COLAZIONE RESISTENTE PART.2 @DEGAGE

Questo sabato siamo entrati in uno stabile vuoto della provincia mentre centinaia di famiglie, studenti e migranti facevano lo stesso in altri 11 edifici abbandonati sparsi nella città. In una città stuprata dal cemento dove si costruisce per costruire, vogliamo rimarcare ancora una volta come l’unica soluzione all’emergenza abitativa sia la riappropriazione diretta.  Il comune dichiara 260.000 case sfitte, la casa è un miraggio per decine di migliaia di persone costrette ad arrancare a presso alle rate del mutuo o all’affitto; è la città “reale” della gente che ci vive, ci lavora o ci studia che si scontra con la città degli amministratori e speculatori, sono i nostri bisogni che confliggono con le leggi dell’accumulazione e della rendita.

La storia dello stabile che abbiamo occupato è esemplare perché, attraverso la cessione di patrimonio pubblico e l’erogazione di lauti appalti, l’amministrazione di turno la provincia regala milioni di euro al palazzinaro di turno la famiglia Parnasi, con un metodo riproposto talmente tanto spesso da sembrare un modello.   vicenda è anche grottesca perché a coprire questa operazione speculativa non è un progetto di riqualificazione di un quartiere di periferia, la costruzione di infrastrutture per il trasporto pubblico o misure di contrasto all’emergenza abitativa ma bensì l’edificazione di una monumentale sede per la provincia un ente che non esisterà più, non provano neanche più a convincerci che le loro speculazioni possano avere una ricaduta positiva sulla città.

Abbiamo occupato perché siamo stanchi di pagare 500€ per una stanza singola, del ricatto del lavoro in nero, di una vita frenetica e precaria; vogliamo dare un’indicazione, un esempio di come, organizzandoci insieme, possiamo migliorare materialmente le nostre condizioni. Pensiamo che sia legittimo riappropriarsi di tutto quello che non abbiamo e non ci stiamo a rispettare i canoni del sentire comune che impongono di essere silenziosi ed obbedienti.

Se non lo facciamo noi nessuno lo farà per noi, infatti, le risposte che l’istituzione universitaria offre ai suoi iscritti sono a dir poco insufficienti, anzi non fanno altro che aggravare la situazione! A fronte dell’ aumento delle tasse universitarie, gli alloggi, lontani e troppi pochi per una città che accoglie più di 200000 studenti, e le borse di studio sono elargiti dall’università in base al merito, un merito “all’italiana” che esclude automaticamente chi non ha alle spalle una famiglia che può sostenerlo e gli studenti-lavoratori che, non solo non hanno nessun tipo di agevolazione ma, se fuoricorso, come spesso accade a chi lavora e studia, si vedono le tasse raddoppiate. La gestione mafiosa del nostro ateneo, come confermano le inchieste sul magnifico rettore Frati, è stata volta più al mantenimento del proprio potere e dei propri interessi che alle necessità degli studenti!

Sentiamo urgente il bisogno di una risposta concreta ed efficace all’ attacco che subiamo ogni giorno sulla nostra pelle, vogliamo sognare e iniziare a costruirci un’ipotesi di vita che vada oltre il termine del contratto precario e sappiamo che le uniche strade percorribili sono quelle della riappropriazione e della lotta.  Di studentati come il nostro ne nascano altri cento!

E’ NATO UN NUOVO STUDENTATO!!

CASA PER TUTTI, TUTTI A CASA!

Cosa c’è di meglio di un cornetto e un buon caffè per iniziare insieme una lunga giornata di lotta?!

Siamo entrati a via musa ieri mentre centinaia di famiglie facevano lo stesso in altri 11 edifici abbandonati sparsi nella città. Una marea di persone: famiglie, single, migranti, italiani, precari, disoccupati, studenti che hanno deciso di smettere di attendere, di riprendersi un diritto elementare come quello ad avere un tetto sopra la testa senza mediare i loro bisogni con i conti in banca dei palazzinari. In una città stuprata dal cemento dove si costruisce per costruire, in cui il comune dichiara la presenza di oltre 260.000 case sfitte, la casa è un miraggio per decine di migliaia di persone costrette ad arrancare a presso alle rate del mutuo o all’affitto.

È la città “reale” della gente che ci vive, ci lavora o ci studia che si scontra con la città degli amministratori, sono i nostri bisogni che confliggono con le leggi dell’accumulazione e della rendita.

La storia dello stabile che abbiamo occupato è allo stesso tempo esemplare e grottesca: esemplare perché attraverso la cessione di patrimonio pubblico, l’erogazione di lauti appalti e la costituzione di un fondo bancario ad hoc l’amministrazione di turno (in questo caso la provincia) regala milioni di euro al palazzinaro di turno (in questo caso Parnasi) con un metodo riproposto talmente tanto spesso da sembrare un modello. Grottesca perché a coprire questa operazione speculativa non è un progetto di riqualificazione di un quartiere di periferia, la costruzione di infrastrutture per il trasporto pubblico o misure di contrasto all’emergenza abitativa ma bensì l’edificazione di una monumentale sede per un ente che non esiste più, non provano neanche più a convincerci che le loro speculazioni possano avere una ricaduta positiva sulla città. Si saranno stancati anche loro di ascoltare bugie tanto spudorate.

Alle sei del pomeriggio sono arrivati blindati e polizia, hanno chiuso via musa e ci hanno intimato di lasciare lo stabile: volevano che uscissimo senza sapere cosa ne sarà di questa palazzina bellissima, senza conoscere i nomi degli ex consiglieri provinciali che tuttora gestiscono il fondo paribas incaricato di vendere lo stabile, senza che nessuno si prendesse la briga di spiegare il senso della chiusura di due studentati al centro di Roma in una città che ospita 200000 studenti universitari. La determinazione di chi era dentro lo stabile e di chi immediatamente è arrivato ad esprimerci solidarietà ha evitato che ciò fosse possibile. domani mattina vorrebbero chiudere questa esperienza sperando che nessuno metta più il naso nei loro affari. Noi saremo svegli ad aspettarli, chiunque voglia farci compagnia troverà caffè e cornetto, ci vediamo alle 7.00

Uno stabile che puzza di voti – Degage, nuovo spazio liberato a Roma

Eccoci qui! Ci siamo ripresi uno stabile pubblico al centro di Roma e questo è solo l’inizio! Non è una minaccia, non è una promessa è un AVVISO PUBBLICO: siamo decisi e determinati a riprenderci quello che ci viene rubato direttamente dalle nostre tasche .

Lo stabile, grazie al quale le nostre vite riprenderanno a respirare, è un edificio di proprietà della provincia di Roma attualmente in svendita al migliore offerente. Ma quale miglior offerente se non noi? Abbiamo intenzione di trasformare queste mura in alloggi per 30 studenti e studentesse che sono stufe di elemosinare un alloggio all’università o di pagare cifre salate ai proprietari della città. Questi mattoni, che prenderanno nuova vita e daranno nuove possibilità a chi vive nella precarietà, a chi non dovrà essere più sfruttato in lavori a costo bassissimo a chi potrà continuare gli studi senza sacrifici, nascondono i già noti affari del mattone che speriamo di intralciare con tutte le nostre forze per dire a tutti e a tutte riprendetevi ciò che è vostro! Lo stabile in via Antonio Musa 10, fa parte degli 11 stabili inseriti nel fondo Upside della Bnp Parsap, che una volta venduti potranno essere usati per costruire il palazzone unico della Provincia che sorgerà nella zona di Torrino-Castellaccio. L’ultima creazione della giunta Zingaretti, con il bene placido dell’opposizione, è stata quella di creare un fondo speciale nel quale accumulare i soldi pervenuti dalla vendita di questi 11 immobili, già di proprietà della Provincia stessa, al pro di concentrare gli uffici amministrativi in un unico stabile.  per migliorarne l’efficenza dei servizi e per risparmiare su tutti quegli stabili che sono attualmente in affitto. Il fondo Upside è necessario perchè le banche, che hanno vinto l’opportunità di finanziare la costruzione del nuovo stabile provinciale, hanno già anticipato 260 milioni di euro che verranno recuperati dalla vendita degli immobili tra cui quello di via Antonio Musa n°10. Stiamo parlando di banche “fortunate” come la Bnp e la Finemiro e di aziende come la  “fortunatissima” Parsitalia, di proprietà dei Parnasi, che hanno vinto l’appalto della costruzione! Quegli stessi costruttori che hanno avuto sempre la solita fortuna di gestire altri appalti nella zona Eur, Tor Marancia, Castellaccio e che concorrono alla costruzione dell’ambitissimo stadio della Roma a Tor di Valle. Ma perchè costruire un palazzo della provincia quando la provincia non esiste più? E perchè concentrare in un unico palazzo gli uffici di un ente, che in quanto provinciale, dovrebbe essere distribuito sul territorio? Le direttive della Spending Review sono state colte come nuova opportunità per distribuire ai poteri forti della città altri soldi in cambio di voti. Infatti, dietro la propaganda della razionalizzazione e delle campagne antispreco ci sono loschi affari, ci sono altri sprechi e ci sono i politici, i partiti e i palazzinari che giocano a carte sulle nostre teste. E che si può fare, denunciare la corruzione o peggio eleggere nuovi rappresentanti del mattone? Abbiamo capito da tempo che, nel paese della partitocrazia, andare al voto significa cambiare la faccia di una stessa medaglia e rimanere a guardare vuol dire pagare i costi della crisi. I partiti sono il pilastro del regime democratico e questi modi di agire dietro le quinte non sono nuovi a nessuno. La nostra denuncia non è uno scandalo da prima pagina di giornale, non ci interessa buttare fango su una parte per favorire l’altra.  Siamo in uno stato di completa ingovernabilità e noi vogliamo creare e soprattutto praticare una rottura con chi crea e approfitta della crisi. Non vogliamo portare avanti una rottura di testimonianza contro la corruzione vogliamo essere noi la testimonianza che una strada si può percorrere ed è quella dell’ autorganizzazione autonoma in difesa dei nostri territori, per la riappropriazione delle case, per la lotta contro lo sfruttamento sul lavoro e del lavoro. Oggi studenti, famiglie, migranti, disoccupati o semplicemente uomini e donne che non credono più nelle favole dello stato che ridistribuisce, nello stato del welfare, hanno occupato decine di stabili per ottenere qui e ora una vita migliore. Il mattone che ci siamo ripresi puzza di soldi marci e dato che noi soldi non ne abbiamo e quelli che ci chiedono tramite le tasse se li rubano ce li riprendiamo.

Eccoci qui noi choosy! Noi ci riserviamo una vita migliore. E voi?

 

 

DegageCasaxtutti                                                                                         http://degage.altervista.org

 

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CASA PER TUTTI, TUTTI A CASA!

Oggi, il progetto Degage! ha deciso di occupare uno stabile pubblico abbandonato, che sta per essere svenduto ai privati, per adibirlo a studentato. Nella giornata in cui i movimenti di lotta per la casa hanno occupato contemporaneamente decine di stabili vuoti, vogliamo rimarcare ancora una volta come l’unica soluzione all’emergenza abitativa sia la riappropriazione diretta. Le risposte fornite dalle amministrazioni comunali non sono mai state sufficienti né tantomeno -e volutamente- risolutive; facendo da sempre l’occhiolino ai palazzinari hanno permesso, al ritmo delle colate di cemento, uno smisurato ingrandimento della città e, allo stesso tempo, una speculazione sul costo degli affitti che oramai possono arrivare fino a 500€ per una stanza singola. Nella sola città di Roma, a fronte di un’emergenza abitativa che coinvolge 50.000 famiglie, gli stabili vuoti sono ben 260.000!

Un’ occupazione di studenti non vuole essere corporativa ma dare un’indicazione, un esempio di come, organizzandoci insieme, possiamo migliorare materialmente le nostre condizioni. La riappropriazione diretta, come mezzo e non fine ultimo, è infatti una pratica conflittuale facilmente realizzabile e, soprattutto, riproducibile. Ci auguriamo che di studentati come il nostro ne nascano altri cento! Pensiamo che sia legittimo riappropriarsi di tutto quello che non abbiamo, non ci stiamo a rispettare i canoni del sentire comune che impongono a un giovane di desiderare “ma non troppo”, di non essere “schizzinoso”, facendo così della retorica dei “sacrifici giusti” le catene della nostra generazione. Siamo convinti che solo insieme possiamo liberarci da queste catene!

Se non lo facciamo noi nessuno lo farà per noi, infatti, le risposte che l’istituzione universitaria offre ai suoi iscritti sono a dir poco insufficienti, anzi non fanno altro che aggravare la situazione! A fronte dell’ aumento delle tasse universitarie, gli alloggi e le borse di studio sono elargiti dall’università in base al merito, un merito “all’italiana” che esclude automaticamente chi non ha alle spalle una famiglia che può sostenerlo e gli studenti-lavoratori che, non solo non hanno nessun tipo di agevolazione ma, se fuoricorso, come spesso accade a chi lavora e studia, si vedono le tasse raddoppiate. La gestione mafiosa del nostro ateneo, come confermano le inchieste sul magnifico rettore Frati, è stata volta più al mantenimento del proprio potere e dei propri interessi che alle necessità degli studenti!

Abbiamo imparato che divenire autonomi, costruire la nostra vita e il nostro futuro, significa iniziare a lottare: riprendersi le strade, occupare uno stabile abbandonato o scioperare al lavoro. Sentiamo urgente il bisogno di una risposta concreta ed efficace all’ attacco che subiamo ogni giorno sulla nostra pelle e crediamo che solo riappropriandoci di tempo e reddito, possiamo conquistarci una vita dignitosa.

Mentre noi, sottoposti a ritmi frenetici, cerchiamo ogni giorno di cavarcela in qualche modo, ai piani alti del nostro paese si cerca, con fantasiosi stratagemmi, di uscire dall’empasse dell’impossibilità di costituire un governo, di questa ingovernabilità del paese. Roma, nel suo piccolo non è da meno, con il teatrino delle primarie e le future elezioni. Alla luce di ciò ripetiamo che non saranno il nuovo politico di turno né un rimpasto dell’attuale classe dirigente né tanto meno dieci “saggi” a risolvere la situazione. Vogliamo che se ne vadano tutti a casa, a tutti questi politicanti e ai loro lacchè urliamo Degage!, lo slogan che ha accompagnato la cacciata di Ben Ali in Tunisia. Vogliamo liberarci da questa schiavitù, vogliamo sognare e siamo qui e ora pronti per costruirci un’ipotesi di vita che vada oltre il termine del contratto precario e sappiamo che le uniche strade percorribili sono quelle della riappropriazione e della lotta.

 

ASSEMBLEA PUBBLICA h 17

a seguire aperitivo+djset

Via Antonio Musa, 10 (Piazza Galeno)

 Degage casaxtutti                                                      htttp://degage.altervista.org

Il day-block della logistica

di ANNA CURCIO e GIGI ROGGERO

É iniziato prima dello scoccare della mezzanotte lo sciopero generale dei lavoratori della logistica: depositi e magazzini della Tnt, della Bartolini, dell’Sda, della Dhl e delle altre imprese nelle principali città protagoniste delle lotte degli ultimi anni (Verona, Bologna, Milano, Piacenza) sono stati bloccati a partire dalla sera di giovedì. Al passare delle ore hanno iniziato a prendere corpo i numeri dell’adesione allo sciopero: si arriva al 100% o quasi, i principali poli della logistica per oltre 24 ore sono svuotati del lavoro vivo. Il dato di grande rilievo è che la giornata di mobilitazione è andata ben oltre gli ormai consolidati centri della mobilitazione, arrivando al centro-sud: a Roma, ad esempio, i livelli di partecipazione allo sciopero alla Sda e in altre imprese della logistica sono stati pressoché totali. Ciò permette il rafforzamento dei conflitti dove già c’erano e il loro esordio nei posti in cui finora erano assenti. Lo sciopero del 22 marzo segna quindi un fondamentale salto di qualità nel processo di accumulo di forza ed estensione di questo ciclo di lotte.

Ma il 22M non si è esaurito negli straordinari numeri di adesione allo sciopero. Prima che l’alba facesse capolino, sono cominciati i picchetti e i blocchi dei principali snodi della circolazione delle merci. A Bologna l’interporto viene completamente paralizzato, le file di camion fermi in entrata e in uscita vanno avanti per chilometri. La composizione è quella vista nella vittoriosa lotta all’Ikea e in altre occasioni: al fianco dei facchini ci sono studenti, precari e militanti. Poco prima delle 10 arriva la notizia di una prima violenta carica della polizia ad Anzola, tra Bologna e Modena, per provare a sgomberare i cancelli della Coop Adriatica (sì, non è un caso, il fiore all’occhiello della sinistra e ganglio nevralgico del blocco di potere politico-economico del modello di governo socialista emiliano-romagnolo). Anche qui tutti i lavoratori delle cooperative avevano incrociato le braccia. Il picchetto resiste con determinazione e occupa la via Emilia, arteria centrale della circolazione: intorno a mezzogiorno viene rimpolpato dai partecipanti al blocco dell’interporto, che hanno pienamente raggiunto l’obiettivo. Nel frattempo, a Verona e a Padova vengono bloccate le tangenziali e le strade della zona industriale, a Roma è presidiata la sede dell’Sda, a Torino e Genova ci sono iniziative in imprese specifiche. Nell’area metropolitana di Milano sono tre i concentramenti principali: all’interporto di Carpiano, dove vengono bloccate l’Sda e la Dhl, nella zona strategica di Linate, infine a Settala, dove i lavoratori picchettano due grossi centri della Dhl. Qui il delegato della Cgil prova a sfondare i picchetti per portare dentro i crumiri, l’uno e gli altri vengono cacciati via dai lavoratori. I confederali sono complici dei padroni non solo in senso figurato. A Piacenza, dopo aver nuovamente bloccato il deposito Ikea a partire dalle 6 del mattino, nel pomeriggio si forma un corteo che invade le strade del centro cittadino.

Ma la giornata è lunga. Poco dopo le 14 poliziotti e carabinieri indossano nuovamente caschi, scudi e manganelli per sgomberare il picchetto davanti alla Coop Adriatica e Unilog. Le cariche sono ripetute e violente, lavoratori, studenti e precari resistono e occupano la via Emilia. Cercando di sfuggire alla brutalità poliziesca tre lavoratori vengono investiti da un camion, le loro condizioni sembrano critiche: arriva l’ambulanza, uno viene portato in ospedale, gli altri due vengono soccorsi e restano sdraiati a terra. La strada rimane bloccata. I manganelli tornano a inseguire i corpi dei manifestanti, che mantengono compatto il corteo, raggiungono un parco ai lati della via Emilia e si riuniscono in assemblea.

Le immagini dei poliziotti che scortano i camion carichi di merci sembra una fotografia del capitalismo contemporaneo e della violenza dei processi di accumulazione. Ma queste lotte, innanzitutto, ne indicano i livelli di fragilità e di possibile rottura. La ritualità dello sciopero è definitivamente infranta, questo viene reinventato e torna così a essere un’arma per fare male ai padroni. Anche il simbolico non è più finalmente quello dei media mainstream, ma appartiene alla comunicazione autonoma che – attraverso siti, twitter e social network di movimento – ha creato il tessuto connettivo della giornata di sciopero (l’hashtag #logistica è stato tra i principali “trending topic” in Italia). In molti luoghi lo sciopero va avanti fino al sabato mattina, alcuni lavoratori discutono della possibilità di protrarlo ulteriormente. Dunque, finita con un bilancio eccellente la prova di forza e generalizzazione del 22, il processo continua su nuove basi: oltre la logistica, ripetono tutti, qui vanno trovati i circuiti della ricomposizione. Qualcuno cita gli Iww: forse è solo una suggestione, o semplicemente serve per descrivere alcune caratteristiche (mobilità, eterogeneità, irrappresentabilità) che oggi, nel cuore del capitalismo cognitivo, descrivono la forza lavoro precaria. In ogni caso, le forme organizzative della nuova composizione di classe ora sembrano un po’ meno indecifrabili: un passo in avanti comune lo stiamo facendo, magari proprio verso i wobblies del XXI secolo.

* Pubblicato su “il manifesto”, 23 marzo 2013.

Non abbiamo bisogno di un governo, ma dei soldi che ci spettano #anzituttoredditopertutti

15 marzo si insediano le nuove camere. Non abbiamo bisogno di un governo, vogliamo un reddito per tutti

Tra i 27 Paesi attualmente membri dell’Unione europea la mancanza di un reddito di base è localizzata soltanto in Italia, Grecia ed Ungheria. L’Italia resta al di fuori dei parametri europei continuando a disporre di un lacunoso ed iniquo sistema di ammortizzatori sociali che esclude il variegato universo dei precari e dei soggetti non coperti da nessun sistema di protezione sociale. La crisi e le politiche di austerity adottate dietro il ricatto del debito hanno agito come un dispositivo di “livellamento verso il basso” – facendo regredire garanzie sociali e i diritti acquisiti – seppur con un
intensità diversificata e stratificata, rendendo la precarietà una condizione sociale generalizzata. Le riforme Monti-Fornero hanno ulteriormente flessibilizzato il mercato del lavoro e tagliato i fondi del nostro sistema previdenziale e welferistico. Siamo da poco entrati nel sesto anno consecutivo di crisi e dal punto di vista delle condizioni materiali, stiamo assistendo a forme inedite di povertà. Il costante e drammatico peggioramento degli indicatori sull’occupazionee sulle condizioni economiche (e di indebitamento) dei soggetti e delle famiglie (erogatrici di cassintegrazione di ultima istanza) è inserito in un quadro di recessione globale che non tende ad arrestarsi. Il tasso di disoccupazione reale – non quello delle statistiche ufficiali – è schizzato alle stelle come mai era accaduto negli ultimi decenni. Durante la campagna elettorale la riforma del welfare e la garanzia del reddito sono state al centro della scena mediatica. Il reddito e i variopinti aggettivi per descriverlo sono
diventati mainstream, argomenti portanti utilizzati in maniera trasversale. Le classificazioni riempiono quotidianamente le pagine dei giornali: “minimo”, di “cittadinanza”, di “solidarietà”, di “ultima istanza” fino ad arrivare ad un non ben definito “salario sociale”. Ognuno di questi progetti ha il suo calcolo di spesa più o meno veritiero. Il dato fondamentale emerso è che l’erogazione di un reddito per tutti non è un problema di sostenibilità economica ma di volontà politica. Il susseguirsi di prese di posizione ha circoscritto l’importanza di una legge nazionale per il reddito ad una misura di lotta contro la povertà e l’esclusione sociale. Lo spettro che si aggira dietro le solidaristiche intenzioni di equità sociale sono le nuove politiche di welfare to work (ovvero workfare, welfare condizionale, labourfare) che il nostro Paese sta predisponendo, importandole da altri stati europei. Partiti, sindacati e burocrazie di servizio stanno prestando il fianco a questa operazione.

L’obiettivo non dichiarato è la subordinazione delle politiche sociali alla disponibilità e alla flessibilità del pieno impiego precario. Ma il workfare non ha neppure una ricaduta positiva sulla spesa pubblica. Anzi, è piuttosto costoso, sia sul piano amministrativo sia in generale, dal momento che i posti di lavoro in offerta sono a bassa produttività. Le esigenze principali a cui assolve sono due: il controllo sociale sulla vita dei soggetti e la falsificazione delle statistiche sulla disoccupazione operando una riduzione fittizia, senza creare quindi dei posti di lavoro, ma con il solo risultato di scoraggiare i disoccupati dal richiedere gli assegni assistenziali. Ma non si tratta esclusivamente di redistribuire la ricchezza – il che non sarebbe poco in questo momento, se avvenisse senza il ricatto dell’impiego precario da accettare – ma si tratta di riconoscere – e quindi retribuire – la produzione sociale che avviene ogni giorno. Gli attori protagonisti di questa mobilitazione permanente per il capitale sono i milioni di precari che quotidianamente producono ricchezza. Il reddito di base e incondizionato è il riconoscimento del carattere produttivo della vita sociale indipendentemente dal lavoro, riconoscimento del carattere sociale della produzione.

 Operazione chiarezza! Il decalogo ovvero i 10 punti del reddito che vogliamo:

1.      Per reddito intendiamo un intervento economico universale ed incondizionato, ovvero l’erogazione di una somma monetaria a scadenza regolare e perenne in grado di garantire la riproduzione delle vite singolari. Oltre al reddito diretto si devono garantire i bisogni comuni (formazione, comunicazione, mobilità, socialità, abitare) attraverso forme di reddito indiretto.

2.      Il reddito non è discriminante nei confronti di nessuno, quindi viene erogato a nativi e migranti a prescindere dalla cittadinanza perché concorre a definire la piena cittadinanza sociale e il pieno godimento delle libertà civili.

3.      Il reddito deve essere erogato a tutti i soggetti dal compimento della maggiore età fino al raggiungimento della pensione (che non avranno mai, quindi fino alla conclusione della vita terrena).

4.      Il reddito è un diritto fondamentale della persona (quindi soggettivo) che tutela il diritto ad un’esistenza autonoma, libera e dignitosa, indipendentemente dalla prestazione lavorativa effettuata.

5.      Il reddito è il riconoscimento della produzione sociale permanente. Il reddito indipendente dalla prestazione lavorativa riconosce il concetto di produttività della vita sociale, dà valore al tempo di vita che è oltre il tempo di lavoro.

6.       L’istituzione di un reddito rappresenta un mezzo per lottare contro la precarietà (sociale e) lavorativa e il basso livello di remunerazione (in Italia i salari sono tra i più bassi d’Europa),
evitando che una parte crescente della popolazione – come è avvenuto nei 6 anni di crisi – cada nella “trappola della povertà”. Il reddito fornirebbe ai precari e ai precarizzati il potere di non accettare qualsiasi lavoro e di opporsi alla precarizzazione. Quindi il reddito è un freno alla politica di ribasso del costo del lavoro.

7.      Il reddito non è un sussidio di povertà, quindi non è una forma di salarizzazione della miseria e dell’esclusione sociale.

8.      Il reddito non è un sussidio di disoccupazione.

9.      Il reddito non è vincolato all’accettazione di nessuna offerta formativa e/o lavorativa, di conseguenza non ha un regime sanzionatorio. Ad esempio la proposta di legge di iniziativa popolare per l’istituzione del Reddito Minimo Garantito proposta da una rete di associazioni e partiti di sinistra, ispirata alla legge regionale del Lazio n.4 del 2009 (“Istituzione del reddito minimo garantito. Sostegno al reddito in favore di disoccupati, inoccupati e precariamente occupati) prevede tra le cause di sospensione, esclusione e decadenza della prestazione, il rifiuto di una proposta di lavoro avanzata dal Centro per l’impiego comporta la decadenza del
beneficio, fatta eccezione per l’ipotesi della non congruità della proposta di impiego (art.6 legge regione Lazio n 4/2009). Una sorta di regime sanzionatorio che dovrebbe inserire degli elementi di condizionalità del beneficio o delle indennità godute dal soggetto inserito nei programmi di orientamento, formazione e attivazione, lasciando però in uno stato di indeterminatezza la questione dei doveri in capo alle amministrazioni deputate all’inserimento. Di conseguenza, un’ulteriore perplessità deriva dall’erogazione ancorata alla disponibilità al lavoro, la cosiddetta “congrua offerta” (meccanismo sanzionatorio predisposto dalla Strategia Europa per l’Occupazione) e quindi alla condizionatezza al lavoro precario e intermittente proposto dai centri per l’impiego che, oltre ad essere inadeguati nel realizzare le politiche formative/di orientamento e di inserimento lavorativo, ricevono esclusivamente offerte di lavoro con basse qualifiche professionali. Noi pensiamo che si possano coniugare strumenti universalisti di protezione sociale con politiche di attivazione, senza regime sanzionatorio.

10.     Il reddito non può essere “minimo”, perché è la configurazione di un nuovo diritto ed i diritti non sono né minimi né massimi. Per quanto riguarda l’importo della misura, per noi dovrebbero essere almeno 1000 euro al mese. Occorre riflettere, infatti, sull’evenienza che una prestazione modesta possa comportare un effetto perverso a carico dei lavoratori precariamente occupati: in casi di contrattazione diretta della loro condizione lavorativa un rinvio al reddito come risorsa complementare potrebbe diventare l’escamotage per prospettare un mantenimento dell’occupazione precaria con livelli di retribuzione ridotti. La conseguenza sarebbe l’istituzionalizzazione del ”sotto-occupato” working poor (lavoratore povero) che non riuscirà a vivere con 600 euro al mese e dovrà accettare lavori al nero pur di non perdere il sussidio. Sappiamo bene quanto il lavoro sommerso in Italia sia necessario in quanto camera di compensazione delle tantissime aziende che con la crisi avrebbero chiuso.

#anzituttoredditopertutti

Ben scavato, vecchio Hobo! nuova occupazione a Bologna

Lavoratore nomade e migrante, continuamente in movimento e irriducibile alla disciplina di fabbrica: ecco chi era Hobo all’inizio del Novecento. Ed ecco che Hobo rinasce nel cuore del capitalismo cognitivo: la mobilità è il suo tratto costitutivo, la fabbrica è quella dei saperi. Hobo non si vuole piegare, costruisce linee di fuga, produce in comune le proprie forme di vita. Hobo non ha carta di identità perché ha tanti volti ed è sempre giovane. Hobo è studentessa e precario, disoccupato e attivissima, povera di potere e ricco di potenza. Hobo è lavoratore di #IkeaInLotta e militante di Occupy, insorge in Tunisia ed Egitto e resiste alle politiche di austerity in Grecia. Hobo rifiuta la guerra perché vive di lotta. Hobo è No Tav e per la riappropriazione del reddito, perché la crisi e il debito non li vuole pagare e si organizza per farli pagare a chi li ha imposti.
Hobo infatti non è inorganizzabile: è così solo per i partiti
che cercano di rappresentarlo. Hobo è sprezzantemente estraneo alle elezioni perché è ingovernabile ed è troppo impegnato a organizzarsi con i molti. Hobo non ha nostalgia dell’università pubblica, perché sta costruendo la propria università e le proprie istituzioni autonome. Hobo non si fa catturare dalle discipline accademiche, perché pratica l’inchiesta militante e la conricerca. Hobo coopera con il compagno Dracula, morde i baroni e ha sete di vita. Dopo che anche i papi hanno abdicato, proclama che ogni re-ttore può perdere la testa. Hobo non ha Patria e non ha Dio(nigi): meglio Donatella. Hobo odia la puzza di morte del feudalesimo aziendale perché è il sapere vivo.
Oggi Hobo si è ripreso una piccola parte di ciò che le appartiene e ha aperto un laboratorio dei saperi comuni. La riempirà di iniziative di autoformazione e discussione, di socialità e reti di comunicazione, di libera circolazione delle conoscenze e delle lotte. La riempirà di autonomia, gioia e cooperazione. Hobo è uno spazio aperto e costituente, è singolare e collettivo, è fuga e dentro e contro. Hobo è uno stile della militanza. Ecco perché Hobo è nomade: perché non ci prenderete mai.
Vieni a trovare Hobo, divieni anche tu Hobo nel Laboratorio dei Saperi Comuni Giardini di Via Filiipo Re
H. 12.30: Conferenza stampa H. 16.30: Assemblea aperta
Prossimi appuntamenti…
mart 19
– h12.30 Conferenza stampa; – h16.30 Assemblea di presentazione
merc 20 – h17.00: Commonware, percorso di autoformazione: Stili della militanza. Dal movimento operaio a Occupy,
1° incontro con Sandro Mezzadra e Adelino Zanini.
giov 21 – h16.30: Pomeriggio di comuncazione No Tav in
prepaparazione della presentazione A sarà düra! (zamboni 38 h18)
ven 22 – h18.00: Dentro e contro l’università della crisi:
riapriamo il dibattito.
sab 23 – h15.00:
Verso lo sciopero del settore merci e logistica: assemblea con studenti precari e lavoratori in lotta.
dom 24 – h17.00:
Politica e soggettività femminili: l’attualità di Carla Lonzi con Vincenza Perilli e Giovanna Zapperi.
lun 25 – h19.00: Vota Django.
mart 26 – h18.00:
Avete pagato caro non avete pagato tutto.
Presentazione di Rosso (DeriveApprodi 2007), con Valerio Guzzardi e Tommaso De Lorenzis.
merc 27 – h18.00:
Presentazione di Diritto del comune (ombre corte 2012) sarà presente il curatore Sandro Chignola.
giov 28 – h18.00:
Sì, sono paranoico: ma lo sono abbastanza?
Controllo, dipendenza, spettacolo, tennis, televisione e altre cose più o meno divertenti secondo David Foster Wallace, a cura di Girolamo De Michele.
ven 1 – h18.00:
Dégagé. Insorgenze e controrivoluzione in Egitto e Tunisa, con Paolo Gerbaudo e Fulvio Massarelli

Ciao Antò, oggi brindiamo alla vita!

 Ciao Antò, oggi brindiamo alla vita!

 

Antonio Salerno Piccinino è nato il 17 Dicembre 1977 all’ospedale
Fate Bene Fratelli di Napoli. Sua madre è Franca Salerno e suo padre è

Raffaele Piccinino. Dopo pochi giorni dalla nascita Antonio entra con
la madre a  Badu ’e Carros, il carcere speciale di Nuoro. Antonio i
primi tre anni di vita li passa in carcere, rompendo il silenzio
pneumatico e creando calore in quell’istituzione totale che si chiama
carcere speciale utilizzata dallo Stato per portare avanti la sua
guerra. Ma non è soltanto questa la sua storia. Antonio è forza viva,
energia sonora, lotta per la libertà. Oggi il 17 dicembre del 2012
avrebbe compiuto 35 anni, ma la sua vita è stata interrotta dalla
violenza della precarietà.
“Di lavoro si muore perché di precarietà si vive”  abbiamo scritto sui

muri di Roma quel maledetto 17 gennaio del 2006. Quel lavoro che ogni
giorno produce morte, malattie, ricatti, sfruttamento. Migliaia di

omicidi ogni anno vengo prodotti nella giungla del mercato del lavoro
in Italia, un lavoro che non è, non sarà mai un bene comune.
Sabato 15 dicembre una grande manifestazione ha percorso le strade di

Taranto contro il ricatto del lavoro che produce devastazione
ambientale e gravissimi danni alla salute. Al comitato cittadini
liberi e pensanti va il nostro più grande abbraccio e sostegno. Ci
accomuna il dolore e la rabbia che continuiamo a provare, ma soprattutto

la voglia di lottare per difendere la vita, la nostra nuda vita.
Antonio è un compagno del laboratorio Acrobax e nel nostro decimo
anniversario non smettiamo di credere che in ogni attimo di libertà
strappato lui è stato al nostro fianco.

Ciao Antonio, fratello e compagno!
Oggi brindiamo alla vita.

Con Antonio e Franca nel cuore!

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Ci riprendiamo tutto!

Il  giorno più freddo di questo inverno si è trasformato per i movimenti per il diritto all’abitare in una calda giornata di lotta e resistenza. Questa mattina davanti alle occupazioni di Ponte dei Nona, Torre vecchia, Anagnina, Viale delle Province abbiamo trovato un grande dispiegamento di forze dell’ordine  che annunciavano gli imminenti sgomberi. Anche davanti Alexis si sono presentate diverse volanti della polizia con la chiara intenzione di intimidire e bloccare quanti si stavano radunando, e di impedire lo spostamento a chi stava portando la propria solidarietà verso le occupazioni più a rischio.
In questo momento  alcune delle occupazioni di Ponte di Nona sono in corso di sgombero mentre altre si stanno barricando e preparando alla difesa degli spazi. La risposta della giunta in crisi ancora una volta è quella di affrontare con l’ordine pubblico il problema sempre più grave dell’emergenza abitativa di Roma. Esprimiamo il massimo del sostegno e solidarietà ai nuclei familiari sgomberati e continueremo la resistenza qui e per le strade della città.

Alexis resistente!
Studentato e casa dei precari

#6D a Roma: non ci bastano i palazzi del potere

Se il 14N aveva consegnato un punto di domanda: è possibile immaginare
obbiettivi diversi dai periferici palazzi del potere?, il 6D ci lascia una
parziale ma importante risposta.

Gli studenti medi, con l’occupazione simbolica di via Induno a Trastevere,
hanno dato importanza alla pratica della riappropriazione. Sperimentata nelle
scuole occupate e agita nei territori, come nel caso del Cinema America, la
riappropriazione degli spazi ha dato modo di comprendere la potenza della
relazione nel tempo della crisi. La stessa gioventù lidense di Ostia si è
nutrita in questa simile dimensione.

I movimenti romani per il diritto all’abitare hanno poi costruito un
ulteriore passaggio di qualità, dando un tetto a circa 3000 persone, colpendo
direttamente la rendita e chi vuole procedere con la svendita del patrimonio
pubblico. Da Ponte di Nona a Torrevecchia, da Prenestino ad Anagnina, fino al
quartiere San Paolo dove nasce lo studentato”Alexis Occupato”.

Nel #6D il rapporto centro-periferia è saltato nel migliore dei modi. Un
moltiplicarsi di luoghi dove pianificare nuove forme di attacco. Non
“assaltando” i palazzi del potere si è lasciato spazio alla possibilità di
costruire nuove istituzioni autonome che si contrappongano alla metropoli della
rendita. I germi della ribellione si piantano proprio in quelle disgregate
dimensioni di quartiere dove sono possibili nuove relazioni antagoniste.

Tornare nei territori quindi non vuol dire chiudersi nel mutismo per assenza
di prospettiva politica. Vuol dire piuttosto osservare meglio le contraddizioni
e le ambivalenze del rapporto centro-periferia, imparando ad agire in una
dimensione spaziale nuova che richiede maggiore capacità di radicamento.

Tornare nei territori vuol dire costruire nuove istituzioni autonome che
rendano obsolete le istituzioni che governano a colpi di austerity. Tornare nei
territori vuol dire evitare di essere ceto politico e sporcarsi le mani tra
l’autonomia possibile e la barbarie che avanza.

E’ possibile quindi immaginare obbiettivi diversi dai palazzi del potere
soltanto se, uscendo dalla dimensione centro-periferia, ci accorgiamo che
l’unico conflitto possibile è nella costruzione, nella relazione e nella
riappropriazione. L’attacco del capitale e dello stato sarà una conseguenza di
questo nostro lavoro, come ci insegna la Val di Susa.

E se per una giornata non si finisce sui giornali poco importa. Non sarà
certo qualche intervista in televisione a dare forma ad un movimento
generalizzato contro le misure di austerity.

da www.infoaut.org

 

“Strategie contro l’austerity: reddito di base e incondizionato per tutti” Video-intervista a Guy Standing

Pubblichiamo una video-intervista a Guy Standing membro fondatore e co-presidente del Basic Income Earth Network (Bien), autore del libro“The Precariat. The new Dangerous Class“. L’intervento  è stato realizzato nell’ambito dell’iniziativa organizzata dal C.s.o.a. Officina99 & dal Lab.Occ. SKa a Napoli presso l’Istituto Universitario Orientale.

 

 

 

 

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