SanPrecario calling!

Domenica 20 a Bologna si è svolta la riunione della Rete degli stati generali della precarietà in cui, i precari e le precarie, stanno costruendo un persorso di narrazione, di attivazione e cospirazione verso lo sciopero precario.

Questo è un percorso che cerca pazientemente di ricucire la divisione forzata che la precarietà ci impone e frammenta ognuno di noi nei nostri ambiti, nelle nostre vite, nei nostri lavori di merda e i ricatti di cui sono fatti.

Per questo abbiamo deciso di attivarci e invocare la protezione dell’unico santo che abbiamo e riconosciamo: san Precario.

Per questo chiamiamo tutti/e ad un incontro Giovedì 24 novembre alle 18.30, presso la sala da tè del Porto Fluviale (via del porto fluviale 24), per poterci confrontare sulla nostra condizione, sull’attivazione di tutte le relazioni complici tra precari/e e sul’organizzazione di possibili iniziative.

 

Se il natale è precario, noi saremo insolventi!

I Punti San Precario sostengono i giornalisti precari del quotidiano Terra

Luca Bonaccorsi e il valzer dei fondi pubblici all’editoria

Dopo aver accolto l’invito a partecipare al presidio svoltosi il 9 novembre davanti alla sede del quotidiano, sabato 12 novembre i punti san precario hanno incontrato i redattori e i collaboratori precari di Terra  in una assemblea svoltasi al laboratorio Acrobax. Riteniamo inaccettabili il comportamento del direttore Luca Bonaccorsi (che è anche socio di maggioranza dell’azienda Undicidue srl)  capace di non rispettare nessuno degli accordi sottoscritti ma pronto ad intascare il finanziamento pubblico all’editoria.  L’azienda Undicidue srl usufruisce del contributo pubblico  pari a 2 milioni e mezzo di euro all’anno. Nulla di nuovo nel paese del quotidiano L’Avanti! diretto da Valter Lavitola, che nel 2010 ha ricevuto 2,530 milioni di euro. Il bravo editore se la spassa nei Caraibi . Oltre le responsabilità del direttore crediamo sia necessario chiarire che il titolare della testata Terra quotidiano ecologista è la Federazione dei Verdi . Il contratto fra la Undicidue s.r.l. che edita il quotidiano Terra come organo di stampa e la Federazione dei Verdi è stato sottoscritto  nel 2008 e scadrà nel 2013. Eventuali responsabilità saranno denunciate pubblicamente .

L’unico modo di trattare le aziende, sappiamo da tempo è trattarle male. Soprattutto se da oltre sei mesi i lavoratori sono senza stipedio, i contributi non sono stati versati e  gli accordi stipulati con il sindacato vengono puntualmente violati. Oltre alla redazione tutti i lavoratori della filiera, dalla stampa alla distribuzione, non percepiscono stipendi da mesi.  Da sabato, il quotidiano non è più in edicola,  facendo presagire un fallimento imminente dell’azienda che lo gestiva.

Nella giungla della precarietà, il mondo dell’informazione e dell’editoria, rappresentano sicuramente settori paradigmatici in cui i processi di esternalizzazione e precarizzazione degli ultimi 15 anni sono stati portati all’esasperazione.  Le redazioni dei giornali e delle case editrici (piccole, medie e grandi) vivono grazie al lavoro delle centinai di precari  che lavorano come interni  e alle decine di collaboratori esterni.

Di seguito trovate una cronistoria del quotidiano raccontata dai giornalisti della redazione ed alcuni comunicati che chiariscono la vicenda.  Presto comunicheremo le prossime iniziative da parte dei redattori e dei collaboratori precari di Terra.

Verso lo sciopero precario > la cospirazione continua!

Contenuti extra

Comunicato dei lavoratori di Terra

Cronistoria del quotidiano Terra

Bologna: Santa Insolvenza non si sgombera, giù le mani dall’ex cinema Arcobaleno

Comunicato di solidarietà attiva del Laboratorio Acrobax e dei Punti San Precario_Roma al movimento bolognese x la Santa Insolvenza!

 

La straordinaria giornata dell’11-11-2011 ha fatto emergere una molteplicità di iniziative che hanno attraversato la nostra penisola. Da Milano a Bari decine di migliaia di precari hanno dato vita ad azioni di comunicazione sociale contro la crisi in diretta connessione con i movimenti internazionali.

I devoti di Santa Insolvenza  nella giornata internazionale “Occupy everything” hanno occupato in migliaia l’ex cinema Arcobaleno, abbandonato da 6 anni nel pieno centro di Bologna,  per trasformarlo in uno spazio pubblico, un Community Center per i tanti soggetti che stanno pagando le politiche di austerity.
L’enorme partecipazione e il consenso avuto negli ultimi giorni è un segnale evidente di quanto l’ex cinema Arcobaleno sia diventato un laboratorio di attivazione culturale, sociale e politica.

Esprimiamo la nostra massima vicinanza ai compag@ che in queste ore vedono avvicinarsi intenzioni di sgombero da parte della Questura per ordine del Comune di Bologna.

Invitiamo tutti/e a sottoscrivere la petizione on-line PER DIFENDERE IL COMMUNITY CENTER SANTA INSOLVENZA.

Verso lo sciopero precario, la cospirazione continua!

San Precario vince contro Rinascita…e quando vince festeggia!

Quando San Precario vince, festeggia!

Il Santo sarà presente con una processione all’isola pedonale del Pigneto per un brindisi con le lavoratrici di Rinascita che dopo una lunga e travagliata trattativa sono giunte ad una conciliazione con il datore di lavoro, ottenendo importanti risultati,coadiuvate dal team legale dei punti san precario.

Si vuole rilanciare con un aperitivo in cui verrà raccontata l’esperienza della cospirazione, del potere che ha di ribaltare la percezione della precarietà in un moto di consapevolezza di un rapporto di forza ancora tutto da agire.

Giovedì 10 novembre a partire dalle 19, invitiamo tutt@ a brindare con noi da Tuba a un aperitivo musicale, perchè se nelle nostre vite precarie c’è il motore che muove il mondo è ora che cominciamo a prenderne il comando.

Insieme, la cospirazione precaria prosegue!

Firmata la conciliazione.

Alcuni mesi fà, i Punti san precario di Roma effettuarono un’incursione comunicativa alla presentazione d’un libro nella Libreria Rinascita dove fra i relatori sedeva la segretaria nazionale della CGIL.

Precarie e precari chiesero a Susanna Camusso di prendere parola contro la precarizzazione delle lavoratrici e dei lavoratori delle Librerie Rinascita, già denunciata pubblicamente in precedenza: lavoratrici e lavoratori che erano impiegati al nero, non pagati da mesi, talvolta licenziati senza preavviso.

In quell’occasione Camusso non intese prendere parola rispetto alle condizioni sottolineate dall’iniziativa, chiudendosi in una risposta (“Non mi interessa niente, con voi non parlo”) che la dice lunga rispetto all’impegno e alla tutela che il sindacato esprime nei confronti dei precari.

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A seguito delI’azione,  il team legale dei punti san precario in collaborazione con alcune precarie della libreria, avviarono una vertenza nei confronti del datore di lavoro. La vertenza riguardava il ricorso a rapporti di lavoro in nero, licenziamenti illeggittimi, mancato pagamento di mensilità arretrate (in alcuni casi due anni di arretrati) e gli altri diritti maturati in corso di rapporto di lavoro quali TFR, tedicesime mensilità e ferie.
Il primo risultato ottenuto dai punti san precario è stato il reintegro immediato di una librai licenziata in modo illeggittimo.
Dopo una lunga e travagliata trattativa il team legale dei punti san precario è giunto ad una conciliazione con il datore di lavoro, ottenendo degli importanti risultati, quali il pagamento delle differenze retributive, le ferie, i riposi, lavoro straordinario, festività, tredicesima e quattordicesima mesilità e i ratei del TFR .

Presto vi comunicheremo il luogo e la data dell’apertivo che festeggierà questa vittoria invitando le reti dei precari a brindare con noi.

Verso lo sciopero precario

ALTRE APPARIZIONI DI SAN PRECARIO:

I Punti San Precario sostengono i giornalisti precari del quotidiano Terra

San Precario nella moltitudine della giornata globale contro l’austerity

San precario sanziona la sede di Equitalia!

Primo risultato del comitato licenziati ItaliaLavoro e Punti San Precario

Sacconi contestato al Cnel da licenziati d’Italia Lavoro e Punti San Precario

PUNTI SAN PRECARIO

Comunicato del Presidente dell’XI° Municipio Andrea Catarci in solidarietà con il Laboratorio Acrobax

Il Laboratorio Acrobax è una realtà attiva da anni nel Municipio Roma XI. Negli spazi dell’ex Cinodromo occupati e recuperati ad uso pubblico dal 2002, è presente un centro giovanile, uno spazio socio-abitativo in cui vivono 15 persone, una palestra, un campo di basket, un campo di rugby in cui si gioca il campionato di serie C, una sala prove per la musica. Si fanno iniziative quotidianamente ed alla luce del sole, per contrastare il precariato, l’emergenza abitativa, il caro-vita e l’uso delle armi, per promuovere lo sport per tutti, elemento di integrazione e confronto leale, per migliorare il quartiere, in particolare il degradato tratto di Lungotevere Dante. Tra il 2006 ed il 2007 due giovani di questa comunità, Antonio prima e Renato poi, hanno vista troncata la propria breve esistenza, il primo sul lavoro facendo trasporti veloci col motorino, l’altro assassinato all’uscita di uno stabilimento balneare da due giovani con simbologie neofasciste. I tragici fatti hanno rafforzato i legami con le altre realtà territoriali, già ampiamente consolidati.

Se qualcuno ha partecipato al rito vuoto e ingiusticabile della rottura di vetrine ed ha compiuto gesti ed azioni illegali va ovviamente accertato, ma che si indichi quel posto come palestra per il terrorismo oltre ad essere falso sa di sadico. E che Acrobax venga sbattuto in prima pagina e diventi una priorità del Ministro Maroni e del Sindaco Alemanno, in un clima da caccia alle streghe, è quanto di peggio sta producendo l’imperante subcultura antidemocratica ed autoritaria.

 

Andrea Catarci

Presidente del Municipio Roma XI

“Né buoni, né cattivi” – Intervista di Acrobax al Manifesto

di Eleonora Martini –

ROMA DOPO GLI SCONTRI – Grande discussione tra i partecipanti alla manifestazione.

Polemiche sugli incidenti Né buoni, né cattivi

«L’album di figurine ricostruito da certi media è ridicolo. Gli avvenimenti di sabato rivelano la temperatura sociale del Paese».

Parla un militante di Acrobax, uno dei centri sociali additati come cabina di regia degli scontri Sono stati additati dai media mainstream come la macchina organizzativa degli scontri di sabato scorso a Roma. I militanti del centro sociale romano Acrobax, insieme ai torinesi di Askatasuna e ai padovani del Gramigna, sarebbero secondo un «teorema preordinato» – così lo definiscono – la base logistica e di regia della battaglia che ha trasformato per la prima volta da tempo immemore la piazza di arrivo di una manifestazione in un campo di macerie. «È falso». Un confronto con loro deve partire necessariamente da questo assunto. Non vuole avere un nome, il militante di Acrobax con cui parliamo, «per una scelta politica, non giudiziaria: perché una voce senza nome è più ascoltata di tanti personalismi».

Dunque non siete voi gli artefici degli scontri di sabato?

L’album di figurine ricostruito da certi media è ridicolo. Noi, i militanti del Gramigna, per esempio, non li abbiamo nemmeno mai visti in una riunione. Con gli attivisti No Tav, invece, come con molte altre realtà italiane ed europee della rete degli Stati generali della precarietà abbiamo costruito insieme un percorso di lotta che continueremo a portare avanti. Un percorso condiviso da un movimento amplissimo, internazionale ed europeo, che sulla base dell’appello del 15 ottobre si è riunito a Barcellona per organizzare la resistenza alla politica di austerity dettata dai poteri finanziari globali. Non a caso, eravamo a pieno titolo nello spezzone iniziale del corteo. Ma il punto che sfugge ai più è che uno spezzone sia pur organizzato e militarizzato di rivoltosi non avrebbe avuto la forza di tenere sotto scacco per ore la polizia e trasformare piazza San Giovanni in un campo di battaglia. La resistenza, lì, è stata diffusa, la guerriglia l’hanno fatta migliaia di manifestanti. E noi con loro. Ma è su questo che si deve riflettere: come mai un piccolo gruppo di «violenti» è riuscito a trascinare con sé tanta gente? Chi erano queste persone?

È vero. Chi era in piazza quel giorno ha visto crescere il numero di “arruolati” alla guerriglia nel giro di qualche ora. Dapprima solo un “plotone” di miliziani nero vestiti, poi, a San Giovanni, gruppi non più definibili. Dunque tra di voi non c’era un disegno prestabilito per far saltare la manifestazione degli indignati?

Il comitato 15 ottobre sapeva benissimo che noi non riconoscevamo e contestavamo le loro scelte politiche. Come è avvenuto in tutto il mondo – da New York a Milano – noi volevamo portare la nostra protesta sotto i palazzi del potere. Quando dico «noi» intendo dire le migliaia di persone che hanno partecipato ad un’intera area di corteo. La nostra manifestazione sarebbe dovuta finire altrove, non in piazza San Giovanni. Le nostre azioni erano mirate, politiche. Volevamo sanzionare l’abuso di potere che costruisce zone rosse off-limits. Ma soprattutto mettere in pratica il diritto all’insolvenza, riappropriarci dei beni di consumo, far valere i nostri diritti negati – dalla casa al lavoro, dai saperi alla salute. Su questo tipo di lotte ci mettiamo la faccia e puntiamo alla riproducibilità delle nostre azioni. Non lasceremo soli chi vive sulla propria pelle l’esclusione imposta dalle banche centrali e dalle finanze globali, né li lasceremo alle destre o alla Lega.

Avete raggiunto i vostri obiettivi, sabato scorso?

Non abbiamo risolto il problema ma l’abbiamo reso evidente. Anche se non siamo caduti nella trappola della polizia e non abbiamo forzato il muro costruito a difesa del centro trasformato in zona rossa. E non abbiamo nemmeno paura di dire che certe azioni, come bruciare le auto all’interno del corteo o danneggiare la statua della Madonna, sono stupide e irresponsabili. Ma è stata colpa delle cariche della polizia e del modo di gestire le forze dell’ordine se gli scontri sono finiti proprio dentro la piazza dove il corteo avrebbe dovuto approdare. È davanti ai caroselli impazziti della polizia e alle auto lanciate contro la folla, che i manifestanti si sono uniti ai pochi «violenti», come li chiamate voi, iniziali.

 Abbiamo già raccontato ai lettori del manifesto la strana gestione delle forze di polizia in piazza San Giovanni. Ma insomma, non la firmate voi, quella violenza primaria e impulsiva senza grandi doti comunicative che ha devastato Roma?

Bisogna capire che c’è anche quella, anche se non era affatto nei nostri piani. Dovremmo tutti cercare di leggere i fatti di sabato come un termometro che misura la temperatura sociale di questo Paese.

Ha spiazzato anche voi, dunque?

Noi non facciamo le pulci alle varie anime del movimento, ciascuno sceglie la propria pratica politica. Così come non consideriamo nemici nemmeno coloro che scelgono strade di rappresentanza politica. C’è il massimo rispetto per chi sceglie le rappresentanze sindacali e studentesche. La nostra non è antipolitica, ma la consapevolezza dello svuotamento delle rappresentanze politiche. Certo, però, non saremo il capro espiatorio di un Paese – il cui tasso di disoccupazione giovanile sta al 30-35%, che vive in una dittatura mediatica unica al mondo, in assenza totale di tutele per i lavoratori e con un welfare tradizionale azzoppato dai tagli – nel quale è ovvio che il tappo è ormai saltato. Noi non provochiamo la rivolta ma nemmeno faremo i pompieri: meglio che tutto ciò emerga. A questo punto, o le rappresentanze politiche mostrano uno scatto di responsabilità, cercando di comprendere il senso e di dare delle risposte al conflitto, oppure quello che è successo sabato non è che l’inizio. E non è una minaccia, è una constatazione.

Cosa è cambiato rispetto alla manifestazione del 14 dicembre scorso?

Quello era solo corpo studentesco, sabato scorso invece in piazza c’era il corpo sociale metropolitano e precario. Allora si puntava alla sfiducia del governo e l’opposizione costituita ancora una sorta di rappresentanza politica parlamentare. Oggi le politiche di austerity sono condivise da tutto l’arco parlamentare. Per questo, senza fare alcuna apologia della violenza, diciamo che se il conflitto non trova altri sbocchi, in qualche modo esplode. È chiaro che si vuole instaurare uno stato d’eccezione per poi gestirlo in emergenza.

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Roma, il racconto di un autonomo: “Niente comizi, la piazza si conquista”

Gianluca, redattore di Infoaut, spiega dall’interno l’origine politica della violenza alla manifestazione degli indignati a Roma. “Bruciare macchine e spaccare la statua della Madonna è stata una gigantesca cazzata, ma attaccare banche e ministeri è un segnale politico”. E conferma la presenza in piazza di ultras del calcio e “reduci” degli anni Settanta
“Certo ci sono stati episodi deliranti, come bruciare le macchine, cosa che finisce solo per spaventare il corteo, o spaccare la statua della Madonna. Sono cazzate pazzesche. Ma attaccare le banche o gli uffici dei ministeri, che piaccia o meno, è un’indicazione, un segnale politico”. Gianluca, redattore di Infoaut, portale di politica e controinformazione di diversi collettivi dell’area autonoma, spiega la violenza esplosa alla grande manifestazione degli Indignati a Roma, terminata in ore di scontri in piazza San Giovanni, e con l’annullamento di tutti gli interventi finali.

Lui era lì, nel cosiddetto “blocco nero”, quello dei manifestanti coperti da caschi e cappucci che sono diventati protagonisti delle violenze. “Non raccontiamoci la storiella di due o trecento ‘black bloc’, magari fascisti o infiltrati della polizia”, continua Gianluca. “Tra il Colosseo e piazza San Giovanni, alla testa del corteo si è venuta a formare una componente di migliaia di giovani che non si riconoscevano negli organizzatori della manifestazione”. Addirittura cinque-diecimila, secondo il redattore di Infoaut, testata che in un editoriale definisce i fatti di Roma un episodio di “resistenza”.

Qui sta il cuore della frattura tra pacifici e violenti, con i secondi che di fatto hanno monopolizzato le cronache della protesta tra incendi e sassaiole. “La costruzione del 15 ottobre in Italia è stata nettamente al di sotto di quello che doveva essere. Gli organizzatori sono cadaveri: gruppi, sindacati e partitini che non esprimono niente nelle città, nelle scuole… Secondo loro, il corteo doveva finire con dei comizi elettorali, un modo secondo noi stupido di coronare una giornata di lotta. E la manifestazione sarebbe passata lontano dai veri luoghi della responsabilità”. Vale a dire i palazzi del potere, ritenuti colpevoli della crisi e del “furto” del futuro per le giovani generazioni.

Così, ragiona ancora Gianluca, molti hanno deciso di “uscire” dal programma preconfezionato. “Si possono anche deprecare le violenze di due o trecento persone, ma quando migliaia di giovani resistono per ore alla polizia è un fatto politico, come è accaduto anche nella manifestazione studentesca del 14 dicembre, sempre a Roma. Invece di aspettare i comizi, si sono presi la piazza. Questi giovani sanno che il loro futuro non esiste e non sono più riassumibili e compatibili in partiti, sindacati, associazioni. Se il percorso ufficiale della manifestazione avesse toccato i palazzi del potere, forse le cose sarebbero andate diversamente”.

Le azioni dei “neri” hanno provocato rabbia e reazioni molto decise da parte dei manifestanti che, nella stragrande maggioranza, puntavano a una giornata pacifica. E che invece si sono visti “scippare” i contenuti della protesta dalla risonanza mediatica degli scontri. Ma Gianluca la vede diversamente: “I contenuti politici ormai si conoscono: la crisi economica, il governo che sta in piedi a stento. Non si capisce perché la rivolta vada bene solo in Egitto”.

Alla fine, chi erano i violenti di piazza San Giovanni? “Al di là dei gruppi storici, c’è ormai uno strato sociale che si esprime in questo modo. Certo che Nichi Vendola dice che non si riconosce in quella piazza, ma neppure quella piazza lo voterà mai, perché sa che da lui arriveranno le solite ricettine”. Gianluca conferma che a manifestare a Roma c’erano anche gruppi ultras del calcio: “Ho visto ragazzi con lo striscione contro la ‘tessera del tifoso’, ma va capito che gli ultras sono un fenomeno sociale di massa. Rappresentano una forma di conflitto che per me sta al di sotto, ma dopo la normalizzazione del ministro Maroni tornano in strada e trovano un ambiente affine. Non sono alieni, sono anche loro proletari, stanno anche loro nelle scuole, nei luoghi di lavoro”. Così come, in mezzo a tanti ragazzi, si sono dati da fare contestatori più attempati, “quaranta-cinquantenni provenienti da altre battaglie”.

A questo punto, conclude, la definizione di “black bloc” diventa stretta. Il termine lo inventò la polizia tedesca negli anni Ottanta per definire gli Autonomen, che nei cortei facevano più o meno le stesse cose viste a Roma il 15 ottobre e si vestivano tutti di nero anche per rendere più difficile il riconoscimento nei filmati della polizia. In seguito, è stato utilizzato per definire la tattica di piccoli gruppi più o meno coordinati che si infiltravano nei cortei e ne uscivano per colpire gli obiettivi simbolo del capitalismo. Per Gianluca, i protagonisti degli scontri di Roma sono invece “una minoranza, ma di massa”.

Una generazione nata precaria, mentre scompare la mediazione.

dal manifesto.it

Chi sono?/ I «RAGAZZI DEL 14 DICEMBRE» DI NUOVO PROTAGONISTI
Una generazione nata precaria, mentre scompare la mediazione.
Se la governance «stile Bce» esautora la politica, si moltiplicano le figure sociali che non trovano più rappresentanza.

Hammett (da Il Manifesto di domenica 16 ottobre)

Aver poca memoria è un guaio. Un mondo politico affetto da questo male è gerontocrazia. Quello che è avvenuto ieri è un’estensione del 14 dicembre dell’anno scorso. Più in grande, più lontano dai «palazzi del potere», più intenso. Segnala che c’è un problema nel corpo sociale. Un problema che non trova rappresentanza, né a livello politico né sindacale. Ma esiste e non si può rimuovere con i fervorini giornalistici o, peggio, con le dichiarazioni nerborute del politico-che-rende-dichiarazione-alla-stampa.
Segnala che le soluzioni alla crisi stile «lettera Bce» – riducendo drasticamente la spesa pubblica – stanno annullando gli strumenti di «mediazione sociale». Per chi ha ancora un lavoro o una pensione, un riduzione di coperture o diritti è una sciagura in progress, cui cercare di resistere con le unghie e coi denti, magari intaccando i risparmi di una vita con lo sguardo ancora rivolto alla condizione precedente che si cerca – giustamente – di difendere. Per chi si affaccia ora «in società» e cerca di capire quale sia il suo posto, lo stesso taglio indica che per lui non c’è un grande futuro. O forse non c’è proprio.
Quando ieri, sopra le mappe geografiche dei Fori Imperiali, hanno tirato su lo striscione «di chi è la storia? è nostra», si potevano vedere centinaia di ragazzi che magari di storia ne masticano poca, ma non possono accettare di non farne parte. Di non avere ruolo, di essere «mercanzia»; per di più di poco prezzo.
E qualcuno lo capisce, sia sul piano empirico che su quello analitico (più complicato, ma più illuminante). Quando intervistammo i ragazzi del 14 dicembre questa «crisi della politica» ci venne sintetizzata in modo plastico: «Se – come potere – dico che ‘a causa della crisi’ non sono in grado di dare risposta ai bisogni sociali, è ovvio che ‘la mediazione’ non la posso trovare. Io politico sono esautorato dal processo economico».
Questa è la condizione della politica del prossimo futuro, quella stilizzata nella lettera di Draghi e Trichet, quella che espropria i singoli paesi della scelta più importante: quella sulla politica economica. Potranno legiferare sul testamento biologico o le intercettazioni, ma non su quale parte della popolazione strangolare e quale tutelare. È tutto qui il campo di applicazione della democrazia occidentale?
Discorso astratto? Il contrario. «Bisogna essere conseguenti con le cose che si dicono; si parla di sofferenza precarietà, rabbia… Ma qualsiasi governo verrà dopo, o mette in crisi il sistema di accumulazione e governance, o avrà le mani legate». Sono passati dieci mesi e in tutti questi giorni abbiamo potuto ascoltare politici di maggioranza e di opposizione esercitarsi sullo spartito: «ce lo chiede l’Europa», seguito da un «purtroppo» o un «per fortuna».
Questi ragazzi abitano le nostre periferie, forse qualcuno anche quartieri più «in». Si vedono tra loro più simili di quanto magari non càpiti ai rispettivi genitori. Arrivano nel centro della città come stranieri in territorio nemico, con coordinate persino approssimative. A dicembre un soldo di cacio con la faccia svelta mi fermò sul ponte per piazza del Popolo per chiedere «signore, qual’è la strada per palazzo Chigi?». E non pensava di entrarci come portaborse…
Dieci mesi fa hanno tenuto le strade del centro per quasi un’ora. Ieri si sono esibiti in diretta tv per oltre tre ore, fin quando le ombre della sera non li hanno portati lontano dalle telecamere. Ma sempre in corsa, contro «obiettivi simbolici» che non sposteranno di una virgola gli equilibri sociali e politici. O magari lo faranno in peggio. Però questa generazione «nata precaria» esiste, l’abbiamo creata «noi» a colpi di «pacchetto Treu» e «legge 30». Reagiscono alla «frammentazione sociale» in modo ruvido, magari «poco simpatico». Ma esiste ed esige risposta. Voltare le spalle e lasciare il problema alla polizia è la risposta peggiore.

Una prima presa di parola del Laboratorio Acrobax sulla giornata del 15/10

Il 15 ottobre a Roma abbiamo vissuto una giornata lunga e densa di avvenimenti su cui vorremmo esprimere alcune riflessioni, anche a fronte del linciaggio mediatico a cui siamo sottoposti.
Questo comunicato è una presa di parola rispetto alla pressione mediatica che si sta producendo intorno a quella giornata; diverso e con altri tempi sarà il dibattito di movimento.
La giornata è stata fatta vivere da migliaia di persone, di cui noi siamo stati una parte e come tale abbiamo provato a curare la riuscita e la capacità di sedimentare, che si sono mobilitate contro la crisi e l’austerity dimostrando che in Italia c’è un malessere diffuso e in quella partecipazione vediamo la volontà determinata di cambiare, di trovare strade alternative alle ricette della banca europea e prendere
parola in prima persona.
Questo l’abbiamo visto in maniera straordinaria nella grandissima partecipazione alla parte di corteo che abbiamo contribuito a costruire in assemblee pubbliche con centinaia di persone, con delegazioni di 15 città, dal nord al sud dell’italia, con migliaia di precarie/e, migranti e studenti, sotto le insegne di San Precario e Santa insolvenza. Immaginato e realizzato all’interno della rete degli
Stati generali della precarietà, nata nel corso dell’ultimo anno e che sta puntando alla realizzazione dello sciopero precario. Per questo abbiamo condiviso l’appello del 15 ottobre e siamo andati a Barcellona per la sua organizzazione internazionale e la costruzione di un movimento europeo.
Quella parte di corteo, a cui molte realtà si sono unite direttamente in piazza della Repubblica, aveva scelto di dare vita ad alcune iniziative di comunicazione, da quella all’albergo Exedra-Boscolo fino all’occupazione di fori imperiali che hanno costruito la nostra presa di parola pubblica e a viso aperto. A chi ci indica come regia di una presunta escalation del livello di scontro raggiunto dalla manifestazione rispondiamo che è semplicemente impossibile e fuori da ogni logica che una struttura cittadina possa organizzare una parte così ampia della manifestazione.
Nel corso del corteo si sono date delle azioni diverse dai livelli che noi abbiamo praticato o condiviso con la nostra rete. Non ci interessa entrare nel dibattito buoni e cattivi, violenza o non violenza che riteniamo molto strumentale e invece sicuramente molto più interessante è il ragionamento su come costruire relazione, condivisione e partecipazione in situazioni analoghe.
Crediamo che la gestione della piazza da parte delle forze dell’ordine sia stata criminale e intenzionalmente mirata a dividere definitivamente il corteo, con le cariche generalizzate da via labicana, dove il nostro spezzone è stato caricato alle spalle, fino a piazza San Giovanni, con l’accanimento su manifestanti inermi e con caroselli dei blindati lanciati addosso alla gente. A questo migliaia di persone hanno risposto opponendo una tenace resistenza esprimendo una parte sostanziale di quella rabbia che vediamo ogni giorno crescere nel tessuto sociale italiano sempre più sottoposto ad
un’insopportabile precarietà della vita intera.

Leggiamo e vediamo nei mezzi di comunicazione una superficiale lettura di questa giornata a cui, purtroppo, molti esponenti politici danno la stura e che stanno costruendo addosso alle nostre spalle un capro espiatorio. Assurde e ridicole le insinuazioni nei nostri confronti.
Riteniamo grave aver mischiato come figurine di un album realtà e strutture, iniziative e strumenti comunicativi, immagini e simboli.
Una gran confusione che crea un mostro mediatico da sbattere in prima pagina. Noi non abbiamo nulla da nascondere perché sempre alla luce del sole abbiamo messo noi stessi nelle lotte contro la precarietà che costruiamo giorno dopo giorno.
Laboratorio Acrobax

San precario sanziona la sede di Equitalia!

Verso la giornata di mobilitazione del 15 ottobre, diritto all’insolvenza per precari e precarie!

EQUITALIA – STROZZINI DI STATO from manuel fantoni on Vimeo.

La rete san precario di Roma, insieme al coordinamento cittadino di lotta per la casa e Militant,  ha fatto visita questa mattina nella sede di Equitalia di via Ippolito Nievo, nei pressi viale Trastevere a Roma, per reclamare il diritto all’insolvenza contro gli strozzini di Stato.
L’azione di comunicazione sociale si inserisce all’interno della settimana di mobilitazione europea verso la giornata del 15 ottobre.

Nonostante le tante iniziative in tutta Italia contro questo sistema di vera e propria oppressione fiscale,  Tremonti vuole usare ancor di più Equitalia (che ne sarà ben lieta visto il suo guadagno a a precentuale) per fare cassa riducendo a soli 60 giorni i termini per i pagamenti, aumentando la capacità di pignorare beni mobili e immobili e tutto questo a prescindere dal fatto che la cartella esattoriale sia giusta o invece “pazza” come milioni  ne sono arrivate.

Tra il consenso dei passanti e delle persone in fila per pagare le cartelle esattoriali abbiamo sanzionato dal basso chi pretende dai precari e dai disoccupati il pagamento delle attuali politiche di austerity  imposte dalla BCE.

La cospirazione continua…il 15 ottobre area indipendente di corteo del punto di vista precario per il diritto all’insolvenza