Controllo Sociale

Telecamere, schedatura, repressione legata al controllo dell'individuo.

I consigli di Cossiga alla Polizia "Prima una vittima, poi mano dura"

fonte repubblica

Lettera aperta dell'ex presidente della Repubblica alle forze dell'ordine
"Sbagliate le cariche adesso, bisogna aspettare che sparino a qualcuno"

ROMA - Aveva iniziato consigliando l'uso di infiltrati nei cortei ed evocando le maniere forti da parte delle forza dell'ordine. Oggi Francesco Cossiga torna a dispensare suggerimenti, non richiesti, al capo della polizia Antonio Manganelli. E sono di nuovo parole destinate ad alimentare polemiche. "Serve una vittima e poi si potranno usare le maniere forti", dice. Considerazioni tutt'altro che condivise dal presidente della Camera, Gianfranco Fini: "Ci sono minoranze rumorose che poi ricorrono alle cinghie. Sono molto rumorose ma rimangono molto minoranze". Intanto il suo collega di partito e sindaco di Roma, Gianni Alemanno, critica il ministro dell'Istruzione: "La Gelmini si è mossa male".

Dom, 09/11/2008 – 14:42

Pisa - Alcune Riflessioni a briglia sciolta sulla questione del rapporto con i media | Il circo è arrivato in città

Mentre il totalitarismo avanza, pare sfuggire un impercettibile dettaglio: la totale inesistenza di un vero movimento antagonista, rivoluzionario.
Invece di tentarne la costruzione, si assiste al triste spettacolo di un’opposizione spettacolare.
I cosiddetti movimenti "new global", più che il rovesciamento dell’esistente teorizzano, e per quanto possono mettono in pratica, la partecipazione alla gestione delle nocività presenti e future.

A chi invita a “non odiare i media, ma a diventare media [!]" è inutile sottolineare il loro ruolo certamente repressivo.

Ven, 07/11/2008 – 12:09

Milano - Come esportare spazzatura giornalistica - Il progetto degli autonomi

Dopo T'Orino Cronaca Qua Qua ecco che si presenta Mil'Ano Cronica

Sul sito internet "informa-azione.info" il progetto degli autonomi: "Creare momenti di conflitto"
IL DELIRIO DEI NO GLOBAL: "BLOCCATE TUTTO"

Dopo i cavi d'acciaio in via Torino, due giorni fa è toccato a un cavalcavia "chiuso" da una catena Un piano di nove punti per mettere soqquadro la città, paralizzandola con picchetti, cortei e strade bloccate. Perché : "Milano è una città mercantile basata sul flusso continuo di merci, e bloccare i canali significa interrompere la normalità". Nei giorni di agitazioni studentesche contro la riforma della scuola voluta dal ministro dell'Istruzione Gelmini l'inquietante progetto degli autonomi (infiltrati tra i manifestanti) è racchiuso in un sito internet frequentato dagli habitué dei centro sociali www.informa-azione.info.

Ven, 07/11/2008 – 11:39

Contro il carcere scolastico

Prolegomeni ad una critica pratica del carcere scolastico

Va innanzitutto chiarito che queste note non hanno alcuna pretesa di esaustività. Scritte in forma sintetica e apodittica, esse non sono che un canovaccio, un programma di lavoro che dovrà essere necessariamente sviluppato, approfondito e sottoposto a verifica.
Il punto di partenza del nostro discorso è la banale constatazione che la scuola - al pari del lavoro, della famiglia, dei centri di distribuzione e consumo, delle prigioni, degli ospedali etc., così come di ciascuna delle ideologie che ne giustificano l'esistenza - è elemento integrantedi quell'immenso carcere a cielo aperto che va sotto il nome di società. Per "società" intendiamo una totalità complessa di attività e di relazioni inter-umane, che, in quanto separate dagli individui - dai loro desideri e aspirazioni - si erge innanzi ad essi come un potere estraneo, vieppiù incomprensibile e incontrollabile. (Fatto, questo, che ha come conseguenza non secondaria e certo non meno nefasta di altre, il proliferare di esperti di ogni tipo - politici, preti, sindacalisti, medici, sbirri, scienziati, giornalisti etc. - che millantano questa comprensione e capacità di controllo, e ai quali veniamo invitatati a rivolgerci, per risolvere i nostri problemi e placare le nostre inquietudini).
Le istituzioni preposte alla formazione sono dunque, innanzitutto, luoghi di disciplinamento e di definizione dei ruoli e delle gerarchie sociali.
Nelle scuole e nelle università, esseri umani in giovanissima età, prima obbligati dalla famiglia e dallo Stato, poi eventualmente per "scelta" - sempre e comunque previa la rinuncia a vivere e godere qui ed ora, in nome di un futuro che riserverà loro soltanto alienazione e sfruttamento - sono sottoposti ad un'attività insensata e coatta, all'autoritarismo degli insegnanti (che, volenti o nolenti, si devono adeguare ai crismi connaturati al loro ruolo), all'umiliazione di prove, esami, voti etc. Sono, in altre parole, privati di ogni residua vitalità e autonomia individuale.
Là dove non arriva la famiglia, arriva la scuola...
La stessa noia, coazione, e senso di umiliazione, d'altronde, li si può ritrovare negli insegnanti, sebbene le ragioni reali della loro insoddisfazione - la non-vita
scolastica e sociale
- vengano per lo più rivestite di una serie di lagnanze e razionalizzazioni ormai consunte dal troppo uso: "i ragazzi non si impegnano", "la scuola non funziona", "le famiglie non
collaborano", "le nuove generazioni sono inebetite dalla televisione", etc. Tutte affermazioni che capita spesso di sentir pronunciare, ma che nella loro superficialità non si avvicinano nemmeno al nocciolo della questione.
Questo orrore, del resto, non è fine a sé stesso.
Esso ha come scopo quello di educare i bambini e i giovani al lavoro, all'obbedienza, alla rassegnazione; trasformarli in produttori-consumatori efficienti e competitivi; insomma, produrre in serie degli automi perfettamente asserviti, dei cittadini.
Quando il dominio del capitale, per bocca dei suoi lacchè, afferma la necessità di una modernizzazione della scuola, parla essenzialmente di questo: affinare i mezzi per la realizzazione di tale  disegno totalitario - l'utopia capitalista - in quanto il suo inveramento si rivela, alla prova dei fatti, problematico e contraddittorio. Basti pensare alle crescenti difficoltà che il sistema incontra nel mantenere l'ordine nei ranghi; difficoltà che pure, almeno per il momento, non si traducono in una critica effettiva dell'esistente, ma si manifestano soltanto in forme irrazionalmente distruttive e autodistruttive e, in quanto tali, facilmente recuperabili e detournabili in una legittimazione dei processi di ristrutturazione in atto. Questa constatazione, che è generalizzabile all'intera società, trova nell'ambito specifico della formazione un'esemplificazione nel cosiddetto bullismo, negli atti vandalici, nelle esplosioni di violenza apparentemente ingiustificate e in altri fenomeni meno visibili, che testimoniano di un'indisciplina diffusa. Che del resto si può evincere, in negativo, dall'introduzione nelle scuole di tecniche di controllo sempre più sofisticate (ad esempio la possibilità, per i genitori, di accedere a registri elettronici pubblicati su web, che forniscono un quadro delle assenze e del rendimento scolastico dei figli).
Ma la formazione dei futuri cittadini - e questo punto è di una certa rilevanza - non avviene soltanto inculcando nelle teste degli studenti ideologia in quantità industriali, cosa del resto piuttosto ovvia; ma verificando quotidianamente, nella prassi - cioè in una sorta di continua simulazione dei ruoli sociali che, potenzialmente, ciascuno andrà in seguito a ricoprire - il grado raggiunto di irreggimentazione dei corpi e dei cervelli. E' su questa base (oltre che naturalmente su quella del reddito, che garantisce l'accesso a scuole più o meno d'élite) che si determinano quelle stratificazioni, legate alla carriera scolastica di ciascuno, che andranno poi a riflettersi nelle - e a legittimare le - gerarchie in cui si articola la struttura sociale capitalista (si pensi, ad esempio, al mercato del lavoro).
L'introduzione nelle università, già alcuni anni or sono, del sistema dei crediti formativiquantitativo dell'ammontare del tempo dedicato allo studio e alle attività ad esso correlate), testimonia chiaramente, al di là dei suoi limiti intrinseci, di come questa specifica funzione delle istituzioni formative sia diventata preponderante (1).

(tutto incentrato sul concetto

Se è vero, quindi, che oggi la scuola e l'università più che sapere producono ignoranza - anche dal punto di vista di un'ideologia borghese ormai in fase di avanzata decomposizione - ciò non è dovuto ad una qualche arretratezza, a un deficit di efficienza o all'inadeguatezza del corpo insegnante, ma risponde a una precisa esigenza del sistema. Nella misura in cui, nella società capitalista neomoderna ogni funzione, sia a livello della produzione
che sul piano sociale complessivo, risulta tendenzialmente svuotata di ogni contenuto e competenza reale
e diviene intercambiabile (2), la quantità di nozioniIl loro contenuto, da questo punto di vista, diventa allora tendenzialmente indifferente. La maggior parte degli impieghi, per rimanere all'esempio del mondo del lavoro, richiedono oggi soltanto competenze di base minime (saper leggere, scrivere, far di conto e poco più), mentre le poche abilità necessarie alla concreta attività produttiva sono in gran parte acquisite in un processo formativo, interno al luogo di lavoro, che viene a sovrapporsi e a confondersi con l'attività produttiva stessa.
con cui gli studenti vengono quotidianamente bombardati, è sempre meno qualcosa che sia spendibile e utilizzabile al di fuori della scuola stessa, e sempre più fine al solo processo di disciplinamento degli individui.
Risulta quindi a dir poco risibile la litania - che a forza di essere ripetuta, nel corso degli ultimi quarant'anni, ha perduto ogni significato all'orecchio stesso di coloro che continuano imperterriti a borbottarla - della difesa del "sapere" da una sua presunta "mercificazione". Al di là delle considerazioni già sviluppate, e sorvolando sul fatto che simili affermazioni postulano l'esistenza di un sapere  "neutrale"- cosa di per sé palesemente falsa - che il capitale cercherebbe di piegare a proprio vantaggio, si deve notare come questo "sapere", nella misura in cui è coinvolto nel processo di formazione della merce forza-lavoro e viene in essa incorporato, è già per definizione "mercificato". E questo è vero oggi, laddove il suo ruolo è da considerarsi affatto residuale, come era vero all'epoca in cui il suo valore d'uso (per il capitale) aveva ancora un peso determinante.
Lo stesso discorso può essere applicato al concetto marxiano di General Intellect. Quest'ultimo, come è noto, non si riferisce ad altro se non a quell'intelligenza collettiva, quell'insieme di saperi e abilità creative, diffusi e per lo più informali - accumulati nelle comunità precapitalistiche come conoscenze e pratiche tradizionali o sviluppati dai proletari all'interno del processo di produzione - che il capitale si appropria, gratuitamente, insieme alla forza-lavoro. Ma tale movimento di appropriazione e di mercificazione è in realtà contraddittorio, in quanto, se da una parte questa intelligenza collettiva viene sottomessa alla potenza normativa della produzione capitalista, dall'altra essa costituisce lo strumento e la leva di movimenti di sottrazione, resistenza o conflitto aperto, talvolta anche molto radicali.
La conoscenza del processo produttivo e dei suoi segreti, ad esempio, consente al lavoratore di colpire nel modo più efficace gli interessi materiali della controparte, limitando al minimo le perdite (sabotaggio, blocco della produzione, forme di sciopero non istituzionalizzate etc.). Un'insieme di "saper fare", che permetta di non essere totalmente asserviti al mercato rispetto alla soddisfazione dei propri bisogni, permette inoltre, a chi ne sia in possesso, di sottrarsi quantomeno ai ricatti più odiosi del capitale riguardo alle condizioni di lavoro e di "vita". Per questo il capitale cerca di appropriarsi realmente,

incorporandoli nel proprio apparato macchinico e nella propria organizzazione produttiva, questi saperi. In effetti, il capitale non crea nulla: si limita a riciclare e sottomettere alle proprie esigenze di valorizzazione - cambiandolo di segno - tutto ciò che gli pre-esiste (3).

Oggi, questo processo di sussunzione si è ormai spinto talmente avanti, che è rimasto ben poco da incorporare. Ogni seppur minimo residuo delle conoscenze tradizionali, almeno nei paesi a capitalismo avanzato, è scomparso dall'orizzonte sociale (salvo essere riesumato, alla bisogna, in forma svuotata e spettacolare, onde creare nuove illusioni e occasioni di profitto). La megamacchina produttiva e sociale costituisce sempre più, per il singolo individuo atomizzato e isolato, un arcano impenetrabile. Pertanto, se è vero che in altra epoca «riappropriarsi di questa intelligenza collettiva poteva significare un ribaltamento dei rapporti sociali», ai giorni nostri risulta «ridicola la pretesa di ridurre quello che viene definito General Intellect alle capacità "scientifiche" o tecnologiche di singoli o gruppi (...) e di attendersi da lì una specie di "nuova avanguardia": queste intelligenze sono ormai asservite alla macchina (...) e i suoi portatori ridotti a riproduttori, magari ad alto livello, dell'esistente»(4).

Non vi è dunque alcun sapere che vada difeso dal parassitismo del capitale, per il semplice fatto che le condizioni storiche di tale parassitismo sono venute meno.

La società capitalista, nella sua forma neo-moderna e iper-spettacolare, ha ormai perduto qualsivoglia capacità di innovare e progredire, sia sul piano della produzione sia su quello della conoscenza (beninteso, il suo è sempre stato un progresso nell'alienazione),
determinando in tal modo una sorta di glaciazione sociale, che esclude per ora solamente quei settori che si occupano direttamente del controllo e dell'amministrazione dei corpi (biotecnologie, medicina, informatica etc.).
Quanto agli altri settori, si possono ormai riscontrare soltanto variazioni di dettaglio, applicate a merci sempre più insapori, inutili e nocive (5).
Va infine notato come quello che oggi viene prodotto nelle università e  spacciato per "sapere" (definizione che presuppone un non essere fine a sé stesso, un utilità pratica, se non immediata quantomeno in prospettiva futura), si riduce per lo più ad una pletora di merci culturali, che una massa di consumatori "intellettualizzati" trangugia senza il minimo senso critico, così come la gran parte dei nostri contemporanei si appropria con famelica bramosia di qualunque rappresentazione spettacolare - e della relativa merce - sia proposta loro a simulazione di una vita assente e compensazione del nulla a cui ci si vorrebbe condannare.
Tali merci culturali sono, in buona parte, il frutto dell'attività di una forza-lavoro intellettuale precarizzata e sottopagata (dottorandi, borsisti, ricercatori etc.) o non pagata affatto (molti studenti, di fatto, lavorano gratuitamente per i rispettivi professori), che evidentemente non è stata risparmiata dal processo di impoverimento, parcellizzazione e standardizzazione del lavoro, che l'organizzazione sociale capitalista inesorabilmente impone. Il successo delle ideologie - cui già si è accennato in relazione alla questione del General Intellect - che negli ultimi quindici anni non hanno smesso di ammorbare l'aria di certi ambienti intellettuali e "antagonisti", soprattutto entro gli italici confini, e che pur cambiando forma e linguaggio non hanno mutato la loro sostanza (lavoro immateriale, moltitudini, cognitariato e così via) è spiegabile, molto banalmente, con il tentativo delle suddette figure sociali di esorcizzare, attraverso queste fantasmagorie, il processo di proletarizzazione e dequalificazione a cui sono sottoposte.
Dunque, che fare?
Appare evidente che, chiunque voglia davvero rimettere in discussione l'attuale assetto societario, non possa attestarsi su rivendicazioni riformistiche e sostanzialmente solidali con la dinamica capitalista, quali la  difesa dell'"università di massa" (ormai morta e sepolta), della scuola pubblica (che non si vede bene in che cosa si distingua, dal punto di vista della critica rivoluzionaria, da quella privata) o di un qualche "diritto allo studio".
Rifiutarsi di rivendicare la propria stessa schiavitù e alienazione sarebbe già un passo avanti. Certo, nel caso del "diritto al lavoro" una simile rivendicazione, sia pure sul piano strettamente pratico della necessità di portare a casa la pagnotta, è ancora comprensibile; così come era comprensibile, fino a quando questa possibilità non è stata completamente soppressa, che lo studente si servisse della cosiddetta "università di massa" per rimanere il più a lungo possibile lontano dalla maledizione del lavoro - ma a prezzo di quale miseria materiale ed emotiva! (6). Assai meno accettabile è la trasposizione di queste "rivendicazioni di diritti" sul piano ideologico. Insomma, rimane un punto fermo il fatto che, per i proletari, il lavoro rappresenta nient'altro che un mezzo per avere accesso ad un salario, e nulla più!
Nemmeno ci si può accontentare di una critica parziale, incentrata su questa o quella singola problematica (autoritarismo, contenuti della didattica, etc.) o sulla loro mera giustapposizione. Come già si è visto, ogni singolo aspetto che meriti di essere criticato, si inscrive nella funzione complessiva che la scuola e l'università rivestono all'interno della società del capitale. Ciò che è urgente sviluppare, dunque, è una critica globale di queste istituzioni, in quanto è dal loro carattere di sfera separata e di elemento saldamente incastonato nel panorama dell'alienazione universale, che discendono a cascata tutte le nocività specifiche  di cui sono crogiuolo.

Su di un piano più strettamente pragmatico, si tratta di incoraggiare, ovunque sia possibile, il rifiuto, il sabotaggio e l'insubordinazione - nella scuola come in ogni altro ambito della vita sociale. Offrire loro una sponda teorica e una prospettiva, affinché non rimangano confinati all'episodio isolato e non degenerino in forme di ribellismo cieco.
Organizzare forme di sperimentazione, in cui l'apprendimento non sia più separato dall'esperienza (comune) e dai desideri degli individui. Sempre mantenendo ben salda la consapevolezza  che il superamento dell'orrore scolastico rimane in ogni caso inscindibile dal superamento dell'orrore capitalistico.

Sogniamo un mondo, che vogliamo ancora chiamare comunismo, dove le persone possano imparare le une dalle altre, nella condivisione ed elaborazione collettiva delle esperienze o nel confronto individuale con la realtà, in ogni caso al di fuori di qualsivoglia relazione gerarchica e autoritaria.

Sogniamo un mondo dove la conoscenza sia innanzitutto uno strumento della gioia di vivere e del libero gioco delle passioni.

Sogniamo un mondo libero da tutte le galere, siano esse con o senza sbarre.
Gio, 06/11/2008 – 16:52

Avviso agli Studenti - Attenti ai pompieri, non lasciate che spengano il vostro incendio

“…la creatività liberata nella costruzione di tutti i momenti e avvenimenti della vita è la sola poesia che potremo conoscere, la poesia fatta da tutti, l’inizio della festa rivoluzionaria”.

La cronaca che il movimento ha fatto della grande manifestazione contro la Gelmini del 30 ottobre a Genova (cfr http://liguria.indymedia.org/node/2074) ha messo abilmente in luce gli aspetti “brillanti” di quella giornata, ma ha tralasciato una situazione meno esaltante, su cui è opportuno riflettere in chiave futura.

Mer, 05/11/2008 – 16:30

Benetton disobbediente...

La Campagna Contro Benetton, la non-campagna che alcuni anarchici hanno portato avanti per alcuni anni e che, come sempre trattandosi di refrattari al sistema, è finita in diverse aule di giustizia, viene tirata in ballo -suo malgrado- da un libro, da poco in circolazione.

Il libro in questione è: "United Business of Benetton - Sviluppo insostenibile dal Veneto alla Patagonia", Pericle Camuffo, Stampa Alternativa, agosto 2008.

Già dalla dedica a tutti i "disobbedienti" si capisce subito qual è l'orizzonte culturale dell'autore e poi la lettura è tutta tesa a dimostrare l'unica via possibile se si vuole lottare contro delle multinazionali. In effetti, il ruolo centrale è occupato dall'associazione Ya Basta, quella che ha finanziato una radio per i mapuche.

Mer, 05/11/2008 – 16:17

Gerenzano - Invito alla delazione contro schiamazzi e "clandestini"

Il Comune di Gerenzano (varese) invita tutti gli zombie alla delazione contro chi si ostina a vivere...

Numeri di telefono per segnalare "schiamazzi, vandalismi e clandestini"

“Viabilità, schiamazzi, disturbo della quiete, vandalismi e tutto ciò che non richiede un intervento immediato, come per esempio informazioni circa la presenza di clandestini sul territorio”. È parte del testo del volantino distribuito dal Comune di Gerenzano per far conoscere ai cittadini i due numeri di telefono messi a disposizione per le segnalazioni urgenti o meno urgenti. “Non fraintendiamo – spiega il vicesindaco Pierangela Vanzulli della Lega Nord – non siamo razzisti e non è una caccia alle streghe. Semplicemente sono dei numeri per poter permettere ai cittadini di segnalare dove non viene rispettata la legge. Non si tratta solo di clandestini, ma anche di problemi riguardo all’abitabilità di una casa”.

Mer, 05/11/2008 – 15:49

Bologna - Se li conosci li eviti

da emiliaromagna.indymedia.org il nuovo album Panini...

GIORNALISTI INFAMI - DIGOS BOIA
METTETECI LA VOSTRA FACCIA!

SBATTI IL MOSTRO IN PRIMA PAGINA

Memorizza chi trama trama nell'ombra dietro telecamere e scrivanie
SBIRRI: SE LI RICONOSCI LI EVITI!

*Utile in particolare a Bologna e dintorni

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Mer, 29/10/2008 – 21:01
Mer, 04/06/2008 – 14:16
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