OGM e l'Organizzazione mondiale del commercio
Bruxelles, 30 ott. (Apcom) - Il voto del Consiglio Ambiente dell'Ue, oggi a Lussemburgo, sui divieti austriaci di commercializzare due tipi di mais transgenici Ogm (Bt10 e T25) avrà probabilmente della conseguenze importanti per il prosieguo dell'ormai più che decennale battaglia fra Ue e Stati Uniti sugli Ogm. Una battaglia cominciata nel 1996, quando la Commissione europea, dopo mesi di controversie, autorizzò la prima pianta transgenica per la coltivazione nell'Ue, una mais di tipo Bt della Ciba-Geigy (poi Novartis, poi Syngenta). Il voto di oggi era necessario alla Commissione per poter prendere una decisione urgente, in vista di una scadenza fissata dalla Wto (l'Organizzazione mondiale del commercio) al prossimo 21 novembre. Entro quella data, l'Ue doveva mettersi in linea con un verdetto della stessa Wto del 2006 che ha condannato la moratoria 'de facto' applicata fra il 1998 e il 2004 sulle autorizzazioni di nuovi Ogm in Europa.
Avendo dato negli ultimi tre anni il suo via libera all'importazione e commercializzazione di una dozzina di Ogm nell'Ue, la Commissione europea considera di aver ottemperato, sostanzialmente, al verdetto dell'Organizzazione di Ginevra, che era nato da un ricorso presentato da tre grandi paesi esportatori, Usa, Canada e Argentina. Restano, tuttavia, due problemi: i divieti nazionali austriaci (che riguardano due Ogm autorizzati, commercializzati e persino coltivati nel resto d'Europa) e la mancata approvazione di nuove coltivazioni di piante transgeniche fin dal 1998 (la moratoria è caduta nel 2004, ma solo per i prodotti importati).
Per la coltivazione, l'Ue può invocare, a difesa del proprio blocco contro nuove autorizzazioni, la maggiore incertezza scientifica sull'impatto per l'ambiente e sui rischi di contaminazione, rispetto alle decisioni relativamente più semplici sui prodotti importati. La Wto non ha mai messo in discussione il diritto dell'Europa a dotarsi di procedure anche molto rigorose di valutazione dei rischi, a patto che non vengano applicate in modo discriminatorio, come una barriera ai commerci. Ma, in questo quadro, andava risolta lo spinoso problema austriaco.
Negli anni scorsi, la Commissione aveva già provato due volte a imporre a Vienna il ritiro dei suoi divieti nazionali sui due mais Ogm, ma si era ritrovata contro la maggioranza qualificata degli Stati membri. In entrambi i casi, l'Esecutivo Ue aveva chiesto di abolire anche la proibizione austriaca di coltivare il mais transgenico sul territorio nazionale. Ma gli Stati membri, (persino alcuni di quelli che votano spesso a favore degli Ogm), si sono ribellati al 'diktat' di Bruxelles, considerando che un paese ha il diritto di invocare ragioni ambientali, o la necessità di evitare la contaminazione della propria agricoltura, per rifiutare di coltivare piante transgeniche.
Forte di quell'esperienza, la Commissione europea aveva ridotto questa volta il campo di applicazione della sua proposta, chiedendo il ritiro dei divieti austriaci solo per quanto riguarda importazione e commercializzazione degli Ogm, non la loro messa a coltura. Il commissario all'Ambiente, Stavros Dimas, ha puntualizzato proprio questo, oggi dopo il voto: che il divieto di commercializzazione dei prodoti Ogm è cosa diversa dal divieto di coltivazione (che non viene più rimesso in discussione). E questa volta la Commissione l'ha spuntata, sia pure per un soffio, visto che solo quattro paesi l'hanno appoggiata. I 14 Stati membri che hanno votato contro non sono bastati, considerato che altri nove si sono astenuti, a conseguire la maggioranza qualificata necessaria per bocciare la richiesta di Bruxelles, che adesso ha il potere di decidere d'autorità, in piena solitudine, il ritiro dei divieti austriaci.
Certo, contro l'Esecutivo Ue si è espressa una "maggioranza predominante" di paesi, una circostanza politicamente 'pesante', di cui Bruxelles dovrà tenere conto. Lo stesso Dimas ha riconosciuto che va "preso atto della preoccupazione espressa da 14 Stati membri". Ma c'è anche un altro elemento che va preso in considerazione: dal 22 novembre, secondo le regole della Wto, i paesi ricorrenti contro la moratoria 'de facto' sugli Ogm - Canada, Usa e Argentina - potranno prendere delle misure di ritorsione contro l'Ue, e in particolare contro gli interessi commerciali del paese o dei paesi che, a loro parere, non si sono conformati al verdetto del 2006. "Considereremo le preoccupazioni espresse dal Consiglio, ma e' chiaro - ha osservato Dimas - che valuteremo la data del 21 novembre per le possibili ripercussioni".
Le eventuali ritorsioni americane dovranno essere 'proporzionate', e sarà la stessa Wto a giudicare, a posteriori, il rispetto di questo requisito. Sarà interessante vedere come i grandi esportatori di Ogm (mangimi e e derivati) verso l'Ue calcoleranno il danno economico subito a causa della reticenza dei cittadini europei (non certo della Commissione) verso il transgenico, e se la Wto darà loro ragione.
In ogni caso, il voto di oggi in Consiglio, le resistenze opposte da Dimas nelle ultime due settimane alla coltivazione della 'superpatata' Basf e di altri due Ogm (mais Pioneer 1507 e Syngenta Bt11), il recente annuncio francese di una moratoria nazionale sulle colture transgeniche e il documento italiano che mette in discussione l'attuale processo di autorizzazione comunitaria (che ha avuto un'accoglienza sorprendentemente positiva, sempre al Consiglio ambiente di oggi) confermano una tendenza ormai chiara nell'Ue a stabilire un 'doppio binario': da una parte continua la liberalizzazione dei prodotti Ogm importati, che sono comunque sottoposti a rigorosi obblighi di etichettatura e sono utilizzati pressoché esclusivamente nei mangimi per animali; dall'altro si consolida l'opposizione a introdurre piante transgeniche (a parte il mais Bt già coltivato dal 1998 in Spagna) nell'agricoltura europea, che non è pronta né ad affrontare le conseguenze di un'eventuale contaminazione, né a dare una valutazione esatta, completa e affidabile del possibile impatto sull'ambiente.
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