Join the rebel: QUESTO NON E’ CHE L’INIZIO

Mentre dal resto d’Europa riceviamo, ormai da qualche mese, cartoline
che ampiamente dimostrano quali siano, nell’attuale contesto di
austerity, le uniche e vincenti forme di organizzazione del conflitto,
ieri tutto il territorio nazionale  è stato finalmente pervaso da parte
di quel protagonismo e attivazione sociale necessario per dimostrare che la soluzione alla crisi è ben lontano dalla compatibilità e dal biopotere della ormai decadente rappresentanza politica.

Ieri abbiamo avuto la dimostrazione che forme di sinergia possibili sono praticabili anche nel nostro paese. A partire da quei soggetti che innervano il mondo diffuso della precarietà giovanile che nella formazione scolastica toccano con mano le politiche di austerity. La crescita collettiva e la messa in condivisione di nuovi dispositivi autobiografici, capaci di narrare una lecita rabbia si è trasformato in un corteo partecipato, denso, consapevole, del precariato metropolitano che attraversando le strade del centro di Roma si è ripreso solo una piccola ma significativa parte, di quello che gli spetta, che spetta anche a tutte e tutti noi.

Dal nodo redazionale di indipendenti decidiamo diffondere il comunicato
degli studenti medi, con la speranza che la riproducibilità delle lotte
inizino ad estendersi anche in questo pezzo di euruolandia, rilanciando la data del 13 ottobre a piazza S. Maria in Trastevere per un’assemblea pubblica che guardi con intelligenza e dignità alla implementazione di reali possibilità di cambiamento e trasformazione.

Join the rebel

Oggi 5.10.12 la città di Roma è stata invasa dagli studenti dell’Assemblea Cittadina dei licei romani.
Questa data è nata dall’assemblea in Val di Susa, convocata dalla rete nazionale studaut, dove gli studenti di tutta l’Italia hanno sentito l’esigenza di scendere in piazza, per esprimere un’opposizione sociale reale al governo Monti e alle politiche di austerity che stanno sempre più strette a tutta la cittadinanza. Le istituzioni sottolineano continuamente la mancanza di fondi per l’istruzione mentre   lo stato spende 500 milioni per cacciabombardieri e 2 cm di Tav corrispondono a una borsa di studio universitaria, legittimando queste scelte come tecniche e non politiche.
In un quadro di drammatica trasformazione politica, la scuola rimane ancora una volta un luogo di costruzione e progettazione, opposizione e conflitto.
Gli studenti infatti contrastano le politiche di questo sistema scolastico e se ne riappropriano dall’interno vivendo le proprie scuole e creando dal basso controcultura attraverso cineforum, mercatini di libri a prezzi popolari, ecc… per dare una risposta concreta alla crisi, producendo momenti di riflessione e conflitto.
Queste iniziative si oppongono al progetto di scuola-azienda che questo governo, come il precendente, vuole realizzare attraverso il DDL Aprea e i test Invalsi, che mirano esclusivamente ad un’appiattimento culturale generale e alla costruzione di una scuola che premi il merito e ignori i problemi.

Il tentativo della questura di Roma, oggi,è stato quello di impedire che gli studenti raggiungessero  il centro storico per manifestare la loro rabbia davanti ai palazzi del potere, opponendosi fisicamente, con uno sproporzionato impiego delle forze “dell’ordine”, al regolare svolgimento del corteo.
Nonostante ciò, gli studenti non si sono arresi e fino all’ultimo hanno portato in piazza la loro determinazione. I manifestanti infatti, estenuati da una pessima gestione della piazza da parte della questura, che aveva il palese intento di emarginare e minimizzare la protesta, hanno tentato di riappropriarsi ancora una volta delle proprie strade. Nei pressi di Porta Portese, i soggetti che giorno dopo giorno militarizzano la nostra città hanno risposto all’iniziativa degli studenti non con semplici cariche di alleggerimento, inadeguate soprattutto contro un corteo costituito prevalentemente da minorenni, ma peggio,  con una vera e propria esplosione di violenza verso gli studenti, minacciando, picchiando, manganellando,  arrivando addirittura ad arrestare un quindicenne estraneo ai fatti,  trascinandolo per terra.
Dopo lo scontro e dopo essersi assicurati dell’imminente rilascio del ragazzo, il corteo non si è comunque arrestato ed ha ripreso il percorso fino a Piramide, dove al momento dello scioglimento ha pubblicamente denunciato la gravità dei fatti avvenuti in precedenza.

Gli studenti oggi non si sono fatti intimorire dalla gestione tirannica, del sindaco Alemanno, della città, ma anzi hanno avuto la dimostrazione del fatto che l’unica risposta che il governo e le istituzioni sanno dare è di tipo poliziesco e militare.

LA VOSTRA REPRESSIONE NON FERMERA’ LA NOSTRA VOGLIA DI LOTTARE, QUESTO NON E’ CHE L’INIZIO

Studenti Medi in Mobilitazione

http://www.youtube.com/watch?feature=player_embedded&v=296hrGT9Tjw

NO ALLA VENDITA DEL PATRIMONIO PUBBLICO 1.10.12 Manifestazione a Roma

NO ALLA
VENDITA DEL PATRIMONIO PUBBLICO

LUNEDì 1 OTTOBRE

ORE 13.30
CONFERENZA STAMPA
ORE 15.30 MANIFESTAZIONE IN
CAMPIDOGLIO

Il 1 ottobre sarà una giornata decisiva per il destino di Roma. In questa giornata,
infatti, il Campidoglio è chiamato a votare la delibera sulla vendita del
patrimonio pubblico: una lunga lista di beni comuni che rischiano di essere
sottratti alla collettività per essere (s)venduti al miglior offerente o a chi –
sull’onda lunga delle tante «parentopoli» romane – avrà meglio saputo
intrallazzare con i nostri amministratori.

manifestazione in campidoglioPurtroppo sia la maggioranza che l’opposizione sono convinte che
cedere il patrimonio comunale sia inevitabile per far fronte al disavanzo delle
casse romane, devastate dal malaffare e dal nepotismo. Invece si tratta di
un’idea inaccettabile, un insulto per tutti i cittadini e l’ennesimo regalo ai
«signori del mattone».

Con le
mille persone salite al Campidoglio giovedì 27 Settembre, i MOVIMENTI PER IL
DIRITTO ALL’ABITARE hanno già fatto sentire la loro voce, esprimendo il dissenso
nei confronti della giunta Alemanno e ottenendo un incontro con l’assessore al
Patrimonio e la maggioranza, fissato per LUNEDI 1 OTTOBRE alle 12, mentre alle
16, in aula, inizierà la discussione, con l’obbiettivo dichiarato di una veloce
approvazione di un provvedimento assolutamente antipopolare.

I
MOVIMENTI PER IL DIRITTO ALL’ABITARE si mobiliteranno ancora, sia per opporsi
con tutte le loro forze alla vendita incontrollata dei «gioielli di famiglia»,
sia perché – come confermato da un incontro con i rappresentanti
dell’opposizione, ottenuto giovedì scorso grazie alla pressione della piazza –
la novità di un fondo per l’edilizia residenziale pubblica da prevedere nel
bilancio deve assolutamente diventare realtà. Solo una simile voce, infatti,
potrebbe dare finalmente sostanza alle 6000 case popolari che, da marzo 2010,
esistono soltanto sulla carta di una delibera approvata dal consiglio comunale.
Perché non bisogna dimenticare che, con questi investimenti, si potrebbe tornare
a parlare di alloggi pubblici e di sostegno alle iniziative di autorecupero:
necessità vitali per una città sul quale aleggia minaccioso lo spettro della
perdita della casa per quote sempre più ampie della sua popolazione.

Siamo solo
all’inizio di un processo difficile, condizionato da una  campagna elettorale
alle porte. Dobbiamo strappare dentro il bilancio che sta per essere approvato
le risorse necessarie per finanziare politiche abitative degne di questo nome.
Per questa ragione i MOVIMENTI PER IL DIRITTO ALL’ABITARE torneranno in
Campidoglio LUNEDì 1 OTTOBRE ALLE
15.30 per manifestare i bisogni autentici di una Roma devastata dal cemento e
dalla precarietà.

Movimenti per il diritto all’abitare

Contro crisi e austerità riprendiamoci scuole e città

Questi ultimi mesi sono stati caratterizzati dall’avvento del governo Monti e dei suoi tecnici, che di fatto si è posto su una linea di continuità nell’ottica di applicare le politiche di austerity dettate dalla finanza internazionale.
In un quadro di trasformazione politica, in cui nei fatti l’iniziale fiducia nei confronti del governo Monti è completamente svanita e la crisi si fa sempre più sentire sulle spalle della gente, la scuola ancora una volta resta luogo di costruzione e progettazione, di opposizione e conflitto, contro un sistema economico e sociale che tenta di riprodursi a scapito di chi già sta pagando questa crisi.

La scuola, infatti con il carattere di comunità che l’accompagna, spaventa chi come il ministro Profumo mira a mettere in atto l’ennesima riforma per garantire privilegi ai soliti.
Con la parola d’ordine “meritocrazia” si vuole nascondere di fatti un progetto che ha come obbiettivo quello di far accedere ad un’istruzione di qualità soltanto chi dispone di un certo livello di reddito, al fine di preservare una società giá soggiogata dalle logiche di mercato, nella quale non c’e spazio per la libera scelta.
Molti aspetti sono in continua evoluzione e nel corso dell’estate molti scenari politici si sono definiti, ma la nostra opposizione a questo governo e a questo sistema di sviluppo resta forte e determinata. In quest’ ottica lanciamo la prima data di mobilitazione studentesca nazionale venerdì 5 ottobre.★Studenti Medi in Mobilitazione ★

s/Montiamo l’Università!

Chi semina precarietà raccoglie rabbia e tempesta.

Noi vogliamo vivere

Veniamo a conoscenza in questi giorni che Mario Monti, Ignazio Visco (governatore della Banca d’Italia) insieme ad altri nomi, di secondo piano ma ugualmente allineati, arriveranno a Roma Tre, nella facoltà di scienze politiche, per partecipare al convegno di 5 giorni della Società italiana di scienze politiche.
Ma sono i contenuti che assomigliano a una sberleffo se non ad una provocazione.
Leggiamo infatti che Monti parteciperà come relatore sul tema: “ripensare la politica per governare l’economia” e nello stessa giornata insieme a Visco si discuterà di “crisi della politica: partiti, rappresentanza e democrazia”.
Proprio loro, che rappresentano la sospensione definitva della democrazia in Italia, a favore degli interessi unici dei mercati finanziari e delle lobby di potere che rappresentano.

Nell’attuale fase di commissariamento del nostro governo e nella crisi della rappresentanza politica il problema non è ristabilire il primato della politica (partiti)  sull’economia (mercati). Il problema è la messa in discussione radicale delle scelte di economia politica che vengono attuate in diversi paesi europei (Grecia, Spagna, Italia), dove al ripetersi di manovre finanziarie di austeruty, si realizzano misure di  precarizzazione ulteriore del  mercato del lavoro, si attuano licenziamenti di massa, si privatizzano i servizi pubblici, si taglia la spesa sociale e gli investimenti in istruzione,  universita e ricerca. Altro che governi di professori o  governi tecnici si tratta di tecniche di governo autoritarie che attentano quotidianamente alla vita di milioni di soggetti precarizzati e impoveriti dalle politiche di austerity.

Inutile dire quanto queste iniziative siano un continuo sprecare e riciclare soldi dove (come sempre) non ci sarà la partecipazione di alcuni se non dei diretti interessati, professori e professorini, baroni o baroncini, sempre pronti alla difesa corporativa dei propri interessi.
Ricordiamo, con l’occasione, a lor signori (e signore) quanto quella fabbrica postfordista del sapere di nome “Roma Tre” impone ai suoi studenti forgiandoli nella e per la precarietà; quanto sia simbolo di quella concezione privatistica del sapere, assumendo a pieno tutte le misure e le caratteristiche delle riforme degli ultimi vent’anni; sintetizza a pieno quell’università/azienda che, come una grande company della conoscenza, si misura anche con le speculazioni immobiliari, contribuendo alla distruzione del territorio, alla chiusura degli spazi e delle case occupate.
per chi è questa università?
per chi è possibile questo accesso al sapere?
per chi fanno questi convegni?

Da una lato abbiamo un modello di università e di gestione dei saperi sempre più preoccupante, dove la spending review sancisce una differenziazione di classe vera e propria su principi di merito, in una condizione sociale dove di tutto si può parlare, tranne che di pari opportunità.
Dove si dichiara guerra alla figura sempre più diffusa dello studente/lavoratore che, spesso fuori corso, pagherà dentro l’università i costi sociali della crisi e dei tagli annunciati.
Un’università in linea con la società, dove manca qualsiasi sistema di welfare che non sia la famiglia.
Del resto in Italia siamo rimasti i soli all’interno della comunità europea insieme alla Grecia a non avere nemmeno uno straccio di sostegno al reddito.
Il Presidente del consiglio e il suo governo, che si presenta come tecnico, non è che l’espressione politica raffinata del neoliberismo, che cerca di tener vivo il mostro capitalista quando, ormai, è evidente che la crisi economica sistemica, verticale ed epocale che stiamo attraversando è stata prodotta da quello stesso modello.

Siamo studenti precari, che devono accettare lo sfruttamento quotidiano per arrancare, provare ad andare avanti, anche solo per pagarsi gli studi. Siamo gli occupanti di casa, siamo disoccupati, precari e precarizzati, abitanti di questo territorio e non permetteremo che tutto ciò avvenga nel silenzio, che un affronto del genere passi inosservato
Siamo a volte indecifrabili agli occhi di governanti, sociologi e opinionisti. Ma sia chiaro che la fase dell’autocommiserazione è terminata, siamo sicuramente stanche e stanchi della precarietà, ma arrabbiati  e ovunque sfruttati, rivendichiamo di essere soprattutto vivi.

Lanciamo questo appello a tutte e a tutti perchè crediamo che questo convegno non sia un affronto solo a chi vive i nostri  territori (nello specifico San Paolo, quartiere resistente da sempre) ma tutta la metropoli di roma.
Non sappiamo questo autunno cosa accadrà e quali spazi di libertà riusciremo a strappare, ma sappiamo che sarà un anno difficile a Roma,come nel resto di Italia.
Come molti movimenti in giro per il mondo, che hanno già cominciato ad affermare le istanze del comune e del desiderio collettivo, vogliamo riprenderci le strade dell’alterità per costruire, qui ed ora, in questo mondo, l’alternativa come concreta e necessaria utopia, a partire da noi e dai nostri diritti, bi/sogni, desideri.

Il passato conoscilo, il presente vivilo, il futuro senza la lotta dimenticalo!

Giovedì 7    ore 19  assemblea cittadina! Facoltà di Sociologia della Sapienza
Martedì 11  ore 18  assemblea degli studenti, delle realtà cittadine e del territorio! Sc.politiche RM3
Giovedì 13  ore 9    s-Montiamo l’Università

s/Montiamo l’Università!

 

Se rimani neutrale nelle ingiustizie, hai scelto di stare dalla parte dell’oppressore. # Anonymous

Il nodo redazionale indipendenti.eu ritiene fondamentale l’op. #Italy e #OperationGreenRights (svolta ad Agosto 2012 e pubblicata sul sito: http://anon-news.blogspot.it/), perché ha prodotto un livello di trasparenza e controinformazione in merito alla devastazione e contaminazione ambientale realizzata dall’ILVA GROUP sulla vita di migliaia di persone nella città di Taranto.

Per continuare a dare il massimo sostegno e contributo alle lotte del Comitato cittadini e lavoratori liberi e pensanti, pubblichiamo, diffondiamo e re-interpretiamo i risultati dei dati estratti dai database dell’ILVA.

 

 

#Italy e #OperationGreenRights hanno dimostrato che l’ILVA di Taranto supera i limiti permessi dalle leggi in materia di sostanze inquinanti emesse

Anonymous è penetrato nel server dell’Ilva di Taranto, ha estrapolato i valori degli inquinanti riportati nei database dell’ILVA e del Gruppo Riva  (www.ilvataranto.com e www.rivagroup.com) ed ha dimostrato che nel mese di Maggio i valori di furano (conosciuto chimicamente come furfurano o ossido di divinilene, un pericoloso contaminante ambientale) immesso nell’atmosfera siano usciti dai limiti di legge.

Il furano (C4H4O) e’ un composto organico inquinante che persiste nell’ambiente e che si trasforma in condizioni ambientali naturali (decade naturalmente) in policlorodibenzofurani (PCDF), un composto associato alle diossine (policlorodibenzodiossine, PCDD). Il furano e’ volatile a temperatura ambiente e le concentrazioni rilevate nelle prossimità dell’ILVA sono comparabili a quelle di un disastro ambientale. Tale composto non solo e’ cancerogeno, ma puo’ anche causare sindromi respiratorie croniche, disordini immunologici atipici e neoplasie. Il furano e’ inoltre anche un teratogeno ovvero può causare di malformazioni fetali.

I dati di Anonymous pubblicati su: http://pastebin.com/RrcF5RqW mostrano come questo composto sia prodotto al di sopra del limite. Tali dati sono suddivisi per valvola (di scarico). Ogni valvola è distinta con un codice, ad esempio, CK2SO2 giornaliero – il che dovrebbe indicare il tipo di furano monitorato (una a base SO2, biossido di zolfo) e la frequenza, sebbene i controlli in alcuni casi siano mensili. Anonymous ha presentato diversi valori che mostrano una generale tendenza in crescita di alcuni contaminanti.

Riportiamo una nostra elaborazione grafica (indipendenti.eu)di una delle tabelle pubblicate da Anonymous che corrisponde a quello della valvola CK2SO2. Il grafico mostra la prima rilevazione il giorno 15 Maggio 2012, con il limite massimo posto a 640 ng/m3. Il 31 Maggio il valore massimo degli inquinanti viene innalzato a 800 ng/m3.  Qui sorge la prima domanda: come è possibile che un valore limite  fissato per legge possa essere arbitrariamente cambiato? Poiché non ci sono prove che la legislazione al riguardo sia stata cambiata, l’aumento di produzione di questa sostanza e’ illegale. Si può altresì notare che il 31 Maggio 2012, quando il limite massimo di furano rilasciabile era già stato portato arbitrariamente a 800 ng/m3, il valore dell’inquinate supera i 640 ng/m3 dimostrando come L’llva, abbia manipolato i dati in modo da rendere l’emissioni di questa sostanza all’interno dei limiti previsti dalla legge.

I limiti di legge sono stabiliti dalla Legge Regionale della Puglia del19 Dicembre 2008 (firmata da Vendola) la quale riporta, per quanto ci  interessa, i limiti dei gas di scarico (somma di PCDD e PCDF 0,4 nanogrammi  TEQ su metro cubo (ng TEQ/Nm3), soglia limite in vigore dal 31 dicembre  2010). Per quanto riguarda i fattori di equivalenza per le dibenzodiossine e i dibenzofurani la concentrazione TEQ va calcolata mediante  i fattori di equivalenza tossica riportati al punto 4 dell’allegato 1  del decreto legislativo 11 maggio 2005, n. 133 (Diossine e furani (PCDD +  PCDF) 0,1 ng/m3, idrocarburi policiclici aromatici (IPA)  0,01 mg/m3)

Da qui è possibile scaricare in formato .pdf l’allegato n.1 del Decreto legislativo 11 Maggio 2005, n. 133 riguardante le emissioni:  http://www.camera.it/parlam/leggi/deleghe/05133dl.pdf

(*) I valori limite di emissione si riferiscono alla concentrazione totale di diossine e furani, calcolata come concentrazione “tossica equivalente. Nel link riportato ci sono tutti i valori limite delle  singole sostanze prima della somma.

 

Di seguito i comunicati stampa di Anonymous pubblicati su:

http://pastebin.com/jzBzzpNV

 

COMUNICATO STAMPA UFFICIALE

A seguito delle nostre ricerche, emerge che i grafici dei valori delle polveri emesse dall’impianto dell’ILVA sono stati manipolati. Ancora una volta, gli interessi economici e l’avidità di padroni e istituzioni relegano in secondo piano i diritti umani e la questione ambientale. In nome del profitto, la menzogna e l’inganno diventano routine.
Nella maggioranza dei casi, i valori riportati rimangono molto al di sotto della soglia legale ma la variazione è minima. In altre parole, rilevazioni compiute a settimane di distanza l’una dall’altra e in condizioni atmosferiche differenti non presentano variazioni significative degli agenti inquinanti. Ciò chiaramente induce a pensare a una manipolazione dei rilevamenti effettuati.
Nel caso della valvola CK2NO2, invece, vediamo che la rilevazione della concentrazione ambientale di contaminanti sale di giorno in giorno fino ad arrivare a quota 561.3 il 31 di Maggio 2012. Il limite è fissato a 600. I dati estrapolati mostrano inoltre come l’Ilva abbia deliberatamente aumentato il valore della soglia di tolleranza iniziale, che passa da 640 a 800. L’andamento dei dati rende plausibile analoghi incrementi delle emissioni dell’inquinante anche nei mesi successivi (superando, in data attuale, i valori limite di molti punti).
A tal proposito segnaliamo che Ilva ha cancellato dal proprio database la cronologia dei rilasci di contaminanti (furfurani) rilevati dalla valvola CK2SO2 a giugno. Tutto ciò costituisce un indizio del fatto che Ilva ha deliberatamente cancellato dai database dati compromettenti. Possiamo quindi affermare non solo che l’Ilva ha avvelenato i lavoratori e i cittadini di Taranto ma persino che ha anche agito in modo tale da nascondere la verità a spese della salute pubblica e dell’ambiente. Le valvole in questione servono a misurare la concentrazione di diossine, in particolare del furano.
Il furano o furfurano (anche conosciuto come ossido di divinilene) è un contaminate organico ambientale persistente che decade naturalmente in benzofurani policlorurati, i quali sono associati alle diossine. Già allo stato naturale, il furano è volatile a temperatura ambiente e le concentrazioni rilevate sono comparabili a quelle rilevabili in caso di disastro ambientale. L’azione del furano non è solo cancerogena: la sola concentrazione del prodotto volatile basta ad incrementare di una percentuale considerevole il manifestarsi di malattie pneumologiche croniche, disordini immunologici atipici e persino malattie neoplastiche, ma è anche teratogena, ovvero causa problemi fetali.
Invitiamo i lavoratori dell’Ilva a riflettere sui rischi del furano che mette a rischio il futuro dei loro figli oltre che di loro stessi; l’alterazione del genoma può dare origine a deformità, malattie immunologicamente congenite e persino aumentare la probabilità di malattie neoplastiche nei nascituri.
Lottare per difendere non solo il posto di lavoro ma anche la propria salute è un diritto e un dovere allo stesso tempo. Chi ricatta i propri dipendenti obbligandoli a scegliere tra salario o malattia è solo un deplorevole profittatore accecato dal denaro. Continueremo a scagliarci contro i fautori dell’inganno e dell’estorsione e reclamiamo a gran voce, insieme ai lavoratori, il diritto di ogni persona a poter svolgere il proprio lavoro nel rispetto dei diritti.

 

COMUNICATO STAMPA PRECEDENTE 8/8/2012

Oggi, quando entrerete in fabbrica, saranno le 8 del mattino, ma quando ne uscirete sarà già buio. Per voi la luce del sole, oggi, non splenderà (dal film “La classe operaia va in paradiso”)
La spietata logica del profitto non ci lascia scelta, se vogliamo vivere dobbiamo lavorare. Questo non solo è inumano, ma nessuno può chiederci di morire per la nostra sopravvivenza. Nessuno può utilizzare una persona come pedina per far pressione sulla politica al fine di incrementare il profitto. Lo sappiamo, e lo sapete, acciaierie come l’Ilva provocano malattie terribili.
Guardiamoci attorno: le amministrazioni provinciali e regionali hanno abbandonato Taranto; stanno trasformando la città in una discarica a cielo aperto. In pochi anni sono stati costruiti 4 inceneratori. Che futuro possiamo avere in queste condizioni?
OPERAIO!
Nessuno è moralmente autorizzato a chiederti di sacrificare la tua vita, tantomeno tua moglie o i tuoi figli. Nessun ideale o bisogno materiale vale la tua esistenza. Opeai, occupiamo la fabbrica e sabotiamo ogni impianto.
L ‘Ilva di Taranto non è altro che un lager che devasta l’ambiente e laclede il diritto alla vita. Non abbiamo bisogno del loro acciaio!
Costringere un uomo a scegliere tra lo stipendio e la salute è non solo un deplorevole ricatto ma anche una gravissima infrazione del diritto di ogni persona a poter esercitare un mestiere nel rispetto delle normative vigenti (in materia di sicurezza sul lavoro e protezione ambientale). Ci sentiamo offesi innanzitutto come esseri umani perché numerosi lavoratori rischiano la vita ogni giorno, avvelenati dall’alta tossicità di quei luoghi, per portare a casa un misero salario. Siamo fortemente indignati anche come Cittadini: questa fabbrica non si preoccupa minimamente dei suoi dipendenti, trattandoli come merce di scambio facilmente sostituibile.
Come si evince dal cosiddetto ‘Codice Etico’ dell’azienda, la tutela sanitaria non solo è un diritto ma anche una priorità innegabile, un diritto inviolabile. Ecco alcuni passaggi tratti dal Codice Etico della fabbrica dell’Ilva (http://www.rivagroup.com/download/ita/ILVA_CodiceEtico.pdf):
2.1 DIGNITA’, SALUTE, SICUREZZA E PARI OPPORTUNITA’ SUL LAVORO: La Società tutela la dignità, salute e sicurezza sul lavoro, attraverso l’applicazione di tutte le normative vigenti in materia. La Società, essendosi sempre distinta nel campo della protezione della salute umana e della difesa dell’ambiente, promuove e protegge la salute dei propri collaboratori.
7.1.2 RAPPORTI CON GLI OPERATORI SANITARI: La Società si impegna, alo scopo di tutelare la salubrità dell’ambiente in cui svolge la propria attività, a conformare il proprio comportamento alla normativa sanitaria e/o ambientale vigente. A tal proposito, la Società conferma il proprio impegno nel rispetto delle direttive emanate dalle competenti autorità sanitarie locali e nazionali; un trasparente e collaborativo rapporto con le autorità in campo sanitario costituisce un criterio guida nello sviluppo dei propri programmi industriali e commerciali.
Come viene sopracitato, questi diritti di tutela verso i lavoratori dovrebbero essere rispettati poiché conformi alle norme imposte dall’azienda stessa. Invece, come numerose testimonianze e condanne subite dalla società confermano, niente di tutto ciò esiste: la storia dell’Ilva è la storia di una fabbrica perennemente manipolata dagli artigli di chi baratta salari col veleno per ingrassare le proprie tasche.
Già nel 1982, il direttore dell’allora Italsider (l’attuale Ilva) subì una condanna per “emissioni di polveri”; venti anni dopo, il magnate Emilio Riva viene condannato per i cosiddetti “parchi minerali” con l’accusa di getto pericoloso di materiali e violazione dell’articolo 13 del PDR 203-244 del maggio 1988; nel 2007 Emilio Riva viene condannato per estorsione (ricatto occupazionale) e truffa (incasso dei contributi Inps attraverso le assunzioni dalla mobilità); inoltre, sia lui che suo figlio Claudio vengono interdetti dall’esercizio di attività industriale.
Siamo davanti ad una vera mancanza di umanità e responsabilità da parte di questi datori di lavoro. Gli operai sono costretti ad interminabili turni, trattati quasi come bestie, condannati a rinunciare alla salute. Il rispetto e la tutela per la Persona devono essere una priorità, non un optional.
I colpevoli hanno avvelenato le coscienze e i corpi di chi è stato costretto a vivere per lavorare; hanno tarpato le ali a settori occupazionali che avrebbero altrimenti trovato una rigogliosa espansione; hanno obbligato gli abitanti di un’ intera città a respirare la tossicità dell’accumulazione del Capitale sprezzante dei Diritti Umani.
Siamo vicini alle famiglie di chi si è spento, avvelenato dalla sete incondizionata di vili profittatori.
Siamo vicini a chi ancora lotta per sopravvivere e trascina ogni giorno la sua malattia, messo spalle al muro da uno Stato che copre la sua sporca coscienza con miseri indennizzi, e dietro le quinte stringe loschi accordi con i padroni.
Disprezziamo l’operato di chi, con i propri tentacoli, ha elargito ricatti lavorativi e seminato menzogne cavalcando accordi e deroghe in barba alle leggi sulle emissioni: lucrare sulla pelle dei Cittadini, trincerandosi dietro protocolli d’intesa e burocrazia, è una forma di criminalità legalizzata.

We’re Anonymous.

We’re legion.

We don’t forgive.

We don’t forget.

Expect us!

Scuola Estiva UniNomade: Conricerca e biocapitalismo

 

 

 

Presentiamo a Roma la summer school di uninomade scegliendo l’università come terreno sociale di cooperazione e di confronto anche a partire dalla centralità che incarna nelle trasformazioni della
metropoli, nei suoi flussi produttivi, all’interno del suo continuo e
dinamico processo di valorizzazione. Uninomade rappresenta oggi un
prezioso spazio di elaborazione teorica e politica dove i movimenti
possono trovare le sintonie giuste per tracciare nel lingiaggio comune
anche un possibile spazio di riflessione politica e ed elaborazione
teorica comune: una sorgente alla quale abbeverarsi e contaminarsi, un
necessario contributo alla soggettivazione politica dei movimenti.
Per questo invitiamo tutte e tutti a partecipare all’incontro che si
terrà a Sociologia lun 3 h 17:00

Il Collettivo UniNomade propone per settembre una ‘scuola estiva’ a Passignano sul Trasimeno in Umbria. Per registrarsi e richiedere ulteriori informazioni scrivere a: summerschool@uninomade.org. I materiali preparatori si trovano su questa pagina (continuamente aggiornata). Per le soluzioni di alloggio consultare questa pagina.

 

 

UniNomade Summer School
Conricerca e Biocapitalismo
6-9 Settembre 2012

Auditorium Urbani, Via Europa [mappa]
Passignano sul Trasimeno, 06065 Perugia

 

Viviamo oggi in una fase segnata da continuità e discontinuità: la crisi si approfondisce e assume il profilo di condizione permanente del capitalismo contemporaneo, anche se a ciò non corrisponde in modo meccanico e sincronico il “ricomporsi” dei processi di conflitto. E tuttavia, quasi quotidianamente assistiamo al moltiplicarsi – dalle fabbriche alla metropoli, in Italia e in giro per il mondo – di movimenti e lotte che ci parlano del concreto rovesciamento della crisi in uno spazio di possibilità.

É in questo passaggio storico che il Collettivo Uninomade 2.0 propone quattro giorni di confronto e approfondimento sulla costituzione ‘biopolitica’ del presente e sulle modalità di attivazione di processi di conricerca. Indagare la produzione di soggettività e la potenza costituente dentro la nuova composizione del lavoro vivo, le forme di lotta e le temporalità differenziate, i luoghi e le dinamiche di connessione: ecco la sfida che collettivamente  abbiamo di fronte.

Vogliamo esercitare una critica dell’economia politica all’altezza del presente, cogliere le relazioni tra rendita finanziaria e potere sulle vite, sviluppare pratiche biopolitiche capaci di aprire nuovi spazi di cooperazione tra singolarità, trasformare in antagonismo il conflitto messo a valore dal capitale — e sperimentare, dunque nella crisi, processi costituenti per la riappropriazione del comune.

La “scuola estiva” di UniNomade vuole perciò essere un momento di confronto e discussione tra esperienze, uno spazio di elaborazione di linguaggi comuni, di condivisione di metodi e processi di conricerca. Si propone di contribuire, innanzitutto, alla creazione collettiva di una maniera di vivere la politica dentro la crisi, cioè di uno stile di militanza. Invitiamo perciò alla partecipazione compagni e compagne, collettivi, gruppi di inchiesta, reti, tutte e tutti coloro che sono impegnati nelle lotte e nella costruzione di un pensiero e una pratica all’altezza della trasformazione dell’esistente.

*  *  * 

Programma provvisorio

6 settembre

  • 17:00-19:00.  Toni Negri: Biocapitalismo e costituzione politica del presente

7 settembre 
Critica marxiana dell’economia politica e suoi sviluppi in epoca di biocapitalismo cognitivo

  • 09:00-13:00. Adelino Zanini, Toni Negri, Carlo Vercellone, Matteo Pasquinelli.
  • 15:30-19:30. Confronto tra percorsi di conricerca realizzati o da attivare sui processi di valorizzazione nel biocapitalismo: coordinano Gigi Roggero e Salvatore Cominu.

8 settembre
Rendita e biopotere: socializzazione del reddito e rifiuto del debito

  • 09:00-13:00. Christian Marazzi, Stefano Lucarelli, Maurizio Lazzarato.
  • 15:30-19:30. Confronto tra percorsi di conricerca realizzati o da attivare relativi ai processi di socializzazione del reddito e di rifiuto del debito: coordinano Andrea Fumagalli e Sandro Chignola.

9 settembre
Biopolitica: la fabbrica della strategia ai tempi delle moltitudini

  • 09:00-13:00. Cristina Morini, Tiziana Terranova, Toni Negri, Giso Amendola.
  • 15:30-19:30. Confronto tra percorsi di conricerca su corpi, queer e (ri)produzione: coordinano Anna Curcio e/o Roberta Pompili.

http://uninomade.org/uninomade-estiva-2012/

 

Quando la rottura è costituente – Riflessioni per i movimenti

di @angelobrunetti1

Spesso la retorica della  politica – anche di movimento  – salta a piè  pari la realtà sociale  producendo scollamenti  e divaricazioni  verticali tra governi e governati. Veri  e propri abissi.   Alla base di ciò che genericamente definiamo crisi economica – che la realtà sociale vive di riflesso spesso nella disperazione – vi sono elementi fondamentali che vanno ancora profondamente indagati e sui quali non ci concentreremo qui per necessità di sintesi.

Per riassumerle a grandi linee. Facendo  tesoro dell’analisi di Marazzi, cioè che nell’odierno  sistema di accumulazione vi è un  rapporto consustanziale tra produzione  e finanza, possiamo affermare  con certezza che oggi la finanziarizzazione,  pervasiva a livello dell’intero  ciclo economico, è divenuta parte  integrante della nostra vita quotidiana,  che le sua fonte di alimento è  la produzione di beni e servizi, ma  anche welfare, beni comuni, linguaggi, stili di vita.  La finanza si riproduce nella costituzione materiale dei corpi in quella che Marazzi definisce come: “la mobilitazione permanente per il capitale”.

Dentro tale dinamica, appare sempre più evidente un nesso indicibile, occultato e mistificato dal potere, quello tra crisi finanziaria e crisi del processo di valorizzazione. La “crisi nella crisi”, ovvero la crisi di tutti i metodi di misurazione del valore del lavoro, che fa saltare il banco delle formali regole economiche. Questo punto è politicamente dirimente.

In futuro, occorrerà inevitabilmente elaborare forme di sperimentazione politica da posizioni più avanzate e con traiettorie di più lungo respiro rispetto a quelle assunte fin qui dal movimento.

Se intendiamo la politica anche come costruzione dal basso di una nuova forma di organizzazione sociale, se siamo consapevoli che la “rottura” è necessaria per rendere costituente l’alternativa, allora dobbiamo fare un discorso di verità. I movimenti potranno cominciare a incidere sulla realtà politica solo una volta che avranno deciso cosa fare da grandi. Ciò prendendo atto dell’irreversibilità della crisi della rappresentanza politica, così come della svolta autoritaria in corso, necessaria all’instaurazione della dittatura dei mercati, i quali dettano ogni giorno di più le agende dei governi.

Se vogliamo costruire un’alterità che vuole riprendersi il protagonismo sociale, la capacità di  ristabilire gli spazi dell’autogoverno e rimettere in discussione le scelte operate sulle nostre teste, dobbiamo dissolvere l’intero quadro politico esistente, superando quel senso di impotenza che segna i limiti di un sistema bloccato e incancrenito. Ciò non significa esercitare lo scontro inseguendo un’estetica della violenza, ma rompere su tutti i piani, effettuando nell’immaginario e attraverso il desiderio collettivo una trasformazione prima di tutto culturale, che non può leggere il lavoro come bene comune e che non può partire dalle mediazioni al ribasso come quella sul reddito legandolo alla sopravvivenza del lavoro precario.  Almeno, non lo devono fare i movimenti. Questo nella piena consapevolezza della complessità, della stratificazione del rapporto di forza che si misura sui mille piani inclinati della società complessa che viviamo.

Dare respiro e “programma” alla protesta, alla rabbia sociale, renderla potere costituente – perché si tratta di riscrivere da capo la carta costituzionale, basti pensare per un momento a quanto è datato il primo articolo – sottraendola al nichilismo, significa dare un possibile senso comune all’alternativa che viene attraverso sempre più solide alleanze sociali.   Questo avevamo in mente quando, durante tutto l’anno passato, abbiamo lanciato in giro per il paese l’ipotesi (ancora in cantiere) di uno sciopero precario quale forma diffusa di rottura e iniziativa politica. Come sabotaggio, blocco dei flussi materiali e immateriali, attacco all’immagine e al brand dei precarizzatori. Il tema oggi rimane ancora quello, al di là del nome che potrà assumere nella prossima stagione politica.

Attraverso la materialità della lotta, si deve e si dovrà poter passare dal puro sfogo individuale della propria indignazione al pieno e reciproco riconoscimento collettivo. Si tratta di dare respiro alla soggettività precaria, per sottrarla alla dimensione individuale e confusamente spontanea, e di saper tessere una tela ricompositiva che ponga rimedio all’atomizzazione e alla frammentazione strutturale – del mondo del lavoro e del non lavoro e quindi delle relazioni sociali e produttive – in cui essa immersa.

Ma occorre farlo proprio lì, in quella stessa situazione frammentata, non altrove, con buona pace di tutti i sindacati. Tutto questo affinché si possa definire ciò che si annuncia come l’ipotesi di nuova ricomposizione di classe. A unire oggi i precari è semplicemente la rabbia. E questo ovviamente non basta. Dobbiamo trasformare la rabbia in energia, intelligenza generale, mente collettiva, sovversiva, creativa. Quando diciamo di voler organizzare la nostra rabbia, ci disponiamo all’interno di questa opportunità di lavoro politico. Non si può continuare a guardare impotenti i suicidi che ormai si sommano, quasi meccanicamente, l’uno all’altro, dal disoccupato al pensionato, dal cassintegrato all’artigiano, dal venditore ambulante al piccolo imprenditore.

Dentro le forme della lotta precaria può crescere un movimento realmente indipendente che tracimi oltre le risacche della routine militante e si ponga l’obiettivo di trasformare ra- dicalmente i processi di sfruttamento, accumulazione e valorizzazione capitalistici. Valorizzazione oggi dislocata nella co-creazione di valore, nella messa al lavoro reale delle soggettività che supera la messa a lavoro formale e che, nell’ambito dell’economia immateriale, si riproduce attraverso i servizi forniti da importanti multinazionali come Google o Facebook – con buona pace della fiom, con la sua metà degli iscritti informatici impropriamente inquadrati nel contratto dei metalmeccanici. Luoghi in cui l’utenza è prod-utenza, mentre il flusso della valorizzazione delega al lavoro formale il solo ed esclusivo ruolo di controllo sociale, nel tentativo di governare un disordine globale che ormai si esprime sotto tutti i cieli del vecchio patto atlantico. Se volete, ecco un altro punto dirimente, non scontato, impensabile fino a pochi anni fa: il mondo è nuovamente in rivolta.

E qui, volgiamo richiamare il contesto nostrano mettendolo per un momento in relazione con ciò che avviene in Europa e nel resto del mondo. Ci riferiamo alla stagione segnata dal 15 ottobre, che, a distanza di quasi un anno dagli eventi, richiede che vadano fatte ulteriori considerazioni.

Il 15 ottobre è andato ben oltre la finzione o la testimonianza. Ha sorpreso e travolto tutti. Noi compresi. Ma per una volta il programma era cambiato nella realtà così come era già accaduto l’anno precedente, il 14 dicembre. La dissociazione rancorosa nei confronti dei ragazzi e dei compagni che quel giorno hanno sfidato per ore lo Stato in piazza regalando la cartolina di un’Italia in crisi, arrabbiata e con la voglia di reagire – che sicuramente ha contribuito ad accelerare la caduta del governo – non solo è stata dolorosa, ma indegna; insopportabile poi se dettata da esigenze di compatibilità e mantenimento degli accordi che non tutti conoscevano. Dietro quella rivolta, un accumulo di forze, di tendenze e di processi sociali non codificabili per padroni, governanti, poliziotti e magistrati zelanti. Ma anche per la generazione che aveva “diretto” il movimento a Genova. Non processi meccanici ma dinamici, processi della soggettivazione precaria, un po’ più insorgente di quella che pensavano di governare. E questo ovviamente vale anche per chi, nei movimenti, credeva di portare l’avanzo del banchetto del potere come premio ai più allineati alla governance, (quella buona eh!), quella della narrazione epica e del lavoro come bene comune: eccoli tutti a braccetto a fare la fila per entrare in Parlamento. Ma il programma è cambiato pure per loro. Non a caso dal 15 ottobre in poi tutte le posizioni politiche di movimento hanno sterzato, effettuando in taluni casi vere e proprie inversioni a U, arrivando addirittura a cercare altrove ciò che avevamo tentato di portare fin sotto casa loro, inseguendo ovunque, anche a Francoforte, il presente pur di non affrontare qui e ora il nostro futuro. Le lotte riverberate dalle comunità indipendenti che nel mondo si riproducono – e per fortuna si moltiplicano ovunque, da Occupy Wall Street in giù – e di cui noi facciamo pienamente parte, o trovano una sedimentazione materiale nei nostri territori a partire dalle nostre generazioni, o altrimenti saranno cicli di movimento vissuti da altri e scimmiottati da noi.

La strada da percorrere ci è indicata dalla straordinaria esperienza dei comitati per l’acqua pubblica e per la difesa dei beni comuni, come nella Val Susa, fondamentalmente la nuova dorsale dei movimenti sociali anticapitalisti, che, nel volgere di pochi anni, ha imposto al dibattito pubblico ciò che sembrava essere andato perduto per sempre. La radicale messa in discussione della categoria di profitto – categoria fondativa del capitalismo. Un altro dato dirimente nella complessità. E lo è ancor di più per il punto di vista precario se vuole poi essere anche il baricentro, il grand’angolo di qualcosa di più ampio ancora, per costruire l’alternativa come utopia concreta, in quella prateria sociale di cui spesso parliamo, che non deve più attendere la rigenerazione del cambiamento dall’alto, ma individuare il varco giusto per insorgere dal basso. Deve farlo, senza la paura di dirlo.

Roma, luglio 2012

Non ci avrete mai come volete voi, dalla Repubblica Indipendente di Taranto

Vogliamo vivere e non lavorare, non lavorare per morire.

Era abbastanza evidente da tempo ciò che sia andava
accumulando nel profondo meridione del nostro piccolo paese in declino ed era
abbastanza prevedibile che una scintilla avrebbe cominciato o meglio continuato
a incendiare quella prateria sociale che dopo il movimento dei forconi e degli
autotrasportatori in Sicilia, le battaglie dei contadini e pastori sardi,
avrebbe proseguito dalla Val di Susa in giù sulla strada tracciata dalle tante
resistenze sociali. E che quindi la scintilla nella prateria avrebbe continuato
la sua inarrestabile espansione e sedimentazione arrivando proprio a Taranto
non sorprende affatto soprattutto se un po’ si conosce la decennale battaglia portata
avanti dai comitati popolari e di quartiere che da anni denunciano in città ciò
che oggi anche la magistratura – fin’ora scimmietta sordomuta – ha
(finalmente!) evidenziato con la sentenza di chiusura immediata dell’Ilva.

Dopo decenni di inquinamento in nome del profitto come
forma dello Stato con il nome di Italsider, oggi una città risvegliata e mobilitata
dal basso di prima mattina ha radunato la migliore Taranto

in lotta che ha raccolto un dato politico così’
evidentemente nazionale che non a caso contestava con consapevolezza, chiarezza
e tanta forza proprio il governo Monti che guarda un pò, nella figura dei suoi
ministri, voleva venire ad imporre la legge del potere esecutivo, schierando la
politica e tante guardie, contro il potere giudiziario, contro una magistratura
che per una volta tanto ha

voluto perseguire i corrotti e criminali capitani d’industria, in questo caso
la Family Riva. Tirando le somme con un sol colpo il rispettabilissimo governo
Monti ha abrogato l’equilibrio fondamentale tra i poteri istituzionali della
formale democrazia che tanto vanno sostenendo a piè sospinto e
contemporaneamente decretato che l’unico possibile spazio produttivo e sito
lavorativo per i Tarantini rappresenti anche la loro eterna tomba.

Il governo dei professori senza provare questa volta
nessun rammarico, senza versare nemmeno una lacrimuccia, senza nemmeno battersi
un po’ il petto – quando si parla di soldini, di tanti soldini, non si scherza
più e si sa a quel punto le narrazioni vuote di contenuto si sciolgono come
neve al sole – ha niente di meno che posto in stato emergenza una città intera
minacciando decreti d’urgenza mettendosi frontalmente contro la magistratura
pur di difendere i padroni e un sito produttivo illegale come l’Ilva che nessun
altro paese europeo, permetterebbe di costruire con quelle dimensioni e tali
costi sociali. E non contento ha pensato bene per mezzo del questore e prefetto
di

vietare ogni manifestazione per non turbare la quiete
mortifera che padroni, governo e sindacati avevano ormai accordato. Dopo aver
mappato una nuova geografia dei conflitti ormai sempre più

estesi da una parte all’altra della penisola oggi
abbiamo toccato con mano una città ribelle e consapevole, arrabbiata e
politicamente intelligente pronta ad una lotta lunga, consapevole quindi di
dover resistere alla tentazione di chiudere la partita proprio come vorrebbero
le controparti politiche e aziendali. Rompendo il divieto della questura, la
piazza radunata già dalle prime ore della mattina

ha cominciato a riempirsi fino a tracimare nella
strada principale e in corteo ovviamente non autorizzato ha scelto di
riprendersi le strade per cominciare a riprendersi il proprio futuro.
Irrappresentabilità ed indipendenza della lotta sono state le parole che si
ripetevano maggiormente

dall’affollato palco e si riferivano tanto al governo nazionale che ai governi locali,
come quello del governatore Vendola che ha tradito la cittadinanza di Taranto
riempendosi la bocca fino a pochi mesi fa’ con la sua nuova narrazione ecologista.

Una moltitudine di precariato sociale, che lavora
anche dentro l’Ilva ma soprattutto fuori (ma qui conta poco, la retorica pseudoperaista
la lasciano agli apportunisti) o magari è disoccupato e magari non lavora da anni,
oggi si è incontrato con pensionati, casalinghe, ragazze madri, tifosi, sindacalisti
di base, insegnanti, immigrati, turisti solidali della costa, in migliaia a
rompere il divieto e a dire chiaramente che la lotta a Tanto continuerà fino a
quando l’Ilva non chiuderà. Troppi morti causa questo lavoro. E ovviamente non
sono morti “bianche”, neutre senza responsabili.

A Taranto il tema del reddito garantito, sociale di
esistenza, si respirava per strada e se ne dovranno accorgere anche coloro che uniti-uniti contro
la crisi chiamavano lavoro bene comune la loro istanza fondamentale.

Qui la vicenda del reddito è anche contro il lavoro se
necessario dirlo. Ma sicuramente nella sua funzione principale, è contro il ricatto
che esercita la pressione del ciclo capitalista nocivo e infame che trasuda nelle nostre vite. A Taranto la
ferita aperta dalla nocività, dalla boria padronale, dagli scondinzolamenti
sindacali apre le strada alla ricchezza della vita contro il profitto, si
costituisce movimento per rompere la gabbia, per lottare contro la corruzione
del lavoro. Noi vogliamo vivere e non lavorare per morire,
questo rimbombava nelle strade di Taranto, negli slogan di migliaia di ragazzi che aprivano la
manifestazione senza bandiere e simboli di partito.

Diventa quindi paradigmatica questa lotta perché
diviene comune, nella chiave di volta delle contraddizioni che incarna, al
centro della crisi di sistema, dentro il nervo scoperto della follia
distruttrice del capitalismo.

Ci rivedremo molto presto nelle strade di Taranto

e aridatece le cozze fresche!

Nodo redazionale indipendente – alto Jonio

Il pettine, l’Apecar, la frattura e noi

Tutti i nodi prima o poi vengono al pettine. E a Taranto in questa caldissima estate un’ Apecar con un’andatura lenta e barcollante alla testa di un quarto stato contemporaneo ha messo a terra tutte le contraddizioni che in questi anni hanno attraversato i movimenti, facendo irruzione in una piazza mortifera e mandando all’area tutti i possibili copioni del “festival del lavoro” organizzato da CGIL, CISL e UIL il due agosto.

Quella che si è consumata a Taranto non è per noi solo la cristalizzazione del conflitto tra capitale e vita. Non è solo la denuncia e cacciata dei sindacati filopadronali dalla fabbrica. Quello che è accaduto a Taranto è molto di più. E’ la comunità del rione Tamburi, i precari, i disoccupati e in prima battuta gli operai della fabbrica stessa, che rifiutano di farsi schiacciare ancora una volta da un ricatto occupazionale e cercano di rovesciarlo. Ricatto che quando l’Ilva si chiamava Italsider e le morti che portava a Taranto avevano il marchio dello Stato, era ordito dal pubblico (lo stessa gestione pubblica che ha segnato i sogni, gli orizzonti, il colore del cielo e persino l’urbanistica di una Taranto che sembra uscita da una cartolina del socialismo reale) e ora invece, dopo la svendita della fabbrica, continua a essere attuato dal privato, una gestione comunque capace di speculare anche sugli aiuti dello Stato, grazie a finanziamenti di bonifiche più volte erogati ma mai realizzate.

E poco importa se, al dato di oggi, il tribunale conferma il sequestro degli impianti Ilva, vincolandolo però alla messa a norma e non alla chiusura degli stessi, perchè quello che è accaduto a Taranto rappresenta un vigoroso punto di inflessione. E’ la costruzione fuori e contro la fabbrica di nessi sociali, di una ricomposizione larga, è la saldatura di nuove e radicali alleanze. E’ la caduta, in ultima istanza, dell’elemento centrale che in Italia ha tenuto in piedi per decenni forza padronale e rappresentanza sindacale e che ha depotenziato i conflitti sociali e le battaglie per la costruzione di un welfare degno di questo nome: l’apologia del lavoro, l’ossessione salariale, la paranoia da piena occupazione. Una caduta pesante, simbolicamente ma anche praticamente. E’ una caduta che innervosisce e fa perdere lucidità alla controparte (in primis ovviamente la controparte più vicina alla linea di frattura) che inizia a dare patenti di parassitismo sociale (cfr. Landini su Repubblica il quale evidentemente non ha mai fino in fondo compreso cosa fosse il reddito garantito) e arriva ovviamente alla repressione (più di quaranta compagni denunciati dai sindacati stessi per aver spostato qualche transenna).

Per questo il messaggio è arrivato forte e chiaro: reddito e diritti contro il ricatto occupazionale, senza accettare fallimentari elargizioni caritatevoli (vedi qualche misera e becera legge regionale sperimentata in Campania o nel Lazio) o dispositivi mediati dai sindacati di cassintegrazione. Per non parlare di proposte di legge che rivendicano il diritto al reddito con cifre molto inferiori persino alla soglia di povertà. Reddito, invece come orizzonte di conflitto, attacco ai profitti e redistribuzione della ricchezza per i soggetti precarizzati dalla crisi nel contesto di austerity. Per questo quello che è accaduto a Taranto parla oltre i cancelli dell’Ilva, parla a tutta Italia ed all’Europa, e dimostra che il concetto di non rappresentanza politica e istituzionale si sta traducendo in una rotta indipendente di attivo protagonismo di trasformazione sociale.

Quello che è accaduto in questi giorni in Italia è una caduta che, oltretutto, avviene nell’agosto dello spread e che sbeffeggia persino la mitologia dell’ “economia reale (tutti in fabbrica!) contro l’economia finanziaria” che qualche furbetto voleva utilizzare per la propria campagna elettorale (che poi altro non è che un dispositivo retorico per ulteriormente muoversi dentro l’infausta tradizione del “lavoro bene comune” italiota). Insomma quello che è accaduto a Taranto è innanzitutto un punto di chiarezza. E’ un solco tra il secolo passato e questo secolo; è un solco profondissimo tra quelli che dicono “riaprite la fabbrica” (l’1% che potremmo rappresentare con un elenco lunghissimo dal Papa alla Fiom) e una comunità che supera anche l’ambientalismo civista che era stato in qualche modo persino funzionale alla reiterazione del dramma Ilva con il suo settario minoritarismo; è un solco che segna la differenza tra noi e loro. E’ un solco in cui da una parte c’è una comunità larga che si dispone, pratica e si organizza nel conflitto e dall’altra ci sono i pretoriani dello status quo, i crumiri, i poliziotti, i potentati economici.

Quello che è accaduto a Taranto per noi fa storia perchè sgombra il campo dall’ambiguità e costruisce l’unità dentro la crisi dal basso, fuori da ogni tentativo di sommatoria politicista di ceto politico. Sgombra il campo dalle ambiguità e sottolinea l’irrappresentabilità e l’indipendenza del comune nel momento in cui lotta per la propria esistenza. Taranto, in questo contesto, rappresenta una condizione globale dell’odierno conflitto: un’intera comunità schiava della logica del profitto che paga, in termini di vivibilità, salute e devastazione ambientale la necessità di riproduzione di un rapporto sociale arroccato sul bisogno unico di accumulare i frutti della ricchezza sociale prodotta, attraverso l’imposizione di rapporti di lavoro insostenibili, con il ricatto costante della componente del lavoro, in nome di una produttività spinta all’estremo senza alcuna tutela del territorio e dei lavoratori stessi; utilizzando, da un lato, tecnologie obsolete, negando e distruggendo, dall’altro, la vocazione territoriale verso forme produttive diverse e compatibili con i bisogni sociali ed ambientali della popolazione locale. Il conflitto tra il bisogno sociale e l’ordine che stabilisce la divisione internazionale della produzione, su scala globale, esprime oggi tutta l’ incompatibilità tra i poli di una contraddizione che non si risolve con mediazioni di maniera.

Oggi, la crisi si ritorce sul mondo del lavoro, della precarietà e del non lavoro, facendo pagare i suoi costi insostenibili su tutti segmenti di classe; oggi, la nostra risposta alla crisi del sistema non può che essere una richiesta di reddito incondizionato che, proprio a partire dalle situazioni simbolo, come quella di Taranto, supera la logica e la retorica lavorista per rivendicare un diritto all’esistenza fuori dai rapporti sociali di produzione capitalistici. Ora sarebbe quindi utile interrogarsi non su come “esportare” un modello che è evidentemente difficilmente riproducibile per specificità e numeri, ma su come fare di Taranto, della battaglia fuori e contro l’Ilva una battaglia comune. Una battaglia che parli al precariato diffuso, che parli ai disoccupati e alle disoccupate, che parli a tutta quella moltitudine che la crisi stà stritolando in un ricatto esistenziale del tutto simile al ricatto occupazionale che nel Mezzogiorno conosciamo bene e che è sovrapponibile al ricatto della precarietà.

Per questo crediamo innanzitutto fondamentale esprimere la nostra più completa, incondizionata solidarietà e complicità al Coordinamento cittadini e lavoratori pensanti di Taranto ed alle denunciate e denunciati. Ed è per noi importante discutere e rivedersi fuori dai cancelli dell’Ilva con la complicità di tutti quelli a cui questa battaglia parla, non solo a Taranto. Una prima occasione di confronto utile sarà Adunata Sediziosa a Napoli il 15 Settembre. Crediamo sia importantissimo in quel momento, insieme a tutti quei contesti che svilupperanno conflitti nell’autunno, dotarci del lessico comune dal profondo sud est al profondo nord ovest. Il lessico comune di tutte quei soggetti che difendono la vita contro il capitale, di tutte quelle comunità che rivendicano e si riappropriano di reddito fuori e contro il lavoro che oggi più di ieri è a tempo determinato, a nero, sottopagato, senza garanzie e nocivo. Un lavoro che non solo non è bene comune ma è evidentemente un’arma formidabile di ricatto sulle nostre vite.

Dovremo tornare tutte e tutti a Taranto.

Fuori e contro i cancelli dell’Ilva.

Villa Roth Bari – Comitati di quartiere Taranto: Città vecchia, Salinelle, Paolo VI – Area Antagonista: Lab. Okk. Ska – C.S.O.A. Officina 99 Napoli – C.S. O.A. Asilo 45 Terzigno – C.S.O.A. Rialzo Cosenza– L.O.A. Acrobax Roma

Noi senza lavoro voi senza vergogna – assemblea dei precari sotto la regione Lazio

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Giovedì 12 Luglio presidio-assemblea dalle ore 11.

Il consiglio regionale ha approvato il 28 giugno l’assestamento di bilancio confermando una manovra recessiva e non adeguata al contesto di sofferenza che stanno attraversando migliaia di soggetti: dall’emergenza abitativa e ambientale, alla precarietà, alla generale crisi occupazionale e allo specifico ed elevatissimo tasso di disoccupazione giovanile. In questo contesto la Polverini conferma le politiche anti-sociali portate avanti dalla propria giunta con un provvedimento di assestamento del bilancio annuale e pluriennale 2012-2014 che vale 1,5 miliardi di euro. L’emorragia di posti di lavoro sta colpendo decine di migliaia di lavoratori che, se non già precari, vengono precarizzati dall’imposizione autoritaria di nuove condizioni di lavoro, generando una rincorsa al ribasso nella deprivazione di ogni diritto, sia nel comparto privato che in quello pubblico. Per questi motivi il 19 giugno con uno striscione che recitava “Il vostro sviluppo la nostra disoccupazione, noi senza lavoro voi senza vergogna” la rete dei precari indipendenti per la P.A. e i punti san precario hanno interrotto il convegno su etica e reti di impresa presso la sede della camera di commercio di Roma organizzato da Sviluppo Lazio con la presenza della presidente regionale Polverini. Il motivo della contestazione era la mancata stabilizzazione contrattuale per i precari a tempo determinato, ultimi di una serie di licenziamenti bianchi (mancati rinnovi) che ha coinvolto tutte le categorie contrattuali più deboli, dalle finte partite iva ai co.pro. ai tempi determinati. Sviluppo Lazio è un agenzia tecnica regionale per gli investimenti, la cui maggioranza delle azioni è della Regione Lazio. Come atto di rappresaglia, dopo il convegno, ha ‘esonerato’ quei lavoratori interni individuati come contestatori dall’attività lavorativa fino a scadenza di contratto. Atto, che riteniamo gravissimo, che è oggetto in questi
giorni di interpellanze regionali e parlamentari. Le condizioni di vita e di lavoro che vivono i precari di Sviluppo Lazio sulla propria pelle sono purtroppo comuni alle centinaia di migliaia di lavoratori che vivono in questa regione, dai precari delle agenzie tecniche della P.A. e degli enti di ricerca pubblici come l’Isfol, ai lavoratori dell’Ex Alitalia, dell’Argol, dellaTecnoindex, della Sigma Tau, dell’Ex Agile Eutelia, della Format, della Lighting Italia, della Teleperformance e di tantissime altre realtà lavorative, alle quali una gestione scellerata della crisi ha imposto senza margini di contrattazione un pesante tributo sacrificale di posti di lavoro. I lavoratori non solo hanno dovuto subire la perdita dell’occupazione, a cui negli anni avevano dedicato energie competenze e aspettative, ma anche la beffa di essere considerati costi insostenibili dentro un processo di ristrutturazione aziendale che colpisce oramai senza alcuna differenza sia il pubblico che il privato. Infatti nel caso dei precari di Sviluppo Lazio si è assistito ad una sorta di “spending review” regionale, che in modo del tutto arbitrario chiude gli occhi sugli stipendi di manager e consulenti, spesso con doppi e tripli incarichi, o sulle decine di milioni di euro di fondi strutturali europei persi per l’incapacità di assegnarli e spenderli adeguatamente. Mai come in questo periodo, nella nostra regione, tale situazione
mostra tutta la sua grottesca paradossalità: fondi che dovevano e potevano essere investiti in politiche
sociali, in politiche attive per il lavoro e a beneficio di tutti i soggetti che stanno pagando il costo della crisi e dell’austerity, vengono perduti per incapacità tecnica e politica. Evidentemente sostenere i soggetti in condizione di fragilita’ economica e sociale non e’ una priorità della Polverini, troppo impegnata invece a
finanziare provvedimenti di sostegno al credito delle imprese. Infatti, la giunta, all’inizio del suo mandato nel 2010 ha subito bloccato e de-finanziato la legge regionale per il reddito minimo garantito, ottenuta nel 2009 grazie alle importanti battaglie dei movimenti sociali. Tale dispositivo redistributivo aveva fatto
emergere 130 mila soggetti precari, disoccupati e inoccupati invisibili e senza strumenti di protezione sociale. Il contesto di crisi occupazionale sta diventando drammatico visto l’elevatissimo numero (circa 60 mila) di cassintegrati nella regione, che si unisce alle condizioni di estrema vulnerabilità in cui versano ampie fasce di popolazione. In questa condizione soltanto attraverso una larga coalizione sociale è possibile cambiare le politiche della Giunta regionale. Riteniamo necessario lanciare un presidio-assemblea per giovedì 12 luglio davanti alla Giunta regionale, via Cristoforo Colombo 212- dalle ore 11.00.
Una giornata di mobilitazione perché i precari di Sviluppo Lazio vengano reintegrati, per esprimere indignazione verso le politiche scellerate della giunta Polverini e per costruire un percorso di attivazione unitario contro la crisi, l’austerity e le politiche di precarizzazione.

Prime adesioni: Precari indipendenti per la p.a, Punti San Precario Roma, Comitato cassintegrati Alitalia “Overbooked”, Coordinamento lavoratori autoconvocati, Cub Trasporti, USB, USB-Isfol, Atdal Ass. Over 40