Dietro il passamontagna del 15 ottobre, di L. Caminiti

Incolti, brutali, rozzi, prezzolati, criminali, teppisti, dementi, sfascisti, populisti, nemici. Neri. Eccolo, nei commenti sui quotidiani, l’identikit degli “incappucciati” di piazza san Giovanni.

Un unanime coro di condanna, di politici, di opinionisti – un arco che raccoglie la destra e la sinistra e i più radicali delle sinistre – che manda al rogo quei maledetti violenti.

Una trasversalità di opinioni che lascia sgomenti. Accade solo con le catastrofi, con i terremoti, l’unanime cordoglio. E i tumulti appartengono alla politica, non alla natura del mondo. Tutti hanno “espressioni di ferma condanna”, plaudono alla polizia, invocano azioni repressive – individuateli, toglieteceli dai coglioni.

Tutto il vocabolario dei comunisti d’antan – i Pajetta, i Pecchioli, i Berlinguer – avete tirato fuori. Untorelli, squadristi, chiamavano gli altri incappucciati, quelli del Settantasette, senza capirci un cazzo. E sono storie che non c’entrano quasi nulla, l’una con l’altra. Quelli, però, avevano stoffa e storia, oltre che il pelo lungo così sullo stomaco, voi chi cazzo credete di essere, pensate che basti il pelo? Loro poi andavano da Cossiga con le liste di proscrizione, indicando chi andava arrestato: lo farete anche voi? Andrete anche voi da Maroni? Farete come promise Cameron dopo il riot di Londra, li prenderemo a uno a uno nelle loro case? Avete già le vostre liste?

Chiedete consulenza a Carlo Bonini della Repubblica: lui conosce bene gli Acab, All cops are bastards, ci ha fatto un libro, dove racconta le sofferenze dei poliziotti – ognuno ha le sue debolezze –, e ora disegna le mappe dei violenti di piazza, i luoghi dove si annidano, dove andare a scovarli. La chiama informazione, lui.

Non siate così melodrammatici – la madonnina sul selciato, oh la guerra di spagna e i preti fucilati, oh i talebani e i Buddha sgretolati, e la piazza di San Giovanni violata nella sua sacralità, ah il luogo delle composte manifestazioni, ah le canzoni di luca barbarossa e fiorella mannoia.

Non siate così mediocri nel giudicare.

Volete redigere e distribuire il manuale del bravo indignato? Dire come deve essere la rabbia e indicare i comportamenti dell’accettabile indignazione? Avete già pronta la guida della giovane marmotta indignata, un’indignazione composta, educata, per bene, moderata? Che aspettate a distribuirla?

Siete indignati con i black bloc, con gli incappucciati, i violenti, ormai l’indignazione vi viene così, come niente. Siete indispettiti, avevate già tutti i vostri bei discorsetti pronti, i vostri editorialini, le vostre intervistine, e v’hanno messo un candelotto dentro, ve li hanno bruciati come fosse un blindato.

O giovani incappucciati, meditate su quale disastro abbiate prodotto: Eugenio Scalfari e Aldo Cazzullo vi hanno ritirato la loro simpatia. Ci potevate pulire il culo già prima con la loro simpatia.

Un tumulto non è un pranzo di gala, un ordinato corteo, una partita magari un po’ rude e maschia da commentare nei salotti di una tivvù. Non è la simulazione dello scontro sociale. È una forma dello scontro sociale. Il tumulto è un grumo nero di rabbia e distruzione. Non mette fiori nei cannoni, non cerca consensi, non costruisce alleanze. Non è un movimento politico.

Questi non occupano il teatro Valle e non ascoltano gli uomini di cultura e i loro lamenti. Sono folli di rabbia, pazzi di distruzione.

Sono cronaca nera, forse è vero. Ma è nella cronaca nera che oggi si legge quanta rabbia e quanta disperazione stia producendo la crisi in chi era già ai margini, in chi è senza reti di protezione, in chi non sa a che santo votarsi.

Ma è sulla cronaca nera, sulla rabbia e sulla disperazione, che qualunque proposta politica di trasformazione, di riforme, deve misurare la sua credibilità. Mohammed Bouazizi, il giovane ambulante tunisino che si diede fuoco per protesta contro una multa dei vigili, era cronaca nera, un episodio di disperazione e rabbia, prima che un movimento lo trasformasse in un’onda politica inarrestabile.

La piaga di questo paese è diventato l’antiberlusconismo, spargere a piene mani l’illusione che basti un’imboscata parlamentare, un complotto trasversale, e buttare giù il governo e tutto – come d’incanto – cambierebbe. Niente più debito pubblico, niente più disoccupazione, niente più precariato, niente più tagli all’assistenza sanitaria: invece, investimenti, occupazione, credito a strafottere, la Fiat che marcia a pieno ritmo, e tutta la cassa integrazione che rientra. Basterebbe mettere Visco all’economia, Vendola allo sviluppo, Di Pietro alla giustizia, e ecco la quadra: la Bce ci darebbe tutto il credito di cui abbiamo bisogno, i mercati – la speculazione! – capirebbero che abbiamo un governo solido e stabile e ci ricompenserebbero; Sarkozy e la Merkel ci penserebbero due volte prima di decidere tutto da soli il futuro dell’Europa, e persino la Grecia e la Spagna si risolleverebbero, vuoi mettere? C’è chi fa i calcoli di quanti punti si ridurrebbe lo spread col Bund tedesco, e lo dà come cosa acquisita. Ma si può? Di che favola andate parlando? Quale film vi state girando nella testa? State lì, con l’acquolina alla bocca, pronti a governare senza uno straccio di programma, senza un sentimento sociale che spinga al cambiamento, litigiosi come i capponi di Renzo mentre si assaltano i forni del pane. Questo è il “male assoluto”, non quattro vetrine infrante.

Vedete, la domanda vera non è come mai a Roma il 15 ottobre ci sia stato l’inferno e nelle altre capitali del mondo tutto sia filato liscio – che poi non è neppure vero, già dimenticate le giornate di Atene? già dimenticato il riot di Londra? già dimenticato il 14 dicembre di Roma? già dimenticate le giornate dello sgombero dei No Tav? –, ma come mai non succeda tutti i giorni un casino simile.

Certo, se state tutti i giorni a pensare a Ruby e alla Minetti, a Scilipoti e a Sardelli, a Montezemolo e a Napolitano, è difficile che vi rendiate conto di quanta rabbia e disperazione stia producendo la crisi, quanta devastazione nella vita quotidiana e nell’immaginare un qualunque domani.

A che servono le vostre condanne? Convinceranno forse i black bloc – gli uomini neri – a essere più duttili? Blinderete le manifestazioni pacifiche facendole proteggere da cordoni di sicurezza pronti a menare chiunque si discosti dalle vostre indicazioni, dal vostro manuale di comportamento – fin qui si può essere rabbiosi, più in là, no, non sta bene, ci alieniamo scalfari e cazzullo? Che un movimento faccia le barricate e poi chiami la polizia per rimuoverle – come diceva Marx dei tedeschi – è una cosa contro natura.

Che un movimento provi a costruire simpatia e consenso intorno ai suoi temi è non solo legittimo ma auspicabile, che un movimento ponga un’opzione di cambiamento radicale è non solo legittimo ma auspicabile.

Il tumulto non viene da Marte, non è un complotto organizzato da minoranze di facinorosi. È nelle nostre attorcigliate viscere. È il buco nero della politica, il collasso della materia. Ma è nel nostro universo.

È qui che si misura la sfida di una politica del cambiamento, nel trasformare la rabbia in speranza, nel dare alla rabbia una speranza.

di lanfranco caminiti

Nicotera, 17 ottobre 2011

Comunicato L38 Squat sul 15/10

“Qui chi non terrorizza…si ammala di terrore”…

Si scatena la gogna mediatica. E non ci stupisce.

Il perbenismo pacificatore si dissocia, punta il dito e si rende complice dell’ennesima persecuzione degli apparati polizieschi e giudiziari. Non ci piace.

Quelle che in molti continuano a chiamare come le mele marce della manifestazione del 15 ottobre, ai nostri occhi appaiono come i frutti di una rabbia diffusa, di un malcontento sociale che si estende. E’ questione di punti di vista.

C’è chi continua a parlare del futuro dei più giovani, di generazioni destinate a non poterlo costruire, perché private dei “diritti fondamentali” come il lavoro. Per noi sfruttamento e oppressione, attraverso il lavoro salariato, sono sempre state le condizioni costanti del dominio: le combattiamo qui e ora, senza aspettare.

 

Siamo “un po’ stufi” di sentire solamente la lagna dell’indignazione, della crisi globale fatta pagare sulle popolazioni di tutto il mondo, delle condizioni di vita precarie, delle responsabilità delle banche e dei mercati finanziari, senza fare qualcosa che metta in discussione la totalità di questo sistema.

Perché in fondo, da una parte all’altra che si trovi, è una questione di paura.

E il 15 Ottobre, di paura, ne ha fatta: ha fatto paura alla classe politica, perché una folla di persone si è riversata nelle strade per dire che sono le banche, gli istituti finanziari e gli imprenditori i veri artefici di questa crisi fatta pesare sulle popolazioni del mondo, perché c’è stata un’esplosione incontrollabile di rabbia, controversa ed istintiva, impaziente, a volte incosciente, come è tipico dell’irruenza di chi porta dentro qualcosa che brucia; ha fatto paura a chi, anche dentro quella manifestazione, ha provato a cavalcare l’onda per il proprio tornaconto, agognando una comoda poltrona in qualche stanza del potere o perché mossa da un freddo calcolo di interesse politico; ai padroni probabilmente ha messo qualche pulce nell’orecchio, che, ci auguriamo, cominci il prima possibile a far sanguinare.

 

Se infatti le strade si agitano e diventano terreno di ribellione, quando una valle insorge, resiste da 20 anni e attraverso la lotta diffonde l’idea di un reale cambiamento, a tal punto che in molti parti d’Italia le popolazioni cominciano a opporsi alle nocività del capitale, quando i lavoratori cominciano ad incrociare le braccia, a rompere le catene del loro sfruttamento e a occupare le strade e le stazioni, quando i migranti rinchiusi dentro un Cie evadono, quando le persone si organizzano e dal basso cominciano a riprendersi le proprie libertà e ciò di cui hanno bisogno…allora si, che la paura cambia di campo.

Se televisioni e giornali sguinzagliano i loro sciacalli e non parlano d’altro che di violenti e teppisti, se il black-bloc è il demone da creare per dar seguito all’inquisizione, se in un coro bipartisan si rispolvera una Legge Reale per attuare nuove misure repressive, se Maroni e i suoi alleati di governo invocano garanzie patrimoniali per l’autorizzazione di cortei e invitano all’allerta in Val di Susa (quanto scotta l’idea di quanti siano i solidali dal nord al sud dell’Italia al fianco dei valligiani!), è perché sanno che per loro può tirare una brutta aria, da arginare il prima possibile con una buona dose di menzogne e altrettanta di terrore. A tutti coloro che portano nel cuore un mondo libero da oppressione e sfruttamento, sta il coraggio di continuare a soffiare più forte.

La vera violenza è quella di coloro che ogni giorno vorrebbero schiacciare nell’indifferenza, nella solitudine e nella rassegnazione le nostre vite; chi ha compiuto brutalità nei riguardi dei manifestanti il 15 ottobre sono le stesse guardie al servizio dei potenti e a tutela dei loro interessi: in tutto questo chi invita o si rende promotore di gesti delatori e collaborazionisti come quello di andare a portare materiale video e fotografico alle forze dell’ordine, per agevolare la repressione di chi si è ribellato, chi prende le distanze e si dissocia, non sta capendo niente e deve essere il primo a darsi una rinfrescata alle idee. Al contrario di chi rema nella direzione dell’inquisizione, pensiamo sia indispensabile non lasciare soli i ragazzi e le ragazze che sono state arrestati durante la manifestazione, far sentire loro la nostra vicinanza e la nostra solidarietà.

Il 15 ottobre è stata UNA giornata, animata e vissuta da una marea di individui e realtà anche molto diversi tra loro. Ormai conclusa e da lasciarsi alle spalle, non per il carico di menzogne che si stanno montando o di “veleni” che si sta portando dietro, ma perché è necessario guardare avanti, pensare a tutti gli altri giorni che verranno. I quartieri, le strade, i luoghi di frequentazione quotidiana; i bisogni, le tensioni e le libertà da conquistare: se “una folla di uomini e donne che fuggono, è una folla di uomini e donne soli”, nelle relazioni umane e nell’autorganizzazione, orizzontale e senza leader, è necessario trovare quella complicità sociale, che ci faccia correre, il prima possibile, tutti e tutte insieme, dall’altra parte.

Per i compagni e le compagne che si sono dovuti svegliare presto lunedì 17, a causa di qualche “maleducato” che non rispetta il riposo altrui, per i ragazzi e le ragazze rinchiusi ancora dentro i carceri di Regina Coeli e Rebibbia, per chi è stato ferito durante il corteo, per tutti gli spazi occupati, collettivi, situazioni e tutte le individualità, che in questi giorni sono stati oggetto di una becera caccia alle streghe su giornali e tv: un abbraccio grande e tutta la nostra solidarietà, non siamo soli/e.

L38 Squat

… che nonostante tutto, in questo momento gode di buona salute…

TimeOut: “Oltre il 15 ottobre”

La rete TimeOut “respinge le criminalizzazioni nei confronti dello spezzone indipendente dello Sciopero precario”. Per “riannodare i fili” dopo la giornata di Roma, appuntamento venerdì 21 ottobre’011 alle 21 a Bartleby.

Il 15 ottobre ha visto scendere in piazza migliaia di persone in tutto il mondo, per un totale di 962 città, per manifestare contro il sistema economico e politico attuale. La proposta era nata nelle acampadas spagnole con lo slogan “Non ci rappresenta nessuno”. E’ con questo spirito che siamo scesi a Roma il 15 ottobre.

Abbiamo scelto di partecipare allo spezzone indipendente dello Sciopero Precario perché solo lì il tema dell’irrappresentabilità politica dei movimenti avrebbe avuto legittimità piena e solo lì avremmo potuto portare avanti le nostre tematiche. E lo abbiamo fatto: la Santa Insolvenza (con la quale abbiamo animato la giornata del 12 ottobre a Bologna nell’iniziativa di #occupiamobancaditalia) era lì con noi; nei nostri slogan c’era la voglia di costruire un percorso che ponesse le questioni del diritto al reddito e di un nuovo welfare; nei cartelli, nei cori che cantavamo c’era la voglia di non pagare un debito che non siamo stati noi a contrarre.

 

Abbiamo portato con noi la voce di tanti* accomunat* da una condizione di vita schiacciata dal peso della precarietà e dalla mancanza di prospettive : student* medi, universitar*, precar*, tutt* insieme, in testa allo spezzone, dietro allo striscione rosa firmato TimeOut con scritto “Santa Insolvenza, liberaci dal debito – Sciopero precario subito” e a quello Putalesboneratransfemministaqueer che ha costruito agibilità politica per i corpi e desideri di gay, lesbiche, trans, femministe, prostitute.

Siamo stati parte attiva del corteo di sabato: abbiamo calato da un albergo di lusso uno striscione con scritto “Addomesticat@? No, ribelli”; abbiamo occupato simbolicamente i fori imperiali con lo striscione “Whose the History? Our History” e altre mille persone lo hanno fatto con noi. Oltre che da noi, quello spezzone è stato attraversato da più di ventimila persone. Ma le cronache di questi giorni hanno abbondantemente eliminato il piano tematico della manifestazione e le sue rivendicazioni politiche. Tutto ciò è stato messo in secondo piano da quanto avvenuto lungo il corteo.

Ma su questo vogliamo essere molto onesti: il corteo è stato da subito un corteo blindato, deciso dalla questura di Roma e accettato da parte del Coordinamento 15 ottobre. Evitare che qualunque pratica di dissenso (anche la più pacifica) potesse trovare la sua espressione è stato uno degli errori più gravi verso quella giornata.?Qualunque obiettivo è stato reso impraticabile, tutto è stato fatto in modo che una qualsiasi deviazione, anche lontano dai “palazzi del potere”, venisse impedita a priori. E aggiungiamo a chiare lettere che a noi di quei palazzi interessa poco, non li riteniamo i centri del vero potere, come abbiamo esplicitato nelle azioni del 12 ottobre a Bankitalia e nell’Ufficio Pignoramenti. Dire “Non ci rappresenta nessuno” vuol dire anche che quei palazzi, per noi, sono pieni solo di marionette.

Ma questo non basta, il movimento, l’intero movimento, in tutte le sue componenti, non è riuscito a incanalare quella rabbia che sempre di più contraddistingue le giovani generazioni. Una rabbia cresciuta in questi anni di fronte allo spettacolo indegno della politica e della finanza contro il quale si sono infrante, inascoltate e represse, le prese di parola di intere generazioni, dalle rivendicazioni studentesche, a quelle dei lavoratori e dei migranti.

Respingiamo con forza le criminalizzazioni nei confronti dello spezzone indipendente dello Sciopero Precario e di sue componenti, che da sempre agisce alla luce del sole, con discorsi e pratiche anche conflittuali, sempre rivolte ad un piano pubblico. Allo stesso modo siamo vicini e solidali a chi proprio in queste ore è stato denunciato per #occupiamobancaditalia e per il blitz all’Unep, il 12 ottobre a Bologna. Dopo cariche violente e insensate, arrivano oggi accuse pesanti (perfino rapina) per un’azione simbolica che ha dato corpo ad una rivendicazione del diritto all’insolvenza che è forte, generalizzata e diffusa: non saranno le intimidazioni giudiziarie a spaventare i precari e le famiglie che nè possono nè vogliono pagare un debito contratto da altri.

Quanto accaduto in piazza San Giovanni ha come primi responsabili i gestori dell’ordine pubblico che hanno fatto irruzione in una piazza autorizzata con blindati, caroselli e lacrimogeni. Questo atto di aggressione non poteva che trovare una determinata e spontanea reazione da parte delle migliaia di manifestanti presenti, che hanno difeso per ore il proprio diritto a manifestare.

Riteniamo raccapriccianti le misure che proprio in queste misure il Governo, col beneplacito dell’opposizione, sta prendendo in considerazione: le dichiarazioni di Di Pietro sulla legge Reale sono pericolose quanto le prese di posizione del Ministro Maroni. Riteniamo indegno che il sindaco di Roma, Gianni Alemanno, proibisca per un mese le manifestazioni. E’ proprio a partire da simili deliri di giustizialismo e di repressione che la rabbia che abbiamo visto nella giornata del 15 cresce e si alimenta.

Allo stesso modo riteniamo quanto mai pericoloso il fenomeno della delazione che in queste ore sta prendendo piede nei social network: se non cerchiamo di comprendere quanto è successo, se ci limitiamo alle accuse e alle prese di distanza, la complessità che in quella piazza si è data rimarrà priva di un quanto mai necessario tentativo di analisi, così come le sue e nostre rivendicazioni ancora una volta taciute.

Perché il problema dopo la giornata di Roma è proprio quello di riannodare i fili, partendo dallo straordinario dato di partecipazione che ha contraddistinto la giornata romana e dalla contraddizoni che ha fatto emergere. Ricostruire delle proteste che siano comuni a partire da una voglia di cambiamento radicale. Non si parte da zero, ma da tutte quelle questioni che in europa e nel mondo riempiono le piazze da mesi: la lotta contro l’austerity, il nodo della precarietà, il diritto all’insolvenza, e il problema di come si costruiscono nuove pratiche di piazza che siano inclusive e che coinvolgano un numero sempre maggiore di persone. Non sono temi facili e la giornata del 15 ne è una dimostrazione.

Abbiamo deciso di parlarne, prima di tutto con le persone che sono venute con noi a Roma ma anche con la città. Inviteremo scrittori ed intellettuali, ma vorremmo dare la priorità a chi avrà voglia di parlare di quanto è successo e a chi vorrà confrontarsi con noi per capire come continuare a fare politica, opporre un vero protagonismo sociale alle politiche di austerity e costruire insieme a tante e tanti lo sciopero precario.

TimeOut Bologna

(Bartleby, Vag61, Collettivo Utòpia, Antagonismogay, Laboratorio Smaschieramenti)

da www.zic.it

 

Maroni mira a restringere la libertà di tutti e tutte

Comunicato del Laboratorio Acrobax.

Rigettiamo completamente l’accusa del ministro Maroni; la sua ricostruzione ieri in Parlamento, soffia solo sul fuoco della paura.  La violazione della libertà di movimento si sta rendendo esplicita, a cominciare dai divieti imposti da Alemanno  alla manifestazione della CGIL- Fiom del 21 Ottobre, per proseguire con le aperte minacce al movimento NOTAV che domenica 23 Ottobre riprenderà parola con un’importante manifestazione.

Realtà sociali e sindacali a cui esprimiamo da subito la nostra piena solidarietà.

Il dibattito sulle nuove forme di controllo sociale e sui nuovi dispositivi penali cerca di determinare uno stato di eccezione permanente. Tali provvedimenti vengono utilizzati strumentalmente in un contesto di crisi economica e sociale devastante a cui questo governo non sta dando nessuna risposta.

Le decine di migliaia di persone che hanno manifestato il 15 ottobre e difeso piazza San Giovanni dall’attacco della polizia non possono essere utilizzate a pretesto per negare le prossime mobilitazioni per la difesa dei diritti.

Pensiamo che, quando viene attaccata la libertà di dissenso, sia obbligo di tutti i soggetti politici e sociali prendere parola.

Per questo  continueremo ad attraversersare  le piazze per la difesa della libertà, dei diritti e per la piena affermazione di un nuovo welfare.

 

AGENZIE

Omniroma-CORTEI, ACROBAX: «CONTINUEREMO AD ATTRAVERSARE LE PIAZZE» (OMNIROMA) Roma, 19 OTT – «Acrobax», si legge in una nota del centro sociale, «è una realtà sociale che agisce alla luce del sole, nelle periferie, a contatto quotidiano con l’esclusione sociale e la precarietà causata dalla crisi. Svolgiamo quotidianamente l’attività del diritto alla casa, garantiamo assistenza legale e politica per le vertenze dei precari, mettiamo a disposizione tutti i giorni servizi e strutture a prezzi popolari come la palestra sociale, la sala prove e tutte le altre attività dei nostri laboratori che aggregano e incontrano tutti i giorni centianaia di persone. Anche per questo rigettiamo completamente l’accusa del ministro Maroni; la sua ricostruzione soffia solo sul fuoco della paura e punta ad una riduzione delle libertà di tutte e tutti. Non siamo noi la regia degli scontri, o meglio gli scontri non ne hanno avuto alcuna, e gli obiettivi praticati lungo il corte, o come il supermercato, non sono stati ne premeditati ne dai noi effettivamente praticati. Qualunque altra posizione è falsa e tendenziosa. La violazione della libertà di movimento si sta rendendo esplicita, a cominciare dai divieti imposti da Alemanno alla manifestazione della Cgil-Fiom del 21 Ottobre, per proseguire con le aperte minacce al movimento NoTav che domenica 23 ottobre riprenderà parola con un’importante manifestazione. Realtà sociali e sindacali a cui esprimiamo da subito la nostra piena solidarietà. Il dibattito sulle nuove forme di controllo sociale e sui nuovi dispositivi penali cerca di determinare uno stato di eccezione permanente. Tali provvedimenti vengono utilizzati strumentalmente in un contesto di crisi economica e sociale devastante a cui questo governo non sta dando nessuna risposta. Le decine di migliaia di persone che hanno manifestato il 15 ottobre e difeso piazza San Giovanni dall’attacco della polizia non possono essere utilizzate a pretesto per negare le prossime mobilitazioni per la difesa dei diritti. Pensiamo che, quando viene attaccata la libertà di dissenso, sia obbligo di tutti i soggetti politici e sociali prendere parola. Per questo continueremo ad attraversare le piazze per la difesa della libertà, dei diritti e per la piena affermazione di un nuovo welfare». red

INDIGNATI: ACROBAX, RESPINGIAMO ACCUSE MARONI NON C’È NOSTRA REGIA IN SCONTRI = Roma, 19 ott. – (Adnkronos) – «Rigettiamo completamente l’accusa del ministro Maroni: la sua ricostruzione soffia solo sul fuoco della paura e punta a una riduzione delle libertà di tutte e tutti. Non siamo noi la regia degli scontri, o meglio gli scontri non ne hanno avuto alcuna, e gli obiettivi praticati lungo il corteo come il supermercato, non sono stati nè premeditati nè dai noi effettivamente praticati. Qualunque altra posizione è falsa e tendenziosa (come la forzatura fatta ieri da Repubblica)». Lo sottolinea in una nota il centro sociale Loa Acrobax. Acrobax, spiegano, «è una realtà sociale che agisce alla luce del sole, nelle periferie, a contatto quotidiano con l’esclusione sociale e la precarietà causata dalla crisi. Svolgiamo quotidianamente l’attività del diritto alla casa, garantiamo assistenza legale e politica per le vertenze dei precari, mettiamo a disposizione tutti i giorni servizi e strutture a prezzi popolari come la palestra sociale, la sala prove e tutte le altre attività dei nostri laboratori che aggregano e incontrano tutti i giorni centinaia di persone». (segue) (Rre/Ct/Adnkronos) 19-OTT-11 16:33 NNN

Omniroma-INDIGNATI, CATARCI: «ACROBAX NON È PALESTRA DI TERRORISTI» (OMNIROMA) Roma, 19 OTT – «l Laboratorio Acrobax è una realtà attiva da anni nel Municipio Roma XI. Negli spazi dell’ex Cinodromo occupati e recuperati ad uso pubblico dal 2002, è presente un centro giovanile, uno spazio socio-abitativo in cui vivono 15 persone, una palestra, un campo di basket, un campo di rugby in cui si gioca il campionato di serie C, una sala prove per la musica. Si fanno iniziative quotidianamente ed alla luce del sole, per contrastare la precarietà, l’emergenza abitativa, il caro-vita e l’uso delle armi, per promuovere lo sport per tutti, elemento di integrazione e confronto leale, per migliorare il quartiere, in particolare il degradato tratto di Lungotevere Dante. Tra il 2006 ed il 2007 due giovani di questa comunità, Antonio prima e Renato poi, hanno vista troncata la propria breve esistenza, il primo sul lavoro facendo trasporti veloci col motorino, l’altro assassinato all’uscita di uno stabilimento balneare da due giovani con simbologie neofasciste. I tragici fatti hanno rafforzato i legami con le altre realtà territoriali, già ampiamente consolidati». Lo dichiara in una nota il presidente del Municipio XI Andrea CAtarci che prosegue: «Se qualcuno ha partecipato al rito vuoto e ingiusticabile della rottura di vetrine ed ha compiuto gesti ed azioni illegali va ovviamente accertato, ma che si indichi quel posto come palestra per il terrorismo oltre ad essere falso sa di sadico. E che Acrobax venga sbattuto in prima pagina e diventi una priorità del Ministro Maroni e del Sindaco Alemanno è quanto di peggio sta producendo l’imperante subcultura antidemocratica ed autoritaria». red 191703 OTT 11

SCONTRI ROMA: ACROBAX, NON SIAMO NOI LA REGIA DEI DISORDINI CENTRO SOCIALE ROMANO INDICATO DA MARONI TRA SOGGETTI VIOLENTI (ANSA) – ROMA, 19 OTT – «Non siamo noi la regia degli scontri, o meglio gli scontri non ne hanno avuto alcuna, e gli obiettivi praticati lungo il corteo, come il supermercato, non sono stati nè premeditati nè dai noi effettivamente praticati». È quanto si legge in una nota del Laboratorio sociale di Roma Acrobax, citato ieri al Senato dal ministro dell’Interno Maroni tra i soggetti violenti responsabili delle devastazioni di sabato scorso durante il corteo degli Indignati. «Rigettiamo completamente l’accusa del ministro Maroni; la sua ricostruzione ieri in Parlamento soffia solo sul fuoco della paura e punta a una riduzione della libertà di tutte e tutti», si legge nella nota, che prosegue: «Acrobax è una realtà sociale che agisce alla luce del sole, nelle periferie, a contatto quotidiano con l’esclusione sociale e la precarietà causata dalla crisi». «Le decine di migliaia di persone che hanno manifestato il 15 ottobre e difeso piazza San Giovanni dall’attacco della polizia non possono essere utilizzate a pretesto per negare le prossime mobilitazioni per la difesa dei diritti», afferma ancora Acrobax.(ANSA). COM-LAL 19-OTT-11 16:50 NNN

 

 

 

 

“Né buoni, né cattivi” – Intervista di Acrobax al Manifesto

di Eleonora Martini –

ROMA DOPO GLI SCONTRI – Grande discussione tra i partecipanti alla manifestazione.

Polemiche sugli incidenti Né buoni, né cattivi

«L’album di figurine ricostruito da certi media è ridicolo. Gli avvenimenti di sabato rivelano la temperatura sociale del Paese».

Parla un militante di Acrobax, uno dei centri sociali additati come cabina di regia degli scontri Sono stati additati dai media mainstream come la macchina organizzativa degli scontri di sabato scorso a Roma. I militanti del centro sociale romano Acrobax, insieme ai torinesi di Askatasuna e ai padovani del Gramigna, sarebbero secondo un «teorema preordinato» – così lo definiscono – la base logistica e di regia della battaglia che ha trasformato per la prima volta da tempo immemore la piazza di arrivo di una manifestazione in un campo di macerie. «È falso». Un confronto con loro deve partire necessariamente da questo assunto. Non vuole avere un nome, il militante di Acrobax con cui parliamo, «per una scelta politica, non giudiziaria: perché una voce senza nome è più ascoltata di tanti personalismi».

Dunque non siete voi gli artefici degli scontri di sabato?

L’album di figurine ricostruito da certi media è ridicolo. Noi, i militanti del Gramigna, per esempio, non li abbiamo nemmeno mai visti in una riunione. Con gli attivisti No Tav, invece, come con molte altre realtà italiane ed europee della rete degli Stati generali della precarietà abbiamo costruito insieme un percorso di lotta che continueremo a portare avanti. Un percorso condiviso da un movimento amplissimo, internazionale ed europeo, che sulla base dell’appello del 15 ottobre si è riunito a Barcellona per organizzare la resistenza alla politica di austerity dettata dai poteri finanziari globali. Non a caso, eravamo a pieno titolo nello spezzone iniziale del corteo. Ma il punto che sfugge ai più è che uno spezzone sia pur organizzato e militarizzato di rivoltosi non avrebbe avuto la forza di tenere sotto scacco per ore la polizia e trasformare piazza San Giovanni in un campo di battaglia. La resistenza, lì, è stata diffusa, la guerriglia l’hanno fatta migliaia di manifestanti. E noi con loro. Ma è su questo che si deve riflettere: come mai un piccolo gruppo di «violenti» è riuscito a trascinare con sé tanta gente? Chi erano queste persone?

È vero. Chi era in piazza quel giorno ha visto crescere il numero di “arruolati” alla guerriglia nel giro di qualche ora. Dapprima solo un “plotone” di miliziani nero vestiti, poi, a San Giovanni, gruppi non più definibili. Dunque tra di voi non c’era un disegno prestabilito per far saltare la manifestazione degli indignati?

Il comitato 15 ottobre sapeva benissimo che noi non riconoscevamo e contestavamo le loro scelte politiche. Come è avvenuto in tutto il mondo – da New York a Milano – noi volevamo portare la nostra protesta sotto i palazzi del potere. Quando dico «noi» intendo dire le migliaia di persone che hanno partecipato ad un’intera area di corteo. La nostra manifestazione sarebbe dovuta finire altrove, non in piazza San Giovanni. Le nostre azioni erano mirate, politiche. Volevamo sanzionare l’abuso di potere che costruisce zone rosse off-limits. Ma soprattutto mettere in pratica il diritto all’insolvenza, riappropriarci dei beni di consumo, far valere i nostri diritti negati – dalla casa al lavoro, dai saperi alla salute. Su questo tipo di lotte ci mettiamo la faccia e puntiamo alla riproducibilità delle nostre azioni. Non lasceremo soli chi vive sulla propria pelle l’esclusione imposta dalle banche centrali e dalle finanze globali, né li lasceremo alle destre o alla Lega.

Avete raggiunto i vostri obiettivi, sabato scorso?

Non abbiamo risolto il problema ma l’abbiamo reso evidente. Anche se non siamo caduti nella trappola della polizia e non abbiamo forzato il muro costruito a difesa del centro trasformato in zona rossa. E non abbiamo nemmeno paura di dire che certe azioni, come bruciare le auto all’interno del corteo o danneggiare la statua della Madonna, sono stupide e irresponsabili. Ma è stata colpa delle cariche della polizia e del modo di gestire le forze dell’ordine se gli scontri sono finiti proprio dentro la piazza dove il corteo avrebbe dovuto approdare. È davanti ai caroselli impazziti della polizia e alle auto lanciate contro la folla, che i manifestanti si sono uniti ai pochi «violenti», come li chiamate voi, iniziali.

 Abbiamo già raccontato ai lettori del manifesto la strana gestione delle forze di polizia in piazza San Giovanni. Ma insomma, non la firmate voi, quella violenza primaria e impulsiva senza grandi doti comunicative che ha devastato Roma?

Bisogna capire che c’è anche quella, anche se non era affatto nei nostri piani. Dovremmo tutti cercare di leggere i fatti di sabato come un termometro che misura la temperatura sociale di questo Paese.

Ha spiazzato anche voi, dunque?

Noi non facciamo le pulci alle varie anime del movimento, ciascuno sceglie la propria pratica politica. Così come non consideriamo nemici nemmeno coloro che scelgono strade di rappresentanza politica. C’è il massimo rispetto per chi sceglie le rappresentanze sindacali e studentesche. La nostra non è antipolitica, ma la consapevolezza dello svuotamento delle rappresentanze politiche. Certo, però, non saremo il capro espiatorio di un Paese – il cui tasso di disoccupazione giovanile sta al 30-35%, che vive in una dittatura mediatica unica al mondo, in assenza totale di tutele per i lavoratori e con un welfare tradizionale azzoppato dai tagli – nel quale è ovvio che il tappo è ormai saltato. Noi non provochiamo la rivolta ma nemmeno faremo i pompieri: meglio che tutto ciò emerga. A questo punto, o le rappresentanze politiche mostrano uno scatto di responsabilità, cercando di comprendere il senso e di dare delle risposte al conflitto, oppure quello che è successo sabato non è che l’inizio. E non è una minaccia, è una constatazione.

Cosa è cambiato rispetto alla manifestazione del 14 dicembre scorso?

Quello era solo corpo studentesco, sabato scorso invece in piazza c’era il corpo sociale metropolitano e precario. Allora si puntava alla sfiducia del governo e l’opposizione costituita ancora una sorta di rappresentanza politica parlamentare. Oggi le politiche di austerity sono condivise da tutto l’arco parlamentare. Per questo, senza fare alcuna apologia della violenza, diciamo che se il conflitto non trova altri sbocchi, in qualche modo esplode. È chiaro che si vuole instaurare uno stato d’eccezione per poi gestirlo in emergenza.

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Centri sociali di Milano su 15 ottobre

Siamo i centri sociali e le realtà di movimento autorganizzate di Milano e hinterland, che hanno partecipato al corteo del 15 ottobre dentro lo spezzone del precario indipendente, lo spezzone che più di altri viene aggredito in queste ore dai pennivendoli dell’informazione mainstream.
Non ci sorprendono i furiosi attacchi di media e istituzioni politiche nei confronti dell’oceanico corteo romano del 15 ottobre, non ci sorprende nemmeno l’operazione “argentina” (visto che i riferimenti ad altri paesi vanno di moda, e pure i flashback) attraverso la quale il grande repressore pensa di dividere la piazza in buoni e cattivi andando a soffocare sul nascere quel moto di indignazione e di rabbia che ha dato vita alla data romana. Questo gioco al massacro non ci interessa ed i compagni che accettano questo schema commettono un errore.
Non vogliamo portare ulteriori riflessioni sulla giornata, non vogliamo rimarcare il nostro atteggiamento, quello che pensiamo e che pratichiamo quotidianamente è sotto gli occhi di tutti e ci sembra ridondante sottolinearlo. Ribadiamo e rivendichiamo, invece, l’adesione allo spezzone precario e indipendente e il percorso che ha portato, fra mille difficoltà va detto, alla data del 15 e giudichiamo intollerabili gli attacchi politici e personali che stanno subendo in queste ore TUTTI i collettivi e i centri sociali che sono entrati nel mirino delle testate giornalistiche e non solo e a cui va la nostra piena solidarietà.

Cascina Autogestita Torchiera Senz’acqua Milano
F.O.A. Boccaccio 003 Monza
No Expo Milano
S.O.S. Fornace Rho

San Precario nella moltitudine della giornata globale contro l’austerity

Comunicato Stampa (da precaria.org)

A Roma San Precario si è trovato circondato da 200.000 persone o forse di più, una moltitudine di indignate e indignati, di studenti, di precari, di migranti, di cassa integrati, di disoccupati. Una moltitudine eterogenea di persone che non ci stanno a vivere sotto ricatto, a vivere massacrati da una crisi pesante e da un governo inetto e immobile, che non ci stanno ad accettare ricette draconiane da banche che dopo aver risucchiato i loro risparmi dettano diktat per uscire dalla crisi. Una moltitudine che vuole riprendere in mano le retini della propria vita per galoppare nel proprio futuro.

A Roma San Precario e lo Sciopero Precario sono entrati nell’ Hotel Exedra-Boscolo in Piazza Esedra calando dalla terrazza uno striscione e disperdendo santini e cartoline nella hall mentre il corteo partiva da Piazza della Repubblica. Fumogeni colorati e santini sono volati dalla tettoia di un altro albergo in via Cavour mentre striscioni venivano appesi ai fili del tram. Colori, slogan e banda ritmavano e coloravano lo spezzone dello sciopero precario un serpentone di 15.000 persone. Il banner Whose the History? Our History appeso alla balconata del Foro Romano esplicitava la voglia di conquistarsi il futuro partendo dal passato in un luogo simbolo della nostra storia. Dal carro decine gli interventi, a volte rabbiosi sempre indignati delle più diverse realtà sociali: studenti, cassa integrati di Pomigliano, NoTav, precari del pubblico impiego, migranti … Inutile dire che è ridicolo semplificare i contenuti espressi in ore di interventi virgolettando semplici frase estrapolate dal loro contesto e comunque riferite solo alle azioni pensate e realizzate dalle realtà dello sciopero precario nato e costruito in un lungo percorso di Stati Generali della Precarietà che hanno coinvolto decine di realtà nazionali portando alla nascita della Costituente per lo Sciopero Precario. Uno spezzone che rivendica un nuovo welfare, un reddito incondizionato, accesso ai beni comuni e uno sciopero precario   della e nella precarietà. Esprimere il punto di vista precario è stata la nostra priorità.

A Roma San Precario ha visto una carica alla coda dello spezzone dello sciopero precario; ha visto inorridito camionette della polizia entrare a velocità folle tra la gente; ha visto caricare indiscriminatamente; ha visto litri e litri di liquido sparato dagli idranti montati sulle camionette; ha lacrimato per le migliaia di lacrimogeni lanciati dalle forze dell’ordine. Ha visto una Piazza San Giovanni piena di gente, una moltitudine eterogenea che è stata costretta a respingere cariche violente e a resistere in maniera diffusa a cariche reiterate e ai caroselli dei blindati. Ha visto anche una resistenza spontanea che non può essere attribuita a nessuna regia e a nessuna forza organizzata.

Respingiamo al mittente i tentativi di criminalizzazione dello spezzone dello sciopero precario e/o di alcune sue componenti politiche, come il Centro Sociale Acrobax, uno spezzone che ha agito a viso aperto e che si rivendica le azioni scelte collettivamente e qui sopra segnalate. Tutto quello che è successo attorno, dietro, davanti, prima, dopo, durante non è farina del nostro sacco e non accettiamo di fare il capro espiatorio. Non sono esistite operazioni clandestine, non esistono carbonari nascosti nelle tane, noi agiamo sempre alla luce del sole forti delle nostre idee, arricchiti dai nostri contenuti.

Per guardare avanti, Globalproject sul 15/10

Per guardare avanti

17 / 10 / 2011

Mentre scriviamo è in corso una maxi-operazione delle forze dell’ordine, con perquisizioni e arresti. Quando tutto sarà finito, il piano della discussione sarà un altro: con buona probabilità si restringeranno gli spazi di libertà per tutti, lotte sociali comprese; ci si avviterà attorno al tema repressivo; le questioni che contano – costruire un’alternativa alla dittatura della finanza ‒ verranno messe all’angolo da un nuovo ordine del discorso. Forse andrà così, ma non necessariamente, se riusciamo ad esplicitare da subito un punto di vista radicale sui fatti di sabato.

Partiamo dall’inizio. Sabato 15 ottobre a Roma c’è stata una grandissima manifestazione, mezzo milione di persone hanno attraversato la capitale con la pretesa testarda di far pagare il debito a chi l’ha prodotto, le corporation, le banche, gli hedge fund, i protagonisti di quel processo di trasformazione del mondo segnato dalla precarizzazione del lavoro e dalla finanziarizzazione dell’economia. Mezzo milione a Roma, ma manifestazioni in 1.000 città e 82 paesi di tutto il pianeta terra: un nuovo movimento globale, consapevole e preparato si è messo in cammino, questo è ciò che effettivamente conta.

A Roma, e solo a Roma, occorre ricordarlo, la grandissima manifestazione è stata divisa e frammentata dagli incidenti con le forze dell’ordine e non solo. Non condanniamo, non siamo un tribunale. Ma nella nostra parzialità esprimiamo un giudizio politico, come tutti dovrebbero avere il coraggio di fare. L’unico modo per far fuori le semplificazioni giornalistiche che separano i buoni dai cattivi, la violenza e la non violenza, è dire con forza che le pratiche di conflitto, anche radicali, possono unire, connettere e costruire, ma possono anche dividere e distruggere. Le pratiche messe in campo da alcuni, pochi, durante la manifestazioni di sabato a Roma, hanno diviso il movimento, hanno messo in pericolo chi voleva manifestare (come definire altrimenti una macchina o un palazzo che brucia a due metri dal passaggio dell’intero corteo?), hanno messo in crisi lo spazio pubblico e politico che quella manifestazione voleva costruire. Assumendo questa differenza, il nostro giudizio è chiaro, nettissimo. A San Giovanni, poi, è successo ancora altro. La reazione della polizia è stata scomposta e violentissima: l’uso degli idranti, i caroselli contro l’intera piazza. In risposta a questo fatto c’è stato un gesto di resistenza più ampio che ha coinvolto altri giovani e giovanissimi che poco avevano avuto a che fare con chi, durante il percorso del corteo, aveva deciso di dividere il movimento, con pratiche di conflitto irresponsabili, oltre che inutili (bruciare macchine o cassonetti in via Labicana: altro che assedio ai palazzi del potere!), e che, soprattutto, aveva quasi come unico obiettivo, tutto politico, se non politicista, quello di colpire il Coordinamento 15 ottobre e la piazza, San Giovanni, dove dovevano esprimersi le lotte sociali e di certo non i partiti politici.

Ora, due giorni dopo, facciamo i conti con una scena inquietante e con un problema. La scena inquietante è quella definita da un nuovo dispositivo: la repressione “partecipata”, l’appello alla “delazione di massa”. Che sia il Corriere della sera a promuovere la linea di Cameron e della sua Big Society, non ci stupisce, che sia il mondo dei social network, in autonomia, a definire questo processo, è cosa assai più drammatica. La raccolta “autogestita” dei materiali video e fotografici, utili a colpire i «violenti», ci parla di un mondo davvero complesso, che le retoriche e le pratiche che confondono ed equiparano i riots di Londra con il 14 dicembre, non solo non capiscono, ma finiscono per alimentare. Il dispositivo, appunto, è un rapporto: il rapporto tra delazione di massa e riots indiscriminati, le due cose, come ci ha dimostrato già Londra questa estate (vi ricordate i giovani che andavano a pulire la città?), viaggiano assieme, sono due facce di una stessa medaglia. E questo ci dovrebbe aiutare a fare piazza pulita anche di atteggiamenti linguistici e politici irresponsabili (pensiamo al proliferare di retoriche insurrezionaliste, agite solo per un giochino di posizionamento politico tra gruppuscoli che hanno nostalgia degli anni ’70), perché le parole che usiamo, a volte, producono mostri.

Il problema dei movimenti è semplice. Da adesso in poi non è più possibile eludere la discussione sulle forme di democrazia e sulla molteplicità espressiva dello spazio pubblico di movimento. Le lotte sociali, la generazione precaria, gli studenti e le resistenze operaie, le lotte ambientali e per i beni comuni, devono poter determinare in autonomia il loro modo di stare in piazza, di manifestare, di fare conflitto. Questo vuol dire che non è più possibile rinviare un ragionamento pubblico sulle forme di autoregolamentazione dei cortei, anche e soprattutto quando i cortei vogliono violare le zone rosse o semplicemente sfidare i divieti per invadere la città (come gli studenti hanno fatto negli ultimi tre anni). Come sia possibile una piazza plurale, ma nello stesso tempo democratica, è un problema di tutti, di tutte le lotte sociali, non è un problema di qualcuno, non è un problema dei centri sociali. Per questo la discussione deve essere aperta, per questo c’è bisogno di essere tempestivi, perché il 15 ottobre non può e non deve consegnare il movimento al minoritarismo e al ghetto, perché il movimento non può condannarsi all’impotenza, perché il conflitto, anche radicale e aspro, non può essere messo all’angolo.

AGENZIA

CASARINI, CHIUDERE PER SEMPRE CON LA MALEDIZIONE DEGLI ANNI ’70 = ‘CANDIDATO CON SEL? PETTEGOLEZZO E DIFFAMAZIONE PICCOLA PICCOLÀ Roma, 20 ott. (Adnkronos) – «Ognuno dovrà decidere con chi stare . Quale è la sua gente», ovvero, «è venuto il monento che il Movimento recuperi il senso di realtà. Significa rinunciare a una certa sociologia d’accatto, a certo radicalismo chic dei salotti di sinistra che non hanno perso il vizio di fare gli stregoni con le vite degli altri. Significa chiudere per sempre con la maledizione degli anni ’70 che sono finiti. Fi-ni-ti. E anche male». Luca Casarini, già leader dei Disobbedienti, in un’intervista a ‘la Repubblicà non usa mezzi termini per indicare agli Indignati come uascire dalla situazione creata dalle violenze alla manifestazione di sabato scorso a Roma. «Quello che ho visto a Roma è stato ripugnante. Una minoranza organizzata militarmente ha violentato, messo in pericolo, umiliato una straordinaria multitudine che chiede il cambiamneto e con lei uno spazio pubblico di nuova democrazia che ha preso vita in tutto il pianeta. Con quale risultato? Un’immediata richiesta di repressione generalizzata del dissenso. Un gran bel lavoro sporco a esclusivo vantaggio -accusa Casarini- di un potere corrotto e delegittimato». «I ‘nerì di sabato sono i migliori alleati del Sistema che sostengono di voler abbattere. Perchè sono funzionali e reciproci di quel Sistema. E ne traggo delle conseguenze. Dico che è venuto il momento delle scelte», ribadisce Casarini che alla domanda se Sel gli abbia promesso un seggio in Parlamento, se pensi al ‘Palazzò, risponde infine: «Dietro le mie parole c’è la discussione di una comunità politica. Il resto è pettegolezzo e diffamazione piccola piccola. A me interessa voltare pagina, ritrovarmi con chi vuole il cambiamento». (Spe/Ct/Adnkronos) 20-OTT-11 10:21 NNN

 

Dopo il 14 dicembre è arrivato il 15 ottobre

Comunicato tratto dal blog di Militant.

A mente fredda e con gli occhi decongestionati proviamo buttare giù alcune prime e parziali riflessioni su quanto è successo ieri a Piazza San Giovanni. Cominciamo col dire che in piazza non c’erano nè buoni nè cattivi. Così come non c’erano i black bloc infiltrati, i poliziotti provocatori, gli ultras fascisti… o gli extraterrestri venuti da Marte a rovinare il corteo. Chi, anche a sinistra, oggi ripropone questa chiave di lettura: o non è in grado di “leggere” quello che sta accadendo in questo Paese o, molto peggio, lo ha capito ma fa finta di niente pur di seguire i propri interessi di bottega. Prestando il fianco, in entrambe i casi, a chi già da ieri sera reclamava a gran voce “pene severe” per i compagni e le compagne arrestate. In realtà, almeno per come la vediamo noi, è accaduto quello che era già successo il 14 dicembre scorso. La piazza ha esondato e scavalcato ogni struttura, gruppo, sindacato o partito; ha ignoranto accordi presi in riunioni o assemblee di cui forse neppure era a conoscenza e ha praticato la propria rabbia spontaneamente e nell’unica forma concreta in cui gli era possibile. E nel farlo ha resistito coraggiosamente per ore e ore alle cariche della polizia. Provare quindi ad accollare quello che è successo a questa o quell’altra organizzazione, come oggi fanno alcuni giornali, ci pare un esercizio inutile oltre che sbirresco. Così come ci sembra inutile attardarsi dietro al perbenismo ipocrita di quei “sinceri democratici” che inorridiscono di fronte a un cassonetto bruciato, ma poi plaudono alle proteste che incendiano le città del resto del mondo. Di questa sinistra “presbite” che vede bene le rivolte solo quando divampano in lontananza non sappiamo proprio cosa farcene. Crediamo invece che il nodo intorno a cui ragionare, almeno per chi vuole “abolire lo stato di cose presenti” sia non tanto chi abbia acceso il cerino, o perchè l’abbia acceso, quanto piuttosto il fatto che la prateria abbia preso immediatamente fuoco. C’è un pezzo importante del nuovo proletariato metropolitano che si rende disponibile al conflitto, alla lotta. Forse non sarà centrale nella nuova composizione di classe, però è indispensabile. Fuori da ogni moralismo, dunque, la riflessione che gli scontri di Piazza San Giovanni, così come quelli di Piazza del Popolo, impongono al movimento di classe è come evitare che questa radicalità venga dissipata. Come riuscire a trasformare questa rabbia “corta” in un progetto di trasformazione sociale. Magari partendo con l’assumere in pieno il peso della nostra inadeguatezza.

il fatto è che noi nun semo indignati… a noi ce rode proprio er culo!

Roma, il racconto di un autonomo: “Niente comizi, la piazza si conquista”

Gianluca, redattore di Infoaut, spiega dall’interno l’origine politica della violenza alla manifestazione degli indignati a Roma. “Bruciare macchine e spaccare la statua della Madonna è stata una gigantesca cazzata, ma attaccare banche e ministeri è un segnale politico”. E conferma la presenza in piazza di ultras del calcio e “reduci” degli anni Settanta
“Certo ci sono stati episodi deliranti, come bruciare le macchine, cosa che finisce solo per spaventare il corteo, o spaccare la statua della Madonna. Sono cazzate pazzesche. Ma attaccare le banche o gli uffici dei ministeri, che piaccia o meno, è un’indicazione, un segnale politico”. Gianluca, redattore di Infoaut, portale di politica e controinformazione di diversi collettivi dell’area autonoma, spiega la violenza esplosa alla grande manifestazione degli Indignati a Roma, terminata in ore di scontri in piazza San Giovanni, e con l’annullamento di tutti gli interventi finali.

Lui era lì, nel cosiddetto “blocco nero”, quello dei manifestanti coperti da caschi e cappucci che sono diventati protagonisti delle violenze. “Non raccontiamoci la storiella di due o trecento ‘black bloc’, magari fascisti o infiltrati della polizia”, continua Gianluca. “Tra il Colosseo e piazza San Giovanni, alla testa del corteo si è venuta a formare una componente di migliaia di giovani che non si riconoscevano negli organizzatori della manifestazione”. Addirittura cinque-diecimila, secondo il redattore di Infoaut, testata che in un editoriale definisce i fatti di Roma un episodio di “resistenza”.

Qui sta il cuore della frattura tra pacifici e violenti, con i secondi che di fatto hanno monopolizzato le cronache della protesta tra incendi e sassaiole. “La costruzione del 15 ottobre in Italia è stata nettamente al di sotto di quello che doveva essere. Gli organizzatori sono cadaveri: gruppi, sindacati e partitini che non esprimono niente nelle città, nelle scuole… Secondo loro, il corteo doveva finire con dei comizi elettorali, un modo secondo noi stupido di coronare una giornata di lotta. E la manifestazione sarebbe passata lontano dai veri luoghi della responsabilità”. Vale a dire i palazzi del potere, ritenuti colpevoli della crisi e del “furto” del futuro per le giovani generazioni.

Così, ragiona ancora Gianluca, molti hanno deciso di “uscire” dal programma preconfezionato. “Si possono anche deprecare le violenze di due o trecento persone, ma quando migliaia di giovani resistono per ore alla polizia è un fatto politico, come è accaduto anche nella manifestazione studentesca del 14 dicembre, sempre a Roma. Invece di aspettare i comizi, si sono presi la piazza. Questi giovani sanno che il loro futuro non esiste e non sono più riassumibili e compatibili in partiti, sindacati, associazioni. Se il percorso ufficiale della manifestazione avesse toccato i palazzi del potere, forse le cose sarebbero andate diversamente”.

Le azioni dei “neri” hanno provocato rabbia e reazioni molto decise da parte dei manifestanti che, nella stragrande maggioranza, puntavano a una giornata pacifica. E che invece si sono visti “scippare” i contenuti della protesta dalla risonanza mediatica degli scontri. Ma Gianluca la vede diversamente: “I contenuti politici ormai si conoscono: la crisi economica, il governo che sta in piedi a stento. Non si capisce perché la rivolta vada bene solo in Egitto”.

Alla fine, chi erano i violenti di piazza San Giovanni? “Al di là dei gruppi storici, c’è ormai uno strato sociale che si esprime in questo modo. Certo che Nichi Vendola dice che non si riconosce in quella piazza, ma neppure quella piazza lo voterà mai, perché sa che da lui arriveranno le solite ricettine”. Gianluca conferma che a manifestare a Roma c’erano anche gruppi ultras del calcio: “Ho visto ragazzi con lo striscione contro la ‘tessera del tifoso’, ma va capito che gli ultras sono un fenomeno sociale di massa. Rappresentano una forma di conflitto che per me sta al di sotto, ma dopo la normalizzazione del ministro Maroni tornano in strada e trovano un ambiente affine. Non sono alieni, sono anche loro proletari, stanno anche loro nelle scuole, nei luoghi di lavoro”. Così come, in mezzo a tanti ragazzi, si sono dati da fare contestatori più attempati, “quaranta-cinquantenni provenienti da altre battaglie”.

A questo punto, conclude, la definizione di “black bloc” diventa stretta. Il termine lo inventò la polizia tedesca negli anni Ottanta per definire gli Autonomen, che nei cortei facevano più o meno le stesse cose viste a Roma il 15 ottobre e si vestivano tutti di nero anche per rendere più difficile il riconoscimento nei filmati della polizia. In seguito, è stato utilizzato per definire la tattica di piccoli gruppi più o meno coordinati che si infiltravano nei cortei e ne uscivano per colpire gli obiettivi simbolo del capitalismo. Per Gianluca, i protagonisti degli scontri di Roma sono invece “una minoranza, ma di massa”.