Primo sciopero nazionale dei giornalisti precari

PARTE DA L’UNITA’ IL PRIMO SCIOPERO NAZIONALE DEI GIORNALISTI PRECARI, ERRORI DI STAMPA AL FIANCO DEI COLLEGHI

 

Che il rispetto dei diritti dei lavoratori fosse stato sacrificato anche sull’altare delle politiche della cosiddetta sinistra, purtroppo, era un’evidenza ormai da troppo tempo.

Ma se anche un quotidiano come l’Unita’ perde ormai ogni scrupolo, e arriva a non pagare per sette mesi le decine di collaboratori sparsi nello stivale, lo scenario è davvero compromesso.
Il quotidiano fondato da Gramsci, il quotidiano che nella sua linea editoriale continua a raccontare la precarietà di un’intera generazione, si comporta oggi esattamente come il più meschino degli imprenditori: non riconosce il lavoro dei giornalisti precari, li chiama ‘fornitori’, risponde picche al tavolo delle trattative e si affida a un amministratore delegato sordo all’assurda pretesa dei giornalisti di essere pagati per il proprio lavoro.
I giornalisti che ancora non si arrendono e che per quel quotidiano si ostinano a lavorare, invece, tengono alto il glorioso nome della testata e, per la prima volta, con l’appoggio della redazione, danno vita ad uno sciopero nazionale della massa degli invisibili dell’informazione. Uno sciopero che coinvolge dal più giovane al più anziano dei precari, chi ha scritto pochi pezzi e chi da dieci anni combatte contro la deriva precarizzante dei padroni della testata.
Uno sciopero che non può non accendere i riflettori anche sull’insostenibile situazione dei precari storici del giornale, firme ormai note a tutti i lettori, dopo anche dieci anni di stabile precarietà.
Per questo “Errori di stampa”, coordinamento dei giornalisti precari di Roma, appoggia lo sciopero delle firme precarie del giornale, che si sono riunite dalla Sicilia al Piemonte e hanno deciso di incrociare le braccia, dopo mesi e mesi passati prima a non credere ai propri occhi e poi a cercare di trattare con la proprietà per ottenere i sacrosanti compensi per il loro lavoro.
Siamo con loro e con tutte le altre redazioni che, come auspichiamo, vorranno seguire l’esempio dei giornalisti de l’Unità.

Intanto, ingenui e ostinati, non perdiamo la speranza che il direttore del giornale, prima o poi, firmi un servizio sui numeri del precariato giornalistico. Per i precari all’interno del giornali di Gramsci, invece, ci accontenteremmo anche di un boxino.

http://erroridistamparm.blogspot.it/2012/10/parte-da-lunita-il-primo-sciopero.html

Reddito minimo, è arrivata l’ora delle scelte

Da il Manifesto del 28 gennaio 2012:

«Entro il mese di marzo»: questa la scadenza fornita da Mario Monti per riformare il mercato del lavoro e gli ammortizzatori sociali. Nei primi giorni di gennaio 2012 sono partite le consultazioni del ministro del Welfare Elsa Fornero, che poche settimane prima si era dimostrata favorevole all’introduzione di un reddito minimo garantito anche nel nostro Paese. Visto il modo di operare fin qui svolto dall’attuale governo nel comunicare le iniziative politiche e viste le poche informazioni in circolazione al momento, non abbiamo ancora compreso cosa significhi in concreto riformare gli ammortizzatori sociali e quali siano le opzioni realmente in gioco.

Nel frattempo i dati diffusi da enti statistici e centri di previsione economica certificano l’aumento della disoccupazione, una precarizzazione sempre più selvaggia, l’abbassamento dei salari e il conseguente, generale, scivolamento verso il basso dei diritti dei lavoratori e dei cittadini, giovani e vecchi, precari o garantiti che siano. In tutto questo, le politiche di austerity creano pressioni inedite su quelle forme di “welfare familistico” a cui per anni e fino ad ora, è stato delegato di risolvere le storture del welfare pubblico italiano e fornire una sorta di compensazione per l’assenza di una qualsivoglia misura universalistica di sostegno al reddito.

Per questo oggi il tema del reddito garantito diviene centrale, ineludibile, urgente. L’urgenza è data non solo dal peggioramento spaventoso della condizioni sociali, ma anche dall’emergere di una nuova aspettativa da una parte sempre più viva e larga di popolazione, che vede nel reddito garantito una concreta opportunità di garanzia e tutele. È testimonianza di ciò la straordinario risultato della legge regionale del Lazio in tema di reddito garantito, che ha portato nel 2009 all’emersione di oltre 120.000 domande di sostegno, totalmente inattese e largamente superiori alle previsioni, da parte di coloro che non arrivano a 8000 euro l’anno.

In questo periodo che ci porterà alla riforma del mercato del lavoro e degli ammortizzatori sociali, la parola d’ordine del reddito garantito può e deve diventare al più presto occasione di confronto per tutti i soggetti sociali che subiscono la crisi in maniera oppressiva. Far emergere la necessità del diritto al reddito significa ridare corpo e voce a quella “folla solitaria” in cerca di opportunità di lavoro e di sopravvivenza. Una folla solitaria fatta di milioni di pensionati o anziani, cassaintegrati senza più cassa, precari di prima generazione (quelli tra i 35/50 anni), di seconda generazione (tra i 20/35 anni), componenti della generazione Neet (tra i 16/25 anni), donne, famiglie con un solo stipendio, immigrati, figure operaie ormai in dismissione, lavoratori over 50 non più spendibili sul mercato, working poors diffusi anche tra il lavoro autonomo e la lista potrebbe allungarsi.

Sul tema del reddito si possono unire tutte le singolarità che subiscono, spesso in silenzio, nuove forme di povertà, per ricostruire una solidarietà intra-generazionale, tra chi ha perso un lavoro e non riesce a ricollocarsi, e chi, un po’ più giovane, è costretto a svolgere un lavoretto precario cui non riesce a dire di no, pur di racimolare qualche soldo a fine mese. Sul tema del reddito si possono unire coloro che pensano sia necessario coltivare forme di autonomia, di autodeterminazione, di libertà di scelta, anche della vita professionale, senza per questo dover continuamente sottostare ai ricatti del lavoro purché sia. Sul tema del reddito si possono unire studenti, giovani, ai quali non piace il futuro che si offre loro perché subiscono un presente senza diritti. Sul tema del reddito possono e debbono prendere parola tutti i cittadini di questo Paese convinti che al centro delle politiche di contrasto alla crisi debba esserci una misura di distribuzione delle ricchezze.

Auspichiamo insomma una presa di parola capace di unire, di definire un obiettivo comune, indipendente dalla miriade di storie private ed individuali, che in verità ormai raccontano una storia unica fatta di povertà, ricatti e privazioni. Una presa di parola sul reddito garantito per tornare a guardare con fiducia al “futuro” a partire dal presente, per immaginare un orizzonte oltre la crisi, con maggiore giustizia sociale, in cui sia possibile una distribuzione delle ricchezze, in cui non sia più accettabile che alcuni percepiscano compensi superiori di oltre 500 volte quelli di un lavoratore medio. Occorre una presa di parola per dare visibilità al rischio di “default sociale” che stiamo vivendo e far si che intorno al tema del reddito garantito prendano parola i senza diritti insieme a chi i diritti rischia di perderli quotidianamente.

Insomma, in questa fase così strategica ci sembra necessaria una presa di parola larga, in grado di unire la frammentazione sociale, per lanciare una proposta politica concreta nel pieno del dibattito sulla riforma degli ammortizzatori sociali, affinché il tema del reddito garantito venga preso in considerazione in maniera seria, forte, concreta, urgente come nuovo diritto fondamentale per la realizzazione di vite degne.

Auspichiamo che a questa richiesta di presa di parola sul tema del reddito ne seguano altre di singoli cittadini e soggetti collettivi, personalità scientifiche e culturali, esponenti della politica locale e nazionale; di tutti coloro che insomma ritengano non sia più possibile rimandare un tema così importante per la coesione sociale, la libertà e dignità delle persone. Con la convinzione che questa presa di parola individuale e collettiva possa trasformare l’attuale frammentazione, solitudine e disagio sociale, in una massa critica verso l’obiettivo comune del reddito garantito.

Basic Income Network – Italia

(http://www.bin-italia.org)

La forza e la paura!

da www.infoaut.org

di Gigi Roggero
Il rancore, si sa, è una passione triste. C’è chi ci costruisce sopra una carriera da magistrato, chi una carriera da politico: negli ultimi quarant’anni in Italia le due cose hanno iniziato ad andare insieme e a confondersi. Lasciare la bandiera della lotta alla magistratura a Berlusconi è uno dei crimini dell’anti-berlusconismo. E così rieccoci: riavvolto il nastro, la canzone è sempre la stessa, perché è l’unica musica che conoscono. Servi della propria impotenza, il Partito dei Caselli usa il solo linguaggio che possiede, quello del rancore appunto, della passione triste che si è fatta Stato. Chi è interessato a trovare i motivi dell’ingloriosa fine della sinistra nella provincia italiana, li cerchi innanzitutto qui dentro.

Gli articoli dei giornali erano già pronti, pochi minuti dopo il blitz contro il movimento no-Tav i siti sono già pieni di nomi e dettagli. Il Partito di Repubblica, amico fraterno e integrato con quello dei Caselli, parla di film e piani, di attori e registi occulti. Un paio di settimane fa uno striscione di una curva recitava: “Acab: peccato per la trama, il titolo era simpatico”. In questo caso, invece, trama e titoli sono entrambi scontati. Era nell’aria, si è subito commentato, proprio perché il Partito dei Caselli non sa fare altro. Una quota di un’“area”, una quota di un’altra, qualche figura da dare in pasto ai media, e il teorema è fatto. Che cosa vi lamentate, dice il procuratore di partito, non è un’operazione contro la Valle perché solo tre sono di là. Come se il movimento no-Tav fosse un’entità geografica e non un processo politico. Da un lato, lo si accusa di essere Nimby, emblema dell’egoismo del proprio cortile; dall’altro, lo si accusa dell’esatto contrario, cioè di essersi generalizzato. Dalla Valle rispondono subito e senza esitazioni: il movimento no-Tav non ha confini, non bisogna avere la carta d’identità per parteciparvi, perché è un movimento che ha unificato metropoli e montagna parlando il linguaggio del comune.

Non solo: proprio per questo, dicono i no-Tav, il periodo degli arresti non è casuale. La crisi si approfondisce, insorgenze e movimenti occupano le piazze globali, in Italia differenti pezzi del lavoro danno vita a lotte, eterogenee e complesse, spesso di difficile lettura, che però certamente mettono a nudo la paura di chi non riesce più a governare una composizione sociale tendenzialmente unificata da un processo di impoverimento complessivo. E non è casuale nemmeno la natura dell’attuale governo: coperto dalla supposta neutralità del suo ruolo “tecnico”, estraneo alla necessità di guadagnare voti, dispensato dal problema del consenso dalla santa alleanza con partiti, rappresentanze delle mediazioni sociali e delle corporazioni, l’esecutivo Napolitano-Monti ha mano libera. Così, la ministra dell’interno Cancellieri mette in guardia dal sottovalutare i pericoli che le proteste nascondono in grembo, i pescatori vengono manganellati, a catalogare i forconi come fascisti e mafiosi ci pensa direttamente la sinistra. Anche la repressione delle lotte deve diventare una questione tecnica da affidare a chi ha le competenze e il merito per farlo. E il Partito dei Caselli fa il suo solito, sporco e ripetitivo lavoro.

Il movimento no-Tav, come altri movimenti, esemplifica questa composizione sociale, la accoglie e ne è espressione. Per questo fa paura. Come arrestarlo? La divisione tra buoni e cattivi, tra valligiani e cittadini, è come abbiamo visto subito fallita. E allora ecco l’altra arma retorica: sono stati colpiti i leader. Ai nomi ci pensa l’apparato del Partito dei Caselli: qui si agitano e schiamazzano mezze figure – non facciamo, in questa sede, i loro nomi affamati di notorietà – che, nonostante i loro servigi alla questura, non riescono a diventare famosi. Uno stipendio sì lo hanno, alla faccia degli sprechi che vogliono tagliare sulla pelle dei lavoratori, un posto da onorevole non si nega a nessuno in cambio dell’adeguato servilismo, e oggi esultano: “un’operazione eccellente, finalmente lo Stato ha risposto in modo forte e chiaro, troppo si è tollerato, perfino che si proclamasse una repubblica autonoma!”. Ma, poveracci, facciano tutti i nomi che vogliono, anche questo proprio non funziona. Imprigionati nel culto dello Stato, pensano che le forme di organizzazione moltitudinaria si specchino nelle strutture della rappresentanza e della sovranità: decapitandone la testa, si bloccherà il corpo. Non si rendono conto che davanti e tutto intorno c’è un’idra che non si fa trovare dove la cercano e colpisce quando meno se lo aspettano. “Siamo tutti leader”, gridano da Occupy Wall Street alla Val di Susa, ma loro sono strutturalmente incapaci di sentire.

Se la sinistra vuole avere ancora qualcosa da dire, dovrebbe innanzitutto fare piazza pulita di questi cadaveri. Guardare dove c’è la vita delle repubbliche autonome, non la puzza di putrefazione. E invece silenzio di chi dovrebbe prendere parola contro gli arresti, mentre parlano coloro che dovrebbero essere messi definitivamente a tacere. La verità è che chi da ieri all’alba si trova in carcere è libero, chi ce lo ha messo è prigioniero. Prigioniero del proprio passato, della propria servitù, della propria impotenza. Questa è la retata della paura di fronte alla forza: non gli resterà in mano nulla, se non la loro miseria. A noi, invece, resta quel sorriso di Giorgio portato via in manette. Più di tante parole, con tranquillità, ecco la certezza che ci accompagna: non ci prenderete mai.

Coast to coast: traiettorie del movimento Occupy

Un interessante articolo su Occupy Wall Street e Occupy Oakland da Connessioni Precarie. Di Michele Cento – Felice Mometti

Il successo della giornata del 17 novembre a New York, assedio alla Borsa al mattino, studenti nelle strade al pomeriggio e più di 30 mila persone in piazza la sera, è in larga parte dipeso dalla capacità di Occupy Wall Street di tradurre l’ampio consenso di cui gode in mobilitazione sociale. Tuttavia, il sostegno – secondo i sondaggi – della maggioranza dei newyorchesi non è sufficiente se tale meccanismo di accumulazione del consenso rimane a livello di opinione pubblica e non diventa possibilità concreta di inceppare i meccanismi della riproduzione dei rapporti sociali.

In altri termini, occorre chiedersi se OWS sia in grado o meno di costruire connessioni tali da produrre rotture nell’ordine sociale, anche quando l’onda emotiva innescata dallo sgombero si è ormai esaurita. La proposta, avanzata dal “gruppo di Azione diretta” subito dopo il 17, di occupare sette tra edifici e piazze sparsi per la città costituiva un ulteriore segnale in direzione di un superamento dei confini ormai stretti di Zuccotti Park. L’obiettivo non era tanto quello di delimitare spazi, quanto piuttosto quello di attivare nuovi focolai di disordine da cui il virus di Zuccotti si sarebbe dovuto diffondere. Un virus pericoloso per la salute del capitale e dell’establishment politico-istituzionale, proprio per la sua capacità di contagiare i gruppi che oggi pagano maggiormente i costi della crisi. In questo senso, si poteva scorgere una spinta verso una definitiva radicalizzazione del movimento, espiando dunque il peccato originale della semplice rappresentazione del conflitto.

Purtroppo, le difficoltà logistiche prodotte dallo sgombero così come la costante repressione della polizia hanno per il momento impedito il dispiegarsi della protesta. Anche l’occupazione di alcuni locali dell’Università New School, che puntava a innescare un cortocircuito nel sistema dell’istruzione statunitense, creando uno spazio pubblico in un’università privata, non ha avuto gli effetti sperati scontando la frammentazione e la divisione dei collettivi studenteschi.

Se lo sgombero ha rinvigorito Occupy Oakland, su OWS sembra non aver avuto lo stesso effetto. Certo, Oakland ha superato vittoriosa il battesimo del fuoco dello sciopero generale del 2 novembre, mentre forse OWS ha pagato la scelta minimalista di reagire allo sgombero con una semplice manifestazione di solidarietà. Cosa che ha certamente catalizzato l’indignazione dei liberal newyorchesi verso il sindaco Bloomberg, ma non ha incanalato lo scontento sociale delle comunità ispaniche e afroamericane, che pure alla manifestazione del 17 novembre erano presenti in massa, verso forme di azione diretta. Per parafrasare un vecchio sociologo sui generis, OWS ha peccato di “crisi di immaginazione rivoluzionaria”.

Ma non è solo questo. Dopo il 17, vari settori di movimento hanno reagito con insofferenza al controllo esercitato sulla manifestazione dei 30mila dai sindacati, che avrebbero impedito il blocco totale del ponte di Brooklyn canalizzando il corteo nell’area pedonale. Molto ha pesato, in questo senso, la dichiarazione pubblica, dei gruppi dirigenti sindacali, di sostegno alla rielezione di Obama fatta il giorno prima della manifestazione. Il rischio è che il rapporto con i sindacati si possa tramutare da elemento di amplificazione del movimento a gabbia per la messa in campo della conflittualità sociale.

Con ciò non si vuole dire che OWS abbia perso il suo slancio antagonista. Anzi, proprio per accumulare nuovamente la forza e la credibilità incrinate in questi ultimi giorni, ha messo in cantiere almeno un paio di iniziative rilevanti. In primo luogo, ha convocato per il 6 dicembre una giornata nazionale di sit-in nei quartieri dove più alta è la percentuale di sfratti e pignoramenti di abitazioni. In tal modo, OWS punta a toccare un nervo scoperto della società americana ai tempi della Grande Recessione. La crisi economica ha infatti mostrato il suo volto più duro ai titolari di mutui subprime, che, una volta dichiarati insolventi, si sono ritrovati senza un tetto a causa dell’azione repressiva delle banche. Quelle stesse banche per cui il governo americano ha sborsato cifre astronomiche proprio per evitarne l’insolvenza. Ecco allora il duplice senso dell’iniziativa di OWS: da un lato, un’azione concreta a favore di ampi settori della società americana situati tra le classi medio-basse, dall’altro mettere in evidenza le contraddizioni e le storture di questo capitalismo a trazione finanziaria.

Un nuovo e interessante tentativo di connessione proviene poi da El Barrio, lo storico quartiere ispanico di East Harlem dove è attivo Encuentro, un gruppo persone di colore di ogni età, con una forte presenza di lavoratori e migranti. Da anni El Barrio è sottoposto a un processo di gentrification, che punta a riconfigurare peculiarità socio-culturali e costo della vita del quartiere per adeguarlo agli standard della middle class bianca. Tale processo sta mettendo a dura prova la resistenza dei latinos, che, più in generale, osservano quotidianamente il potere violento del capitale distruggere la loro comunità, a partire proprio dalle procedure di sfratto. Pertanto, Encuentro ha proposto a OWS di unire gli sforzi contro le dinamiche di sfruttamento e di subordinazione perpetrate dal capitale globale, costruendo un tessuto connettivo tra le molteplici istanze che attraversano sia il movimento sia la comunità di East Harlem. Entrambe le iniziative possono ridare nuova linfa a OWS e un nuovo slancio radicale

Tuttavia, una rinnovata fase di lotta può essere costruita solo tramite una più stretta connessione con i movimenti Occupy della West Coast, dove l’epicentro della protesta sembra essersi spostato. Occupy Oakland, grazie anche alla sua particolare composizione sociale e a una soggettività politica decisamente più marcata rispetto alle altre esperienze, dopo lo sciopero generale ha lanciato per il 12 dicembre una giornata di blocco di tutti i porti della costa ovest coinvolgendo nel coordinamento dell’iniziativa le occupazioni di Los Angeles, San Francisco, Portland. Gli studenti dell’Università della California di Sacramento hanno indetto uno sciopero generale per il 28 novembre contro i tagli all’istruzione fatti dal governo e il vertiginoso aumento delle tasse universitarie, con l’obiettivo di generalizzarlo anche negli altri 10 campus dell’Università della California compreso Berkeley. Le occupazioni di Seattle, Tacoma, Bellingham, Everett si sono mobilitate per sostenere i lavoratori, in grande maggioranza precari, della sede di Renton della Wal-Mart la più grande catena commerciale del mondo, nella loro lotta contro un tasso di sfruttamento e una mancanza di diritti elementari che ricordano i tempi della prima rivoluzione industriale.

Questo sommovimento generale che sta investendo la West Coast apre una fase nuova in tutta la galassia Occupy negli Stati Uniti dimostrando ancora una volta che i tempi e i luoghi della conflittualità dei movimenti sono imprevedibili, soprattutto quando escono dalle consolidate certezze non solo del discorso dominante, ma anche dei sindacati e dei movimenti che conosciamo. Questo anche e forse soprattutto nel cuore del sistema capitalistico.

#15Oct: Ce n’est qu’ un debut (KLF)

Lasciatici da poco alle spalle la grande giornata di mobilitazione globale del #15Oct, una nuova giornata di lotta è già in costruzione.

Come student*, precar* e attivist* del Knowledge Liberation Front negli ultimi mesi abbiamo contribuito alle prime fasi di strutturazione di quel nuovo movimento transnazionale che il 15 Ottobre ha avuto la prima emersione comune.

Abbiamo partecipato all’Hub Meeting di Barcellona che ha segnato un importante convergenza nelle prospettive politiche di tanti movimenti su scala europea. Le acampadas che avevano lanciato la data di mobilitazione di metà ottobre sono state una prima fondamentale sperimentazione di reale alternativa dentro la crisi. Istituti autonomi permanenti che hanno praticato la democrazia diretta, l’autogestione e la riappropriazione di spazi e tempi fuori e contro i dispositivi di una rappresentanza politica in fase terminale. Abbiamo prodotto un documento collettivo:

http://takethesquare.net/it/2011/09/25/documento-finale-hub-meeting-di-barcellona-verso-il-15o/

e da lì siamo partiti alla volta di Tunisia.

Il meeting Reseau des luttes svoltosi a cavallo fra Settembre ed Ottobre ha segnato una connessione fra le due sponde del Mediterraneo, mostrando come sia possibile dal basso rompere i confini. Abbiamo appreso il divenire rivoluzionario del movimento tunisino, diffusosi poi in larghe parti del Maghreb.

Anche da quell’importante momento è uscito un appello ed un segno di continuità:

http://www.edu-factory.org/wp/transnational-meeting-in-tunisia-reseau-de-luttes-common-declaration/

Una composizione comune, unita dalla materialità delle condizioni di vita, è definitivamente insorta in tutto il mondo il 15 Ottobre. Formata in prima fila da student* e precar* altamente formati, giovani delle periferie e ceto medio in via di impoverimento, un grido comune contro l’austerità ed il debito ha indicato la direzione per i prossimi mesi.

Ci uniamo al comunicato uscito dall’Hub Meeting:

http://bcnhubmeeting.wordpress.com/2011/10/25/comunicado-en-solidaridad-con-el-movimiento-italiano/

nel rifiutare qualsiasi forma di criminalizzazione dei movimenti e nell’esprimere solidarietà e richiesta di immediata scarcerazione per gli arrestati del 15 Ottobre a Roma.

Crediamo che alcune delle ipotesi sulle tendenza formulate nei mesi passati siano state pienamente confermate:

  • l’irreversibilità delle politiche di austerity decise dalle cricche al potere che guidano la finanza globale e le istituzioni internazionali e l’impossibilità di qualsivoglia risposta su un piano nazionale;
  • la conseguente impossibilità di una opzione politica alternativa nel quadro della rappresentanza istituzionale o la ricerca di risposte situate nella dicotomia pubblico/privato, che rappresentano solo due facce della stessa medaglia;
  • la necessità di praticare l’insolvenza e della riappropriazione di reddito e nuovo welfare come uniche forme adeguate e contro ogni retorica del lavoro come bene comune;
  • l’urgenza di rendere le università luoghi di costruzione di autonomia del sapere vivo;
  • il 99% non ha nulla da difendere ma un nuovo mondo da costruire.

Se il #15O è stato sicuramente momento centrale, subito dopo di esso i conflitti non si sono certo arrestati. Solo per citare alcuni esempi centinaia di migliaia di persone hanno invaso Budapest, il Senato è stato occupato in Cile, due giornate di sciopero generalizzato hanno attraversato la Grecia, la piazza di fronte alla Borsa a Lubiana è stata occupata.

Per questi e molti altri motivi riteniamo fondamentale accogliere, dopo quello delle acampadas, l’invito alla mobilitazione che proviene dal movimento statunitense #OccupyWallStreet che lancia per l’11.11.11 una nuova giornata di lotta transnazionale chiamata #Occupyallstreet #Occupyeverywhere.

Costruiremo quella giornata nei nostri territori, consapevoli che le accelerazioni temporali e la contemporanea contrazione/avvicinamento dello spazio e l’estensione dello spazio politico che parla di #GlobalRevolution siano dinamiche appena agli albori di questa crisi.

Knowledge Liberation Front

San Paolo: sgomberato ex deposito Atac

Roma, 31 ottobre. Questa mattina verso le ore 7 ingenti e arroganti forze del reparto celere della Polizia di Stato hanno circondato l’ex deposito ATAC di San Paolo per sgomberarlo.

Gli e le occupanti sono saliti/e sul tetto per cercare di restare nelle loro case. In questi frangenti mentre gli uomini sono stati portati via al commissariato di zona ci sono state poi alcune aggressioni alle donne con i bambini in braccio, sono tirate per i capelli, insultate e maltrattate.

Nel frattempo occupanti e solidali giunti da tutta Roma hanno provato a partire in un corteo comunicativo che spiegasse cosa stava succedendo al quartiere e perchè Alemanno avesse sgomberato quel posto che tante nuove attività sociali aveva portato nel quartiere durante questi mesi di occupazione.

Questa pacifica manifestazione comunicativa è stata impedita dalla Polizia che si è schierata davanti agli uomini, donne e bambini del corteo con caschi, scudi e manganelli… pronti a colpire.

Non cadiamo in queste trappole, ma lo diciamo fin  da subito che ci riprenderemo il diritto a manifestare nelle strade della nostra città e che questa stretta autoritaria fascistoide di Alemanno ha i minuti contati.

Alemanno se ne deve andare al più presto e questo sarebbe sicuramente un bene comune per la cittadinanza di Roma.

Il deposito ATAC ormai da tempo abbandonato era stato occupato il 20 giugno per sottrarlo alla speculazione dopo che il sindaco Alemanno aveva approvato la delibera 35 per poter vendere ai privati i beni di ATAC per trovare nuovi fondi dopo i disastri combinati dalla sua amministrazione oscenamente implicata nello scandalo parentopoli all’ATAC e nel saccheggio di tutte le altre minucipalizzate del comune di Roma.

Da Onda Rossa solidarietà agli arrestati

Radio Onda Rossa esprime pieno sostegno e solidarietà alle compagne e ai compagni arrestati a seguito della operazione repressiva dello Stato messa in atto il 15 ottobre con l’intento di criminalizzare un movimento, di certo eterogeneo, che aveva dato vita a un corteo di centinaia di migliaia di persone.

Centinaia di migliaia di persone che in quella giornata hanno mostrato, pur tra le differenze di analisi e di metodologia, una consistente volontà di trasformare un modo di produzione che, mai come oggi, ha mostrato le sue marce radici e le terribili prospettive che riserva a gran parte dell’umanità. Una volontà di cambiamento che deve ancora radicarsi nei luoghi di sfruttamento e nei territori, proponendosi nel quotidiano delle nostre vite, oltre i grandi raduni di piazza, affinché anche questi possano nutrirsi di lotte reali e di contenuti più dirompenti.

In piazza San Giovanni i manifestanti hanno risposto come potevano a chi voleva loro impedire di manifestare, riuscendo qualche volta a fermare la furia violenta delle camionette che facevano i caroselli, ma non quella dei giornalisti che li giustificavano.

Giudici, forze dell’ordine, media che incitano alla delazione, puntano ad accentuare il controllo sociale e a determinare la spaccatura di un movimento che li spaventa, tratteggiando un’artificiosa distinzione tra manifestanti buoni e manifestanti cattivi, utile ad indicare un capro espiatorio da punire in modo esemplare, così come sta accadendo per Genova 2001 dove, è utile ricordarlo, una decina di compagni e compagne stanno rischiando di pagare per tutti: attendiamo prima della fine dell’anno le sentenze della Cassazione.

Su questa linea maggioranza e opposizione sono d’accordo: l’applicazione del DASPO anche ai partecipanti dei cortei, l’arresto in flagranza differita, il fermo preventivo sono proposte appoggiate da entrambi gli schieramenti.

Il 15 ottobre resta, aldilà di tutto questo, una giornata che non possiamo lasciarci alle spalle così come non vogliamo che le compagne e i compagni incarcerati, fermati in piazza o nei giorni seguenti, restino da soli ad affrontare la repressione. Dobbiamo sostenere le manifestanti e i manifestanti, i perquisiti, i feriti, i collettivi e le singolarità oggetto di persecuzione giudiziaria e mediatica.

Radio Onda Rossa se ne fa promotrice come nodo di comunicazione antagonista e parte di questo variegato movimento. Vogliamo la libertà immediata di tutte e tutti le/gli arrestate/i. Lanciamo con forza e determinazione una campagna che dia un sostegno tangibile con gesti di solidarietà attiva.

Sottoscriviamo per le spese legali di tutti e tutte gli arrestati e le arrestate: venendo negli studi in Via dei Volsci 56 a Roma, tutti i giorni dalle 8 alle 21; oppure compilando un bollettino di conto corrente postale CCP n. 61804001 intestato a: Cooperativa Culturale Laboratorio 2001, Via dei Volsci 56 – 00185 Roma. Causale: “15 ottobre”. Effettuando un bonifico bancario intestato a: Cooperativa Culturale Laboratorio 2001 Codice IBAN: IT15 D076 0103 2000 0006 1804 001

Causale: “15 ottobre”.

Contro ogni carcere giorno dopo giorno.

Perché di carcere non si muoia più, ma neanche di carcere si viva.

Hub Meeting: comunicato di solidarietà con il movimento italiano

Di fronte alle minacce di arresti preventivi e indiscriminati e alla forte ondata repressiva a cui é sottoposto parte del movimento italiano, vogliamo esprimere, mediante questo comunicato, la nostra massima vicinanza e solidarietá.

“Organizzatori di guerriglia urbana, provocatori professionisti”, ecc… sono alcune delle definizioni qualificative che i media main stream, i partiti politici e i corpi di polizia stanno utilizzando per criminalizzare quelle forze antagoniste che hanno partecipato attivamente alla costruzione collettiva del 15 Ottobre a livello internazionale.

Dimostrazione di tutto questo é la partecipazione all’Hub Meeting del 15 Settembre a Barcellona degli Stati Generali della Precarietá, rete italiana che include diversi collettivi e centri sociali come San Precario e Acrobax.

In questo incontro internazionale, il dibattito fra le molteplici reti, movimenti e realtá sociali é stato fondamentale per la costruzione di un moltitudianria ed eterogenea giornata di mobilitazione globale contro la poltica di tagli e austerity che incide sui pilastri delle diverse forme di welfare e sui diritti sociali dei paesi europei.

La rete degli Stati Generali della Precarietá ha contribuito attivamente alla costruzione pubblica e collettiva di un ambito di dibattito comune e condiviso per molte e molti dove denunciare la crisi del potere e iniziare la costruzione di concrete alternative contro la precarietá delle condizioni materiali di vita.

É per tutto questo che rifiutiamo qualsiasi attribuzione di responsabilitá e di una organizzazione preventiva rispetto ad un’esplosiva situazione che si é verificata durante la manifastazione, cosí come rifiutiamo il linciaggio mediatico e repressivo in atto contro attivisti e movimenti per la ricerca di capri espiatori da parte del governo italiano.

Ribadiamo la nostra vicinanza e solidarietá alle reti sociali che sono ingiustamente criminalizzate e chiediamo la scarcerazione immediata degli attivisti arrestati.

Rete internazionale del Hub Meeting

http://bcnhubmeeting.wordpress.com/

 

 

COMUNICATO DI SOLIDARIETÁ CON IL MOVIMENTO ITALIANO

Di fronte alle minacce di arresti preventivi e indiscriminati e alla forte ondata repressiva a cui é sottoposto parte del movimento italiano, vogliamo esprimere, mediante questo comunicato, la nostra massima vicinanza e solidarietá.

Organizzatori di guerriglia urbana, provocatori professionisti”, ecc… sono alcune delle definizioni qualificative che i media main stream, i partiti politici e i corpi di polizia stanno utilizzando per criminalizzare quelle forze antagoniste che hanno partecipato attivamente alla costruzione collettiva del 15 Ottobre a livello internazionale.

Dimostrazione di tutto questo é la partecipazione all’Hub Meeting del 15 Settembre a Barcellona degli Stati Generali della Precarietá, rete italiana che include diversi collettivi e centri sociali come San Precario e Acrobax.

In questo incontro internazionale, il dibattito fra le molteplici reti, movimenti e realtá sociali é stato fondamentale per la costruzione di un moltitudianria ed eterogenea giornata di mobilitazione globale contro la poltica di tagli e austerity che incide sui pilastri delle diverse forme di welfare e sui diritti sociali dei paesi europei.

La rete degli Stati Generali della Precarietá ha contribuito attivamente alla costruzione pubblica e collettiva di un ambito di dibattito comune e condiviso per molte e molti dove denunciare la crisi del potere e iniziare la costruzione di concrete alternative contro la precarietá delle condizioni materiali di vita.

É per tutto questo che rifiutiamo qualsiasi attribuzione di responsabilitá e di una organizzazione preventiva rispetto ad un’esplosiva situazione che si é verificata durante la manifastazione, cosí come rifiutiamo il linciaggio mediatico e repressivo in atto contro attivisti e movimenti per la ricerca di capri espiatori da parte del governo italiano.

Ribadiamo la nostra vicinanza e solidarietá alle reti sociali che sono ingiustamente criminalizzate e chiediamo la scarcerazione immediata degli attivisti arrestati.

Rete internazionale del Hub Meeting

EX Emerson di Firenze sul 15O chi fa la spia non è figl* di maria

Chi fa la spia non e’ figli* di maria
(se fai la spia la madonna piange)

Comunicato nEXt Emerson di Firenze. Il 15 Ottobre per le strade di Roma si è mosso un animale imbizzarrito.Un po’ goffo,contradditorio, confuso, viscerale. Un corteo di 300 mila persone, completamente autorganizzato, sintomo di un malessere diffuso e particolarmente sentito. Un corteo di pancia e poco di testa. Dal quale un po tutti sembrano rimasti disorientati. D’altronde quando le azioni sono mosse da sentimenti profondi i risultati sono spesso confusi ed ambigui. Solo una cosa svetta nitida al di sopra delle nebbie della soleggiata giornata romana: la profondità della crisi che ci circonda. Il 15 Ottobre è stato la deflagrazione di una rabbia che sembra oggi più che mai patrimonio dei giovanissimi, generazione disillusa e consapevole della propria mancanza di futuro. Persone che non possono esprimersi altrimenti semplicemente perché non hanno più nulla da dire, private quotidianamente della dignità della parola, divenuta abusata, vuota e, di conseguenza, inutile.
Non crediamo che una rabbia del genere sia romanticamente piacevole, non di meno e’ quello che abbiamo sotto gli occhi. Evidentemente era il destino di questa data, quello di far giungere al pettine alcuni nodi della società attuale, o almeno di una parte di essa. Durante il corteo e per tutta questa settimana abbiamo assistito ad uno spettacolo osceno, angosciante, grottesco al limite del ridicolo, messo in scena da attori dilettanti e professionisti: quello della delazione. Giornali e televisioni hanno orchestrato una sorta di “tiro al piattello al violento”, degno dei peggiori sogni di regime, un gioco a metà tra il reale ed il virtuale, una caccia alle streghe vissuta come la materializzazione di un videogame.
Quotidianamente ci viene gettata addosso una carica di violenza spaventosa, fino a quando diventa la nostra normalita’. Normali e inevitabili i morti sul lavoro, le guerre, i cie, le carceri, la devastazione dell’ambiente, dei rapporti sociali, normale scambiare la vita con i soldi, le cose con le persone e alla vista di un vetro infranto impazzire. Si puo’ discutere l’opportunita’ politica, la scelta strategica delle azioni di piazza. Ma questa sagra della delazione e’ l’immagine di una societa’ senza senso che quando si accorge di aver perso la strada invoca la legalita’ come se fosse un dio, come se un serial killer che miete ogni giorno milioni di morti, si appellasse all’autorita’ della maestra, perche’ il proprio vicino di banco attacca le caccole sotto la sedia.Meno male che in questo legalissimo paesone di provincia in cui viviamo siamo riusciti a costringere un ragazzo di ventidue anni a consegnarsi alle forze dell’ordine portando con sè i propri jeans a vita bassa. Se non avessimo catturato il pericolosissimo er pelliccia questo mondo sarebbe stato proprio brutto, possiamo tutti tirare un sospiro di sollievo. Subiamo da questo sistema una quantita’ di violenza che er pelliccia,ci scusi per l’abuso del suo soprannome, non saprebbe infliggerci neppure in mille anni. E quando qualcuno esasperato esplode la propria rabbia, infieriamo su di lui, come se non evidenziasse un problema, ma lo incarnasse. Siamo un paese dalle reazioni scomposte e insensate, fiero del tritacarne in cui vive e pronto a scagliare la prima pietra purchè sia contro un bersaglio legato mani e piedi.

Chissà se grazie alle sue qualità ultrapsichiche la madonna frantumata, icona delle violenze romane, e’ in grado di mettersi in contatto con gli operai caduti da impalcature irregolari o con i migranti diventati cibo per i pesci nel Mediterraneo.

Probabilmente non avrebbe molto da dirgli. Probabilmente arrossirebbe di vergogna.

La nostra solidarieta’ ad acrobax, alle realta’ autogestite/autorganizzate presenti in piazza il 15 ottobre, a tutt* gli/le arrestat* , e perquisit*.