Natale Precario, Natale Insolvente: San Precario e Santa Insolvenza appaiono in tutta Italia

I regali di Natale del governo Monti sono talmente osceni che San Precario non poteva che rispedirli al mittente e per farlo è apparso e apparirà in molte città italiane, spesso accompagnato da Santa Insolvenza. E per essere ancora più esplicito scrive alla Ministra del Lavoro e del Welfare

Apparizioni:

· Milano: Esselunga di Via Ripamonti in solidarietà con i dipendenti della cooperativa Safra di Pioltello che lavora per Esseleunga nella distribuzione e che per Natale hanno ricevuto una bella letterina di licenziamento dopo essere stati spremuti come limoni. www.precaria.org

· Monza – Brianza: nel pieno della crisi globale nascono in Brianza i Ministeri della Lotta composti da lavoratori, studenti,disoccupati e migranti che hanno deciso di unirsi e organizzarsi per superare la sfiducia nelle istituzioni e farsi artefici del proprio destino. Molto più credibili del farlocco e tanto decantato trasferimento di alcuni ministeri al Nord! Il tutto dopo una giornata di azioni nel centro dello shopping natalizio. http://ministeridellalotta.noblogs.org/

· Bologna: è Santa Insolvenza la vera protagonista che appare per due giorni nelle vie del centro portando il suo contributo all’albero di natale di p.zza Maggiore addobbandolo con messaggi che rivendicano il “diritto all’acqua comune”, quello “al desiderio” e quello “agli spazi”. Ma c’e’ anche la palla con scritta “Merry crisi happy new fear” e quello che avverte: “Noi la crisi non la paghiamo davvero, non e’ uno slogan”. Uno degli addobbi viene appeso anche sulla statua del Nettuno: “Niente lavoro volontario, solo sciopero precario”. Dopo gli addobbi sfilata precaria per le vie dello shopping. La Santa appare anche nei supermercati Coop. http://santainsolvenza.noblogs.org

· Napoli: sono gli operatori sociali a portare le insigne del Santo dei Precari irrompendo nel convegno del PD: aspettano da 12 e alcuni da 24 mesi stipendi da 700/800 euro al mese e chiedono che i tagli alle politiche sociali siano cancellati con emendamento entro Natale. Ma non finisce qui San Precario e Santa Insolvenza sono apparsi in comune rivendicando reddito per devoti e non e promettono che non è finita. http://www.napoliurbanblog.com

· Bari: La Novena del Natale Insolvente durante la Novena devoti in preghiera per invocare la venuta di Santa Insolvenza fino al 25 dicembre , così come era stato profetizzato dalla nomina del Governo Monti. Prima Giornata Santa Insolvenza appare sull’autobus la Santa intercede per farci avere la mobilità. Seconda Giornata Santa Insolvenza appare all’ambulatorio la Santa intercede per farci avere la salute. Terza Giornata Santa Insolvenza appare in teatro la Santa intercede per farci avere la cultura. Quarta Giornata Santa Insolvenza appare alla finestra la Santa intercede per farci avere la casa. Quinta Giornata Santa Insolvenza appare sul cantiere la Santa intercede per farci avere il verde. Sesta Giornata Santa Insolvenza appare al supermercato la Santa intercede per farci avere la spesa. Settima Giornata Santa Insolvenza appare a tavola la Santa intercede per farci avere la mensa sociale. Ottava Giornata Santa Insolvenza appare in bicicletta la Santa intercede per farci avere la strada.

· Palermo: è Natale Precario per il diritto alla casa, per il diritto al reddito, contro i governi delle banche, per il diritto all’insolvenza e l’azzeramento del debito per gli indebitati con Equitalia. http://www.facebook.com/#!/AnomaliaPalermo

Rimanete connessi il Santo e la Santa hanno ancora apparizioni da compiere e le sorprese nella capitale come altrove sono in arrivo …

Infoweb su tutte le azioni: www.sciperoprecario.org – www.precaria.org

Perchè piange il Ministro del Welfare? Lettera aperta al Ministro Elsa Fornero

Perchè piange il Ministro del Welfare? Occupy Christmas #2 from Penelope on Vimeo.

Siamo precarie e precari. Nel lavoro. Nel reddito. Nel welfare. Nei diritti. Negli affetti. Nelle tutele. Nell’accesso ai saperi ed ai consumi. Nell’esercizio della cittadinanza. Nei sogni, nel tempo.

Siamo precari e precarie e non lo abbiamo scelto.

Siamo i milioni di collaboratici e collaboratori a progetto, partite iva, interinali, stagiste e stagisti, lavoratrici e lavoratori in affitto.

Siamo il motore di un’economia in crisi ed al contempo i primi soggetti sacrificabili.

OCCUPY CHRISTMAS – San Precario from ginevra on Vimeo.

Ci può incontrare ovunque: nei call center, nelle agenzie strumentali dei vostri Ministeri, nelle università, nei centri di ricerca, nelle scuole, nei supermercati, nei giornali e nell’editoria, nelle corsie degli ospedali e nelle caserme dei vigili del fuoco. Non esistono luoghi in cui non siamo presenti, perché siamo il frutto delle politiche “per lo sviluppo e l’innovazione” e delle “riforme” del mercato del lavoro realizzate negli ultimi quindici anni da chi ci ha governato e ci governa.

Siamo donne alle prese con una parità di genere tutta apparente, senza tutele, a partire dqalla maternità; siamo migranti che sotto il ricatto del permesso di soggiorno legato al contratto di lavoro contribuiamo al benessere di questo paese, pagando pensioni che non avremo mai, partecipando ad un sistema che non ci vuole cittadini, mentre un’aria pesante e razzista arma le mani più brutali.

Siamo giovani e meno giovani, intere generazioni precarie costrette a vivere un presente dilatato che non permette di progettare il futuro: giovanissimi diplomati e laureate in un sistema di istruzione e formazione martoriato, vissuti all’ombra della retorica della meritocrazia ma senza un lavoro degno di questo nome; ultra 40enni, iperqualificati e supertitolati, spesso madri e padri di famiglia, costretti a cercare altrove il nostro destino; gli over 50, i reietti, quelli che il mercato del lavoro una volta espulsi considera “vuoti a perdere”.

I nostri figli nascono già precari: per via del debito, del futuro oscuro e di un globo che non sa se sopravviverà ai prossimi anni.

La crisi ha fatto esplodere la precarietà, rendendo incerto il presente anche dei cosiddetti lavoratori “garantiti”. Noi che eravamo le giovani e i giovani in difficoltà abbiamo visto i nostri padri e le nostre madri diventare precari come noi, rischiare di essere licenziati a più di 50 anni e di vedere le loro pensioni sempre più lontane e sempre più misere.

E se una crisi iniziata 4 anni fa e negata nel corso degli ultimi 2 anni è stato il frutto avvelenato del governo Berlusconi e dei suoi ministri “nani e ballerine”, questo governo è certamente più serio e preparato. Lo è talmente tanto che riuscirà ad imporre per l’ennesima volta ricette fondate sul presupposto che il mercato (anzitutto finanziario) è sovrano e le nostre vite al suo servizio.

E noi, precari e precarie, continuiamo ad avere contratti di ogni tipo, con l’unica garanzia di uno sfruttamento costante ed un debito, condiviso con tutti i cittadini e le cittadine del nostro paese. Un debito chiaramente non nostro, che ci chiedono di pagare per soddisfare gli appetiti insaziabili di una divinità onnipotente e dagli umori incostanti: il mercato, appunto, che sembra placarsi solo con sacrifici umani.

Per noi non sono previste che briciole di uno stato sociale sempre più ridotto all’osso. Altro che workfare: WorkFear, un welfare fatto solo di paura messa al lavoro!

Il Governo Monti, il Suo Governo, si è dato come prossimo impegno quello di convocare un tavolo “con le parti sociali al fine di riordinare il sistema degli ammortizzatori sociali e degli istituti di sostegno al reddito e della formazione continua”.

Caro Ministro, Lei sa benissimo che oggi i cosiddetti lavoratori parasubordinati, coloro che sono iscritti alla gestione separata, tengono in attivo i conti dell’INPS. Secondo le previsioni, l’ammontare medio di una pensione a gestione separata è di 1570 euro l’anno, 130 euro al mese.

Come sa bene anche che i collaboratori a progetto non usufruiscono di alcun ammortizzatore sociale, se non nella ridicola formula dell’una tantum sperimentata dal precedente Governo.

Con il passaggio generalizzato al sistema contributivo noi, intere generazioni di “intermittenti”, non avremo mai una vecchiaia sostenuta da un reddito minimamente degno.

Dopo aver fatto i conti quotidianamente con la giungla della precarietà, passeremo la seconda parte della nostra vita a fare i conti con i deserti della povertà.

La riconfigurazione dell’attuale sistema degli ammortizzatori sociali, iniquo ed arretrato, passando per la riforma del sistema previdenziale, creerà inoltre un inevitabile conflitto generazionale.

Non vogliamo tutele contrapposte a quelle di altri, vogliamo rispetto, solidarietà e libertà comune.

Il reddito che voi immaginate MINIMO e PER SOSTENERE LA LIBERTA’ DI LICENZIARCI, noi lo vogliamo DI BASE, UNIVERSALE E INCONDIZIONATO, lavoro o non lavoro, per sostenere la libertà di scelta sulle nostre vite.

Ci siamo interrogati a lungo sul significato delle Sue lacrime, caro Ministro.

Ma la sola cosa che sappiamo, al momento, è quel che fa la differenza: ci sono lacrime, pietistiche e paternalistiche, compatibili col sacrificio dei nostri diritti e dei nostri sogni; e ce ne sono altre scomode, di rabbia, furore e gioia, che non hanno cittadinanza.

Noi precarie e precari, che distribuiamo quotidianamente ricchezza sociale ad un paese che la utilizza non certo per il nostro benessere, il nostro futuro e la nostra felicità, noi “l’Italia peggiore,” oggi riprendiamo la parola sul lavoro, sul reddito, sugli ammortizzatori sociali, sul sistema pensionistico, sulla maternità/paternità, sul welfare, sul modello di sviluppo, sulla vita.

Quest’anno il natale (precario) cade il 22 dicembre

Stay tuned e cerca l’apparizione di San Precario per Roma…

http://www.facebook.com/events/236302856441521/

Il 5 dicembre tutti e tutte a P.le Clodio!

La caccia alle streghe scatenata dai mass-media capitanati da “La
Repubblica” dopo la manifestazione del 15 ottobre, comincia a dare i
suoi frutti avvelenati. Dopo l’ormai abituale abuso della carcerazione
preventiva, stavolta ai danni di giovani manifestanti rastrellate/i a
caso il 15 ottobre stesso, si è avuta la prima, vergognosa sentenza.
Giovanni, 22 anni, è stato condannato a 3 anni e 4 mesi per il reato di
resistenza a pubblico ufficiale.

Avete capito bene: in un paese dove si muore sotto le macerie dei
palazzi costruiti da speculatori senza scrupoli, dove i prefetti versano
rifiuti tossici in mare, dove si muore lavorando per 4 euro l’ora in
nero, i giudici puniscono la ribellione di massa alle selvagge cariche
della polizia in p.za San Giovanni con una spropositata pena detentiva,
alla pari di una condanna per omicidio. Poco importa se l’impianto
accusatorio appare debolissimo, così come gli indizi a carico dei
singoli denunciati; la giurisprudenza non c’entra nulla: lo scopo è
quello di spaventare chiunque nei prossimi mesi vorrà di nuovo scendere
in piazza per opporsi alle condizioni di sfruttamento che governanti,
banche e padroni ci stanno imponendo. é questo che sta pagando chi si
trova ai domiciliari o in carcere (Giovanni e Carlo) da oltre un mese.

Per non lasciare che questa la repressione agisca nel silenzio,
invitiamo tutte e tutti ad essere presenti a piazzale Clodio il 5
dicembre h 10, giorno in cui si terrà l’udienza del processo contro tre
delle/degli arrestate/i del 15 Ottobre: Ilaria, Robert e Stefano.

Lo stato chiama la propria violenza giustizia e quella di chi gli
resiste crimine.

Le Compagne e i Compagni di Roma

Siamo studenti e studentesse delle scuole di questa città.

Troviamo giorno dopo giorno sempre più difficile vivere, animare e attraversare questi luoghi. Anni e anni di politiche di tagli, di gestione puramente economica della cultura hanno portato ad una scuola carente e inadatta alle nostre esigenze.

Pensiamo che le scuole debbano essere luoghi di formazione, di aggregazione, di socializzazione, di attivazione, non luoghi grigi e tristi nei quali passare sei ore al giorno a testa bassa.

È per questo che, anche quest’anno abbiamo deciso di occupare le nostre scuole, è per questo che i licei Malpighi, Ripetta, Visconti, Tacito, Lucrezio Caro e Anco Marzio hanno scelto questa forma di protesta, ed è per questo che verranno seguiti a breve da altri istituti. Proprio perché vogliamo riempire le scuole dei nostri colori e della nostra vivacità, della nostra gioia e delle nostre idee.

L’occupazione, per noi, è un momento di condivisione, di riappropriazione di spazi e tempi. Un momento in cui dimostrare che un’altra scuola è possibile, che scuola per noi non è solo sinonimo di programma ministeriale, che scuola per noi vuol dire anche focus di approfondimento, dibattiti, assemblee, proiezioni di film, esposizioni artistiche, gruppi di ascolto musicali, concerti, spettacoli teatrali.

Non pensiamo che la scuola possa essere un salvadanaio, al quale attingere per sanare quel debito o per pareggiare quell’altro bilancio. Riteniamo che la cultura, i saperi, l’istruzione, siano le pietre miliari della nostra società, ed è proprio dalla condivisione e dalla riappropriazione di questi che si deve partire per provare a cambiare e incidere sulla società.

In un momento di grave crisi economica, governativa e di rappresentanza, la cultura diventa poi ancor più importante e fondamentale. Il sapere comincia ad essere effettivamente un bene comune da difendere, tutelare e socializzare. Ed è questo che facciamo occupando le nostre scuole: ci riappropriamo dei nostri spazi facendoli vivere come vorremmo che vivessero tutti i giorni.

Occupiamo le nostre scuole per far sì che lo studente non sia solo utente passivo di un servizio, ma che sia effettivamente protagonista della propria formazione, dove formazione non significa solo imparare a memoria la lezioncina sulla seconda guerra mondiale o un paradigma greco, ma dove formazione significa anche imparare a tessere e instaurare rapporti con l’altro, sentirsi parte di una comunità.

Perciò in molti istituti si stanno diffondendo assemblee ed iniziative, dal centro a bravetta, dal villaggio
olimpico a ostia stiamo dimostrando che non abbiamo intenzione di delegare a nessun “tecnico” il nostro
futuro, e che invece vogliamo esserne protagonisti.
Non siamo noi e non è la scuola a dover pagare per una crisi che non ci appartiene, che paghino politici e banchieri la crisi che hanno provocato!

studenti medi in mobilitazione

#OCCUPY OSTIA# – 400 studenti in corteo

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Roma – Sfilano in 400 per le strade di Ostia, dalla stazione lido nord fino al Teatro del Lido occupato in via delle Sirene.
Sono gli studenti dei licei Anco Marzio, Enriques, Labriola, Toscanelli e Faraday che sotto lo striscione “autogestire gli spazi, riprendersi la città”, hanno sanzionato le banche con lancio di monetine e bancontote finte per dire che il governo dovrebbe salvare la scuola pubblica piuttosto che le banche, vere responsabili della crisi economica. Hanno inoltre denunciato la mancanza di spazi sociali per i giovani nel tredicesimo municipio.
Verso la fine del corteo hanno deviato dal percorso autorizzato, senza disagi per il traffico, per portare solidarietà alle famiglie in emergenza abitativa che hanno occupato la scuola dell’infanzia “do-re-mi diverto”. Il corteo partito alle 9.00 si è concluso alle 12.00 con un’assemblea cittadina.

SanPrecario calling!

Domenica 20 a Bologna si è svolta la riunione della Rete degli stati generali della precarietà in cui, i precari e le precarie, stanno costruendo un persorso di narrazione, di attivazione e cospirazione verso lo sciopero precario.

Questo è un percorso che cerca pazientemente di ricucire la divisione forzata che la precarietà ci impone e frammenta ognuno di noi nei nostri ambiti, nelle nostre vite, nei nostri lavori di merda e i ricatti di cui sono fatti.

Per questo abbiamo deciso di attivarci e invocare la protezione dell’unico santo che abbiamo e riconosciamo: san Precario.

Per questo chiamiamo tutti/e ad un incontro Giovedì 24 novembre alle 18.30, presso la sala da tè del Porto Fluviale (via del porto fluviale 24), per poterci confrontare sulla nostra condizione, sull’attivazione di tutte le relazioni complici tra precari/e e sul’organizzazione di possibili iniziative.

 

Se il natale è precario, noi saremo insolventi!

Liceo Anco Marzio in agitazione

Doveva essere solo una megafonata di protesta al Liceo Anco Marzio questa mattina, ma si è conclusa con una giornata di mobilitazione durata più di dieci ore.

Gli studenti dell’Anco Marzio, spronati da una megafonata svoltasi la mattina sotto la sede succursale e nei corridoi della stessa all’e
ntrata di scuola hanno richiesto a gran voce un’assemblea straordinaria per discutere il problema della mancanza di aule nel loro plesso. Dopo due ore di assemblea, partecipata anche da decine di professori gli studenti hanno deciso di occupare la sede centrale di via Capo Palinuro. Nonostante il vergognoso comportamento di alcuni professori che hanno letteralmente sequestrato i loro alunni nelle classi, circa 300 studenti sono riusciti a uscire dalla scuola dirigendosi in corteo non autorizzato verso la sede centrale. Non appena giunti hanno trovato ad attenderli la preside e il resto dei professori, blindati nell’edificio, impedendo sia l’entrata che l’uscita di chiunque. Dopo circa un’ora di trattative, gli studenti aiutati dai loro compagni relegati nella sede, hanno passato i cancelli, occupando la scuola.

Subito si è riunita una seconda assemblea straordinaria in palestra, mentre alcuni studenti trattavano con preside e polizia, giunta in massa davanti all’edificio. Dopo aver chiarito la volontà di non lasciare la scuola a mani vuote, gli studenti hanno organizzato un pranzo sociale, avendo bloccato le lezioni e chiamato la stampa per dare la notizia dell’accaduto. Subito dopo il suono della campanella molti studenti delle scuole di Ostia hanno portato solidarietà agli studenti dell’Anco Marzio. Nel frattempo la preside ha assicurato agli studenti l’arrivo nel primo pomeriggio di un dispositivo proveniente dalla Provincia che sancisse l’assegnazione delle due aule mancanti. In seguito a ciò, alle 15:30 gli studenti si sono riuniti ancora una volta in un’assemblea spontanea nell’attesa del suddetto documento, arrivato solo alle 17:30. Quest’ultimo prevedeva la definitiva consegna delle aule entro e non oltre lunedì 28 novembre 2011, data in cui gli studenti dell’Anco Marzio potranno finalmente avere un’aula in cui svolgere regolarmente le lezioni fino alla fine dell’anno scolastico. Inoltre la Preside stessa ha assicurato l’arrivo degli operai e lo scarico dei materiali in sede succursale fin dalla giornata di domani, martedì 22 novembre.

Dunque dopo 10 ore di partecipata mobilitazione gli studenti hanno abbandonato l’edificio con l’intento di riaggiornarsi giovedì nell’assemblea d’istituto. Questa giornata ha rappresentato una grande vittoria per l’intera componente studentesca del liceo Anco Marzio, che senza l’appoggio dei professori e della preside sono riusciti a risolvere almeno fino a giugno una situazione che era divenuta insostenibile. Ci teniamo inoltre a ringraziare tutti gli studenti e le studentesse che con una grande decisione e consapevolezza hanno deciso di alzare la testa e fare sentire la loro voce una volta per tutte. Daje forte regà!

Gli studenti e le studentesse del Liceo Anco Marzio

(Video) Il nostro 15 ottobre: un punto di vista precario

1. [La giornata]

Dopo tanta immeritata e non proprio lusinghiera fama, dopo aver lungamente discusso all’interno della nostra comunità umana, territoriale e delle lotte che attraversiamo e contribuiamo ad animare, sentiamo l’irrefrenabile esigenza di dare un contributo ancorché parziale sulla dirompente giornata del 15 ottobre contro la crisi e l’austerity.

Una giornata il cui percorso di costruzione è per noi iniziato 3 mesi fa, quando con decine di precari/e degli Stati generali della precarietà riuniti a Genova, abbiamo deciso di raccogliere l’appello che stava girando per l’Europa e rilanciare l’impegno e la volontà di condividere e connettere a livello europeo le lotte contro l’austerity con le forme indipendenti di organizzazione e di lotta alla precarietà: lo sciopero precario. Un percorso che si sta costruendo da più di un anno.

Tempi lunghi, i tempi del sociale, frammentato e disconnesso, sicuramente molto diversi da quelli delle organizzazioni sindacali o partitiche che d’altronde, sulla precarietà, riescono a fare e capire molto poco.

A metà settembre siamo quindi stati all’Hubmeeting di Barcellona per conoscere, costruire e confrontarci con le piazze euro-mediterranee che da oltre un anno si stanno mobilitando e accampando, stanno occupando e resistendo. Il loro “non ci rappresenta nessuno” è un nodo di riconoscimento fondamentale dei nostri percorsi e della volontà di prendere la parola in prima persona, come precari e precarie.

Allo stesso modo, sin dal primo appuntamento, abbiamo partecipato al coordinamento 15 ottobre, scegliendo il piano del confronto e con la reale intenzione di fare di quella una giornata un momento dove si potessero far convivere le pur diverse sensibilità, scelte e prospettive dentro e oltre la dimensione corteo.

Il 15 mattina ci siamo trovati a Piazza della Repubblica intorno al camion della rotta indipendente verso lo sciopero precario con tanti e tante venute da tutta Italia. Insieme a noi tutta la rete e altre realtà da tutta italia (come la delegazione NoTav o le reti migranti di Brescia) che avevano scelto di condividere il punto di vista precario di quella area di corteo.

Il nostro modo di iniziare la giornata è stato quello di calare uno striscione delle precarie “Inconciliabili” dall’Hotel 5 stelle Exedra-Boscolo, simbolo del lusso e delle ricchezze precluse a noi e invece garantite con il nostro sfruttamento ad una ristretta parte della società. Perché la crisi non è uguale per tutt@. Quando, da sotto la piazza, abbiamo visto la security prendere le nostre compagne siamo entrate in massa a riprendercele: prima dieci, poi venti, poi trecento persone, soprattutto donne, sono salite dalla hall fino sul tetto, allegre ma determinate a non lasciare indietro nessuna. Il 15 ottobre era cominciato.

Andando avanti su via Cavour, dietro a San precario e Santa Insolvenza si sono radunate migliaia e migliaia di persone confluite verso una testa del corteo senza bandiere di partiti o sindacati che parlava di indipendenza e di autorganizzazione delle lotte dei precari, di diritto all’insolvenza e al reddito incondizionato e di base.

All’ingresso di via dei Fori Imperiali, abbiamo scelto di evitare ogni provocazione delle forze dell’ordine schierate in massa prima di Piazza Venezia, a protezione di un potere sempre più isolato, e che già nei giorni precedenti avevano dichiarato di puntare a spezzare il corteo. Abbiamo dunque girato a sinistra, e non perché non ritenessimo comprensibile la volontà di molti di dirigersi verso i palazzi del potere, quanto piuttosto perché non abbiamo mai voluto mettere a repentaglio non solo il nostro spezzone, ormai larghissimo, ma il corteo tutto.

Il nostro obiettivo era un altro, e qui sveliamo la “regia occulta”: poco dopo infatti siamo entrati, prima alla spicciolata poi in massa, dentro il Foro romano, senza pagare i 14 euro e dando vita ad un’occupazione (temporanea?) della suggestiva ed evocativa agorà di duemila anni fa aprendo lo striscione “Whose history? Our history!” (La storia di chi? La nostra storia!)

Volevamo regalare ai precari uno spazio pubblico in cui esprimere il proprio punto di vista, in connessione ideale e materiale con i tanti che nella stessa giornata sono partiti da Plaza Catalunya, a Barcellona, per diverse direzioni per dar vita ad occupazioni di case, ospedali e università. Per riprendersi ciò che non trova altro modo per esprimersi ed affermarsi che quello delle lotte.

Qui avremmo sicuramente voluto sostare di più, provando ad offrire ad un nuovo movimento contro la crisi, la precarietà e l’austerity uno dei luoghi di riconoscimento e un terreno di riconquista.

Ma purtroppo altre tensioni premevano sulla coda della nostra area di corteo a causa delle prime auto andate a fuoco.

La pressione dell’enorme massa del corteo ci ha dunque spinto a proseguire e percorrere molto velocemente anche Via Labicana quando ci siamo resi conto che, alle nostre spalle, la situazione si era decisamente “infiammata”.

A quel punto non siamo riusciti a far altro che constatare la pioggia di lacrimogeni e proseguire a passo svelto nell’unica direzione non bloccata da centinaia di agenti, quella verso piazza San Giovanni, dove siamo arrivati di corsa inseguiti dai blindati e dagli idranti che hanno letteralmente disperso poi l’intera piazza.

Nel giro di pochi minuti, man mano che il resto della manifestazione raggiungeva la piazza finale, migliaia di persone hanno dato vita ad una tenace resistenza verso le forze dell’ordine. Mentre altri mantenevano la calma e permettevano a quelli più impauriti di passare, si difendeva collettivamente lo spazio comune. In modo spontaneo e con un moto di rabbia sociale diffusa si è difesa una collettività ed il suo diritto a non essere spazzata via dalla polizia. Una potenza critica nuova del precariato metropolitano che, come accade nella storia quando esplodono movimenti di massa senza plausibili mediazioni o fantasiose retoriche rivoluzionarie, determinano forti rotture, scompaginano tattiche e facili semplificazioni. Per noi questo è un dato politico, se volete non scontato, anzi dirimente.

Noi eravamo in quella massa insieme a tante e tanti.

2. [Con occhio critico]

La nostra non vuole essere un’epica della giornata, né l’apologia facile della violenza, perché sarebbe una visione molto limitata e sicuramente diversa dalla nostra definizione di radicalità e determinazione che crediamo di aver contribuito a definire negli anni della nostra attivazione sociale e sui terreni delle lotte che abbiamo praticato e che vogliamo continuare.

Vogliamo invece affrontare i nodi critici a partire dai limiti che sicuramente abbiamo avuto.

Però, con lo stesso dovuto rigore, vogliamo sottoporre all’attenzione di tutti/e l’inadeguatezza politica dei movimenti proprio in questa fase in cui così diffusi e condivisi sembrano essere il desiderio e la necessità di una “global revolution”.

Non dobbiamo nascondere che a noi, come acrobati ed acrobate, è mancata la comprensione lucida di alcuni passaggi del corteo e la capacità di gestirne i rapidi ed imprevisti sviluppi.

La tensione che sentivamo crescere intorno al nostro pezzo di corteo ci ha fatto, per esempio, percorrere l’ultima parte di via Cavour e l’inizio dei Fori imperiali in una forma troppo inquadrata, entrando in contraddizione con la natura comunicativa dell’occupazione temporanea del Foro che noi stessi ci accingevamo a fare e contribuendo non poco alla confusione di quel momento.

Per chiarezza ripetiamo che non volevamo in alcun modo finire la nostra giornata a piazza san Giovanni ma che allo stesso tempo non c’era nessuna volontà di determinare l’impossibilità di farlo, per chi lo avesse voluto; all’altezza del Colosseo tutto questo è stato più che evidente alle centinaia di attivisti e compagni che intorno al camion, e nel tam tam di informazioni, provavano a condividere mete alternative, che di fatto sono state impedite da un dispiegamento di polizia inaudito.

L’escalation dello “Stato” di polizia è andata poi aumentando fino ad accanirsi per ore contro chiunque fosse nella piazza San Giovanni girando all’impazzata con le camionette e arrivando persino a sparare lacrimogeni all’interno della Basilica dove decine di persone cercavano riparo.

Crediamo che intorno a questa reazione contro la manifestazione sia più utile per i movimenti fare un’attenta controinchiesta piuttosto che leggere i giornali.

Ora qui emerge un altro nodo problematico che riguarda tutto il movimento, quello consolidato e radicato nelle lotte sociali che certo non si esauriscono con la ‘novità’ degli indignados. Tale percorso nel nostro paese, a differenza di altre realtà internazionali, deve ancora trovare le giuste interconnessioni con le lotte sociali che pure si stanno dando.

Il nodo sta nel difendere lo spazio politico del conflitto nell’era della crisi permanente che ha decretato la fine di ogni mediazione possibile. Ovvero di come, e se, tutelare l’agibilità di movimento per una radicale ed efficace massa critica contro l’austerity e chiunque pretenda oggi o domani di imporla sulla nostre vite già precarie.

Non stupisce che Maroni, o gli organi di informazione lottizzati e al servizio dei poteri forti del paese, mettano sotto accusa chi, già nei comunicati precedenti al 15, così come nella comunicazione sociale in piazza, ha esplicitato l’intenzione di fare di quella giornata, non solo un passaggio costituente o di accumulazione, ma anche di “rottura del quadro di compatibilità”. Ma del resto come oppositori e contestatori determinati di questo governo, e dei suoi ministri, non ci aspettavamo altro.

Sorprende invece, e di più amareggia, quando la critica, tra l’altro formulata come accusa, viene da alcuni ambiti interni ai movimenti e che a volte sembrano condividere l’importanza e il senso delle pratiche di rottura (di qualunque natura) solo se collocate in qualche altro luogo e in qualche altro momento.

Di questo dovremmo discutere a lungo, dentro e oltre il movimento, in un ampio e franco dibattito sulle pratiche che non può prescindere da un ragionamento sulla centralità della produzione di conflitto indispensabile.

Oggi lo riteniamo un orizzonte irrinunciabile dei nuovi movimenti contro l’austerity, la crisi e la precarietà come quelli che proviamo a costruire come rete per lo Sciopero Precario, o quelli contro la devastazione dei territori, come avviene in Val Susa, per la difesa e salvaguardia dei beni comuni, come il percorso fatto dai movimenti per l’acqua, per citarne solo alcuni.

Crediamo ancora che, al centro degli obiettivi di tutte le componenti di movimento, anche tra quelle che investono sulla rappresentanza sindacale e politica, rimanga centrale e strategico il conflitto sociale. Sennò dal nostro punto di vista, sarebbe questo un dibattito problematico e de facto un arretramento dannoso per tutte e tutti.

Certo, è necessario un dibattito sulle pratiche, da fare a 360° gradi e senza facili sintesi e soluzioni poiché capiamo, come è evidente a tutti, che il tema è più che complesso e che la giornata del 15 mette a nudo i limiti di ognuno, senza scorciatoie o linciaggi mediatici e politici.

E proprio sulle pratiche: per come la vediamo noi, è chiaro che, in una giornata di mobilitazione di queste dimensioni, i livelli messi in campo possono anche essere differenti ma devono mantenere la tensione ad inserirsi in un contesto comunemente definito e puntare ad avere la maggiore comprensibilità e consenso possibile.

Quello che abbiamo visto, invece, soprattutto con le macchine incendiate al centro di via Cavour e i luoghi in fiamme accanto a persone palesemente distanti da quelle pratiche come a via Labicana, ci sembrano azioni irresponsabili ed escludenti, poiché di fatto hanno ottenuto il duplice risultato negativo di isolare la prima parte dal resto della manifestazione e, contestualmente, impedire al resto del corteo di procedere. Come, del resto, ci sembrano insensate e pericolose le bombe carta esplose contro altri spezzoni della manifestazione. Anche noi, come tanti altri, abbiamo subito questa sovradeterminazione.

Tuttavia la dinamica della discussione dovrebbe gravitare secondo noi  sull’opportunità o meno di una pratica o di una scelta politica e, mai, nei termini di un “cancro da estirpare” o nella infinita e parziale diatriba tra buoni e cattivi.

Premettendo che noi siamo stati all’interno del coordinamento che ha organizzato il corteo, e dunque ne abbiamo condiviso i limiti, riteniamo che debbano essere assunte delle responsabilità che non sono di poco conto.

Il coordinamento “15Ottobre” non si è mai minimamente sforzato di diventare uno spazio pubblico di dibattito, visto che le riunioni si sono svolte nella prima mattina in sedi dove molto pochi hanno potuto partecipare. A livello internazionale la giornata del 15 Ottobre, nelle oltre 900 città in cui si è svolta, è stata costruita con assemblee di centinaia di soggetti vittime delle politiche di austerity.

Questo per dire che oltre le realtà sociali, sindacali e associative organizzate, c’era bisogno di creare uno spazio pubblico di cooperazione ed informazione sui contenuti della manifestazione, sulle differenti pratiche e sui molteplici contenuti. Perché era evidente che quella giornata era di tutti e di tante differenti forme di espressione. Nello stesso metro quadrato e nella stessa volontà politica è stato invece compresso ciò che molti, giustamente, sostengono che non possa convivere. Si è scelto di dare vita ad una pentola a pressione.

Si è dato da subito un corteo blindato e militarizzato (oltre 3000 agenti schierati), deciso dalla questura di Roma e accettato dal Coordinamento 15 ottobre. E’ stato un errore non opporsi pubblicamente ai veti della questura sul percorso della manifestazione del 15 Ottobre. Tali limitazioni della libertà di movimento e di dissenso si stanno rendendo espliciti in questi giorni anche nei confronti di organizzazioni come la Fiom.

Ora, visto che tutto è pubblico, comprese le successive prese di posizione, riteniamo grave questa scelta e l’abbiamo ripetuto fino alla nausea in quel consesso. Dunque, visto che quello era anche il nostro corteo, abbiamo deciso di partecipare in una forma che tutelasse il nostro spezzone, la partecipazione di tutti/e al corteo e ci garantisse di poterne uscire.

Purtroppo così non è stato e non è dipeso solo da noi. Per ultimo ci è sempre sembrato ridicolo e privo di prospettiva politica costruire percorsi in contrapposizione a qualcuno.

Per questo abbiamo costituito in Italia un percorso politico pubblico, quello degli Stati generali della Precarietà, che affermasse i nostri contenuti.

Per questo abbiamo contribuito a costruire quella stessa giornata in cui centinaia di migliaia di persone si sono mosse in Italia e milioni nel mondo.

Per questo ci pare ridicolo pensare, con cinismo, che qualcuno abbia operato per far attaccare una piazza inerme semplicemente per fare torto a qualcun altro.

Per noi non esistono traditori della causa, esistono solo opzioni e prospettive politiche diverse.

3. [Il partito della paura]

Dopo di tutto però, sta accadendo qualcosa di ancora più grave che vogliamo mettere al centro della discussione. E’ evidente che, oltre ad una gogna mediatica, in cui la nostra e alcune altre realtà vengono additate come responsabili con accuse decisamente fantasiose e confusionarie, si sta passando alla produzione di un paradigma.

Quello del partito della paura.

La manifestazione sembra diventata espressione solo di un dualismo, esasperato nella contrapposizione, e spariscono non solo i tanti contenuti e soggettività presenti, ma persino l’inoppugnabile verità dei numeri. Pare essere scomparso tutto: il prima, tutte le piazze internazionali che da mesi (o come nel caso greco da anni) si stanno mobilitando, la precarietà, la disoccupazione o la cassa-integrazione.

Ma soprattutto, sembrano essere scomparse le politiche di austerity che la crisi porta con sé.

Si produce oltre a tutto questo, una strategia della tensione tirata fuori ad arte, con “terroristi urbani”, richiami a leggi speciali e chiusura incondizionata di spazi di libertà. C’è un violentissimo attacco alle libertà personali e collettive di tutti noi come cittadini, che viene giustificato oltretutto con la delazione di massa. Orwell non sarebbe riuscito a raccontarlo meglio. Tutto questo è pericoloso, inaccettabile e condanna la società del nostro paese ad un nuovo impotente silenzio. Esattamente come il divieto a manifestare che per punizione Alemanno ha inflitto alla città e al paese tutto.

La spasmodica attenzione repressiva sulle legittime proteste della Val di Susa ci consegna un dato chiaro sulla chiusura di ogni spazio di possibile mediazione tra i territori e la cittadinanza da un lato e la politica e le istituzioni dall’altro.

E tutto questo, guarda caso, in previsione di una stagione dove i cittadini, i precari e le precarie, sono sotto un’altissima pressione sociale e stanno appena adesso iniziando a chiedere una trasformazione vera. Non solo verso un governo di colore diverso, e forse questo è uno dei problemi esplosi in seno agli indignados italiani, ma per la trasformazione radicale di un sistema economico e sociale. Non vogliamo più continuare a riprodurre, nel nichilismo (qui ci vuole) dell’avvitamento su se stesso, il sistema capitalistico e la tragicommedia nel suo epilogo decadente che, in Italia, assume tinte da basso impero.

Ma riteniamo che siano fondamentali momenti di discussione collettiva perché ogni contributo lanciato nella rete, a partire dal nostro, sarà sempre una parzialità. In questo momento c’è, secondo noi, la necessità di uno spazio di confronto diretto, in cui la parola sia all’interno di una condivisone, altrimenti tutti rimarremo nell’ambito del proclama che, molto probabilmente, fuori dal movimento interesserà pochi/e.

Siamo convinti che stia iniziando una nuova fase per i movimenti e che ci sia spazio per diverse prospettive in campo, con la premessa che tutti dovremo rimetterci in discussione per essere, diciamo così, all’altezza della complessità dei nostri tempi e della nuova fase che stiamo tutti attraversando.

Per questo riteniamo fondamentale che si apra un confronto pubblico largo, che possa confrontarsi non solo sulle pratiche del 15 ottobre ma anche e soprattutto sui contenuti, sulla capacità comune di prendere parola e porre con forza percorsi di agibilità politica e pratica delle nostre libertà.

Nei movimenti, giorno dopo giorno.

Un caloroso abbraccio a quant* ancora sono detenut*. Libere tutti.

Laboratorio Occupato Autogestito

Acrobax Project

#GlobalRevolution in progress

Appello per un’assemblea universitaria a Bologna      

Accampate e rivolte, scioperi ed occupazioni, processi rivoluzionari e di democrazia diretta, da una parte; cricche finanziarie che dettano austerità e politici che predicano sacrifici dal chiuso dei loro palazzi, dall’altra. Questo lo scenario che si sta mettendo in forma dentro la crisi. Un tempo che vive di sussulti ed improvvise accelerazioni,   repentine precipitazioni ed aperture; uno spazio compiutamente globale costruito dai processi reali. Processi di soggettivazione interconnessi che iniziano a voler porre una decisione sulle proprie vite contro il capitalista collettivo che rilancia sul terreno del liberismo sfrenato per acuire ulteriormente le enormi diseguaglianze sociali.   Un quadro duro, complesso, ma che al contempo apre spazi inediti di immaginazione e sperimentazione politica su un a-venire per quella composizione di classe emergente su scala trasnazionale che nelle lotte   del precariato cognitivo, del giovane proletariato metropolitano e del  ceto medio attraversato da nuove forme di povertà sta costruendo la   propria espressione politica.      

Nell’Italia del decadimento del ventennio del berlusconismo uno dei primi momenti di reale messa in crisi del sistema istituzionale è stata quell’Onda che nel 2008 ha costruito il “Noi la crisi non la paghiamo”. Uno slogan che dentro la materialità dei conflitti ha avuto una torsione verso quel “Noi la crisi ve la creiamo” che nell’autunno passato ha fatto   dei blocchi metropolitani e delle facoltà e scuole occupate il proprio   segno distintivo. Un sommovimento esploso nel 14 Dicembre romano ma costruito città per città in settimane di mobilitazione e nella grande sperimentazione di sciopero moderno del 30 Novembre.  

Il mondo della formazione in lotta, parlando un linguaggio generalizzante  e radicale, ha agito il terreno dell’opposizione alla riforma Gelmini eccedendolo dal primo momento, mostrando quanto la precarietà non sia una questione contrattuale quanto il nuovo paradigma dell’accumulazione capitalistica. In questo autunno scuole ed università continuano ad essere motori del conflitto sociale, pur dentro uno spazio politico dilatato che assume uno   sguardo globale nel rifiuto di pagare il debito e nell’individuazione di banche ed enti finanziari come controparti. E’ a partire dalle università   che si sono costruiti gli importantissimi momenti di connessione ed   organizzazione comune dell’Hub Meeting di Barcellona e del Reseau de  Luttes di Tunisi.

Le date di lotta transnazionale del 15 Ottobre e dell’11 Novembre sono state partecipate e agite da protagonista in primo luogo dalla componente studentesca e precaria. Il 17 Novembre, data storica di mobilitazione del mondo del sapere rilanciata quest’anno dal movimento statunitense #Occupy sarà un altro momento incisivo in cui si farà sentire   forte la voce del mondo della formazione in lotta.      

Nei mesi a venire qualsiasi formula di governo sarà impegnata nell’approvare i diktat della Bce e dell’Fmi. Le politiche di austerity sono una scelta strategica per il comando sociale, e dalle prime indicazioni appare evidente come la formazione tornerà nuovamente al  centro del mirino dei poteri politici e finanziari. Quel processo di riforma permanente avviatosi su scala europea col Bologna Process non potrà che proseguire nell’imporre forme di controllo, cattura e comando   sul sapere vivo che quotidianamente eccede e rompe i dispositivi di gerarchizzazione ed espropriazione.  

Dentro le università-azienda la crisi irreversibile del sapere organizzato in discipline, l’inasprimento dei modelli di inclusione differenziale, l’indebitamento sempre più massiccio ed il blocco della mobilità sociale configurano un campo in tensione che rimarrà uno dei terreni di battaglia  principali nei tempi a venire.  Ripartire dalla costruzione di istituti autonomi dentro e contro l’università nella consapevolezza che nulla vi è da difendere in essa, ripartire dall’autoformazione, dal rifiuto dell’indebitamento e del lavoro gratuito degli stage e dei tirocini, ripartire dalle facoltà con percorsi di lotta significa costruire processi costituenti in grado di acuire ulteriormente la crisi istituzionale e riappropriarsi della ricchezza   sociale.

 

A partire da queste considerazioni proponiamo ed invitiamo a partecipare ad una assemblea mercoledì 23 Novembre a Bologna alle 17, presso la facoltà di Lettere e Filosofia di via Zamboni 38, che sia momento di valutazione di questa prima parte di mobilitazione, di connessione e rilancio delle lotte del mondo del sapere a partire dall’indagare la   relazione fra debito, sistema bancario e formazione come nodo centrale sul quale orientare la conflittualità.

 

Realtà promotrici del Knowledge Liberation Front  

16 novembre a Roma3*Non ti pago, non mi vendo

Contro l’incontro tra aziende-studenti organizzato da Roma Tre

Gli studenti e le studentesse della facoltà di lettere e filosofia di Roma Tre, prendendo parola sull’incontro tra aziende e studenti organizzato dall’ateneo per il giorno 16 novembre, esprimono il loro totale dissenso e comunicano che verranno svolte, in quella giornata, iniziative ampie, pacifiche ma decise, al fine di impedire che la passerella – una vera e propria presa in giro ai danni degli studenti e delle studentesse – abbia luogo.
Nella giornata del 16, come soggetti che attraversano quotidianamente l’ università reale, leggiamo l’ ennesimo esempio di una tendenza più che decennale a piegare il luogo università alla privatizzazione e alle dinamiche di aziendalizzazione.
Nello stesso tempo, la permeabilità dell’ istituzione universitaria agli interessi del capitale viene connotata secondo alcuni termini che, a nostro avviso, segnalano in maniera evidente come, in questa fase di elevata conflittualità sociale, le autorità accademiche cerchino di appiattirsi sulla logica che vuole il sapere addomesticato alle esigenze di normalizzazione e controllo della società.
È l’idea di un’università  serbatoio di manovalanza, di precariato selvaggio, esercito di sfruttati e di sfruttabili a seconda delle esigenze del mercato.
La scelta di dialogare con imprese del settore gestionale\finanziario si pone, in quest’ ottica, come la volontà di legittimare contesti produttivi fondati su servizi di tecnica governamentale, che stanno caratterizzando questa fase di progressivo autoritarismo sui posti di lavoro e nella società tutta.
Di fronte a qualsiasi esempio di padronato ”responsabile” che sappia restituire la realtà ad un’ ipotetica ”normalità” post-berlusconiana, intendiamo ricordare al rettore che non esistono privati buoni a cui regalare le nostre vite. Esiste il sapere libero e l’autonomia dei soggetti sociali, e con essi la volontà di riprenderci il nostro presente aggredito da una crisi tutta interna agli interessi delle istituzioni globali e delle banche.
Non permetteremo che nelle nostre università venga elaborato teoricamente e legittimato intellettualmente il nucleo gestionale, apparentemente neutrale, di una futura Italia in cui il dissenso sia disattivato e il conflitto sociale annullato, in ragione di un potere cieco, reticolare e diffuso, di cui giornate come quella del 16 Novembre sono il laboratorio politico.

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Roma Tre

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