Esci dalla tana – AION Lab.

Il laboratorio Aion esce dalla tana e fa la sua apparizione in città… e lascia il segno!

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Con il laboratorio Aion vorremmo organizzarci per fronteggiare l’emergenza abitativa nei quartieri trasformati dalla presenza dell’università di Roma Tre. Crediamo che “prendere casa” senza dover pagare affitti astronomici in quartieri addormentati dalla speculazione e del business del consumo studentesco, sia un diritto fondamentale e il primo passo per riprenderci parte di quel redditto che ci viene continuamente sottratto. Denunciare collettivamente
l’affitto in nero, immaginare forme dell’abitare diverse da quelle imposte e ragionare sul tema della casa dentro il problema più grande della precarietà di vita, sono le sfide che ci siamo posti nei mesi in cui abbiamo pensato il laboratorio.

Riprendiamoci tutto, la casa soprattutto!

Aion Lab

appuntamento sportello “nodo di inform_azione sull’abitare”:

Lunedì 11-13 // Mercoledì 15-17 @ Lettere RM3 Aula6

per info: http://laboratorioabitare.noblogs.org/

 

 

La riforma Fornero (da Uninomade)

di GIANNI GIOVANNELLI

Il disegno di legge governativo elaborato, dopo innumerevoli compromessi, dal ministro Fornero sarà esaminato dalla Commissione Lavoro del Senato a partire dal 18 aprile, in sede cosiddetta referente (e non deliberante, ovvero dovrà necessariamente passare al vaglio delle due Camere, con possibili modifiche: segnale questo, non equivoco, di un qualche conflitto, perché ove il tripartito che sostiene Monti fosse stato totalmente d’accordo si poteva procedere all’approvazione già in Commissione). La commissione è di 25 membri; ci sono tre sindacalisti di professione (e di lungo corso: Nerozzi, Troilo e Passoni), per il resto la rappresentanza imprenditoriale domina la scena (anche nel PD: Ichino è un avvocato delle grandi aziende; Rita Ghedini è una funzionaria di vertice delle cooperative emiliane; Adragna e Blazina sono dirigenti). Non potevano mancare in un simile consesso un vecchio industriale come Pininfarina, il consueto Sacconi e la mitica Rosi Mauro. Interessante è sapere chi siano i relatori nominati: Tiziano Treu (consulente datoriale oltre che professore) e Maurizio Castro (abile ed esperto dirigente d’azienda, la controparte storica dei lavoratori nelle trattative cui partecipava prima dell’elezione). I lavoratori italiani non possono certo dormire sonni tranquilli, fra le grinfie di costoro!

 

Oltre alle questioni continuamente dibattute (la cancellazione o meno dell’articolo 18) si celano dentro la riforma Fornero una serie di disposizioni sfacciatamente aggressive e volte a determinare un incremento geometrico del processo di precarizzazione e di controllo sociale dell’intera esistenza della fascia debole.

 

L’articolo 3 del Disegno di Legge (mantenuto nel silenzio) modifica la normativa che regola i contratti a termine e quelli di somministrazione (gli interinali per capirci) lasciando campo libero; in spregio delle regole comunitarie potranno essere arruolati mediante contratti da un giorno fino a sei mesi studenti, immigrati, giovani, donne, disoccupati ed emarginati, senza alcuna motivazione, senza limiti percentuali, senza prospettive e senza tutele, a totale discrezione e piacimento del più forte. La modifica tocca proprio il terreno in cui i precari avevano ottenuto i maggiori risultati (per esempio in Telecom, in DHL, nella logistica e nei servizi) e rade al suolo qualsiasi opposizione; qualche mese di sfruttamento intensivo e qualche lista di proscrizione contro i ribelli ottengono l’effetto di costruire un bacino di manodopera pienamente succube e costretta dalla necessità a piegarsi. Altro che contributo alla crescita e creazione di occupazione (come si legge nella premessa del ministro); questa è una delle modifiche più violentemente reazionarie (non solo ultraliberiste) che siano mai state concepite in danno dei lavoratori. La flessibilità in entrata viene concepita come un metodo che conduca a domare una popolazione giudicata riottosa e indocile; brevi contratti e apprendistato sottopagato (la percentuale fra apprendisti e stabili era di 1 a 1, ovvero al massimo un operaio poteva formarne un altro: con la riforma il rapporto è di 3 a 2, aumentando la quota a bassa retribuzione); riduzione dell’assistenza ai licenziati (a regime la quota massima di 48 mesi di sussidio scende a 18 mesi anche per l’accompagnamento alla pensione). Quanto ai lavoratori a progetto la riforma prevede un forte incremento del costo contributivo, a carico dei lavoratori, fino al 33% della retribuzione quando le modifiche andranno a regime. Ed anche la Cassa Integrazione (antico ammortizzatore sociale italiano fin dal 1944, con il Decreto Luogotenenziale Badoglio) viene drasticamente ridotta. Avevano cominciato sostenendo che la liberalizzazione del licenziamento sarebbe stata affiancata da un incremento della tutela di chi era colpito dalla crisi; mentivano (e, come teorizzava Joseph Goebbels, sapendo di mentire, con il fine di cancellare l’inevitabile dissenso connesso alla verità) e nel disegno di legge viene ridotta un’assistenza ai disoccupati che già era la più miserabile concessa ai lavoratori dell’area industrialmente avanzata (il G8). Al tempo stesso non vengono toccati i santuari del ceto che sostiene il potere (politico, burocratico, finanziario, militare). Non si tocca l’appalto illecito di manodopera, lasciato in gran parte alla criminalità organizzata; e nessuna norma sanziona il lavoro nero cui il capitale finanziario non intende certo rinunziare (e l’assenza di sanzioni incoraggia di fatto la sua diffusione). Le due omissioni rafforzano il disegno di precarizzazione a tappe forzate.

 

Come noto la tutela contro i licenziamenti, in Italia, riguarda una sostanziale minoranza della popolazione attiva. Sostanzialmente si limita ai dipendenti pubblici (compresi i dirigenti, ma esclusi i precari che sono in costante aumento percentuale) e ai dipendenti privati stabili che lavorano in società con oltre 15 dipendenti (purché non di cooperativa, grazie ad una brillante realizzazione del centrosinistra nel 2001). I giornalisti li hanno definiti privilegiati chiedendo a gran voce di mettere rimedio alla disuguaglianza. La campagna mi ha ricordato la celebre vignetta di Wizard of Id; il popolo chiedeva pane e lavoro ed il re, invocando il principio di mediazione al 50%, concede il lavoro (forzato e con le catene) ma non il pane! Nel nostro caso l’idea di Elsa Fornero (come mediazione, naturalmente) era quella di concedere la parità (tutti licenziabili) negando l’assistenza ai parificati (licenziati). Una soluzione cortese e sadica, secondo la tradizione sabauda piemontese; ma rivelatasi impraticabile a fronte di un necessario equilibrio fra le tre formazioni che appoggiano il governo.

 

Ovviamente la direzione del partito democratico sarebbe stata ben lieta di cancellare la protezione di stabilità; ma rendendo esplicita una simile posizione si sarebbe esposta a rischi seri di sconfitta elettorale, alla concorrenza di SEL e IDV. D’altro canto la guerra ideologica per imporre il controllo del sistema mediante l’abbattimento delle residue tutele è un punto irrinunciabile per l’intero assetto di comando. Lo stratagemma adottato, consueto peraltro nella nostra penisola, è stato quello di organizzare una rappresentazione della trattativa, a toni forti, con la costante minaccia della rottura. Camusso ruba il ruolo a Fiom annunciando lo sciopero generale; Bersani e Raffaele Bonanni si affrettano a mediare; Napolitano invia il fermo monito intimando l’accordo; il consiglio dei ministri approva il compromesso; Confindustria si indigna e chiama alla lotta. Nessuno fa sul serio; il compromesso era la partenza, non l’arrivo.

 

Per il momento non sono toccati dalla riforma i dipendenti pubblici (stabili ovviamente; quelli precari vivono una situazione che non era tecnicamente possibile peggiorare ulteriormente); Cisl e Uil vanno sostenute e quello è il loro bacino di tessere. Inoltre il rapporto fra ceto politico e dirigenza pubblica costituisce una rete clientelare che in questo momento è di grande utilità per l’avvento del pensiero-governo unico. E non si sfiora neppure il massiccio pacchetto che consente le maxiliquidazioni ai grandi dirigenti privati, ai protagonisti della comunicazione (stampata e radiotelevisiva); infatti il consenso alla riforma è plebiscitario, con uso disinvolto della menzogna per argomentarlo. Ci ricorda Bonanni (Il tempo della semina, pagina 142, Milano, 2010): “Non mi nascondo come forze disgregatrici da non sottovalutare siano al lavoro. Né mi sfugge di essere considerati nemici per la nostra volontà di non arrenderci al caos…..per salvare le imprese bisogna mobilitarsi anche per salvare l’Italia”. Questa è l’ideologia del consenso di cui il capitale finanziario ha bisogno; questa è la filosofia politica ed economica che ha portato al varo del Governissimo con il sostegno di destra e sinistra, ala scelta autoritaria di cui questa alleanza è portatrice con la benedizione del presidente della Repubblica e delle grandi banche.

 

Il bersaglio della riforma (oltre ai precari) sono i lavoratori stabili del privato ritenuti a profitto ridotto. Nelle grandi imprese (finanziarie, metalmeccaniche, siderurgiche, chimiche, farmaceutiche, della comunicazione, della logistica e del trasporto) vanno espulsi i cinquantenni ormai logori, troppo costosi e poco disponibili alla cessione del tempo di vita nella sua totalità; vanno sostituiti con giovani precari, ricattati e ricattabili, già espropriati delle loro speranze, senza sogni per il futuro. Ed ancora vanno eliminati, con interventi radicali, tutti i lavoratori che si presentano a capacità lavorativa ridotta per ragioni fisiche, psichiche o psicofisiche; mediante le modifiche si vuole facilitare questo processo che già da tempo era in atto, e non di rado con l’aiuto delle strutture sindacali interne, sempre più corrotte e/o indebolite.

 

Con le nuove norme sparisce (salvo che per i licenziamenti cosiddetti discriminatori) la certezza della reintegrazione, anche in caso di accertata illegittimità del licenziamento. Sarà il Giudice, di volta in volta, a decidere se reintegrare (ma con il limite di dodici mesi quanto al danno) o assegnare il solo risarcimento, cancellando il rapporto di lavoro (da 12 a 24 mesi); e lo potrà fare solo se il lavoratore dimostri (con prova a suo carico) che il licenziamento non solo sia illegittimo, ma che lo sia in modo davvero clamoroso (il disegno di legge recita: manifesta insussistenza). In buona sostanza si prepara il terreno (fertile) per rendere la reintegrazione una ipotesi soltanto residuale.

 

Mentre nei paesi industriali la prova della inesistenza della discriminazione è a carico delle imprese (il lavoratore deve solo affermarla), l’Italia è l’unico paese che impone alle vittime di provare di essere discriminate; e mentre in USA non esiste limite al risarcimento in caso di accertata discriminazione qui da noi si riduce in tutte le maniere il costo per le imprese. Anche i tempi della giustizia sono posti a carico del lavoratore; se lo Stato ci mette dieci anni ad accertare che ti hanno fatto un torto, se ne rifonde uno solo (due ma se perdi anche il posto, e devi anche provare di avercela messa tutta a trovarne un altro)!

 

Da ultimo. Il processo del lavoro dovrebbe durare circa sessanta giorni; sono vietati i rinvii che non abbiano un motivo. E’ un processo rapido, sulla carta. Ma, per esempio, a Matera una causa di licenziamento iniziata nel 2001 (esatto: 2001) non è ancora terminata in primo grado. Non ci sono sanzioni; al massimo è possibile (ma grazie all’Unione europea) ottenere un (modestissimo) risarcimento per denegata giustizia. La riforma Fornero (sempre senza sanzioni) introduce un rito processuale veloce che tutti gli addetti ai lavori non esitano a definire pazzesco, ingestibile, destinato ad una rapida abrogazione (come già era accaduto a suo tempo per il rito societario). Ma in questo caso siamo nell’ambito dell’incapacità e della follia; non sono solo governanti reazionari e autoritari, sono anche (come i generali fascisti della seconda guerra mondiale) inguaribili pasticcioni.

http://uninomade.org/la-riforma-fornero/

LA UNICA LUCHA QHE SI PIERDE ES LA QUE SE ABANDONA!

Lo sgombero della neonata Fazenda Occupata dimostra per l’ennesima volta con quanto zelo le forze del disordine intervengano per stoppare i processi di autorganizzazione dal basso che spuntano come fiori di rara bellezza nei meandri della metropoli.
Mai abbiamo visto tanta potenza dispiegata contro chi devasta i territori, mai abbiamo visto una tale solerzia nel requisire i tanti mostri di abusivismo o i troppi edifici abbandonati e fatiscenti pubblici come privati. In questa città di palazzinari, di welfare precario, di case sfitte e gente senza case, di periferie nate e cresciute nel nulla, ancora una volta polizia e amministrazione a braccetto accorrono per interrompere un’esperienza di riappropriazione che allontana il degrado, ricompone le generazioni, rimette al centro il territorio e i bi-sogni.
Oggi con la scusa della crisi si preparano grandi affari a poco prezzo: quanto potrà guadagnare il solo Caltagirone dalla privatizzazione di Acea (che Alemanno continua a riproporre nonostante la vittoria referendaria) o dalla svendita del patrimonio pubblico?
Contro gli immensi profitti di pochi continuiamo a rivendicare il diritto a riappropriarci di un reddito per tutti/e… e poiché la libertà non cade dal cielo continueremo a strapparla metro dopo metro.
La lotta di tanti e tante contro la precarietà delle nostre vite e per la libertà di autodeterminare il nostro presente fuori dalla “nonlogica” dei profitti non si ferma davanti ai vostri blindati.
Con la stessa rabbia e lo stesso amore di sempre affianco agli occupanti e le occupanti della Fazenda
Laboratorio occupato e autogestito Acrobax

La riappropriazione non è reato. Reddito e diritti per tutti!

ll 6 novembre 2004 dopo mesi di mobilitazioni e riunioni in tutta Italia veniva organizzata a Roma una grande manifestazione per la richiesta di un reddito garantito per tutti e tutte.

Gli stessi movimenti che organizzarono quella manifestazione realizzarono anche delle azioni simboliche sul carovita e sull’accesso a beni e servizi per una vera redistribuzione della ricchezza. L’iniziativa effetuata al supermercato Panorama nella zona di Pietralata fu trasformata immediatamente dall’allora Governo Berlusconi, dal Ministero dell’Interno, dal centro-sinistra e dai media in nuovo episodio di “esproprio proletario”, per l’ennesima volta veniva riesumata la cartina di tornasole degli anni ’70 e il terrorismo e la risposta a quella giornata fu un’ accusa di concorso in rapina pluriaggravata per 105 persone.

Mercoledì 28 Marzo 2012, una sentenza del Tribunale di Roma assolve tutti gli imputati di quel processo perchè il fatto non sussiste. Non esiste la rapina perchè quell’azione era una dichiarazione della crisi che sarebbe venuta, dell’aumento della povertà della società italiana e della progressiva sottrazione di diritti e garanzie. Era un’azione politica per affermarel’impoverimento di tutti noi, precari, disoccupati, migranti, cittadini e cittadine, lavoratori a tempo indeterminato, donne e uomini di questo paese. Non certo un’iniziativa di una banda di criminali.

Allora entavamo in quel supermercato parlando di shopsurfing, del nostro paniere precario e della necessità di avere nuovi diritti di cittadinanza, nuove garanzie sociali. Oggi, purtroppo, la precarietà è generalizzata grazie ai governi di centrodestra e centro sinistra, ha travalicato  i muri dei posti di lavoro – anche quelli cosiddetti garantiti – e ha travolto le vite di milioni diitaliani di tutte le età, diventando un vero e proprio sistema di controllo disciplinare.

La crisi sta trascinando via gli ultimi residui di diritti e la nuova riforma del mercato del lavoro è un lampante esempio di come la stessa ricetta venga riproposta con ancora più vigore. Ma quest’assoluzione dimostra, di fronte alla fine di ogni mediazione sociale, l’unica capacità rimasta ai poteri forti: quella di reagire con criminalizzazione e ordine pubblico cercando di isolare e additare i movimenti sociali,  i precari che i organizzano o chi si batte per la difesa deibeni comuni come portatori di violenza e sopraffazione.
La verità è che in Italia come nel resto dell’Europa che conosciamo da troppi anni c’è un’indicazione conservatrice e fortemente ideologica che propaganda la soluzione del mercato come unica possibile soluzione e via d’uscita, che sacrifica la vita di tutti/e noi per l’esclusiva produzione di profitti.

Oggi diciamo che è ora di trasformare questo paese rimettendo al centro le pratiche di conflitto contro le politiche di austerity. Le lotte contro i processi di precarizzazione si caratterizzano ancora una volta come lotte per la libertà. Per questo non ci fermeremo ma anzi rilanciamo nuove mobilitazioni contro il caro-vita, le politiche di austerity e la riforma del mercato del lavoro. La chiusura di questo processo afferma il carattere persecutorio nei confronti delle opposizioni sociali, così come sta avvenendo attualmente nei confronti del movimento no-tav, che vede rinchiusi nelle carceri i compagni e le compagne a cui vengono applicate restrizioni da carcere speciale come il 41 bis. A loro va il nostro pensiero e la richiesta immediata ed incondizionata della loro liberazione.

Oggi splende anche il sorriso di Antonio, nostro fratello imputato di quel processo e morto nel mentre per la precarietà del lavoro, che afferma beffardamente: “il Re è nudo”.

Laboratorio Acrobax

Martone, lo sfigato sei tu! Contestazione a Roma Tre

28 Marzo. Contestazione studentesca alla Facoltà di Scienze della Formazione di Roma Tre, con lo striscione “Noi non siamo raccomandati, siamo precar* e ci riprendiamo tutto”, durante un convegno su formazione e lavoro in cui doveva intervenire Michel Martone, viceministro al Welfare, che poco tempo dopo essersi insediato aveva definito sfigati gli studenti ancora all’università dopo i 28 anni.  Martone non si è presentato alla conferenza.

Video.

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The show must go off. Ciao Matteo

Roma 8 Marzo. Oggi pomeriggio davanti al palalottomatica, moltissim* lavoratori e lavoratrici precarie dello spettacolo hanno manifestato per ricordare Matteo e denunciare le pessime condizioni di lavoro di chi, dovendo sostenere orari massacranti, permette allo show business di andare avanti a ritmi sempre crescenti. Molti dei presenti indossavano le attrezzature di “sicurezza” che sono costretti a comprarsi privatamente.

Oltre il danno la beffa: non bastava aver perso un compagno di lavoro, diversi colleghi di Matteo sono anche stati iscritti nel registro degli indagati.
Diversi striscioni sono stati appesi e volantini distribuiti agli avventori del concerto di stasera, è stato anche richiesto di poter leggere un comunicato dal palco prima dell’inizio del concerto.
Dopo anni di silenzio, anche dietro le quinte, lontano dai riflettori dello spettacolo che deve andare avanti a tutti i costi si stanno alzando delle voci per dire basta. Ad oggi tutti si stanno rifiutando di “sostituire” Matteo nelle mansioni che svolgeva anche per dire che non siamo solo pezzi di ingranaggi in un meccanismo infernale, ma che possiamo essere la sabbia che questi meccanismi li fa inceppare.

A questo link del blog nomortilavoro il testo del volantino distribuito davanti al palalottomatica

http://nomortilavoro.noblogs.org/post/2012/03/07/the-show-must-go-off-ciao-matteo/

9 Marzo 2012 #Occupywelfare, fermiamo il pacco Fornero

Dalle ore 14 tutti/e sotto il Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale, via veneto n 56

Siamo alle fasi conclusive del progetto di riforma del mercato del lavoro che andrà in approvazione entro il mese di marzo. Il pacco Monti-Fornero è il punto di arrivo delle politiche di flessibilizzazione imposte negli ultimi due decenni. I progetti alla base della riforma provengono tutti e tre dal Partito Democratico – Ichino, Damiano, Nerozzi/Boeri – un esempio di “ingegneria normativa” improntata esclusivamente all’attacco di diritti acquisiti. Una prima dimostrazione viene dall’accanimento sull’art.18, che, pur tutelando ad oggi solo una parte dei lavoratori, rappresenta un deterrente importantissimo nei confronti dello strapotere delle imprese. Non a caso, i tavoli di “negoziazione” tra governo e sindacati non considerano la condizione di milioni di soggetti precarizzati dall’attuale crisi del capitale. Siamo noi lavoratori flessibili e generazioni precarie gli unici che andranno veramente in “default” se continueranno ad essere applicate le politiche di austerità imposte da Fondo Monterio e BCE, volute dai responsabili stessi della crisi, le banche. Il mercato del lavoro in Italia è ormai imperniato sulla tendenziale generalizzazione della precarietà. Il pacco Monti-Fornero non fa che normalizzare questa tendenza sotto la sferza e il ricatto della crisi. Invece, dal nostro punto di vista, ovvero di chi produce ricchezza ogni giorno nel nostro paese, c’è la necessità e c’è la volontà di capovolgere l’ordine dei problemi e delle priorità. Non vogliamo più divisione e contrapposizione tra “garantiti” e precari, giovani e meno giovani, nord e sud, lavoro e non lavoro, nativi e migranti. Rifiutiamo la competizione al ribasso tra tutele differenziate e non siamo disposte e disposti ad accettare un livellamento verso il basso del salario come dei diritti. Pretendiamo una redistribuzione generale della ricchezza attraverso strumenti che non possono essere scambiati con i diritti che tutelano il lavoro subordinato. Vogliamo ammortizzatori sociali adeguati a questa necessità: l’indennità di disoccupazione copre solo il 25% dei licenziati, la cassa integrazione – in particolare quella in deroga – è erogata solo per una parte dei lavori ed è usata per creare sperequazione e clientelismo. Vogliamo rompere il silenzio sulla realtà di un sistema di welfare sempre più privatizzato e fatto gravare sulle spalle delle donne, che con il lavoro di cura gratuito permettono allo Stato di risparmiare circa 26 miliardi di euro. E’ questa una vera leva della precarizzazione, che fa perno sulle donne come primo soggetto di sperimentazione, accanto alla condizione migrante. Senza intervenire su questa realtà di fondo, non c’è lotta alle dimissioni “in bianco” o promessa sul diritto alla maternità che tenga. Vogliamo garanzie. Vogliamo che siano garantite tutele universali nel lavoro. Rivendichiamo libertà di scelta del lavoro. Difendiamo il lavoro esistente, dall’inizio della contrattualizzazione fino alla garanzie nella risoluzione del rapporto. Pretendiamo un limite al tempo di lavoro e il salario minimo orario; rigettiamo la privatizzazione dei controlli sulla sicurezza, quando giorno dopo giorno si allunga la lista insopportabile di vittime dello sfruttamento. Vogliamo la razionalizzazione delle forme contrattuali e l’estensione delle tutele nei contratti atipici e nel lavoro indipendente. Vogliamo un reddito di base e incondizionato, vero architrave di un welfare effettivamente universale che renda sostenibile un sistema pensionistico finora puntato solo ad una futura miseria. Sappiamo dove trovare le risorse: con un piano legislativo nazionale che le prenda dove ci sono, dai profitti, dalle transazioni finanziarie, dalla rendita, dalle speculazioni, dal pozzo senza fondo di spese militari inspiegabili come quelle per gli F35 e di grandi opere rifiutate dalle popolazioni come quella del TAV. Per questo nella giornata del 9 marzo, in concomitanza con la manifestazione nazionale e lo sciopero della Fiom, pensiamo sia necessario che le reti indipendenti di precari/e e precarizzati/e prendano parola, a partire dalla loro comune condizione di espropriati dei diritti di garanzie e di libertà. Invitiamo tutte/i ad animare #occupywelfare davanti al ministero del lavoro dalle ore 14 per riprendere parola, dare protagonismo e visibilità ai nostri desideri alle nostre rivendicazioni. Occupywelfare vuole costruire un processo indipendente, autoconvocato ed autorganizzato di mobilitazioni durante tutto il mese di marzo, contro il “pacchetto” Fornero.

Ciao Matteo, un altro morto per il divertimento del capitale

E’ rimasto schiacciato sotto i tubi del palco che stava costruendo per il concerto di Laura Pausini a Reggio Calabria. Matteo Armelini, 32 anni, romano, era un compagno che lavorava per una delle società di supporto tecnico agli spettacoli di diversi artisti in giro per l’Italia. Stamane a Radiondarossa il saluto dei suoi compagni e la denuncia che non è stato il crollo del palco ma c’è stato il cedimento strutturale del palazzetto stesso quindi una superficialità di chi firma carte e poi non sa realmente quanto la struttura può portare di peso.

Sul sito di Reggio a Cenestro la denuncia delle condizioni pessime di quel palazzetto: “Lo sapevano tutti”. Infatti il 9 febbraio scorso apparve un buco nel pavimento.

da http://nomortilavoro.noblogs.org

Lettera aperta al governo sul mercato del lavoro

Caro Mario Monti e Ministri Tutti,

A marzo regalerete la riforma del mercato del lavoro mentre avete rimandato al 2013 il riordino del sistema iniquo e arretrato degli ammortizzatori sociali. Il pacco Monti-Fornero  è un passaggio fondamentale nelle politiche di flessibilizzazione realizzate negli ultimi due decenni. I progetti alla base della riforma provengono tutti e tre dal Partito Democratico – Ichino, Damiano, Nerozzi alias Boeri – e sono un esempio di “ingegneria normativa” che porterà a 47 il numero di tipologie contrattuali utilizzate nella giungla della precarietà. Tutto cambia perché niente cambi, soprattutto per i precari.

Attualmente l’indennità di disoccupazione copre il 25% dei licenziati, la cassa integrazione – in particolare quella in deroga – crea sperequazione, clientelismo e riguarda solo una parte dei lavori. L’articolo 18 tutela (per modo di dire) solo il 60% della forza lavoro e sommando finte partite iva e parasubordinazioni la percentuale scende. E’ la concezione stessa dei diritti e delle tutele ad essere parziale e minoritaria, quindi perdente. Serve invece un’idea ampia e convincente per unificare generazioni e lavori. I tavoli di negoziazione tra governo e sindacati non prendono affatto in considerazione la condizione di milioni di precari e precarie che quotidianamente producono ricchezza. Nelle mani precarie c’è invece la possibilità di capovolgere l’ordine dei problemi e delle priorità: non più garantiti contro precari, giovani contro meno giovani, nord contro sud, lavoro contro non lavoro, italiani contro migranti. Non già profitti garantiti alle grandi lobby ma accesso al reddito di base incondizionato, ai servizi fondamentali e ai beni comuni.

Gli  Stati Generali della Precarietà vogliono rovesciare il triste destino di questo marzo per trasformarlo nel mese dell’attivazione e della cospirazione precaria. Dal Primo Marzo giorno dello sciopero migrante fino al 10 marzo gli Stati Generali della Precarietà apriranno in diverse città spazi di connessione, presa di parola e attivazione tra chi non si rassegna alla vita precaria, ma invece rivendica reddito di base incondizionato contro il ricatto della precarietà.

Nelle ultime settimane il Vostro governo ha portato avanti un’incredibile offensiva mediatica a colpi di insulti e mortificanti luoghi comuni (sfigato se sei precario monotono se hai il posto fisso) per giustificare una riforma che, come già avvenuto per quella previdenziale, asseconda le direttive dell’ortodossia monetarista di un’ Unione Europea che ha tradito chi la sognava come modello di coesione e solidarietà sociale, di diritti e libertà. E’ l’ennesima riforma che non parte dalle esigenze di chi nel mercato del lavoro si muove o di chi ne rimane fuori, tanto è vero che sulla mancanza di fondi per i cosiddetti ammortizzatori sociali Voi, e ancor di più i sindacati, avete messo una pietra tombale. Gli Stati Generali della Precarietà, non possono che portare il punto di vista precario di chi non è rappresentato nei tavoli di consultazione, tra una politica che li mortifica e un sindacato che non li conosce. Precari e precarie non hanno scelto la loro condizione, ma sono il motore dell’economia e le prime vittime della sua crisi.

Garantire un reddito di base incondizionato, in grado di sostituire gli attuali distorti ammortizzatori sociali, non necessita di cifre iperboliche ma è del tutto possibile, come si dimostra nel n. 1 dei Quaderni di San Precario http://quaderni.sanprecario.info/media/San_Precario_Quaderno_1.pdf. Un reddito di base incondizionato che venisse finanziato dalla fiscalità generale – ovvero dalla tassazione delle ricchezze – permetterebbe di diminuire quella parte del costo del lavoro rappresentata dai contributi sociali migliorando le retribuzioni (tra le più basse d’Europa), le opportunità e l’accesso al lavoro stesso liberando la precarietà dal ricatto come nessuna delle proposte sul tavolo governo-parti sociali. Il problema non è di sostenibilità economica bensì di volontà politica. Prendere le risorse necessarie dalla fiscalità generale rimette al centro la questione delle scelte politiche. Pochi esempi: dall’introduzione di una tassa patrimoniale sui patrimoni superiori ai 500.000 euro e dalla tassazione delle rendite finanziarie si possono stimare incassi pari a 10,5 miliardi di Euro, il giusto ripristino della progressività delle imposte in un paese dove la forbice tra ricchi e poveri si va allargando a dismisura porterebbe a reperire ulteriori 1,2 miliardi. Una razionalizzazione della spesa pubblica, solo nel campo della spesa militare (vedi i 15 miliardi per gli F35) e delle grandi opere del trasporto (vedi la Torino-Lione), potrebbe consentire un risparmio di quasi 6 miliardi.

E per finire lanciamo un marzo di cospirazione precaria a cominciare dal Primo marzo all’insegna dello sciopero migrante, perché i migranti molti ormai di seconda generazione sono quasi un decimo della popolazione italiana e rappresentano una percentuale ancora maggiore della popolazione attiva. La loro condizione di cittadini a tempo determinato sotto ricatto perenne per il permesso di soggiorno, oltre che essere umanamente bestiale e indegna, si ripercuote su tutto l’insieme dei lavoratori creando un dumping salariale pazzesco. Bisogna abolire la Bossi-Fini, che di fatto è una legge sul lavoro; la Turco-Napolitano e il reato di clandestinità. E’ tempo di garantire ai migranti cittadinanza e pieni diritti. Per continuare dal 2 al 10  con la settimana di attivazione contro la giungla della precarietà per il reddito di base incondizionato.

Si arriva poi al 17 e 18 a Napoli per nostro quarto appuntamento degli Stati Generali della Precarietà. Spazio di connessione e cooperazione tra reti che intervengono nella precarietà, nei luoghi di lavoro, nei territori, nei dibattiti, nelle assemblee, al di là di sindacati e partiti e sviluppando proprio per questo un forte punto di vista precario che non nasce dall’analisi della condizione precaria, ma dall’azione e dal protagonismo dentro il meccanismo della precarizzazione e che porterà, tra le altre, alla costruzione dello sciopero precario.

La ricchezza che il mondo precario esprime è un tesoro da difendere dalle grinfie di un futuro di fallimento e da un immediato presente di austerity, da un lavoro sempre più squalificato, sottopagato, demansionato e inaccessibile. Il miglior antidoto alla tecno-burocrazia del Vostro governo senza cuore e senza anima sono le intelligenze indipendenti che si liberano nella cospirazione precaria.

Voi potete continuare a far finta che non esistiamo e Vi assumerete questa responsabilità. Gli Stati Generali della Precarietà si assumono quella di riprendersi il futuro.

Cordialmente

Stati Generali della Precarietà

Ufficio Stampa: Paola Gasparoli 333 5446280  –  infoweb  www.sciperoprecario.org

Sulla riforma del mercato del lavoro in Spagna

Anche se vista dal “loro” punto di vista, pubblichiamo questo interessante contributo sulla riforma del mercato del lavoro attuata dal governo Rajoy in Spagna, utile soprattutto per avere un pò di informazioni e di possibili confronti con la riforma prospettata dal governo Monti.

MERCATO DEL LAVORO IN SPAGNA: UNA BUONA RIFORMA

di Luis Garicano21.02.2012

La riforma del mercato del lavoro varata in Spagna, pur non risolvendo tutti i problemi, può contribuire a porre fine alla distruzione dei posti di lavoro e favorire la creazione di nuova occupazione. Perché dà la priorità agli accordi a livello di impresa, permette riduzioni temporanee dell’orario di lavoro e facilita la flessibilità interna. A patto, però, che il parlamento spagnolo intervenga introducendo alcuni cruciali cambiamenti. E che il governo riesca a spiegare ai cittadini i contenuti e i fini della riforma.

La riforma del governo Rajoy sul mercato del lavoro in Spagna, varata con il regio decreto legge (Real Decreto-ley) n. 3 del 10 febbraio 2012, non è una cattiva riforma: con qualche piccolo ma importante cambiamento nel corso dell’iter parlamentare può porre fine alla distruzione dei posti di lavoro e, senza dubbio, faciliterà la creazione di nuova occupazione. (…)

LE OMBRE

È certamente facile enfatizzare gli aspetti negativi o perfettibili delle nuove norme: la dualità rimane la nota dominante, gli impieghi continueranno a essere temporanei, i contratti sono troppi (anzi, ora ce n’è uno in più). Mentre il proliferare di bonus e sussidi è un errore e una perdita di tempo e denaro: se ci sono risorse da investire, che vengano utilizzate per la formazione dei disoccupati. E l’eliminazione del licenziamento rapido, odiato dai sindacati (con il massimo indennizzo ma senza spese di transazione, che sono quelle che danno lavoro ad avvocati, sindacati, confederazioni imprenditoriali, eccetera) aumenterà i costi di transazione e i contenziosi nel nostro inefficiente apparato giudiziario.
Tuttavia, bisogna riconoscere (ed è la mia opinione personale) che questa non è una mini-riforma. E  può migliorare il catastrofico andamento del mercato del lavoro. Per quale ragione?

COSA CAMBIA

Cominciamo dall’inizio. Il problema principale della Spagna è la flessibilità interna. Immaginate di dirigere un’azienda con 250 dipendenti e di avere di fronte un futuro estremamente incerto. Avete degli utili, ma cominciate a rendervi conto che le banche tagliano i prestiti, che la situazione prende una brutta piega e che i risultati del prossimo esercizio saranno cruciali per la sopravvivenza dell’azienda.
Cosa dovete fare? Dovete salvare l’azienda e salvare quanti più posti di lavoro possibili. L’ideale sarebbe ridurre l’orario di lavoro, riorganizzare il tutto, tentare di mantenere tutti i dipendenti cercando di evitare il disastro. Ma l’attuale regolamentazione imposta dalla negoziazione collettiva lo rende impossibile. Con procedure di licenziamento collettivo (Expedientes de regulación de empleo) di 45 giorni, pagando due, tre, quattro anni di lavoro ai dipendenti che vengono licenziati, l’azienda va a fondo. Che fare, dunque? Resistere, confidare nel fatto che le cose cambieranno, e poi, di colpo, chiudere i battenti.
La riforma prosegue sulla linea di quelle precedenti nell’incrementare gli strumenti atti a favorire l’adeguamento interno. Innanzitutto, perché si dà la priorità agli accordi a livello di impresa. Questo facilita enormemente la flessibilità interna, permettendo a imprenditori e dipendenti di confrontarsi con la realtà specifica di ogni luogo di lavoro. Secondo, perché estende anche alle condizioni salariali la procedura (art. 41 dell’Estatuto de los trabajadores) che permette all’imprenditore (con controllo giudiziario ex post) la modifica unilaterale delle condizioni individuali, ove migliorative rispetto all’accordo collettivo. Terzo, mira a permettere interventi di modifica delle condizioni lavorative e salariali stabilite nei contratti collettivi. In questo caso, l’imprenditore non può adottare misure in maniera unilaterale, ma deve negoziare e affrontare un complesso iter in base all’articolo 83.2 dell’Estatuto de los trabajadores con verdetto finale spettante al comitato consultivo nazionale dei contratti collettivi. Quarto, le riduzioni dell’orario di lavoro previste dall’articolo 47 dell’Estatuto de los trabajadores, in precedenza effettuate su autorizzazione amministrativa, sono ora decise dall’azienda, ma sono a carattere temporaneo e devono rientrare in un insieme di motivi predeterminati. Quinto, la riforma elimina la più grande assurdità del sistema dei contratti, ossia la loro proroga automatica indeterminata (la cosiddetta “ultra-attività”).
Altrettanto importante è il tentativo di facilitare la riduzione della durata della giornata lavorativa. Vorrei richiamare l’attenzione sulla quinta disposizione addizionale: “La disoccupazione sarà parziale qualora il dipendente si veda temporaneamente ridotto l’orario di lavoro giornaliero, da un minimo del 10 a un massimo del 70 per cento, sempre che il salario sia anch’esso oggetto di analoga riduzione. A tali condizioni, si intenderà come riduzione della giornata lavorativa quella che venga decisa dal datore di lavoro secondo quanto stabilito nell’articolo 47 dello Statuto dei lavoratori, a esclusione delle riduzioni di orario lavorativo permanenti o di quelle che si estendano a tutto il periodo rimanente di vigenza del contratto di lavoro”.
In poche parole, pare ci sia il tentativo (e il governo deve essere quell’esempio positivo che finora non è stato) di scongiurare la distruzione dei posti di lavoro per il prossimo anno, che si prospetta terribile, e di spingere i lavoratori ad assumere una posizione realista al fine di salvare la propria azienda e in definitiva, l’economia spagnola.
Il rischio, chiaramente, è che gli elementi di flessibilità interna vengano completamente ignorati e che al loro posto si prospettino mesi di tagli indiscriminati dei posti di lavoro a 20 giorni per giustificato motivo oggettivo: esistono forse aziende che non abbiano tre trimestri di crollo degli utili e che non abbiano personale in esubero? Ovvio, senza la possibilità del licenziamento, la flessibilità non verrà sfruttata né accettata, ma d’altro canto, cosa succede se si ricorre al licenziamento anziché alle possibilità di flessibilità interna, pur con qualche forzatura legale? Di qui la convinzione che il messaggio educativo del governo sia cruciale.
Tra l’altro, la riforma presenta molti altri dettagli che mirano a razionalizzare il bizzarro sistema dei rapporti di lavoro in Spagna. Due in particolare: un intervento migliorativo sul contrasto all’assenteismo, finora ridicolo, e (…) la riduzione dei costi di indennizzo per il licenziamento da 45 a 33 giorni, e soprattutto la riduzione del limite massimo da 42 a 24 mensilità. Il provvedimento ci avvicina alla media europea e riduce la condizione di “quasi-funzionario” assunta ormai da molti impieghi. Questo può incentivare la contrattazione fissa, così come lo snellimento delle cause oggettive di licenziamento.
Altrettanto positiva è la rottura del monopolio sindacale sulla formazione. (…) Ora la legge prevede oltre alla “partecipazione delle organizzazioni imprenditoriali e sindacali più rappresentative” anche quella “dei centri ed enti di formazione debitamente accreditati per la progettazione e pianificazione del sottosistema di formazione professionale per l’impiego”.

L’INTERVENTO IN PARLAMENTO

Dovremo aspettare settimane prima di sapere come sarà realmente la riforma, ma per il momento direi che la mia valutazione preliminare è positiva.
Anche perché quattro ulteriori misure si possono, anzi si devono, inserire per via parlamentare:
1. diminuire il numero dei contratti riducendo quelli a tempo determinato;
2. prevedere un indennizzo crescente per il licenziamento nei contratti a tempo indeterminato, fino a un massimo di 20/33 giorni;
3. passare al sistema di licenziamento austriaco;
4. individuare una strategia per favorire la riduzione della giornata lavorativa.
Soprattutto, la riforma va illustrata ai cittadini. Se il governo non è capace di spiegare tutto questo, lavoratori e imprenditori non lo capiranno, e ciò che vedremo saranno solo licenziamenti, non flessibilità interna.

(Traduzione di Giulia D’Appollonio)

* Il testo in lingua originale è pubblicato su Nada es Gratis.

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