Il punto di vista precario e la Global Revolution* Il 15 Ottobre tutti a Roma!

Il punto di vista precario e il 15 ottobre.
Da Genova, il 23 luglio, avevamo scritto che avremmo partecipato all’hub meeting proposto da Democracia Real Ya dal 16 al 18 prossimi a Barcellona contribuendo così alla “preparazione della giornata di mobilitazione globale del 15 ottobre, quando scenderemo in piazza contro le politiche di austerity, a partire dalla legge di bilancio appena approvata e contro la gestione autoritaria e bipartisan della crisi che i poteri finanziari e i governi trasversali del neoliberismo ci vorrebbero imporre nel silenzio”. E scrivevamo, anche, che in autunno avremmo lanciato “una campagna popolare di respiro europeo per il diritto al reddito incondizionato e di base, che ridia voce alle rivendicazioni delle generazioni precarie”. Soprattutto, annunciavamo che ci saremmo rivisti “il 24 e il 25 settembre a Bologna per la Costituente dello sciopero precario, una grande assemblea aperta a tutti i lavoratori e le lavoratrici, nativi e mi granti, così come a movimenti, sindacati, attivisti”, per “discutere insieme di come riprendere in mano e rinnovare la pratica dello sciopero nell’era della precarietà”, su obiettivi chiari: “un reddito di esistenza incondizionato; un nuovo welfare basato sui diritti e sull’accesso a servizi e beni comuni materiali e immateriali; il diritto all’insolvenza; la rottura del legame tra permesso di soggiorno e contratto di lavoro”.

E’ quello che faremo.
Stiamo per incontrarci a Barcellona con un numero crescente di reti di movimento: ad oggi Democracia Real Ya, ovviamente, l’Acampada delle e degli indignad@s di Puerta del Sol di Madrid e quella di Plaça Catalunya di Barcellona, la piattaforma ormai planetaria Take the Square che interfaccia tutte le promozioni locali della #globalrevolution del 15 ottobre, Attac globale, l’International Student Movement che comprende lo straordinario movimento cileno, il Knowledge Liberation Front che in Italia sarà in assemblea il 13 prossimo a Bologna, la rete globale di azione per la libertà di movimento e migrante NoBorder, quella continentale dell’EuroMayDay, il Pan African Student Movement, la rete britannica di azione contro le politiche di austerità UkUncut, il Movimento 23 Febbraio del Marocco, Universidad Nomada, UniNomade italiana e il collettivo trasnazionale Edu-Factory, e altre ancora. Per noi questa ricchezza di presenze e di voci significative rispecchia una coerenza di contenuti e un’innovazione di metodo e linguaggio.

Le stesse che rendono possibile l’indizione globale del 15 ottobre contro la governance della crisi – e la giornata di avvicinamento, contro banche e banchieri, il 17 prossimo con epicentro a Wall Street.

Una coerente chiarezza e una capacità innovativa nelle quali riconosciamo il punto di vista precario, che è prevalente nella composizione sociale produttiva e che ha bisogno di affermarsi in maniera autonoma e indipendente, per riuscire ad attaccare concretamente i flussi di quella produzione capitalistica finanziarizzata che pretende l’invisibilità delle precarie e dei precari, indigen* e migranti, sul cui lavoro e sulle cui forme di vita oggi si fonda.

Qual’è la coerente chiarezza?
Quella di andare fino in fondo alla verità riassunta nello slogan “non ci rappresenta nessuno”, pur risuonato anche in Italia nelle fiumane della rabbia studentesca, giovanile e precaria degli ultimi anni. E dunque concepire la presa di parola condivisa delle resistenze ai governi della crisi come spazio costituente, necessariamente e immediatamente produttivo di nuove istituzioni comuni contrapposte alla violenza distruttiva della divisione e del saccheggio delle nostre vite. Appunto la democrazia reale, contro la corruzione d’una democrazia rappresentativa svuotata di senso dalla trasversale sottomissione dei poteri e dei ceti politici al bio-potere finanziario.

Qual è la capacità innovativa?
Quella di andare fino in fondo alla pratica costituente offrendo a tutte e tutti, in una composizione sociale produttiva sempre più reticolare e singolarizzata e fondamentalmente ordinata intorno alla messa a valore
delle nostre stesse vite, la possibilità di riconoscersi e attivarsi in una metodologia di condivisione, orizzontalità, reciproco riconoscimento delle differenze, decisionalità assembleare e non delegata, superamento di ogni separazione temporale tra sociale e politico e tra mezzi e fini. Un po’ come avviene nella Val di Susa e nel suo territoriale sedimentarsi di pratiche conflittuali e di resistenza popolare, da dove ancora una volta dobbiamo saper ripartire per costruire la giornata del 15 ottobre rendendo chiaro che nella difesa dei beni comuni l’incipit del referendum va riaffermato e difeso con le unghie e coi denti in ogni territorio.
Al tempo stesso, andare fino in fondo alla presa di coscienza che le resistenze collettive e singolari agli attacchi di un potere tanto più aggressivo quanto più in crisi non possono opporre alternativa se non portandosi al livello sul quale esso si struttura : dunque, messa in rete delle resistenze su dimensioni quanto meno continentali e intorno alla
pretesa comune di ribaltare l’ordine della decisione politica e con esso l’uso delle risorse finanziarie e della moneta.

Adesso noi vediamo che la rivendicazione del diritto all’insolvenza viene in Italia praticata anche da altri e anche durante una giornata di sciopero generale, come quella del 6 settembre che continua a non rispondere alla domanda fondamentale: come sciopera chi non può scioperare, come si sciopera la precarietà?
Vediamo che la bandiera del reddito d’esistenza incondizionato si diffonde, anche quando al contempo si sostiene l’indizione Cgil dello sciopero generale nella cui piattaforma la sola risposta alle precarie e ai precari è il rafforzamento dell’apprendistato.

E vediamo che sul 15 ottobre globale crescono gli appelli alla costruzione di una giornata di opposizione all’austerity e di mobilitazione per il cambiamento anche in Italia, pur se inseriti dentro una battaglia su elezioni primarie o nella traduzione del rifiuto di pagare il debito in uscita dalla dimensione europea, che non condividiamo. In verità, di questa differente proliferazione di contenuti e della nostra stessa agenda non possiamo che compiacerci, noi che abbiamo sempre avversato la riduzione ad uno e i recinti di movimento buoni solo per il ceto politico, inabitabili per la moltitudine precaria.

Ma avvertiamo il bisogno di fare chiarezza, perché il confronto e la condivisione giungano effettivamente a buon fine.
Una rosa è una rosa è una rosa. La crisi a cui stiamo assistendo non è solo economica, non riguarda esclusivamente la finanza. Si tratta parallelamente della crisi di una funzione storica della modernità: la sovranità statuale . Al contempo, i processi di insorgenza che negli ultimi mesi si sono manifestati in tutta Europa sono stati in grado di mettere in moto forme di cooperazione fra molt* e divers*, la cui potenza e ricchezza politica non possono essere ricondotte alle tradizionali forme di partecipazione: quelle della rappresentanza liberal-democratica. Da un lato quindi la crisi della sovranità, dall’altro la potenza e l’autonomia della cooperazione sociale. Chi pensa che la mobilitazione del 15 ottobre debba servire ad allargare le possibilità di un’alternativa di governo, o d’uno “spazio di rappresentanza”, non ha evidentemente afferrato la portata della crisi.
Ad ogni modo noi intendiamo continuare a lavorare alacremente perché il punto di vista precario si riconosca nella mobilitazione contro l’austerity e se ne renda protagonista nelle forme più estese possibili. E lavoreremo anche affinché il processo dello sciopero precario si estenda e venga condiviso da quanti in questi mesi, non soltanto in Europa, hanno lottato e preso parola contro un sistema che sta usando la crisi per accelerare i processi di precarizzazione. Mai come ora è chiaro che la precarietà è la condizione generale di tutto il lavoro e una condizione sociale oltre il lavoro. Mai come ora è chiaro che si tratta di reinventare forme di lotta dentro al lavoro e oltre il lavoro, realmente capaci di attaccare i profitti, e che saranno tanto più efficaci quanto più si allargheranno oltre i confini nazionali, e saranno all’altezza della mobilità del lavoro e del capitale, della loro dimensione transnazionale.
Perciò ci proponiamo di contribuire con i Laboratori metropolitani e cittadini dello sciopero precario alla costituzione di spazi e momenti effettivamente aperti di confronto sulla costruzione del 15 ottobre, che intendiamo come fondamentale all’interno del processo di costruzione dello sciopero. Per questo porteremo a Barcellona, nel corso dell’hub meeting, la proposta e il progetto dello sciopero precario contro le politiche di austerità e per un reddito di esistenza incondizionato, per un nuovo welfare metropolitano e del comune, per il diritto sociale all’insolvenza, per la libertà di movimento e per il diritto di residenza sganciato dal contratto di lavoro. E contiamo di ritrovarci in piazza il 15 ottobre, arricchite e arricchiti da questo percorso, fra tante e diversi a praticare davvero il desiderio di alternativa, di cambiamento, di liberazione.

Stati generali della precarietà

Sciopero migrante: contro lo sfruttamento, con i lavoratori di Nardò

Nella fabbrica verde di Nardò lo sciopero del lavoro migrante va avanti da sabato 30 luglio. I lavoratori migranti si rifiutano di continuare la raccolta per arricchire chi, attraverso i caporali, gioca in continuazione al ribasso sui loro salari e sulle loro vite. I caporali, infatti, sono solo l’ultimo gradino di un sistema di comando sul lavoro migrante che vede poche aziende agricole fare profitti, mentre i migranti devono accettare, nel migliore dei casi, 6 € per un cassone da 100 chili di pomodori. Il salario però può anche essere di soli 2€ per cassone ora che il ricatto
si fa più forte, ora che la concorrenza scatenata dalla chiusura della raccolta delle angurie comincia a pesare. Sono centinaia i migranti che trovano appoggio nella masseria Boncuri, il luogo da cui è nata la protesta. Provengono dall’Africa del nord e da quella sub-sahariana, alcuni sono arrivati dalla Libia dopo le grandi rivolte del Maghreb. Molti si sono riversati nella raccolta perché espulsi dalle fabbriche del nord d’Italia, altri sono lavoratori stagionali che conoscono bene la realtà del caporalato, l’hanno già vista nel foggiano, la vedranno a Rosarno quando ricomincerà la raccolta delle arance. E quest’esperienza va ben oltre la differenza di lingua e di provenienza. Quello che conta è la convinzione che questo sfruttamento deve avere fine e che lo sciopero è l’unico modo per affermare la propria forza.
Questa è la lotta degli operai della fabbrica verde di Nardò, che hanno avuto la capacità di organizzarsi autonomamente, nonostante la radicale precarietà delle loro condizioni di lavoro e di vita. Questa è la lotta di tutti i migranti sotto il regno della legge Bossi-Fini. Questa è la lotta di tutti i lavoratori, che conoscono bene quel sistema di sfruttamento che si gioca al ribasso sulla loro pelle, attraverso le lunghe catene di appalto che sono la norma non solo nei campi, dove hanno la faccia del caporale, ma anche all’interno delle fabbriche e dei servizi.
La posta in gioco nella lotta di Nardò è molto alta: si tratta di spezzare un sistema violento che ogni anno ritorna uguale a se stesso anche nella democratica Puglia. Non si tratta solo di eliminare gli odiati caporali, ma di riconoscere la forza del lavoro migrante al sud come al nord, per l’abolizione della legge Bossi-Fini, per una regolarizzazione slegata dal lavoro e dal salario, contro la precarietà. Per questo siamo al fianco dei lavoratori della masseria Boncuri, sostenendo il loro sciopero così come tutte le forme di lotta che loro decideranno, e partecipando all’assemblea che terranno sabato sei agosto.
 
Coordinamento Migranti Bologna e Provincia
www.coordinamentomigranti.splinder.com
coo.migra.bo@gmail.com
 

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Workshop Terzo Settore

Generazione P
Sabato 16 aprile
ore 16-18

I coordinamenti di lavoratori/operatori/operai del sociale di Bari e Napoli propongono l’organizzazione di un tavolo di discussione che si confronti sulle attuali condizioni di chi quotidianamente lavora nei servizi sociali e sanitari.

Il terzo settore, macchina di produzione di servizi, risente come tutti gli altri ingranaggi produttivi dei tagli e della riduzione di risorse finanziarie da parte dei Governi. La crisi del sistema finanziario è anche crisi del Welfare che si traduce in peggioramento delle condizioni lavorative di chi opera nelle diverse organizzazioni siano esse sociali, sanitarie, culturali.

Ritardi geologici delle retribuzioni, salari congelati, tempi di lavoro prolungati, massima precarietà e licenziamenti sono gli effetti che accomunano tutti i lavoratori, compresi quelli del terzo settore.

I tagli al Fondo nazionale politiche sociali (FNPS) in l’Italia rasenteranno l’80% nel 2012 e ciò determinerà una ulteriore scossa per le nostre già super precarie vite.

La situazione degenera a livello europeo e non solo:

Gran Bretagna: il Governo ha annunciato la soppressione di 500.000 posti di lavoro nel pubblico impiego, un taglio di sette milioni di sterline nel welfare, aumenti di tre volte delle tasse universitarie ecc…;

Irlanda: il Governo sta riducendo di più di un euro il salario orario minimo e le pensioni del 9%;

Portogallo: i lavoratori stanno affrontando una disoccupazione record;

Spagna: il socialistissimo Governo taglia brutalmente assegni di disoccupazione, l’assistenza sociale e sanitaria;

Francia: lo Stato continua nello smantellamento delle condizioni di vita e dopo le pensioni attacca la sanità;

Germania: l’accesso all’assistenza sociale diventa sempre più difficile e lo Stato taglia i benefit per disoccupati e precari;

Grecia: salari congelati, disoccupazione alle stelle e lo Stato esige sacrifici impossibili da parte dei lavoratori;

Stati Uniti: disoccupazione crescente, tasso più alto raggiunto negli ultimi cinque anni. Il Wisconsin lancia i primi segnali d’allarme;

Nord Africa e Medio Oriente si rivoltano rispetto all’insopportabilità della vita che questo sistema produce.

Mai come oggi lavoratori precari o futuri precari del sociale sono chiamati ad unire le loro forze per confrontarsi su strade da percorrere e strumenti di lotta di cui dotarsi per migliorare le loro vite.

Alcuni di noi hanno già iniziato ad incontrarsi: lavoratori del socio-sanitario di Bari, Napoli, Bologna, hanno avuto modo di confrontarsi rispetto alle diverse situazioni locali degenerate e in corso di accelerata disgregazione. E’ necessario allargare la rete e lanciare una piattaforma condivisa a livello nazionale per la ricomposizione di un blocco sociale che sappia imporre la sua direzione alle scelte governative.

Aspettiamo adesioni e proposte…

Crisi economica, precarietà del lavoro e conflitto sociale

proposto dai lavoratori e dalle lavoratrici autoconvocati/e

Generazione Precaria
Sabato 16 aprile
ore 11-13

Gli effetti dell’attacco padronale e governativo alle condizioni di lavoro e al reddito (dal Collegato Lavoro al Piano Marchionne, dalla destrutturazione dei contratti di lavoro allo statuto dei lavori), i limiti delle risposte sindacali, la costruzione dello sciopero denerale unitario e dal basso e le nuove modalità del conflitto sociale.

Verso lo sciopero del sapere precario

Generazione Precaria
Sabato 16 aprile
ore: 14-16

15 anni di riforme del lavoro e della scuola hanno cambiato profondamente le condizioni di vita, studio e lavoro di un’intera generazione, avviando un processo di precarizzazione che coinvolge ogni aspetto delle nostre vite.

L’università contro-riformata è una fabbrica di precarietà. Saperi ultra-nozionistici, corsi di laurea specifici ma non specializzanti hanno totalmente dequalificato il mondo della formazione e della ricerca.

Il processo di precarizzazione diffusa ha portato a un sempre maggiore assoggettamento dei saperi alle linee guida stabilite da un’élite economica e politica. L’università è uno di quei luoghi dove agisce un dispositivo di governamentalità, di addestramento alle esigenze del modello di produzione.

La studentessa e lo studente sono un esempio concreto delle differenti forme di quell’esercito permanente d’individualità precarie. La stessa precarizzazione che sempre di più colpisce i ricercatori, che si ritrovano sottoposti a condizioni di lavoro insostenibili.

Appare così fondamentale, all’interno degli stati generali, costruire un workshop che ponga centralità a quali siano le pratiche per lo sciopero precario che il mondo della formazione e della ricerca possa mettere in campo per mettere in crisi questo paradigma di sfruttamento e valorizzazione.

Workshop su informatica, hacking e reti digitali

Generazione Precaria
Sabato 16 aprile
ore 14-16

Hacker, informatici, nerd e geek contro la precarietà. Uno degli ambiti dello sciopero precario è quello della comunicazione e delle information technologies. Stiamo parlando di un settore, quello dei flussi di informazione, che è cruciale per i profitti. Ma che è anche cruciale per il livello di precarizzazione che crea e impone a lavoratori e lavoratrici desindacalizzati e con rapporti di lavoro sempre più individuali.

È un mondo in cui le reti di protezione sono sempre più deboli ma anche un mondo dal quale negli ultimi anni sono nate forme di sabotaggio, di intervento creativo e capaci di fare male: netstrike, hacking, comunicazione guerriglia sono solo alcuni esempi. Vogliamo continuare a inventare forme di intervento nelle reti digitali che diventino uno sciopero nella precarietà e contro la precarietà. Per questo vogliamo scambiarci idee e confrontarci tutte/i insieme agli Stati Generali.

Immaginatevi se per un giorno si intasassero i call center e i server informatici, se la rete ribollisse… Chiamiamo tutte/i a mettere insieme le condizioni perché uno sciopero precario si realizzi anche con le armi dell’informatica.

Workshop sui flussi metropolitani

Nel nuovo millennio, la condizione precaria è diventata strutturale, generale e esistenziale anche perché la produzione e l’organizzazione del lavoro sono diventati modulari e flessibili. Non abbiamo più un luogo di lavoro ma più luoghi di lavoro che vengono attraversati quotidianamente dalla stessa forza-lavoro. In tal modo, il lavoro si estende nomadicamente, si flessibilizza e si individualizza: è uno e trino. Il risultato è, appunto, la precarietà.

Lo sciopero precario è l’antidoto alla precarietà. Per questo lo sciopero precario deve intaccare, rompere, disarmare la produzione e il lavoro per flussi.

In molte aree del paese, soprattutto quelle metropolitane, il profitto è per ¾ generato dalla circolazione delle persone, merci, servizi comunicativi e immateriali. Se lo sciopero precario è sabotaggio dei profitti, è sabotaggio di tutti questi flussi. Facile a dirsi, difficile a farsi. In questo workshop, vogliamo iniziare a discutere di queste tematiche per cominciare a costruire un “sapere precario”. E vogliamo discuterlo a tutti i livelli: da quello materiale a quello immaginifico.

Non partiamo da zero. Partiamo da una nostra consapevolezza, una “potenza d’azione” che già si è materializzata con l’effetto “annuncio”: a partire dalle ultime MayDay, ad esempio, la grande distribuzione durante il I° maggio chiude i battenti, non perché siamo in grado di bloccare i punti vendita, ma perché minacciamo di farlo.

Intervenire sui flussi delle persone, delle merci, delle informazioni significa mettere in campo quelle pratiche in grado di incidere realmente sulla possibilità di creare momenti di blocco della produzione/circolazione: quei cacciaviti i grado di far saltare la catena di montaggio sociale nella quale tutti noi siamo inseriti e che sulla precarietà fonda la sua capacità di fare profitto.

Perfettamente inconciliabili: strumenti e strategie per sabotare lo pseudo-welfare familista

Generazione P
Sabato 16 aprile
ore 14-17

Nel quadro complesso della crisi economica che attanaglia ogni giorno le nostre vite viene riproposto un sistema di governance che utilizza la famiglia come unico ammortizzatore sociale, ovvero come luogo di sostegno e riproduzione del sistema stesso.
In mancanza di un “vero” welfare il governo italiano, che interpreta le direttive europee come un invito a rincarare la dose, attraverso il Piano Carfagna Sacconi, definisce un modello di conciliazione lavoro-famiglia in cui le donne (mamme se possibile) sono le uniche a farsi carico delle necessità familiari e quindi sociali.Viene proposta la conciliazione tra tempi di lavoro salariato e lavoro di cura in famiglia, senza considerare la realtà delle/dei precari/e e istituzionalizzando il fatto che il rapporto di moltissime donne italiane con il welfare è ormai stabilmente mediato dalla presenza delle donne migranti. Questa presenza ripropone su scala globale e rinnovata la questione della divisione sessuale del lavoro, rendendo il welfare non più solo un problema di prestazioni più o meno garantite, ma di rapporti di lavoro e precarietà.
La sussidiarietà tra pubblico e privato su cui si incentra il Libro bianco di Sacconi non solo punta allo smantellamento del welfare e alla delega del lavoro di cura alle donne ma decostruisce alla radice il concetto di Stato sociale stesso: il welfare perde la sua dimensione collettiva per tradursi in una sorta di assicurazione privatistica, sorretta dalla famiglia, dalla chiesa, dal volontariato, dal privato sociale, dal lavoro salariato delle donne, soprattutto, ma non solo, migranti. Tutto ciò si trasforma in un’ulteriore accelerazione della finanziarizzazione della previdenza, della salute, dell’istruzione.

Infatti il problema di trasformare stipendi sempre più magri e insicuri in risorse per la vita di figli, genitori e nonni, che è un problema sociale, è riproposto come “affare di donne”, anche quando il lavoro riproduttivo sia svolto non più solo gratuitamente ma in cambio di un salario. In questo senso vengono rafforzati i già ben strutturati ruoli sociali che ipotecano i progetti di vita di uomini e donne, deresponsabilizzando stato e imprese per tutto ciò che riguarda il tema del lavoro per la riproduzione sociale. La legge Bossi-Fini diventa uno dei pilastri di questo sistema nel momento in cui istituzionalizza la divisione sessuale del lavoro riproduttivo, mentre il tema della conciliazione non mette minimamente in discussione l’idea per cui la vita di cui si parla non è solo la cura degli altri, ma è soprattutto il mio/nostro tempo.

Partendo dall’inconciliabilità tra le nostre vite e questo modello vogliamo porci alcune domande:

Come rallentare e sabotare questo processo che ingabbia soprattutto le donne e privilegia soprattutto le imprese?

Come si passa dal riconoscimento, solo teorico, dell’enorme valore sociale del lavoro di cura svolto quasi esclusivamente dalle donne alla sua valorizzazione reale e alla piena condivisione del lavoro riproduttivo tra donne e uomini, dentro e fuori la famiglia?

Come si accede a diritti, e autonomia, senza passare per la subalternità alla famiglia e al lavoro produttivo?

Come riprenderci, donne e uomini, i nostri tempi e i nostri desideri?

Invitiamo tutte e tutti a discutere un nuovo Libro FUCKsia di desideri, aspirazioni e rivendicazioni che attacchi i privilegi e i profitti, e che si dia l’obiettivo di costruire strumenti effettivi per la liberazione di tempi e desideri di tutte e tutti, dentro e fuori il lavoro, dentro e fuori la famiglia.

Lo sciopero precario e il welfare desiderabile

(Ovvero il conflitto sulla condizione precaria come costituente della libertà di scelta)
Condivisione aperitiva delle pratiche e delle traiettorie comuni di co-spirazione

Generazione P
Sabato 16 aprile
ore 18-20:30

Senz’acqua ‘a papera non galleggia
(proverbio napoletano)

La produzione dinamica del conflitto è sempre autonoma e biopolitica. Ma essa è sempre, più o meno consapevolmente, la base della produzione e riproduzione statica e formale del diritto. La dinamica continua della lotta di classe che oggi chiamiamo precarizzatori vs precarizzati è la prosecuzione di quel sotteraneo movimento costituente che determina da sempre la norma costituita. Questa ne rappresenta la sintesi parziale, una fotografia sinottica di un determinato picco di conflitto e accumulazione di forza, rispetto alla quale il conflitto si (ri)presenta continuamente come eccedente.

Ad esempio il welfare state fu prima di tutto, prima della sua stessa auto-definizione, dispositivo di regolazione autoritaria della forma moderna dello Stato e, insieme, archetipo d’una sintesi normativa del ciclo di rivolte, moti insurrezionali e pratiche del comune nell’età dell’industrializzazione. E così poi è stato per la genesi delle forme contemporanee di regolazione del conflitto capitale/lavoro, tutt’intorno ai tentativi di rivoluzione operaia e alla produzione di nuove soggettività, dal new deal rooseveltiano sintesi ultima del sangue sacrificale degli IWW e dal keynesismo europeo sorto accanto alla macina sociale nazifascista fino agli statuti scanditi dai nuovi cicli di lotte nei “Trenta Gloriosi” e alla loro stessa crisi dentro la sottrazione crescente alla disciplina produttiva.

Oggi, nel tempo della crisi della misura del valore, l’idea di un nuovo welfare è in verità forma del desiderio di un’altra società e si presenta come potenza dell’impossibile. Significa, dentro l’esplosione della condizione precaria, volere tutto e darsene la forza. Così presentiamo questo workshop sui nuovi diritti delle precarie e dei precari, sulle proposte e piattaforme politiche di rivendicazione degli Stati Generali della Precarietà, come articolazione d’un discorso sperimentale, provvisorio, a partire dalla discussione sulle pratiche de llo sciopero precario. E cioè a partire dalle forme del conflitto, nella sua più complessa accezione bio-politica, di co-spirazione dei corpi e delle loro differenze, di complicità dei desideri e della loro eccedenza, di costellazione dei punti e delle traiettorie di attacco ai dispositivi del profitto e dunque al potere sulle vite.

E’ solo in questa cospirazione, in questa complicità e nella composizione di questa costellazione che può avere significato materiale quel disegno che abbiamo già chiamato welfare metropolitano e del comune. Non un obiettivo, bensì il terreno fattivo dello sciopero precario.

Workshop su formazione, ricerca, scuola e università

Generazione P
Sabato 16 aprile
ore 14-16

Quindici anni di riforme del lavoro e dell’università hanno cambiato profondamente le condizioni di vita, studio e lavoro di un’intera generazione, avviando un processo di precarizzazione che coinvolge ogni aspetto delle nostre vite.

L’università contro-rifomata appare (e come tale viene sempre più percepita) come una fabbrica di precarietà. Saperi ultra-nozionistici,  corsi di laurea specifici ma non specializzanti hanno totalmente dequalificato la formazione universitaria e la retorica della “formazione continua” nasconde (malamente) un sistema di sfruttamento di cui stage e tirocini sono lo strumento principale.

Lo studente e la studentessa non sono solo precari in formazione, pronti ad essere utilizzati “flessibilmente” nell’era della produzione “just in time” una volta usciti dall’università, ma rappresentano un esercito permanente di precari e precarie, da sfruttare come lavoratori e come consumatori (intere città nel nostro paese hanno un’economia basata sugli studenti). Un sistema così concepito ha trasformato la formazione in vero e proprio addestramento alla precarietà.

L’Italia è stata la prima ad applicare il doppio ciclo di laurea e mantiene un triste primato anche per quanto riguarda lo smantellamento di ogni forma di welfare.

Governi di diverso colore chiedono pubblicamente ai giovani di fare lavori umili e si stupiscono della permanenza a casa con i genitori maggiore della media europea.

Intorno alla falsa idea di “merito” si sono scritte vere e proprie contro-riforme e si stanno definitivamente smantellando le classiche forme di assistenza economica indiretta (servizi di diritto allo studio come case, borse, mense e agevolazioni su libri trasporti e cultura). Appare quasi superfluo ricordare come questo paese sconosca forme di sostegno economico diretto che in molti paesi europei consentono a intere classi sociali di emanciparsi e costruirsi un futuro.

I movimenti studenteschi degli ultimi anni hanno dimostrato che i luoghi della formazione possono essere ancora strumento per un’accensione delle rivolte e fungere da catalizzatore dei conflitti, nell’ottica di una ricomposizione sociale delle lotte.

Appare così fondamentale, all’interno degli stati generali della precarietà, costruire un workshop che analizzi potenzialità e limiti delle mobilitazioni studentesche. Che cerchi di analizzare il soggetto studentesco alla luce di un complesso di riforme che ne hanno stravolto la natura e la percezione sociale. Immaginando così le piattaforme e le rivendicazioni da cui partire per fare della popolazione studentesca strumento per l’accensione della rivolta precaria.