Generazione Precaria sul 15 ottobre

sul 15 ottobre – ex cineteatro preneste occupato – G.P.R.V

Un anno fa un gruppo di precari e precarie ha liberato uno spazio abbandonato dal 1983, l’ex cinema-teatro preneste.

In questo anno, si sono moltiplicate in quello spazio iniziative sociali, culturali, politiche – fino a farlo divenenire un punto quotidiano di incontro e confronto.

Fra le tante iniziative, ha avuto un significato particolare ospitare una parte dell’assenmblea nazionale verso lo sciopero precario ed essere luogo di riunione di diversi incontri del relativo laboratorio metropolitano, al quale del resto molti di noi hanno partecipato per mesi.

Un percorso, quello dello sciopero precario, pubblico – partecipato – inclusivo – alla luce del sole, che ha visto confrontarsi precari, associazioni, pezzi di società, sindacati di base e persino confederali su cosa voglia dire praticare lo sciopero, ovvero l’attacco al profitto come forma di rivendicazione, ai tempi della precarietà.

Un percorso molto diverso da quello che è stato raccontato da alcuni giornali (in particolare, sole24ore e repubblica), che nella necessità spasmodica ed esorcizzante di spiegazioni semplicistiche sulla giornata del 15 ottobre hanno coinvolto anche questo percorso.

La giornata del 15 Ottobre è stata complessa e contraddittoria, se ne deve parlare – nelle sedi di movimento, nelle scuole, nei bar, nei luoghi di aggregazione dal basso come quello che animiamo da un anno, nelle facoltà, sui muretti – con la franchezza e l’umiltà necessaria, sfuggendo ad ogni semplificazione.

Resistere ad una carica della polizia è diverso dal bruciare una macchina che è diverso ancora dal voler manifestare oltre alle prescrizioni della questura. Non sta a noi, in queste righe, valutare o giudicare nessuno di questi comportamenti – ma certo non si può ridurre tutto ad una dicotomia forzata del tutto funzionale al tentativo spregiudicato del governo di colpire la possibilità di manifestare ed organizzarsi dal basso.

In questa prospettiva, esprimiamo la nostra solidarietà politica ed il nostro abbraccio umano alla comunità resistente del LOA acrobax con la quale molto di noi hanno condiviso – in accordo ed in disaccordo – tanti percorsi politici e che sta subendo una grave campagna di criminalizzazione, a tutti i feriti del 15 0ttobre ed in particolare ai due liceali (uno colpito con una manganellata a terra, mentre era inerme, in viso e l’altro investito da una camionetta nel corso dei vergognosi caroselli) ed a tutti gli arrestati che stanno svolgendo il ruolo di facili “capri espriatori” con imputazioni e teoremi che si profilano come forzature sulle stesse norme penali.

EX CINETEATRO OCCUPATO PRENESTE

“Generazione P. Rendez-Vous”

(pigneto, roma)

Distruggere la paura, affermare il comune

 di COLLETTIVO UNINOMADE

0. Nella sera romana illuminata dai fuochi di Piazza San Giovanni, abbiamo cominciato a interrogarci sulla giornata del 15 ottobre, su ciò che ha rivelato nelle molteplici scale geografiche che si sono incrociate a produrne la dimensione globale, sulla forza e sulle potenzialità che ha fatto emergere, sui problemi che consegna alla nostra riflessione e alle nostre pratiche. Lo abbiamo fatto e continuiamo a farlo da materialisti, convinti – per citare uno che la sapeva lunga – che le azioni umane non vadano derise, compiante o detestate, ma prima di tutto comprese. Proviamo a farlo con queste note, segnalando alcuni dei punti che ci sembrano più rilevanti.

1. Partita da un appello degli indignados spagnoli, la mobilitazione del 15 ottobre si è diffusa in centinaia di città ai quattro angoli del pianeta, a riprova dell’efficacia di uno stile di azione e di un linguaggio politico (quello degli indignados, appunto) che meglio di altri paiono adattarsi alle modalità asimmetriche con cui la crisi colpisce società e popolazioni in diversi contesti geografici. La profondità della rottura dello sviluppo capitalistico si è riflessa nello specchio globale del 15 ottobre, offrendo un quadro ancora parziale ma tuttavia rivelatore dell’intensità delle lotte e delle ipotesi costituenti che ovunque cominciano a presentarsi. Straordinarie sono state le mobilitazioni di Madrid e Barcellona, concluse con assedi ai palazzi del potere, con occupazioni di scuole, palazzi e ospedali. Ma molto importanti sono state anche le manifestazioni negli Stati Uniti, che hanno portato un osservatore attento come Immanuel Wallerstein a parlare del più rilevante movimento sociale in quel Paese dal ’68. Anche qui l’occupazione fisica di uno spazio centrale a New York e l’indignazione di fronte al potere della finanza sono stati i tratti fondamentali di una radicalità che si è diffusa, in particolare dopo l’occupazione del ponte di Brooklyn, in altre città statunitensi. Attorno a questi punti alti della dinamica di indignazione si sono disposte le altre iniziative, più o meno consistenti dal punto di vista della partecipazione ma comunque essenziali nel dare un respiro globale alla giornata.

2. La manifestazione di Roma si è collocata all’interno di questo quadro con evidenti elementi distonici, che erano apparsi chiaramente già nelle modalità della convocazione e nel percorso della sua preparazione. Politicismo e provincialismo hanno pesato in Italia come in nessun altro contesto, e troppi sono stati i tentativi di sovrapporre il classico format della “manifestazione nazionale” a una convocazione che, proprio in quanto proveniente “dall’esterno”, garantiva una mobilitazione che nessuna forza organizzata è oggi in grado di determinare. Le logiche della rappresentanza (politico-istituzionale e/o di movimento) hanno così fin da principio introdotto elementi di “corruzione” all’interno della costruzione italiana del 15 ottobre. E non è certo un caso che realtà di lotta forti e radicate ma estranee alla logica della rappresentanza, come il movimento NoTav e gli “stati generali della precarietà” siano stati immediatamente indicati dai media come “responsabili” degli incidenti. La ricerca del precario gentile e del militante ragionevole, meglio ancora se ravveduto da un passato di sregolatezza, è stata una costante nei giorni successivi al corteo romano, essenziale alla costruzione della favoletta di un movimento “buono” (cioè compatibile con le logiche della rappresentanza) e una minoranza di “cattivi” e guastatori. Repubblica è stata particolarmente zelante in questa ricerca, a cui ha fatto da contraltare una patetica attività “investigativa” per individuare le realtà politiche da colpire. Ma come spesso accade, il “partito dell’ordine” ha unito in un unanime coro forcaiolo improbabili alleati – da Di Pietro a Maroni, da Repubblica al TG1.

3. La manifestazione, in ogni caso, è stata prima di tutto gigantesca, percorsa al proprio interno da una profonda eterogeneità sociale e culturale, prima ancora che politica. L’antiberlusconismo è stato senz’altro ben presente nei toni e nei sentimenti di molti e molte partecipanti. E abbiamo visto nella delazione di massa cominciata già in piazza, e poi rilanciata dai media (in primo luogo ancora da Repubblica), la faccia più inquietante dell’apologia della legalità che ha attraversato negli ultimi anni gli stessi movimenti. Su tutt’altro versante, è emersa la presenza di un’area che ha caratterizzato la prima parte del corteo con azioni dirette, a volte contro obiettivi chiaramente individuati (ad esempio le banche) a volte con cieca furia distruttiva. Tra queste due aree, il corteo romano era fin troppo affollato di gruppi, gruppetti e gruppazzi, ciascuno con le sue ipotesi su come rappresentare l’unità del movimento che manifestava a Roma. Nessuno è stato in grado di farlo, tutte quelle ipotesi si sono dimostrate non all’altezza del problema che politicamente la giornata del 15 poneva, quando non velleitarie. Questa “densità” di strutture politiche che in forme diverse fanno riferimento al “movimento” è una peculiarità italiana che ha finito per agire da freno rispetto al dispiegarsi di dinamiche di unificazione della protesta che altrove, ad esempio nei due casi citati in precedenza (in Spagna e negli Stati Uniti), si sono dispiegate in modo originale e autonomo. Nel vuoto politico che si è aperto a Roma sabato (ma che già si era palesato nelle settimane precedenti) lo spaesamento si è unito alla rabbia, fino all’esplosione di rivolta sociale in Piazza San Giovanni, con ore di resistenza e attacco di fronte alla violenza della polizia, a cui hanno partecipato migliaia di giovani e meno giovani. Qui, con ogni evidenza, comportamenti, pratiche, modi di stare in piazza (tra cui vanno ricordati quelli delle migliaia di altri manifestanti che semplicemente hanno rifiutato di andarsene) hanno dato allo scontro un segno totalmente diverso rispetto a quanto si era visto nelle ore precedenti.

4. Là dove si è manifestata in forme politicamente significative, la dinamica dell’indignazione presenta caratteri di radicale rottura, indipendentemente dal fatto che si esprima in forme diverse dallo scontro di piazza. E’ evidente in Spagna la rottura con la rappresentanza politica, a partire dalla banale circostanza che il movimento si è formato contro un governo di “sinistra” in cui molti avevano visto l’astro nascente di un nuovo riformismo socialista e non può certo avere nel Partito popolare il suo interlocutore. Ma l’occupazione degli spazi urbani, il dilagare nei quartieri, le occupazioni e le esperienze di autogestione dei servizi alludono a una dimensione pienamente costituente. Negli Stati Uniti d’altro canto, in un contesto completamente diverso dal punto di vista delle tradizioni e delle dinamiche politiche, è stata in primo luogo l’occupazione degli spazi urbani, al prezzo di centinaia di arresti, a esprimere la radicalità e consolidare la forza del movimento. Diffusa ovunque è poi la parola d’ordine della lotta contro il debito, che allude a un essenziale terreno di campagna comune. Crediamo che questi aspetti di radicalità e rottura segnino un punto di non ritorno per lo sviluppo delle lotte e dei movimenti dentro la crisi. Si tratterà di “tradurli” nei diversi contesti, senza pensare che esistano modelli “universali” (o “globali”). Ma indietro non si torna! A fronte dei processi di precarizzazione lavorativa ed esistenziale, di pauperizzazione generalizzata, di esclusione e declassamento, di espropriazione finanziaria, di emarginazione sociale, che nella crisi mostrano la loro faccia più feroce, la radicalità delle pratiche deve impiantarsi su una composizione sociale che sempre più trova nella povertà la propria cifra d’insieme. Tutto questo è prodotto dal Capitale. E a noi sembra che le lotte dentro la crisi debbano essere e siano innanzitutto lotte contro il Capitale e contro la povertà che esso ci impone.

5. Se questo è lo scenario che si prefigura per i prossimi mesi, si tratta di comprendere che la povertà viene vissuta da posizioni soggettive assai diversificate, profondamente eterogenee. Questa eterogeneità è un elemento costitutivo della composizione del lavoro vivo contemporaneo. Non lasciamoci ingannare dalla retorica, certo utile per costruire mobilitazione ma non priva di insidie, del 99% della popolazione contrapposto alle oligarchie finanziarie: suggerisce un’immagine di compattezza e di omogeneità dei referenti “sociali” del movimento che ovviamente non trova riscontro nella realtà. Comportamenti distruttivi, se non auto-distruttivi, sono connaturati ad alcune di queste posizioni soggettive. Quando alcune periferie della povertà, come era accaduto a Roma il 14 dicembre ed è tornato ad accadere il 15 ottobre, scendono in piazza, non è il caso di attendersi da loro proposte di riforma costituzionale. Lo si era visto del resto con la rivolta delle banlieues francesi nel 2005 e lo si è visto di nuovo quest’estate in Inghilterra. Non si tratta di fare un’apologia “estetizzante” dei comportamenti che hanno caratterizzato queste insorgenze. Si tratta di scegliere prima di tutto da che parte stare. E c’è una bella differenza tra stare con i poveri, anche se spaccano tutto, e non starci – considerali intoccabili, lebbrosi. Media, polizia e sistema politico non hanno dubbi su quale sia la parte giusta da cui stare. Noi neppure.

6. Solo un programma positivo, maggioritario, materialmente definito può probabilmente vincere gli eventuali caratteri distruttivi di alcuni settori del movimento dei poveri. Per dirla nei termini più semplici possibili: il problema di come far stare insieme in un corteo romano l’artista del Teatro Valle condannato alla precarietà e l’adolescente di Tor Bella Monaca che tendenzialmente a teatro non andrà mai è il problema che poniamo quando parliamo di programma. Il fatto che anche la semplice allusione a questo programma sia mancata nella preparazione del corteo romano del 15 ottobre è ampiamente riconosciuto nel dibattito che attraversa il movimento in questi giorni. Al più si è avvertita la presenza da parte di alcune componenti di un “programma minimo” costruito interamente attorno a linee di alleanza sindacale e politico-istituzionale (e non può stupire che a molti quel programma minimo sia apparso come un “opportunismo massimo”). A ciò si aggiunge la mancanza di obiettivi caratterizzati a un tempo da radicalità, immediata leggibilità e potenziale condivisione da parte della grande maggioranza dei manifestanti. C’era qui, soprattutto considerando i numeri imponenti del corteo, un limite di fondo che ha avuto un ruolo di primo piano nel determinare la dinamica romana di sabato scorso. Davvero grottesco, in particolare, ci è sembrato il tentativo di riesumare per l’occasione del 15 ottobre il modello del “social forum”. Ci è sembrato grottesco perché non teneva in nessun conto i cambiamenti profondi che si sono prodotti rispetto a una stagione di lotte e mobilitazioni certo importantissima, ma che aveva tra l’altro conosciuto il proprio scacco in una dinamica di rappresentazione sul terreno dell’opinione pubblica e della società civile di cui proprio il modello del “social forum” era stato espressione. La sconfitta della straordinaria mobilitazione globale contro la guerra in Iraq il 15 febbraio del 2003, quando milioni di donne e uomini scesero in piazza in tutto il mondo inducendo il New York Times (e l’ineffabile Repubblica di rimbalzo) a parlare della “seconda potenza mondiale”, è ancora viva nella memoria dei movimenti. Immaginiamo che qualcuno, il 15 ottobre, abbia ricordato con nostalgia l’oceanica manifestazione romana di quel giorno di febbraio. Molti di noi hanno invece ripensato al senso di impotenza provato in quell’occasione di fronte a una guerra che stava per cominciare e che non eravamo riusciti a fermare. E hanno semmai avvertito una certa somiglianza tra quel senso di impotenza e lo spaesamento di molti manifestanti romani il 15 ottobre. Né nelle piazze spagnole né a Zuccotti Park a New York si respirano senso di impotenza e spaesamento.

7. Attorno al metodo – è bene sottolinearlo – i movimenti italiani conoscono un limite di fondo: mai sono stati capaci di cogliere nell’orizzontalità, nella massificazione del movimento, la singolarità della decisione, ovvero la decisione voluta da tutti, e che nasce solo quando se ne parla prima, quando se ne discute a lungo, quando se ne dibatte senza la paura di esser ascoltati, senza aver voglia di esser subito intervistati. Speriamo che quanto è avvenuto non rappresenti l’ultima avventura dei movimenti nati negli anni Novanta, che riconobbero nella forma-manifestazione l’evento decisivo. C’è un nuovo movimento oggi, che considera il comune costituente come il suo orizzonte e la discussione senza paura e senza autorità come il suo metodo. In Italia, questo movimento si è espresso attorno alle elezioni amministrative e nei referendum della scorsa primavera, nelle lotte contro la TAV in Val di Susa, vive nelle mille esperienze di auto-organizzazione e di lotta di precari e migranti. Si tratta di lasciargli spazio e voce, nella consapevolezza che solo un progetto costituente può unificare tutti nel movimento. In Spagna, l’elemento qualificante di questa unificazione è stato senz’altro l’acampada. Il vivere insieme nelle piazze. Poi si sono sviluppati comitati di quartiere su cui si sono assommate le funzioni dell’emancipazione concreta del proletariato moltitudinario. Si tratta di camere del lavoro metropolitano e di centri di occupazione e di autogestione delle istituzioni del Welfare ormai disertate dallo Stato. Ma c’è ben altro. La chiave del modello costituente nella vita condivisa sta nella distruzione della “paura” che troppi ancora sentono, non appena si tratta di stare insieme. Una distruzione praticata con esperienze pacifiche, collettive, di massa – quando questo è possibile –, ma senza mai cedere alla facilità di abbandonare i poverissimi della società, i senza tetto, gli ipotecados, gli indebitati, i nuovi poveri, e tutte le altre vittime del saccheggio capitalistico odierno. Non aver paura è resistere al potere ed esprimere potenza d’invenzione, di produzione sociale e politica. Attorno alle lotte contro il debito, le privatizzazioni, contro la speculazione sulle “grandi opere”, per l’organizzazione comune dei servizi di Welfare e per la riappropriazione della rendita finanziaria alcuni elementi di programma stanno cominciando materialmente a definirsi. Non è certo all’interno dei confini degli Stati nazionali che questi elementi possono comporsi e saldarsi efficacemente! La conquista dello spazio europeo, lacerato dalla crisi e trasformato nelle sue stesse geografie tanto dalla crisi stessa quanto dai movimenti di rivolta nel Maghreb, torna qui a proporsi come compito immediato e straordinariamente urgente per le lotte e per i movimenti.

Ps: mentre scriviamo molte ragazze e ragazzi sono ancora in galera. Chiederne l’immediata scarcerazione, senza se e senza ma, è il dovere comune di tutte e tutti. Pensiamo che nessuno possa avere dubbi su questo.

www.uninomade.org

 

Collettivo Fuorilegge sul 15 ottobre

IL DISSENSO NON SI ARRESTA

Giunge oggi la notizia della convalida del carcere per 9 dei 12 compagni fermati dalle forze dell’ordine durante i fatti verificatisi a Roma lo scorso 15 ottobre. Molto è stato detto in merito a questi fatti, a partire dai quali, a livello mediatico, politico e giurisdizionale, si è innescata una deprecabile gara allo sdegno ed alla delazione, che ha travolto tutte e tuttiTutte le motivazioni di un percorso complesso e partecipato da migliaia, che ha portato ad affrontare in modo critico ed alternativo i temi della crisi economica e politica che stiamo attraversando, noi italiani come molti altri in Europa e nel Mediterraneo. Tutti i soggetti che in questo percorso sono confluiti, per arricchirlo con le proprie idee ed il proprio impegno politico, e che lottano ogni giorno sul territorio per portare avanti un ideale di militanza politica in cui credono, senza averne in cambio nulla se non la soddisfazione di esser parte di quel piccolo cambiamento che giorno dopo giorno potrà portarci a costruire quella società più giusta a cui tutto il movimento tende.
Se questi temi sono stati offuscati la colpa è da ricercarsi anche nei mezzi di stampa, che non hanno certo perso l’occasione di lanciarsi nel sensazionalismo, fantasticando sull’esistenza di registi occulti e nuovi brigatisti. Hanno scordato invece di rilevare quanto gremita fosse piazza San Giovanni: non 50, né 500, bensì almeno 5000 erano i compagni che, di qualsiasi foggia vestiti, hanno resistito alle vili cariche dei blindati; ed evitando di rilevare che tutta la folla che in quella piazza era presente, seppur con pratiche diverse, ha cercato di difenderla con le proprie forze, tutti e tutte opponendosi al comportamento delle forze dell’ordine, manovrate a tavolino per esasperare la situazione e distogliere l’attenzione mediatica e dell’opinione pubblica dalle ragioni della protesta. Inoltre vergognoso è stato puntare il dito contro il centro sociale Acrobax, definito gestore e manipolatore delle vicende di piazza, per il semplice fatto di aver espresso alla luce del sole la propria contrarietà alla scelta di piazza san giovanni come meta del corteo, critica non solo condivisa da parte nostra, ma legittimamente espressa nell’ottica di discussione e confronto orizzontale all’interno del movimento. Delegittimare a mezzo stampa ed in sedute parlamentari una struttura considerata “scomoda” perché attiva nei percorsi più critici di questi tempi di crisi causati dalle politiche governative neoliberiste miranti alla distruzione dello stato sociale, con il chiaro intento di fare terra bruciata intorno a ciò che è considerato un ostacolo per le forze partitiche di qualsiasi schieramento, costituisce una pratica a cui troppo spesso abbiamo assistito e che continueremo a condannare con fermezza. Nessuno nega che vi siano stati errori nel corso del corteo, che saranno oggetto di autocritica all’interno del movimento, ma questi non possono costituire l’unico elemento di analisi sulla giornata del 15, offuscando di conseguenza, non ci stancheremo mai di ripeterlo, le ragioni della protesta; né tanto meno possono essere capo di imputazione nei confronti di precise realtà sociali all’interno del corteo, che con i singoli episodi nulla hanno a che vedere.

Quello che abbiamo visto sabato non è stata un’azione premeditata, con un mandante ed un fine sovversivo. Ciò che noi abbiamo visto, invece, è stata in gran parte l’espressione frustrata e rabbiosa del disagio di quella parte del nostro Paese che è umiliata ogni giorno da una politica strafottente, incapace di dare risposte concrete alle richieste di cambiamento che il progresso ci impone. Molti politici e giornalisti non sono in grado di comprendere le istanze, così come i sentimenti, di un “ceto” al quale essi sono totalmente estranei e con il quale, a forza di occuparsi delle concubine del Presidente del Consiglio, hanno perso qualsiasi contatto.
Davanti al procedere combinato della macchina repressiva dello Stato e della macchina del fango mediatica, sale la nostra autentica indignazione, e non si placa la nostra rabbia.
Né buoni, né cattivi.
Libertà per tutte e tutti.
Collettivo Fuorilegge

All Reds Rugby su 15 ottobre

Gli All Reds Rugby Roma sono una squadra di rugby che promuove lo sport popolare come momento di aggregazione fondato sull’antifascismo, antirazzismo e sull’antisessismo rappresentando uno dei laboratori con maggior seguito del L.O.A. ACROBAX. Nati ormai 7 anni fa, ci sentiamo di poter definire la nostra esperienza una realtà sportiva consolidata. La squadra maschile partecipa per il sesto anno consecutivo al campionato nazionale di serie C mentre quella femminile è alla quarta partecipazione alla coppa Italia di rugby a 7 di cui ha disputato le ultime 2 edizioni delle finali nazionali. E non possiamo certo non sottolineare come gli sforzi di tutte e tutti abbiano permesso di adeguare le strutture dell’ Ex Cinodromo, le stesse definite un covo di brigatisti, sino a raggiungere un risultato per noi straordinario: l’ omologazione del campo da parte della Federazione Italiana Rugby.

Il 15 Ottobre chi tra noi era in piazza a Roma a manifestare, lo ha fatto insieme a centinaia di migliaia di persone, precari e precarie, disoccupati, migranti e studenti. Lo ha fatto contro una politica di austerity imposta alle nostre vite proprio da chi questa crisi ha contribuito a crearla.

Per questo vogliamo prendere parola in merito alla vergognosa gogna mediatica a cui è stato esposto tutto il Laboratorio Acrobax e quindi anche noi All Reds: respingiamo con tutta la forza possibile le accuse riportate dai giornali e dal ministro dell’interno Maroni, accuse di regia occulta
dei fatti del 15 ottobre, mosse con l’unico intento di screditare un luogo importante per l’ autorganizzazione della nostra città. Autorganizzazione praticata attraverso i suoi laboratori e le sue iniziative politiche per il diritto alla casa, per la lotta contro le morti sul lavoro, contro la precarietà e per la diffusione di un modello di sport inclusivo, lontano dalle logiche del profitto e capace di muovere una vera integrazione sociale.
Proprio per questo, ad accuse così assurde rispondiamo con attivazioni costruite dal basso, sempre pubbliche, alla luce del sole .

A tutti quelli che ci hanno dipinto come il mostro da sbattere in prima pagina, e come sempre a tutto il quartiere, l’invito è di partecipare a questa partita per noi vitale e di sostenere gli All Reds già dalla prossima domenica quando sul campo dell’ex cinodromo di Roma si disputerà la III GIORNATA DEL CAMPIONATO DI SERIE C: ALLREDS-CORSARI

Vi aspettiamo il 23 OTTOBRE ALLE ORE 15.30 in VIA DELLA VASCA NAVALE 6.

Caro Maroni, ci vediamo nella mischia… se te regge!

Il coordinamento cittadino di lotta x la casa sul 15Ottobre

Sabato 15 ottobre eravamo in piazza.

 Sabato 15 ottobre eravamo in piazza. Ci capita spesso, abituati/e come siamo a contendere metro dopo metro la città agli speculatori e a chi ne difende gli interessi. Eravamo in piazza con la nostra solita composizione: uomini e donne da tutto il mondo che hanno scelto la via dell’auto-organizzazione e della lotta per non soccombere alla schiavitù degli affitti o del mutuo.

 

Non eravamo soli. Insieme a noi centinaia di migliaia di persone, a Roma come nel resto del mondo manifestavano contro le politiche di austerity imposte con la forza dalle istituzioni finanziarie mondiali per far pagare a sfruttati e sfruttate i debiti con cui i finanzieri si sono arricchiti.

 

In tutte le sedi possibili, prima del 15, abbiamo evidenziato che la rabbia sociale contenuta in una giornata del genere non avrebbe potuto essere circoscritta nel ristretto spazio che una serie di organizzazioni più o meno rappresentative le avevano riservato: una passeggiata lontano dai palazzi del potere con comizi finali, che in alcuni casi prefiguravano una candidatura a succedere a Berlusconi nell’ordinaria amministrazione della crisi.

 

I fatti ci hanno dato ragione. Non ci interessa la cronaca. Ci basta rilevare che l’andamento di quella giornata ha travolto gli argini di qualunque rappresentanza, comprese quelle “di movimento”.  

Il variegato mondo di soggetti sociali colpiti dalla crisi ha dimostrato di essere irrappresentabile. Resta aperto il problema di come possa auto-organizzarsi ed estendere il conflitto dalle grandi piazze alla quotidianità delle contraddizioni sociali: territori, reddito, lavoro e beni comuni.

 

Siamo abituati/e anche, di tanto in tanto, ad essere sbattuti come mostri in prima pagina dai mass-media dei padroni di centro-destra o di centro-sinistra, secondo le circostanze. Per questo esprimiamo la nostra assoluta vicinanza a tutti quei compagnie e quelle compagne a cui la forsennata campagna stampa in atto attribuisce la “regia occulta” degli scontri. In primis compagni e compagne del LOA Acrobax, che da anni, a volto scoperto e alla luce del sole, sono parte integrante del nostro movimento e nelle nostre occupazioni, nei nostri picchetti, nelle nostre tendopoli si battono per conquistare il diritto ad una abitazione dignitosa, in una città vivibile per tutti e per tutte.

 

Quello a cui non siamo abituati né abituate è ad assistere ad una vergognosa campagna di invito alla delazione di massa che vede in prima fila quegli esponenti del centro-sinistra che, ahinoi, alcuni pezzi di movimento anelano a vedere alla guida del paese. Costoro gareggiano con Maroni nel chiedere arresti in massa e leggi speciali. Inevitabilmente questo costituisce uno spartiacque: da una parte chi ci vuole in galera, dall’altra chi vuole aiutare lo sviluppo di un movimento di massa di opposizione sociale, in grado, finalmente, di invertire i rapporti di forza nella nostra società, mettendo in pratica, mediante la lotta, l’auto-organizzazione e la riapproprazione le parole d’ordine contro il debito, per il reddito e per i beni comuni.

 

Solidarietà a chi ha avuto la casa perquisita.

Solidarietà a compagni e compagne arrestati/e.

Libertà subito per tutti e tutte.

 Coordinamento cittadino di lotta x la casa – Roma

 

Comunicato Retelettere RomaTre sul 15 ottobre

Nessuna criminalizzazione delle lotte sociali.

All’indomani della grande manifestazione del 15 ottobre e dell’operazione di isolamento e stigmatizzazione di poche e riconoscibili sue parti messa in atto da giornali, segretari di partito, sindacati e alcune strutture di movimento, Retelettere si esprime rifiutando:

– il registro dicotomico tra violenti/non violenti, buoni/cattivi, responsabili/irresponsabili su cui fa leva la colpevolizzazione di precise soggettività politiche: tra questi il centro sociale Acrobax con il quale abbiamo preso parte all’ area indipendente del corteo del 15, abbiamo interagito nella partecipazione agli stati generali della precarietà e ancora prima intessuto preziosi legami di riflessione e collaborazione durante l’occupazione della nostra facoltà e, nel tempo, nella preparazione di seminari autogestiti ed assemblee pubbliche. O il movimento No Tav, che abbiamo conosciuto direttamente, campeggiando in val di Susa, e del quale sosteniamo la lotta dal basso in difesa del territorio e l’autonomia delle forme di organizzazione. Infine, non da ultime, tutte quelle realtà sociali che agiscono conflitto e vengono in questi giorni ridotte a capro espiatorio.

– l’attribuzione di una presunta regia degli scontri agli stessi pezzi di movimento, cosi come l’accusa di aver voluto sovra determinare la gestione di piazza per spezzare il corteo e far saltare piazza San Giovanni.

Ci pare semplicistico e superficiale individuare come responsabili dell’esito della giornata quanti hanno, a viso aperto, dichiarato di non condividere la scelta di piazza San Giovanni e alcune caratterizzazioni della giornata mondiale indetta contro l’austerity.

Il dibattito sulle pratiche di conflitto nel Movimento, sulla presunta democraticità di scelte, azioni e obiettivi ha senso se e solo se si assumono le specificità di tutte le parti in gioco. Assumere: che è il contrario di escludere. Additare, isolare, o limitarsi a prendere astutamente le distanze non favorisce una riflessione comune.

Retelettere sottolinea l’urgenza di partire da quello che è accaduto in Piazza San Giovanni, assediata dai blindati delle forze dell’ordine e dal loro armamentario di idranti. La violenza scatenata contro i manifestanti accorsi o brutalmente gettati in quello spazio, e costretti a difendersi, non può passare in secondo piano.

Alle forme di violenza legittimata e messa in atto dallo Stato il 15 seguono le proposte e le disposizioni di questi giorni: dal ripristino della legge Reale avanzata da un capo di partito, al divieto di manifestare per un mese nel Comune di Roma fino alle misure da stato di eccezione del ministro Maroni: l’arresto preventivo o l’obbligo di garanzie patrimoniali per eventuali danni.

Rifiutando di prestarci al gioco di quanti distinguono tra buoni e cattivi subordinando i fatti di piazza San Giovanni, che per noi sono una resistenza di migliaia di persone alle cariche della polizia, rivendichiamo come unica divisione possibile quella tra chi è impegnato da anni nelle lotte sociali reali e chi, da sempre, le reprime per difendere questo sistema di sfruttamento che prende il nome di capitalismo.

Retelettere – lettere e filosofia Roma Tre

Comunicato attivisti indipendenti di Bari sul 15 ottobre

Abbiamo preferito attendere, lo abbiamo fatto per riprendere fiato, per
ponderare bene tutte le parole e per rimettere insieme questo puzzle complesso generato da questo 15 ottobre. E soprattutto  perché mai come
adesso ci pare essere investiti collettivamente da un processo storico: la
giornata del 15 a Roma ci ha scaraventato  in una fase nuova, inesplorata,
entusiasmante ma anche difficile ed articolata.

Questo testo non sarà un punto di vista sui fatti del 15, non vuole essere
un’analisi politica o sociologica sui fatti di Roma; questo testo non sarà una
delle mille cose che si stanno scrivendo per dire la propria in un dibattito
che mai come oggi ci pare parziale, a volte sconcertante, fino a scivolare
spesso nel grottesco.

Questo testo è solo una lettera, una lettera con diversi destinatari.

I primi destinatari sono le arrestate e gli arrestati, le/i perquisite/i, i
“mostri sbattuti in prima pagina”. L’oggetto della delazione diffusa, di un
volgare scherno di massa. A loro innanzitutto va’ la nostra solidarietà. Una
solidarietà umana, vera, incondizionata perché il movimento non può e non
deve  imbastire processi. Una solidarietà per quello che stanno subendo nella
disperazione della solitudine di un deserto politico confezionato ad arte.

Perché si sentano meno soli. Perché non abbiano paura. Perché sappiano che la
loro rabbia è la nostra rabbia, la loro indignazione è la nostra indignazione.
Perché sappiano che presto reincroceremo le nostre strade. Che ci riprenderemo
quello che ci hanno tolto.

I secondi destinatari sono le compagne e i compagni dello spezzone dello
Sciopero Precario e di tutte quelle realtà sociali che oggi vengono additate, da giornalisti faziosi e funzionali ad un pericoloso schema repressivo, come “covi di brigatisti” o “occulte cabine di regia”. Malgrado alcune siano politicamente diverse da noi non si può traslare la differenziazione politica ex post sul campo della
repressione, non si possono criminalizzare mistificando la realtà. Non solo
perché si tratta di falsità ma anche perché sono tutte realtà che hanno dato
negli anni casa, reddito, socialità, cultura, vita a migliaia di persone abbandonate,
lasciate sole di fronte alla precarietà esistenziale, di fronte alla violenza
della finanza, all’ingiustizia sociale. Sono realtà dove il precariato
metropolitano in tutte le sue articolazioni vive, riflette, si fa potenza collettiva. Sono realtà importanti. Sono un bene comune per tutte e tutti quelle/i che credono nella possibilità di un cambiamento e per tutte/i quelle/i che non vogliono subire in eterno né essere muti di fronte all’ingiustizia. Lo ripetiamo: sono BENI COMUNI a TUTTO il MOVIMENTO. Ovviamente questo pone la questione su cosa sia il movimento e cosa rappresentino tutte le varie articolazioni del movimento oggi, ma questa è un’altra storia e probabilmente è un dibattito attuale ma che si farà percorrendo insieme strade, occupando piazze, assediando i palazzi del potere, rifiutando il debito, scioperando e , non ci sentiamo di arretrare su quello che dicevamo su questo fino a ieri TUTTE/I, costruendo rivolta e rivoluzione.

Vicinanza politica a tutte/i loro, sapendo che domani saremo ancora dalla
stessa parte della barricata e saremo tantissime/i ancora più del 15, ancora
più determinate/i. Perché ciò che ha rappresentato per noi quella rete politica
in quel corteo è la resistenza di P.zza San Giovanni.  La difesa di uno spazio
pubblico, di uno spazio di democrazia, non un tentativo di sovradeterminare
qualcosa o “una resa di conti” interna al movimento. Quella rete politica per
noi è uno spazio da potenziare perché uno spazio di indipendenza reale, di
chiarezza. L’unico spazio utile alla costruzione di un processo in sintonia con
quello che accade in tutto il mondo.

L’ultimo destinatario è lo Stato. Allo Stato e ai suoi dispositivi retorici e
repressivi. Uno Stato che ha sfruttato vecchi, nuovi e sorprendenti “utili
idioti” (i “pacifisti rivoltosi” o i “rivoltosi pacifici” citando un politico
molto in auge adesso, i “mai più in piazza con i violenti”, i “sono i nostri nemici” e tutte/i i delatori, gli infami, gli sbirri della domenica delle salme, i giornalisti “progressisti” e “legalitari” ignari, forse, del gioco a cui si sono sottoposti anche entusiasticamente). Uno Stato che con una regia scientifica è riuscito in un sol colpo a spaccare un corteo, spaccare un movimento e, speriamo di no, restringere gli spazi di democrazia e conflitto nel paese. Vogliamo dirlo con tutta la chiarezza possibile: non lo ha fatto con un particolare dispiegamento di forze. Mai uno Stato nel suo tentativo di
strozzare il dissenso ha avuto gioco più facile, o forse si, all’indomani dell’incendio del Reichstag in Germania nel ’33. Ma questa è una storia tragica che, speriamo, non si ripeta mai più neanche nella sua versione farsesca.

Adesso che qualcuno propone la legge Reale forse i più intelligenti iniziano a
sospettare qualcosa…

Allo Stato crediamo si possa serenamente dire questo: non ci fermerete.

Non ci fermerete perché verremo ancora alle vostre porte, sotto i vostri
palazzi. Verremo come i No Tav, a mani nude, a volto scoperto, a testa alta.

Verremo e non ci fermerete perché saremo ancora senza bandiere, senza partito
e senza paura. Verremo e saremo ancora di più, ancora più arrabbiati anche se
più intelligenti. Intelligenti nel non ripetere gli errori che la rabbia ti fa
compiere. Gli errori che lungo il corteo sono stati fatti e che hanno reso poi
il giochino repressivo facile da realizzarsi. Errori fatti perché la rabbia è
un sentimento nobile, è un sentimento diffuso, è un sentimento che diventa
rivoluzionario, potente, esplosivo solo se si fa intelletto collettivo,
(ricordate la “rabbia degna” degli zapatisti? Ricordate le “giornate della
collera” mediorientali?)  se si indirizza verso chi sta in alto, verso chi oggi
ci fa pagare la crisi.

Abbiamo ancora tanto da dire e da fare insieme perché la storia è nostra!

Le attiviste e gli attivisti indipendenti di Bari

La misura della rabbia. Considerazioni prima e dopo il 15 ottobre di Connessioni Precarie

Connessioni precarie//Coordinamento migranti Bologna e provincia

Il 15 ottobre come moltissimi altri abbiamo colto l’occasione offerta dalla giornata globale contro le politiche di austerity: l’occasione per amplificare le voci disparate di uomini e donne, precarie, migranti, operai, che ogni giorno fanno esperienza della crisi come di una precarizzazione sempre più sfrenata del lavoro e dell’esistenza, e che rifiutano la precarietà come forma selettiva e gerarchica di coazione al lavoro. Connettere queste voci è stata la nostra scommessa attraverso il 15 ottobre, e lo abbiamo fatto condividendo il percorso aperto dagli Stati Generali della precarietà e lo spezzone del precariato sociale che sabato ha coinvolto migliaia di uomini e donne

Non ci interessa giudicare i fatti del 15 ottobre a partire dalla contrapposizione, fin troppo angusta e fin troppo nota, tra violenza e non violenza, o fra i pochi e i tanti separati dalle pratiche messe in scena a Roma…

 

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Roma 15 ottobre 2011: Il conflitto è un bene comune! di Reality Shock

A Roma, il 15 ottobre, 500 mila persone hanno deciso di scendere in piazza per non perdere un occasione (ricordiamolo non di adesione a un appuntamento sindacale o partitico, ma dentro un processo di convocazione autorganizzata dai movimenti stessi), in cui finalmente le lotte che vediamo estendersi in ogni angolo del pianeta potessero incontrarsi, riconoscersi, e fare un passo ulteriore verso un orizzonte di conflitto e trasformazioni globali che giorno dopo giorno appare sempre più concreto.

Questo è il primo punto che ci interessa sottolineare, perché nel dibattito pubblico del nostro paese, sempre miope e patetico, sembra che tutti si siano dimenticati lo straordinario contesto in cui inserire tutte le vicende che hanno caratterizzato la giornata del 15 ottobre in Italia, giornata che si è presentata molto complessa, articolata, e carica di tutte le contraddizioni che insieme abbiamo affrontato in questi anni di mobilitazione diffusa e continua.

Vogliamo provare a dire la nostra rispetto ai fatti di quella giornata, perché, come sempre in queste occasioni, parla di noi chi nei movimenti non c’è mai stato e chi vuole usare la giornata di sabato come pretesto per chiudere ogni spazio di partecipazione in un paese che da anni ormai vive una crisi profonda del suo “sistema democratico”.

Durante il corso della manifestazione si sono verificati episodi e fatti estremamente variegati che è corretto differenziare se si vuole fare chiarezza e non contribuire ad annebbiare la percezione di quel che è successo con l’intento di criminalizzare l’intero movimento e marginalizzare tutti quelli che in questo paese pensano che un futuro diverso possa passare solo attraverso le lotte e la loro messa in comune. Possiamo riassumere queste dinamiche così complesse – facendo ovviamente un’opera di semplificazione – sugli episodi che hanno coinvolto un numero ristretto di persone in via Cavour e la “resistenza allargata” che in piazza San Giovanni ha visto protagonisti migliaia di manifestanti.

Rispetto ai fatti di via Cavour pensiamo che politicamente la pratica messa in atto non sia utile al movimento e a chi immaginava il 15 ottobre come un nuovo punto di partenza. Nell’orizzonte di costruire forme comuni di “rottura” e “alternativa radicale” ci sfugge l’utilità politica di incendiare delle macchine ad un metro dal corteo che sfila o incendiare un palazzo. La pratica di chi, autoreferenzialmente e senza nessuna condivisione, utilizza i grandi cortei per degli sfoghi minoritari, pericolosi per incolumità dei compagni stessi, non ci appartiene e non fa altro che legittimare i discorsi di chi vorrebbe rappresentarci come una minoranza isolata.

Differentemente Piazza San Giovanni ha visto svilupparsi una rabbia espressa da centinaia o migliaia di giovani orientata a rispondere alla violenza delle forze dell’ordine. Se c’era qualcuno che cercava il morto lo si può trovare nei reparti di carabinieri, guardia di finanza, celere e ministero degli interni, che in maniera scellerata hanno ripetutamente tentato di investire decine di manifestanti disarmati, ma giustamente determinati a respingere gli attacchi. Certo è stata una dinamica articolata, confusa e complessa, in cui tante soggettività differenti hanno espresso un’insofferenza forte rispetto alla stretta autoritaria che avvertiamo svilupparsi nel nostro paese. La complessità però non ci spaventa: ci rafforza e arricchisce. Detto che sulle “azioni” di via Cavour, permeate di un residuale e dannoso “esibizionismo”, non vale la pena spendere troppe parole, su quello che è successo per ore a San Giovanni è giusto soffermarsi di più perché ci dice più cose sul movimento, portando a galla inadeguatezze comunicative e strategiche.

 

I movimenti che si sono affacciati sullo spazio europeo, nord-africano e, più di recente, negli Stati Uniti, ci parlano non solo della crisi della rappresentanza o della assunta centralità di elementi come il reddito e i beni comuni, ma aprono anche nuovi spazi di conflitto in cui finalmente a diventare protagonista del dibattito politico è la possibilità concreta di modificare l’esistente. La rabbia, l’insoddisfazione e la precarietà esistenziale che ormai pervadono completamente la vita di milioni di persone ci costringono a fare i conti con un’opportunità e uno scenario nuovi e quanto mai concreti, in cui il conflitto sociale radicale determina dinamiche di consenso diffuso e generalizzato. Uno scenario dove il conflitto sociale potrebbe finalmente declinarsi secondo una logica maggioritaria e per questo vincente. Piazza San Giovanni ci parla proprio della nostra urgente necessità di aprire una discussione vera e responsabile su questo e trovare, attraverso un nuovo piano di interlocuzione tra le varie componenti che animano il movimento stesso, la strada più efficace per interpretare senza semplificazioni questo “elemento sfuggente” e fare in modo, tutti insieme, che la rabbia e l’insofferenza che legittimamente permea sempre più un’intera generazione, possa essere espressa all’interno di un piano organizzativo e strategico intelligente e condiviso. Esattamente quello a cui abbiamo dato vita, pur dentro mille difficoltà, recentemente in Val Susa e a Roma il 14 dicembre scorso.

Senza scivolare sul pernicioso piano morale che definisce trascendentalmente ciò che è giusto e ciò che è sbagliato, cos’è violenza e cosa no, crediamo che ciò che è avvenuto sabato a Roma ci costringa ad aprire un ragionamento serio sulle pratiche, sulle modalità e sugli obiettivi che ci diamo in piazza. Ma questi sono affari nostri e non di questure o delatori di sorta (tanto meno di chi si arroga si rappresentare ciò che sfugge ad ogni rappresentanza e rappresentazione).

 

Detto questo, nei giorni successivi alla straordinaria giornata del 15 ottobre il dibattito pubblico del nostro paese si è come sempre concentrato sul tentare di dividere un movimento che fino a sabato era riuscito a spostare l’attenzione pubblica verso la violenza che la crisi e le sue conseguenze stanno portando nella vita di tutti noi.

Fin dalle prime battute media main stream e forze politiche hanno costruito il discorso pubblico sulla dicotomia interna al movimento tra buoni e cattivi, tra bene e male. Da anni respingiamo questo ragionamento. Da anni, nelle lotte reali, all’interno delle assemblee, questa divisione costruita ad arte sembrava essere sorpassata. Nella lotta contro la riforma Gelmini una moltitudine di pratiche e posizionamenti differenti sono state in grado di creare la più grande mobilitazione sociale del nostro paese degli ultimi anni. Ci sembra questo il cuore del ragionamento che debba prodursi all’interno del movimento, ponendo come punto comune da cui non arretrare il fatto che solo dentro i processi di lotta possono essere individuati gli strumenti più utili nella costruzione e nell’avanzamento delle lotte stesse. Respingere i tentativi di divisione significa uscire da questo piano del discorso, sempre fuorviante e volutamente provocatorio, e ribadire che solo nella contaminazione di pratiche e discorsi possiamo immaginare un futuro differente.

In questo contesto non ci stupisce che si dia spazio a ridicole reti universitarie (vedasi Run, rete universitaria dei Giovani Democratici), mai viste e mai sentite nelle nostre facoltà, pronte ad aiutare la polizia, che si intervistino black block chiaramente inventati, che si provi a tracciare la mappa dei movimenti buoni e di quelli cattivi.

Ci riempie di rabbia invece guardare a Repubblica e al Partito Democratico e vederli in prima fila nell’incoraggiare la delazione di massa nel riconoscimento di chi ha resistito in piazza San Giovanni: una pratica triste e fortemente reazionaria. Ci interroghiamo su come chi ha deciso di essere in piazza sabato, ognuno con la propria attitudine, si possa prestare a legittimare i discorsi di chi giorno dopo giorno continua a sfruttare, rubare e violentemente imporre tutte le conseguenze di questa crisi a precari, lavoratori e studenti. E invitiamo tutti quelli che hanno partecipato ai movimenti negli ultimi anni, a ripensare i media come strumento di chi svuota ogni giorno di più il senso della democrazia e della partecipazione. Ci sembra evidente che contribuire a moltiplicare questo discorso non possa che chiudere ogni spazio democratico in un paese che vive in questo senso già una profonda e drammatica situazione.

Infine vorremmo spendere due parole (perché non ne meritano di più) su quei politici che dopo la manifestazione di sabato hanno parlato di cancrena nei movimenti e hanno invocato una legislazione speciale per bloccare il conflitto sociale del nostro paese. Non possiamo nascondere il forte rammarico nei confronti di Nichi Vendola che, per probabili questioni di “opportunità”, ha fatto delle gravi dichiarazioni mostrandosi assolutamente dissociato dalle vere contraddizioni che in questi mesi vediamo dispiegarsi nel nostro paese, rivelando quanto lontana sia da lui l’attitudine a capire e a contaminarsi con la complessità delle dinamiche sociali, mai lineari e sempre in divenire. Antonio Di Pietro si spinge oltre e arriva ad invocare una nuova legge reale per prevenire lo svilupparsi di conflitti che, nel processo di crisi strutturale, si preannunciano potenti e potenzialmente determinanti. Immediatamente Maroni accoglie le denunce dei due esponenti dell’”opposizione”. Ed è così che quelli che potevano in qualche modo sembrare degli interlocutori del movimento si presentano in prima fila, ancora prima che lo faccia un vero fascista come Maroni, ad invocare la chiusura degli spazi di partecipazione e di conflitto o quantomeno, nel caso di Vendola, ad alimentare un insopportabile frame generale connotato da semplificazioni che nutrono il piano strategico di criminalizzazione del movimento e delle sue istanze.

Tutto questo per noi è stato il 15 ottobre. E ripartiamo consapevoli che nonostante tutto il nostro paese è in fibrillazione e che, dove regna il caos, c’è sempre una possibilità di trasformare la realtà che viviamo, intrecciando l’istinto e l’intelligenza tattica, le pulsioni rabbiose e la lucidità necessaria per vincere.

Reality Shock

Comunicato stampa Officina 99 e antagonisti campani sul 15 Ottobre e oltre

15 Ottobre una nuova Piazza Statuto dove la storia si rimette in marcia

Da giorni i media nazionali concorrono nella criminalizzazione della manifestazione del 15 Ottobre, offuscandone il significato di portata storica e svilendone i contenuti in un’operazione di riduzionismo penale che offre un pessimo servizio alla comprensione stessa delle ragioni, oltre che della rabbia espressa da migliaia di persone in quella giornata.

Se fosse vero, come si legge da molti editoriali ed illustri commentari, che poche centinaia di “black block” si sono impadroniti della scena attraverso la violenza, perché continuare a dargli tanto spazio con presunti scoop più o meno veri  e non dedicare che poche righe ai motivi che hanno portato milioni di persone in piazza in tutto il mondo contro le politiche di austerity, concertate da governi ed organismi internazionali come la BCE? Perché, invece di scatenare la caccia alla streghe, assumendosi un compito che spetterebbe ad altri, non dare invece conto delle richieste e delle proposte portate in piazza da centinaia di migliaia di lavoratori, disoccupati, studenti immiseriti dalla crisi e sempre più precari, movimenti che resistono alla devastazione ambientale e a difesa dei beni comuni?

La verità, essendoci stati a Roma, è che a respingere la follia di blindati lanciati a carosello nel corteo, cariche dal retro e idranti sulla folla (per ammissione dello stesso Maroni inutilizzati da 20 anni) non erano pochi giovani incappucciati, ma migliaia di manifestanti di tutte le età e di varie appartenenze arrivati a Roma per esprimere una carica di rabbia comune di fronte all’assenza della politica e al peggioramento inarrestabile delle condizioni di vita e di lavoro, non più disposti a subire le politiche economiche ed i divieti di governi che rappresentano solo se stessi e che preparano un futuro senza speranza per le nuove generazioni.

Ecco, forse è questo che scandalizza e mette paura: Piazza S. Giovanni è diventata una nuova Piazza Statuto, la riscossa di generazioni a cui è stato strappato il futuro e che, in un’epoca di crisi dell’intero sistema capitalistico, nessun partito o sindacato può rappresentare e contenere; una piazza che rischia di rompere gli argini e contagiare l’intera società nella necessità, prima ancora che nel desiderio, di un cambio di rotta radicale capace di rimettere al centro i bisogni veri di milioni di persone contro gli interessi ristretti di Banche, finanza, multinazionali e classe politica che si limita, dall’alto dei propri palazzi blindati, a gestirli.

 

Non potendo rispondere a questa richiesta di cambiamento radicale che viene dalla società, si punta l’indice contro chi discutibilmente, soprattutto per l’incolumità del corteo, infrange simbolicamente le vetrine di qualche banca, individuate ormai da tutti tra le artefici di una crisi che scarica la sua violenza concreta (e ben più grave) fatta di licenziamenti, disoccupazione, lavoro precario e difficoltà di arrivare a fine mese su fette sempre più estese di società.

Per quanto ci riguarda, noi eravamo in migliaia a Roma dopo aver costruito per un mese con altre realtà di base e movimenti, iniziative cittadine  di confronto e di pubblica denuncia con presidi alle banche, all’INPS, cortei di migliaia di persone nel consenso generale della gente comune che vive sulla propria pelle la crisi e che rifiuta l’idea di dover ancora fare sacrifici per salvare rendite e profitti di pochi. Noi c’eravamo e non abbiamo niente da cui prendere le distanze se non da un’intera classe politica che, da destra a sinistra, non ci rappresenta.

A lasciarci perplessi, tuttavia, non è la “casta” impegnata ad arrivare a fine legislatura per rubarsi in pochi anni una pensione d’oro di fronte agli spiccioli che chi lavora a tempo indeterminato vedrà solo dopo 35 anni e chi è precario non vedrà mai; non è chi invoca ordine e punizione nella richiesta scandalosa, tra l’altro avanzata senza vergogna da un rappresentante della presunta opposizione come Di Pietro, di ritorno alla legge Reale, fino al divieto di manifestare se non dietro pagamento di cauzione, a cui speriamo che la FIOM abbia il coraggio di rispondere con un secco NO; o ancora al fermo preventivo di memoria fascista. Piuttosto, ci lascia perplessi l’atteggiamento a geometria variabile, sia di parte della sinistra sia dei media mainstream, che da un lato fanno a gara ad esaltare il valore delle rivolte, certo non pacifiche, della cosiddetta primavera araba o del resto d’Europa, Grecia in testa, dove l’attacco ai simboli del capitalismo è all’ordine del giorno, e dall’altro, quando tutto questo avviene in Italia, si affrettano invece a criminalizzare e cancellare le ragioni profonde che mezzo milione di persone, in contemporanea con mille piazze nel mondo, hanno gridato nelle strade.

Lo ripetiamo, noi a Roma c’eravamo in uno spezzone indipendente e pieno di precari, disoccupati, migranti, insieme a tanti altri centri sociali e gruppi di base, a gridare Reddito Garantito Per tutti – lavoro o non lavoro, crisi o non crisi – che il debito lo paghi chi l’ha provocato. Abbiamo preso parte alla storia, lo abbiamo fatto anche simbolicamente, invadendo in massa i fori imperiali, ed ora, dopo Piazza S. Giovanni continueremo, a portare avanti nei nostri territori del sud, ulteriormente martoriati e devastati dalla crisi, le ragioni di quella alternativa societaria oltre l’economia di mercato, che la politica ufficiale non rappresenta e di cui c’è tremendamente bisogno prima che la barbarie dell’ingiustizia sociale, del  razzismo e della guerra prendano ancora il sopravvento.

Area Antagonista Campana, Laboratorio Occupato SKA, CSOA Officina 99, Collettivo Operatori Sociali, Collettivo Area Vesuviana, CSOA Tempo Rosso