17 gennaio 2006 si erano stretti intorno ad Antonio, ai suoi cari e ai suoi compagni, in quei giorni di profondo dolore.

e’ passato un po’ di tempo, troppo poco…
un mese all’incirca dalla morte di Antonio. Da quel saluto collettivo che gli abbiamo dato direttamente dalla sua casa, dal suo spazio sociale, dal suo rifugio. Abbiamo dato vita ad una manifestazione pubblica del nostro dolore, abbiamo reso palpabile i nostri umani e profondi limiti di uomini e donne di fronte al dolore della finitezza umana.
Abbiamo incrociato molti sguardi in quell’ex cinodromo che per qualche ora e’ sembrato sospeso dentro un alone magico ed irriproducibile. Ci siamo stretti in tanti intorno ad Antonio senza convenevoli e senza molta retorica.
“…una cosa cosi’ si fa’ per i vivi e non solo per il morto…” e forse e’ proprio cosi’. vivi ma piu’ fragili poiche’ ancora tremendamente presi da gioia, pianto, riso, dolore, passione e miserie di questo mondo. Gli abbiamo dato un saluto enorme di profonda partecipazione insieme a tutte quelle compagne e a quei compagni che hanno voluto abbracciarlo senza rinunciare, nel produrre rito e simbolo, ai propri riferimenti culturali e politici. Abbiamo anche in questa occasione noi tutti tentato di affermare forme di vita altre rispetto a questo modello di societa’ della guerra globale che rifiutiamo in ogni suo aspetto. Anche li’ abbiamo chiuso il potere in un angolo, nessuno e’ venuto a celebrare la morte di Antonio. Non abbiamo avuto bisogno di chi ci somministrasse il rito attraverso forme laiche o ecclesiastiche di potere. Eravamo un cerchio ed anche Antonio ne faceva parte. Un cerchio di uomini e donne che non vogliono soccombere allo stato di cose presenti. Eravamo diverse generazioni a ricordare un ragazzo dalla storia molto particolare di questa italietta di magistrati zelanti e carceri speciali. Antonio era nato dentro una di queste carceri, figlio di militanti rivoluzionari che hanno pagato insieme ad altre migliaia di compagni la vendetta dello stato contro l’emergenza sociale e sovversiva di quegli anni. Una storia particolare che ha reso un clima unico intorno alla vita di Antonio cosi’ difficile e particolare. Una storia fatta di movimento, passioni, lotte, e tarde ore la notte. Una storia di vita coraggiosa e forse piu’ vissuta di tante altre indecise e superficiali. Antonio era estremamente generoso, ma soprattutto umano, oltre il bene ed il male, era pieno di contraddizioni, come ognuno di noi e non le nascondeva. Le porgeva con grande sincerita’ senza sfuggire le sue insicurezze, senza ammantarsi mai di chissa’ quale sovraumana dote, ma sempre affrontando la realta’ dentro quell’umano crinale di contarddizione e di limite.
E Antonio e’ morto lavorando e questo per noi dice molto. L’amore per lui diventa rabbia e desiderio di trasformazione. Antonio e’ morto svolgendo un pericoloso lavoro. come tanti altri ce ne sono. Faceva il pony a lunga percorrenza e tra una stressante chiamata e l’altra ha fatto un incidente mortale. Antonio e’ morto sul lavoro come all’incirca un migliaio di persone l’anno. e cosi’ la fredda statistica ha aggiunto il nome di un nostro fratello… e a questa mortifera consolazione non ci vogliamo piegare e rassegnare. Ora vogliamo trovare la forza che ancora ci sfugge per andare avanti, ma con quell’ enorme consapevolezza che sebbene pesi come un macigno puo’ darci essa solamente l’energia necessaria per affrontare aldila’ delle parole, la quotidianita’ nella sua complessita’.
Ora siamo solo sicuri che ci aiutera’ quell’alchimia che abbiamo nei nostri corpi, quell’alchimia che trasforma l’amore in rabbia e il rispetto in azione. Ora sentiamo piu’ forte di prima quella spinta propulsiva che per tanto tempo abbiamo condiviso con antonio. Ora a partire anche da come e’ morto, vogliamo saper rilanciare con quella lucidita’ che ancora ci manca, la capacita’ di riannodare le fila di un ragionamento che vogliamo continuare a tessere in questa metropoli di solitidini.

mandiamo un abbraccio forte a franca e a paolo, cosi’ come a tutte le compagne e i compagni che abbiamo incrociato in questi giorni.

quelli di Acrobax…

Qui di seguito il link alla pagina di Indymedia ed alle centinaia di commenti di vicinanza e solidarietà.

http://italy.indymedia.org/news/2006/01/968832_comment.php#1002331

Roma, 14 dicembre. Riprendiamoci il futuro!

“Mentre il manganello può sostituire il dialogo, le parole non perderanno

mai il loro potere; perché esse sono il mezzo per giungere al significato, e

per coloro che vorranno ascoltare, all’affermazione della verità. E la

verità è che c’è qualcosa di terribilmente marcio in questo paese.”


Giovani e studenti senza futuro, precari, senza casa, cassaintegrati, immigrati, ricercatori e personale della scuola e delle università, popolazioni devastate dai rifiuti, dalla TAV, dalle basi militari, dalle inutili grandi opere, hanno finalmente preso parola, stanchi dei giochi di palazzo e di un potere che ormai si attorciglia su se stesso incapace di dare risposta a chi è stanco di essere sfruttato, cancellato, emarginato.

Cosa vi aspettavate dai bamboccioni? Era ovvio che prima o poi avrebbero fatto i capricci! Cosa vi aspettavate da coloro ai quali si dice che non avranno mai una pensione e se l’avranno non raggiungerà la soglia di povertà? Cosa vi aspettavate da chi vive senza una casa o con un mutuo che l’obbligherà ad indebitarsi per il resto della sua vita senza neanche sapere come lo pagherà? Cosa vi aspettavate? Una piazza del popolo sorridente e piena di palloncini e fischietti con i quali avete assopito i lavoratori italiani negli scorsi decenni?

Una nuova soggettività dentro la crisi sistemica della globalizzazione economica capace di ricostruire se stessa e ricomporsi sul terreno delle lotte, ha espresso la sua rabbia. Non saranno le inutili chiacchiere di chi si illude di rappresentare questa moltitudine che riusciranno a fermare la sua rabbia. Fino a che siamo rimasti sul tetto, fino a che ci si suicida, fino a che si sta su una gru la nostra volontà di essere ascoltati, di rivendicare il nostro diritto, si tramuta nel vostro pietismo. Giornali, tv e politicanti vari fanno la fila per salire su tetti e farsi intervistare.

Ma a quanto pare è quando si scende dal tetto e si occupano le strade e le piazze, è quando si esce fuori dalla logica della vostra falsa pietà e si rivendica la dignità che allora vi spaventate. Siamo scesi dai tetti,  abbiamo ripreso il cammino nelle strade, ed abbiamo urlato più forte. I nostri corpi si sono mossi ed in movimento hanno agitato i vostri giorni tristi, la vostra politica calcolatrice, il vostro pietismo necessario ai vostri fini politici.

Ora è facile per voi trasformarci da precari, disoccupati, senza futuro, in black block, facinorosi, frange estremiste. La vostra miopia è pari alla vostra indifferenza verso le questioni sociali, ed è pari alla vostra astuzia per gli affari di famiglia.

Il passaggio da precario a facinoroso è tutto qui: finchè vi facciamo pietà non vi facciamo paura, è quando vi facciamo paura che non vi facciamo più pietà!

In queste ore stiamo assistendo ad un patetico tentativo di interpretare la giornata di ieri attraverso gli stereotipi e le categorie del passato che è miseramente destinato a fallire. Ieri si è affacciata nel panorama politico una nuova generazione del dissenso, non un gruppo di provocatori e di violenti. Que se vayan todos c’era scritto sui nostri striscioni e nei volti dei tanti giovani ribelli che ieri hanno costruito la cartolina da mandare in giro per il mondo di una Roma meticcia, Indipendente e Ribelle.

I movimenti quando si manifestano hanno come sbocco naturale l’autorganizzazione, il processo attraverso il quale possono costruire la propria storia e la propria identità, chiunque stupidamente cerca di “cavalcare” tali esperienze al massimo può svolgere un ruolo di “calmieratore” appositamente ricercato e voluto da chi, per conto dei padroni e del potere, gestisce l’ordine e regola i conflitti.

I movimenti indipendenti frutto delle contraddizioni e delle trasformazioni sociali e di classe debbono e possono trovare le proprie strade, i percorsi, immaginare una nuova fase del conflitto e dell’organizzazione sociale. Alla nuova soggettività in rivolta dovrebbe rimanere la capacità e la curiosità di confrontare le proprie idee, le proprie lotte sui livelli di un nuovo conflitto sociale che può e deve costruire la propria storia travalicando l’esistente e spazzando via le forme più o meno istituzionali della politica, così come le banalizzazioni attraverso gli stereotipi del passato che ad uso e consumo dei media ripropongono vecchi accostamenti con gli anni 70 che furono. La distanza dai partiti, dalle istituzioni, l’indipendenza e l’autonomia, è questo che fa paura e si deve criminalizzare, isolare e neutralizzare. Una nuova generazione precaria si affaccia dopo anni di trasformazioni del tessuto produttivo, dopo gli ultimi due decenni dove ogni istanza sociale e rivendicazione di nuovi diritti ha trovato davanti a sé il muro di gomma del potere, chiudendo ogni termine di mediazione, ogni spazio di avanzamento sociale.

Grida e rivendicazioni per troppi anni inascoltate producono la rabbia che ieri si è espressa. Cosa vi aspettavate? L’Italia è il penultimo paese in Europa per occupazione giovanile ed il 44% dei giovani occupati sono precari. Uno dei pochi paesi dove non vi è nessuna forma di protezione sociale per i disoccupati. Uno di quei paesi con il più alto tasso di mortalità sul lavoro e dove il lavoro nero è prassi di sfruttamento. Un posto in cui se sei disoccupato e ti dai fuoco forse ti fanno un trafiletto sul giornale locale. Un posto in cui la violenza alle donne, spesso in famiglia, è diventata prassi quotidiana. Uno di quei posti dove le carceri esplodono, con i morti sempre più giovani per mano delle forze dell’ordine, con veri e propri lager in cui stipare vite umane solo perché aventi un altro passaporto. Un posto in cui si muore di cancro perché si vive vicini ad una discarica, in cui il territorio è solo un altro luogo di affari e macerie, in cui si abbandonano città storiche all’incuria e alle macerie in attesa di una nuova cricca che dovrà fare i suoi affari per ricostruirla. Un luogo, il più ricco del mondo, in cui il patrimonio culturale va di pari passo al degrado delle periferie. Un luogo in cui per farsi ascoltare bisogna salire su tetti, sulle gru, occupare isole o piloni senza avere poi,  come sempre, una soluzione ai problemi posti.

Ieri richieste chiare, necessarie come quella per il diritto alla casa, al reddito garantito, all’accesso alla cultura, alla formazione e alla libera condivisione dei saperi, ad un altro mondo in costruzione si sono espresse ed è per questo e contro questo che il potere politico vuole criminalizzare un mondo intero, un pezzo intero di società.

Queste parole, questi sogni e questi bisogni ieri hanno incendiato le barricate romane. Non i professionisti della violenza, ma quella fetta di società che subisce la vostra idea di comando e di mondo, ieri ha vomitato in massa, riempiendo di significato uno dei giorni più orribili di questo paese, a prescindere da come è andata in Parlamento. Il rigetto è nato nella pancia di questo paese schifosamente distrutto dalla politica di palazzo e dagli affaristi.

LA CRISI NON LA PAGHIAMO, LA CRISI VE LA CREIAMO è questo il nuovo confine, la strada del non ritorno tra chi vorrebbe proporre ulteriori sacrifici a difesa dell’attuale sistema economico proponendo fantomatici governi di transizione e chi si organizza giorno per giorno a difesa dei propri diritti e si ritrova con le nuove soggettività espressione di questa crisi epocale, nella mobilitazione gioiosa cosi come nella rabbia spontanea.

Chi riesce a seguire i mille rivoli attraverso cui si può esprimere questa nuova soggettività diffusa, così come si espressa nella giornata di ieri può contribuire a costruire una nuova stagione di conflitto. Chi si affanna a mettere bandierine o ad elargire commenti idioti sui “teppistelli”, “borgatari”, “ultras”, è destinato, pur sopravvivendo, a scomparire nel naturale flusso della storia.

Ed ora dunque è il tempo, di mettere insieme le forze, di riprendere il cammino…

Rete degli indipendenti * Acrobax Project * Coordinamento Lotta per la Casa

Immagini della manifestazione del 14 dicembre a Roma

Forze dell’ordine si accaniscono sui manifestanti:

Prese di parola:

Anonimo manifestanteSanprecario.infoDal presidio di ChiaianoMondo del lavoroCobasInfoautPrecaria.org – “I tamburi di piazza del popolo

News:

DenunceHanno detto – Agenzie stampa

Prima del 14 dicembre

QUE SE VAYAN TODOS!

Il paese nell’abisso

Sull’orlo del baratro. Questa è la foto del nostro paese, della sua economia, della gestione delle sue poltiche economiche e sociali, delle proposte per affrontare i prossimi mesi, della quotidianità di migliaia di persone.

Uomini e donne che si trovano a sopportare la crisi che, da due anni a questa parte, è divenuta la narrazione del potere; la sua arroganza e i suoi muscoli sono rappresentati dalle mimetiche per strada, i manganelli alle manifestazioni, le porte chiuse in faccia delle istituzioni, ogni mediazione negata.

Chi rimane in questo paese si deve accontentare delle briciole: cassa integrazione, qualche bonus e tante parole. Chi rimane sono migliaia di giovani con contratti precari e nessuna garanzia, i più anziani con contratti indeterminati che diventeranno velocemente precari.

Lo stato sociale viene eroso giorno dopo giorno, taglio su taglio, infamità su infamità. La disoccupazione è arrivata a percentuali allarmanti, la crescita è ferma ad un decimo delle previsioni, il debito è inversamente proporzionale. Queste sono le macerie che dovremo portare sulle spalle

Que se vayan todos

Che succede il 14 Dicembre?

Si vota la fiducia di un governo responsabile in buona parte di tutto questo.

Si vota non per quell’ometto che rappresenta l’Italia peggiore e il peggioramento dell’Italia; si vota per un governo che ha demolito le garanzie nel lavoro, che taglia lo stato sociale, che chiude gli occhi davanti alla crisi. Un governo che sta distrugendo la formazione e la cultura e che somiglia tanto all’argentina degli anni ’90. E allora come dall’altra parte dell’oceano accadde qualche anno fa vogliamo dichiarare il nostro “Que se vayan toso”, “se ne vadano tutti, oggi”. Chi ha le responsabilità di questa situazione se ne faccia carico e vada via.

Governo di unità nazionale: lacrime e sangue

Ma il 14 vorremmo anche che un messaggio fosse chiaro. Un messaggio alle ipotesi di governo di unità nazionale, di solidarietà nascosta dietro ad una pretesa di moralità e legalizzazione istituzionale. Non siamo disponibili alle lacrime e sangue mentre le imprese si fanno scudo dietro alla crisi licenziando e precarizzando, ad una risposta per cui far pagare milioni di cittadini e cittadine precarizzando, ancor più la nostra vita; le proteste di questi ultimi mesi di lavoratori, migranti e studenti non sono uno spot elettorale ma rappresentano la richiesta di una trasformazione delle politiche economiche e sociali, la richiesta di garanzie sociali che garantiscano diritti e redditto per tutti/e.

Ci difenderemo dalla violenza del mercato, subdola, quotidiana e costante.

Esploda l’indipendenza: la nave dei folli.

Proviamo ad immaginare una narrazione che ci traghetti, in un tempo ed in uno spazio. Da sponda a sponda.

Una nave su cui imbarcare tutti i nostri sogni e desideri; tutte le nostre immaginazioni e analisi. Una stiva con molte storie di giovani e meno giovani, di migranti e nativi, di precarietà e diritti, di sfruttamento e ribellione, di partenza ed arrivo. Una nave dei folli.

Perhè la follia è il nostro stato per rivoltare la pazzia dello Stato fatto di politicanti e forti poteri imprenditoriali che con le parole descrivono un cielo sereno e celeste e che, in realtà, è solo un fondale che nasconde un buco nero: il futuro.

Ed è questa porzione temporale che non possiamo immaginare, semplicemente perchè si costruisce qui ed ora, nel presente.

E questo nostro presente è fatto di precarietà, di diffidenza, di battaglie collettive trasformate in grida solitarie; chi riesce con le unghie e con i denti a garantire diritti erosi giorno dopo giorno, parola dopo parola, ipocrisia dopo ipocrisia lo fa spesso nella solitudine, sotto la minaccia del tribunale e del manganello. Mentre le parole strumentali creano un sipario che nasconde le nostre vite.

Nasconde, dietro parole forgiate nel tempo del “moderno e post-industriale”, una tensione reazionaria, un ritorno agli ’50 (fate voi se del ‘900 o dell’800), senza reti né di salvataggio, né di solidarietà, né di lotta. Costruiscono paure sociali, capri espiatori su cui scaricare frustrazione quotidiane.

Ma la paura, quella vera, ce l’hanno loro: perdere il controllo, il profitto, il potere.

Per questo trasformano noi in pazzi che accettiamo di lavorare in condizioni di merda, con paghe irrisorie, spesso a rischio della vita stessa; noi che paghiamo affitti e mutui da capogiro; noi che facciamo ipotecare dal ghigno beffardo di qualche centinaio di amministratori delegati il sorriso di milioni di persone.

Ci trasformano in pazzi ancor più quando prendiamo parola, alziamo la testa, ci organizziamo. E a quel punto ci ospedalizzano, ci mettono in quarantena, ci rinchiudono perchè lontani dalla loro idea di democrazia e società civile.

Ed allora noi ci imbarchiamo: una nave dei folli che prendono in mano la propria condizione e rivendicano nuovi diritti. Che costruiscono la propria indipendenza come un percorso da conquistare.

Costruiamo il nostro vascello che si allontanerà dai porti del capitale e dello sfruttamento ed approderà in un territorio di conflitto e rivendicazione. Sogni che si fanno forza collettiva e indipendenza. Battaglie reali che conquistano metro dopo metro un’uscita dalla crisi che il sistema neoliberista ha costruito e continua perpetrare e, soprattutto, che vuole farci pagare.

Affermiamo la nostra carnevalesca follia per sovvertire la natura mortifera di un sistema.

Generazioni Precarie: protesta alla sede Inps

L’Inps nasconde la verità.

Generazioni Precarie: escluse dagli ammortizzatori sociali e con un futuro non calcolabile.

13 dicembre. Questa mattina le Generazioni Precarie si sono presentate nella sede dell’Inps in via Ciro Il Grande n 21. Nell’ ottobre di quest’anno il presidente dell’INPS Antonio Mastrapasqua ha risposto ai giornalisti che gli chiedevano perché l’INPS non fornisce ai precari la simulazione della loro pensione futura come fa con gli altri lavoratori, affermando quanto segue: “Se dovessimo dare la simulazione della pensione ai parasubordinati rischieremmo un sommovimento sociale”. A quanto pare non solo non è previsto che i precari maturino una pensione ma si sa già che non arriveranno nemmeno alla minima. Di conseguenza i precari oltre a passare da un lavoro intemittente ad un altro pagano i contributi per una pensione che non vedranno mai.

Come è possibile che le generazioni precarie siano senza pensione e l’inps paga le pensioni pubbliche a dirigenti, parlamentari, ministri che percepiscono contemporaneamente ricchi onorari: Mario Draghi, pensionato a 58 anni con 14.853 euro al mese ma anche Governatore con 620 mila euro l’anno, Giuliano Amato oltre alle indennità varie percepisce una pensione lorda mensile di 22 mila euro che si traduce in un assegno netto di 12.518 euro. La lista è lunga.

Nell’attuale  contesto di crisi economica i precari nativi e migranti non solo sono esclusi da un sistema arretrato ed iniquio di ammortizzatori sociali ma non avranno diritto ad un futuro.
I lavoratori migranti pagano 7,5 miliardi di euro di contributi previdenziali. Questa la stima riportata nel dossier Caritas/Migrantes 2010 secondo il quale le entrate assicurate dagli immigrati sono 11 miliardi di euro (10,827) mentre le spese per servizi a loro destinati ammontano a neanche 10 miliardi.

La struttura del welfare italiano risulta particolarmente restrittiva e orientata verso prestazioni previdenziali e servizi socio-sanitari rivolti agli “anziani”, di cui oggi precari migranti possono beneficiare solo in parte, sia per l’età media non elevata sia perché l’accesso al pensionamento, secondo la normativa vigente, non può avvenire prima  dei 65 anni. Attualmente è pensionato tra i migranti 1 residente ogni 30, mentre tra gli italiani 1 ogni 4.
Oggi siamo qui perchè vogliamo incontrare di persona il presidente dell’Inps per farci calcolare direttamente la nostra pensione e per reclamare il diritto a delle politiche di welfare adeguate. L’Italia, insieme alla Grecia e all’Ungheria, sono infatti gli unici stati membri dell’Unione Europea a non avere mai adottato significative misure contro la crisi istituendo come esiste da decenni nei paesi europei forme di protezione sociale attrevrso il reddito di cittadinanza. Inoltre dove esistevano importanti sperimentazioni l’irresponsabilità ha prevalso sui i bisogni degli oltre 115mila precari e disoccupati  che nella Regione Lazio hanno presentato domanda per accedere al reddito mino garantito. Infatti nel bilancio 2011 la Giunta Polverini ha azzerati i fondi previsti a copertura della legge regionale n.4/2009 che istituisce il reddito minimo garantito nella Regione Lazio. Siamo le stesse generezioni precarie che da lunedì 6 dicembre hanno occupato le impalcature del palazzo della
Regione Lazio, dove ormai da una settimana continuano a resistere i “magifici 7” precari/e non ottenendo nessuna risposta dalla giunta polverini.

La giornata di oggi apre la campagna del “Natale precario” nella città di Roma, uno spazio di relazione, comunicazione sociale contro la crisi e la precarietà. Non ci fermeremo finchè non saranno riconosciuti diritti e forme di protezione sociale a tutti i soggetti che nel nostro paese e nel territorio regionale stanno pagando la crisi.

Le Generazioni Precarie si ri-appropriano del proprio futuro!!

Articoli

http://roma.repubblica.it/cronaca/2010/12/13/news/precari_la_mobilitazione-10138982/

Agenzie

EUR, ATTIVISTI «GENERAZIONE PRECARIE» IN PROTESTA A SEDE INPS
OMR0000 4 CRO TXT Omniroma-EUR, ATTIVISTI «GENERAZIONE PRECARIE» IN PROTESTA A SEDE INPS (OMNIROMA) Roma, 13 dic – Una sessantina di attivisti di «Generazioni precarie» sta protestando presso la sede dell’Inps di via Ciro il Grande, all’Eur per chiedere «welfare e reddito garantito per i precari». «Abbiamo chiesto di incontrare il direttore generale dell’Inps per presentargli le nostre richieste – ha detto uno degli attivisti che insieme agli altri suoi compagni ha occupato l’androne della sede dell’istituto previdenziale – in particolare gli vogliamo chiedere il significato di una sua frase pronunciata ad ottobre scorso in cui disse che se si dovessero calcolare le contribuzioni per i precari in Italia accadrebbe un sommovimento sociale». Gli attivisti, che partecipano anche alla protesta in corso da una settimana sul tetto della regione Lazio, sono affiancati anche da un gruppo di lavoratori stranieri. «I loro contributi previdenziali ammontano a 7, 5 miliardi di euro – ha spiegato ancora l’attivista – tutto questo, per una pensione che probabilmente percepiranno in parte o forse mai». gca 131159 dic 10

PENSIONI: INPS; NEL 2037 ASSEGNI DIPENDENTI 47% SALARIO
ECO S0A QBXB PENSIONI: INPS; NEL 2037 ASSEGNI DIPENDENTI 47% SALARIO DOSSIER ANTICIPATO DAL ‘CORRIERÈ, PER AUTONOMI ANCORA PIÙBASSE (ANSA) – ROMA, 13 DIC – Nei prossimi anni gli importi medi di pensione diminuiranno rapidamente fino a scendere al di sotto della metà del salario con il quale si esce dal lavoro: è quanto si legge su un dossier dell’Inps che arriva al 2037 anticipato oggi dal «Corriere» secondo il quale il rapporto tra pensione e retribuzione per i lavoratori dipendenti che vanno in pensione con il metodo contributivo passa dal 54% attuale al 47% del 2037. I commercianti subiranno nel tempo un taglio medio degli importi più contenuto (dal 46% medio attuale al 44% nel 2037) mentre gli artigiani che escono nel 2010 con circa il 50,3% della pensione potranno contare solo sul 43,2% nel 2037. Sarà particolarmente difficile far quadrare i conti per i parasubordinati che rischieranno di uscire dal lavoro con solo il 14% della retribuzione (nel 2010 la pensione media è solo il 9% della retribuzione perchè la gestione separata è operativa solo dal 1996). Tra l’altro quest’ultimo dato – sottolinea il Corriere – è poco significativo perchè risente del fatto che si può chiedere la pensione con almeno 5 anni di contributi e spesso nella gestione separata sono iscritte persone con un’altra occupazione principale. Il dossier sottolinea anche il peggioramento dei conti per l’Istituto con il passaggio in rosso di 41 milioni nel 2015 che saliranno a 2,5 miliardi nel 2017. Fino al 2017 il patrimonio netto resterà in attivo grazie alla buona performance in questi anni della gestione dei parasubordinati e delle prestazioni temporanee (cassa integrazione ecc). (ANSA). TL 13-DIC-10 10:52 NNN

Apc-Inps/ Protesta ‘Generazioni precarie’ per futuro senza pensioni Manifestanti all’Eur, delegazione dal direttore generale Nori Roma, 13 dic. (Apcom) – Un gruppo di giovani precari della rete di ‘Generazioni precarie’ ha inscenato oggi una protesta all’Eur, presso la direzione generale dell’Inps, a nome dei lavoratori che hanno scarse prospettive di ottenere una pensione in futuro. In un comunicato, i manifestanti ricordano che nell’ottobre di quest’anno il presidente dell’Inps Antonio Mastrapasqua aveva spiegato così la ragione per la quale l’Istituto non fornisce ai precari la simulazione della loro pensione futura come fa con gli altri lavoratori: “Se dovessimo dare la simulazione della
pensione ai parasubordinati rischieremmo un sommovimento sociale”. “A quanto pare – prosegue il comunicato – non solo non è previsto che i precari maturino una pensione, ma si sa già che non arriveranno nemmeno alla minima. Di conseguenza i precari oltre a passare da un lavoro intemittente ad un altro pagano i contributi per una pensione che non vedranno mai”. Mentre continuava la protesta davanti all`androne dell`Inps una delegazione, precisa la nota di Generazioni precarie – è stata ricevuta dal direttore generale Mauro Nori. Al dirigente è stata
presentata la campagna di comunicazione sociale ‘Inps per le Generazioni Precarie. Futuro non calcolabile’. “La delegazione – prosegue il comunicato – ha espresso le forti preoccupazioni dei precari nativi e migranti che non solo sono esclusi da un sistema arretrato ed iniquio di ammortizzatori sociali, ma non avranno diritto ad un futuro dignitoso. Mauro Nori ha risposto comprendendo il clima di preoccupazione perché effettivamente i lavoratori precari non avranno mai la pensione dei loro genitori ed in ogni caso chiunque faccia previsioni sui calcoli contributivi sta dando numeri al lotto. In ogni caso l`incontro si è chiuso con la possibilità di aprire un tavolo di confronto allargato oltre che ai tecnici dell’Inps anche ai decisori politici rispetto alla chiarezza della condizione contributiva dei precari e possibili interventi legislativi in merito”. Bar 131726 dic 10

La precarietà nel mondo dello spettacolo

Punti San Precario & Dams Occupato presentano:

Incontro: “La precarietà nel mondo dello spettacolo”

Sabato 11 dicembre 2010

ore 18.30 – Dams RomaTre


Un momento di confronto tra le reti studentesche e i precari del mondo dello spettacolo. Al centro dell’iniziativa ci sono gli effetti devastanti che stanno creando i tagli alla cultura effettuati da decreto Bondi. Al teatro dell’Opera di Roma nei mesi di novembre e dicembre circa 200 precari non hanno avuto il rinnovo del contratto di lavoro. Contestazioni e mobilitazioni sono state realizzate in tutta Italia: davanti all’Opera di Roma, alla Scala Milano, al San Carlo di Napoli. I protagonisti sono stati studenti, artisti e precari del mondo dello spettacolo che hanno espresso la propria rabbia contro la Riforma Gelmini e i tagli alla cultura.

Nelle ultime settimane, inoltre, le azioni di comunicazione sociale nei musei Maxi e Macro hanno posto la questione del diritto all’accesso libero e gratuito alla cultura.

Intervengono:

Precari del Teatro dell’Opera di Roma

Teatro del Lido di Ostia

Generazione P. Precaria

A seguire proiezione del contest di fotografia “Raccontare la crisi inizia da uno sguardo” dedicato ad Antonio Salerno Piccinino a cura del comitato contro le morti sul lavoro di Roma e Occhirossi festival.

Dove:

DAMS Università Roma Tre, via Ostiense 133 Roma

Appello per difendere e rilanciare la legge sul Reddito Minimo Garantito nel Lazio

a cura del Bin-Italy (Basic Income Network-Italia)

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Questo appello vuole raccogliere la sensibilità delle associazioni, della società civile, delle personalità culturali ed accademiche, dei singoli cittadini per l’attuazione della legge regionale del Lazio sul Reddito Minimo Garantito come primo esperimento nazionale di costruzione di un sostegno al reddito per  contrastare la disoccupazione, la precarietà e le nuove povertà.

Il 4 marzo 2009 la Regione Lazio ha istituito una legge per il “reddito minimo garantito per precari, disoccupati ed inoccupati” come misura di sostegno al reddito per i cittadini nel Lazio che vivono al di sotto di 8mila euro annui. All’avvio della legge sono arrivate ben 115mila richieste, una cifra imponente tenuto conto che la Regione aveva
individuato, come avviamento della legge, solo nel target 30-44 anni coloro che potevano fare domanda. Questo numero cosi alto di domande ha attestato l’urgenza di un intervento come la garanzia di un reddito minimo nel nostro
paese a favore di soggetti che non godono di protezioni di altra natura, a cominciare dagli ammortizzatori sociali.

Riteniamo per questo, in tempi di crisi economica cosi acuta e pervasiva e nell’anno europeo di lotta alla povertà, che questa legge possa e debba essere sostenuta e rilanciata come sperimentazione utile alla realizzazione di una misura nazionale.

Rilevato che il diritto al reddito minimo garantito è riconosciuto dall’art. 34 terzo comma a  della Carta dei diritti fondamentali dell’Ue che con l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona è divenuta obbligatoria, come un fundamental
right di matrice europea, così come dalla Carta sociale europea del Consiglio d’europa ( artt. 30 e 31) e dalla Carta dei lavoratori e delle lavoratrici comunitari del 1989 (art. 10);

considerato che il Parlamento europeo con una recente Risoluzione ha invitato tutti i paesi membri ad adottare sistemi di garanzia di tale diritto, ritenendoli indispensabili per salvaguardare la dignità essenziale di ogni cittadino europeo;

atteso che la detta Strategia 20-20 prevede come obiettivo comune la riduzione del 20% del numero dei poveri in Ue e che lo strumento del sostegno al reddito per coloro che sono esposti al rischio di esclusione sociale  è  la misura più diretta ed efficace per combattere l’emarginazione sociale, soprattutto nei confronti di soggetti esclusi da tempo dal mercato del lavoro;

ricordato che nonostante la situazione di  colpevole inerzia del nostro paese stigmatizzata  più volte nelle sedi europee,  la Regione Lazio nel 2009 ha approvato una legge sul reddito minimo garantito che prevede un aiuto pari a 580 euro mensili ai soggetti con una capacità contributiva inferiore agli 8.000 euro annui;

ricordato che hanno fatto richiesta di tale aiuto oltre 115.000 persone e che, in relazione ai fondi stanziati, la Regione ha deciso di accogliere solo una percentuale di queste;

ritenuto che il ritardo nei pagamenti costituisce una violazione di un diritto sociale fondamentale e che appare del tutto ingiustificabile trattandosi di spese con carattere di urgenza indilazionabili visto lo scopo alimentare del sussidio per soggetti non coperti in alcun modo da altre protezioni come gli ammortizzatori sociali;

ritenuto che non attuando questa legge si cancellerebbe un’iniziativa che si distingue per la sua sensibilità sociale e per avere razionalmente risposto, in chiave di sussidiarietà e di tutela della  dignità essenziale della persona, alle indicazioni europee e alle necessità  di salvaguardare i bisogni sociali di carattere primario che proprio l’alto numero di richiedenti dimostra.

Invitiamo la Regione Lazio a provvedere all’immediato pagamento del sussidio dovuto ai soggetti già selezionati; a provvedere ad un nuovo e maggiore finanziamento della legge anche con il diretto coinvolgimento ed impegno del Governo italiano cosi da dare risposta a tutti coloro che ne faranno richiesta e che ne hanno necessità anche nella prospettiva dell’adozione di una legge statale in materia.

Per tutto ciò ti chiediamo di firmare questo appello inviando una mail a info@bin-italia.org :

Associazione Bin Italia

www.bin-italia.org

La Polverini azzera i fondi per il reddito garantito

Nel Lazio sono scomparse 130 mila persone nell’ultimo anno!

Nel bilancio 2011 la Giunta Polverini ha azzerati i fondi previsti a copertura della legge regionale n.4/2009 che istituisce il reddito minimo garantito nella Regione Lazio.

La giunta Polverini forse non ha nessuna considerazione delle 130mila domande, fatte da persone in carne ed ossa, pervenute nel mese di settembre 2009 e che esprimono solo una parte di bisogno di soggetti precari, disoccupati e inoccupati, tenendo conto che solo il target 30-44 anni poteva fare domanda. Inoltre coloro che hanno potuto fare domanda vivono al di sotto di 8mila euro annui. Un numero enorme che dovrebbe prevedere una presa in considerazione non solo di un impoverimento generale di una società, dei cittadini di una regione, ma della necessità di studiare forme, misure, interventi in grado innanzitutto di intervenire su un piano di sostegno al reddito. Non sarà un caso che in tutta Europa le misura di reddito minimo sono esistenti da decenni.

Stiamo passando da un intervento destinato a precari e disoccupati che oggi sono annoverati dentro la fascia dei poveri. Parliamo di persone che vivono nella città di Roma fino al piccolo paese di provincia, cittadini scomparsi, resi invisibili, sconosciuti persone a quei centri per l’impiego che dovrebbero offrirgli opportunità di lavoro. L’assessore Zezza e il Presidente Polverini, rilanciano l’idea di sostenerli attraverso il lavoro. Meraviglioso, i miracoli di Berlusconi del milione di posti di lavoro di 20 anni fa, pare che ancora siano possibili. A quei 130mila cittadini che hanno fatto richiesta lo scorso anno di poter avere un sostegno al reddito, gli si vende il fumo del lavoro certo. Possiamo dire che nel Lazio la crisi è finalmente stata superata.

Il problema purtroppo è serio, cosi serio che rimaniamo sbigottiti che nell’anno europeo di lotta alla povertà a fronte di 130mila cittadini (e poi solo del target 30-44 anni) che non arrivano ad 8mila euro l’anno, si risponda prendendoli in giro, non pagando coloro che sono già in graduatoria da mesi, e peggio quando rivendicano un loro diritto, i loro soldi, vengano presi a manganellate. Ma d’altronde le questioni sociali non sono all’ordine del giorno della politica italica. Tanto che la giunta polverini definanzia la legge regionale cancellando il diritto ad un reddito garantito.

Abbiamo tentato di avere degli incontri, siamo andati alla Regione Lazio lo scorso 16 novembre per avere delle risposte politiche ma ci hanno chiuso le porte facendoci incontrare tecnici e funzionari di terz’ordine, il 25 insieme ad altre migliaia di persone di nuovo siamo andati a chiedere di poter interloquire con la Giunta Regionale. Anche in quell’occasione nessuno ci ha ricevuto se non, obbligati per lavoro, qualche tecnico e dirigente regionale. Forse che la Polverini si sia già dimessa lasciando ai tecnici della Regione di risolvere i problemi sociali?

Ma noi vogliamo avere ciò che ci spetta, ciò di cui abbiamo bisogno, non siamo e non vogliamo essere cittadini europei di Serie C, come negli altri paesi europei non vogliamo che esistano persone che vivono al di sotto della soglia di povertà, perché 500 euro al mese sono già poca roba e se ci viene negata la recliamamo con ancora maggiore forza. Per avere un semplice incontro siamo stati costretti ad azioni eclatanti come l’occupazione della sala Liri per poi esserei sgomberati dalle forze dell’ordine. A quel punto cosi come in tutta Italia, per far sentire le nostri voci, siamo saliti sul punto più alto della Regione, cioè il tetto! E questo insieme ad altri perché alle 130mila persone che vogliono un reddito minimo ve ne sono altrettante che non hanno una casa, che non vogliono che i loro territori siano sommersi da macerie di mondezza e inquinamento, che lottano per i loro diritti sul lavoro, con coloro che non vogliono pagare la crisi.

La Polverini, dopo i tecnici ed i funzionari regionale, ci ha fatto incontrare altri funzionari, quelli delle forze dell’ordine che malgrado la pacifica manifestazione hanno fatto si che 7 persone finissero in ospedale.

Riteniamo gravissimo quello che sta accadendo sia per quanto riguarda il futuro di un diritto minimo come la legge sul reddito, sia per il modo con cui si intendono risolvere le questioni sociali, sia la risposta che si sta dando a 130mila persone che a questo non solo non vedranno il becco di un euro ma che addirittura sono presi in giro con promesse di miracoli e cotillons.

Riteniamo altrersi fondamentale che tutti coloro che presero parte attiva per la definizione e la realizzazione di questa legge prendano parola, siano Rpresenti alla protesta in atto in questi giorni sui tetti della Regione Lazio includendo in questo tutti i consiglieri regionali che l’hanno votata, anche a quei sindacati confederali che durante la scorsa giunta sembravano averla sostenuta e che oggi non sentiamo, ai movimenti sociali, gli studenti in lotta in questi giorni e che ne avrebbero diritto, i cittadini che hanno fatto domanda e sono stati inclusi o esclusi dalle graduatorie.

Riteniamo importantissimo non affossare questa legge, anzi chiediamo che questa diventi piattaforma per una legge nazionale, che vada oltre anche la Regione Lazio, che diventi uno strumento, come altrove in Europa, una base fondamentale, nuova, in grado di rispondere ai bisogni di questa contemporaneità, che sia base di una nuova idea di welfare. Berlusconi sostenne la Polverini dicendo che cosi ci sarebbe stato un filo diretto tra governo nazionale e Regione Lazio, bene, cara Renata vai a chiedere a Tremonti i soldi che ci devi e già che ci sei, chiedine altri perché 130mila persone sono solo una piccola parte. Nel Lazio a non arrivare ad 8mila euro l’anno sono molti di più! Compresi quegli studenti oggi in lotta per il diritto allo studio, che fanno parte, o ben presto ne faranno parte, di questo esercito che reclama reddito!

Vogliamo i nostri soldi! Continueremo la lotta per il riconoscimento di quello che ci spetta: un reddito garantito per tutti e per tutte !

Appuntamento 10 dicembre ore 16 manifestazione sotto la Regione Lazio

Coordinamento di lotta per il reddito garantito

San Precario: due nuove apparizioni alla Regione Lazio

Una grande giornata di lotta

Roma, 25 novembre. Oltre 5mila tra lavoratori, precari, disoccupati e occupanti di casa sono andati in corteo sotto la regione Lazio tenendola sotto assedio fino alle otto di sera. Verso le due una delegazione di 16 persone (di cui 3 rappresentanti del coordinamento di lotta per il reddito garantito) è salita per incontrare una rappresentanza della regione composta dal capo ufficio di gabinetto della Polverini (Zoroddu), dal Segretario Generale (Ronghi) e da diversi alti funzionari e dirigenti.

I rappresentanti della regione hanno ascoltato le molte importanti richieste che i movimenti uniti hanno portato. Per il comitato reddito le richieste principali sono state tre:

1-      Sblocco entro dicembre 2010 dei soldi per gli assegnatari vincitori anche con deroga al regolamento se non sono pronte tutte le graduatorie delle altre Province;

2-      Ripristino dei finanziamenti già pervisti per i prossimi due anni;

3-      Richiesta formale della Polverini di un tavolo con il governo per nuove risorse da destinare al reddito minimo garantito nel Lazio.

L’incontro è però finito molto male quando i rappresentanti della Regione hanno capito che i movimenti non si sarebbero accontentati di essere ascoltati e ricevuti ma volevano risposte concerete che non erano in grado di fornire  senza la presenza della Polverini e degli assessori. Per questo si è deciso di invitarli ad uscire dalla sala dove si teneva la riunione fino a quando non fosse scesa la Polverini in persona.
Da quel momento la regione si è chiusa a riccio non sapendo dare le risposte che tutti si aspettavano: sia la delegazione rimasta in occupazione in segno di protesta sia le migliaia di persone che ancora sotto la pioggia e ormai al buio protestavano per i loro sacrosanti diritti.
Quando la politica fa un passo indietro le forze dell’ordine fanno un passo avanti: verso le otto di sera sono intervenute di forza nella sala occupata sgomberando gli occupanti che rimanevano seduti in forma di resistenza passiva. Due persone del coordinamento reddito, invalidi al 75%, sono stati colti da malore mentre venivano trasportati via di peso.
La giornata si è conlusa così con un nuovo corteo fino alla metro san paolo.
Il giorno dopo è subito stata convocata un’assemblea al Volturno per capire meglio i risultati della giornata di lotta e quali dovranno essere i prossimi passaggi. Sicuramente la Polverini e la sua giunta hanno accusato molto pesantemente il colpo e ora hanno molta paura di prossime iniziative che possano metterli a nudo di fronte alle loro inadempienze.

l’APPUNTAMENTO X TUTTE E TUTTI E’ AL
CINEMA-TEATRO VOLTURNO PER IL PROX MARTEDI’ 30-11 ALLE H 18:30

***

San Precario ha annunciato una nuova apparizione in occasione della maniestazione che si terrà giovedi 25 novembre sempre alla Regione Lazio.

Questo perché solo a Roma oltre 4000 persone tra precari e disoccupati sono in attesa di ricevere il reddito minimo garantito per il quale la Regione Lazio ha chiuso le graduatorie nel settembre 2009. A distanza di oltre un anno la situazione è la seguente:

– nessuno dei benificiari ha ancora ricevuto un euro del contributo promesso,
– i 15 milioni di euro stanziati dalla legge regionale per il primo anno sono ancora bloccati e
– risultano addirittura cancellati i secondi 15 milioni previsti per i prossimi due anni di erogazione.

Il 16 novembre scorso quasi duecento persone tra gli aventi diritto al reddito garantito hanno manifestato sotto la regione Lazio per chiedere l’immediata erogazione del contributo a chi lo attende da più di un anno e lo stanziamento di nuove risorse per una legge che negli anni a venire dovrà avere un ruolo importante nel garantire la sopravvivenza dei tanti e tante colpiti dalla crisi, dalla disoccupazione e dal carovita.

La protesta rumorosa e determinata ha immediatamente ottenuto di far salire una delegazione che ha incontrato i responsabili amministrativi della regione i quali non hanno fatto altro che confermare i nostri timori rispetto ad una volontà politica della Polverini e del suo governo di affossare questa legge incastrandone il funzionamento e cancellandone le risorse. I funzionari hanno parlato del 15 dicembre come data ultima per la consegna delle liste da parte di tutte le province, solo dopo quella data daranno il via alle erogazioni.

La provincia di Roma ha però già consegnato le graduatorie definitive e non si capisce perchè 4.000 persone debbano ancora aspettare oltre un mese dopo aver atteso invano per più di un anno.

Non possiamo più aspettare, vogliamo subito:

LO SBLOCCO DEI FINANZIAMENTI INTANTO PER I BENEFICIARI  DELLA PROVINCIA DI ROMA e
il RIFINANZIAMENTO DEI FONDI  NECESSARI A COPRIRE IL BISOGNO DI REDDITO GARANTITO PER I PRECARI E I DISOCCUPATI GIUDICATI “AMMISSIBILI” IN TUTTA LA REGIONE LAZIO

MANIFESTAZIONE DEL 25 NOVEMBRE ORE 9.30 che dalla metro San Paolo arriverà sotto le finestre della Regione Lazio.

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Roma, 16 NOV. Miracolo a Roma: San Precario appare alla Regione Lazio e promette lotta per assicurare il reddito garantito, restituire agli aventi diritto i loro crediti e moltiplicarli ancora.

Questa mattina la sede della Presidenza e della Giunta della Regione Lazio è stata oggetto della protesta rumorosa e determinata d’una folta rappresentanza delle e dei 4000 riconosciuti aventi diritto al reddito minimo garantito dalla stessa Regione ma che dal settembre 2009, data limite della presentazione delle domande, finora non hanno visto un centesimo, nonché delle altre e degli altri 115 mila richiedenti nella regione Lazio, oltre 70 mila nella sola Provincia di Roma.

Dunque, solo una rappresentanza di molte e molti che a loro volta sono solo una parte della moltitudine che, ogni giorno, in ogni aspetto della propria condizione economica sociale e civile, reclama reddito, ma che è tagliata fuori dalle ristrettezze della legge regionale, che pure non viene applicata.
Ma chi, cosa, come ha promosso questa prima, simbolica rappresentanza d’una protesta che è soltanto al suo principio? E chi altri, se non San Precario? Il quale tramite le sue devote e i suoi devoti aveva la settimana scorsa, in una prima assemblea di chi è ormai da un anno in credito di migliaia di euro con la Regione, annunciato la sua apparizione proprio per questa mattina e proprio davanti all’ingresso dell’istituzione presieduta dall’ex sindacalista Renata Polverini. Una che di miracoli ne ha promessi non pochi, senza compierne nemmeno uno. E che anzi non solo non ha ancora sbloccato i fondi 2009/2010 pur stanziati per l’erogazione del reddito minimo garantito dalla Legge 4/2009 regionale, ma ha anche cancellato quelli che avrebbero dovuto finanziarne l’applicazione per i prossimi anni. Ma chi è in disoccupazione, cioè sfruttata e sfruttato nella clandestinità e nell’invisibilità, e chi soffre i peggiori rigori della precarietà imposta al lavoro e alla vita della moltitudine produttrice di ricchezza, sa di non poter contare su nessun santo in Paradiso, al di fuori di San Precario: l’unico nel quale potersi riconoscere e condividere la verità, la vita e la via – quella che infallibilmente porta ad alzare la testa e a lottare.
La Regione, cioè chi la amministra, davanti all’apparizione del Santo è apparsa molto preoccupata: così ha concesso subito un incontro, ma cercando di nascondere le proprie responsabilità politiche. Così una delegazione è stata ricevuta, ma soltanto da due funzionari, un tecnico e un referente della segreteria politica dell’assessore al Lavoro Mario Zezza. Le devote e i devoti di San Precario si sono sentiti spiegare che la Regione, anche se si affretta a tornare a far promesse sui suoi debiti, ha deciso di permettersi il lusso di aspettare l’ultimo giorno utile per mobilitare i soldi che pure sono già stanziati per gli aventi diritto al reddito minimo, ossia il 15 dicembre che è la data ultima per la consegna della documentazione dettagliata da parte delle Province: anche se dalla Provincia di Roma la Giunta Polverini ha già ricevuto ampia documentazione di ben 3mila e 600 su 4mila dei riconosciuti. E allora ? Dovranno aspettare. Il 15 dicembre, dunque? No, il 15 gennaio: perché la Giunta vuole addirittura esagerare, coi lussi che si concede, e si regala un altro mese da cattivo pagatore nei confronti di chi è nullatenente. E poi? E poi, il nulla: la cancellazione dei 15 milioni già previsti per finanziare la legge nei prossimi anni, è confermata.
San Precario, però, vede e giudica. E ha giudicato molto male questo livello delle risposte della Regione Lazio. A partire dagli interlocutori scelti per esporsi alla sua ira. Dunque, è stato preteso un incontro con l’assessore Zezza, quanto meno. Il Santo e soprattutto la potenza diffusiva della sua devozione fanno paura: il confronto è stato fissato per l’inizio della prossimo settimana. Il Santo, comunque, per bocca delle sue devote e dei suoi devoti ha avvertito scribi e farisei della Giunta Polverini: quell’incontro sarà pure il primo, e così anche l’ultimo. Ossia: il maltolto dovrà essere restituito subito, entro Natale. Parola di Santo. E solo per cominciare: perché San Precario dice che non una sola precaria, non un solo precario può restare senza soddisfazione. Non soltanto debbono tornare le risorse sulla legge ma vanno anzi aumentate, così come i limiti posti per il diritto all’erogazione del reddi to. E poi è chiaro che al Santo una parola come “minimo” non piace affatto…
Le devote e i devoti sanno cosa fare: la lotta è solo cominciata. E, assessore o non assessore, un primo miracolo c’è già: la lotta si moltiplica, il Coordinamento di Lotta per il Reddito Garantito ricomparirà con il Santo questo venerdì 19 all’assemblea dei Movimenti Uniti contro la Crisi alle 17 al cinema teatro occupato Volturno, per tornare alla Regione in tante e tanti, diversi ma solidali, con la manifestazione del 25 novembre.
Roma, 16 novembre 2010
Coordinamento di Lotta per il Reddito Garantito
(Devozione Romana di San Precario)

I precedenti.

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Martedi 9 novembre si è svolta presso l’ex cinema Volturno una partecipata assemblea pubblica dei beneficiari, secondo la Legge Regionale n 4 del 2009, del Reddito Minimo Garantito (RMG). Dalla data termine di presentazione delle domande (settembre 2009) fino ad ora non è stata comunicata nessuna risposta. Nell’attuale contesto di crisi economica è necessario che i fondi stanziati a copertura della Legge Regionale n 4 del 2009 siano immeditamente versati a favore dei primi beneficiari, i quali rappresentano, peraltro, soltanto una minima parte degli oltre 115 mila soggetti che in tutto il territorio regionale  hanno presentato la domanda. Per questo chiediamo fin da subito un ulteriore stanziamento di fondi per tutti i precarie e i disoccupati non menzionati nelle prime graduatorie.
Dopo aver analizzato le inadempienze amministrative e gli estremi ritardi da parte della Regione Lazio nell’erogazione del reddito minimo, si è comunemente deciso di non voler piú denunciare la situazione in maniera individuale come è avvenuto fin ad ora, ma di costituire un coordinamento di precari e disoccupati che insieme rivendicano un proprio diritto, quello del reddito garantito.
Invitiamo tutti i beneficiari, gli inclusi e gli esclusi dalle graduatorie pubblicate dalle provincia di Roma e dalle altre provincie del Lazio a partecipare alla manifestazione che si terrà martedì 16 novembre alle ore 10 davanti alla sede della Regione Lazio, via Cristoforo Colombo n.212.
Coordinamento di Lotta per il reddito garantito