Stampa clandestina per un sito internet. Alcune riflessioni.

Il signor Carlo Ruta, scrittore e giornalista, è stato condannato l’8 maggio 2008 per il reato di “stampa clandestina”. Il “corpo del reato” è qualcosa di impalpabile: i contenuti di un sito internet.

Non conosciamo questa persona e il suo operato ma, da quanto possiamo comprendere, alcuni suoi scritti avrebbero infastidito l’apparato del potere politico-mafioso siciliano (non ce ne voglia il compagno Pontolillo, ma qui il termine “mafioso” in senso dispregiativo non intende in alcun modo riferirsi alle lotte dei briganti) e in particolar modo la figura di un magistrato, Agostino Fera, inserita tra gli ingranaggi di quel sistema.
La sovrapposizione del reato di “stampa clandestina” a una raccolta di scritti su internet è certamente un precedente pericoloso, principalmente se vista come stimolo per l’immaginazione di pm solerti e motivati.
Libertà e internet sono concetti per natura inconciliabili e non stupisce che la repressione, attraverso la censura, colpisca all’interno di una delle sue arene.

Nonostante i vari utilizzi che se ne possono fare, internet e le reti sono attualmente la spina dorsale della “società della sorveglianza”, evoluzione scontata, prevedibile e indispensabile della società-economia dell’informazione. Entro breve, molte tecnologie del controllo e della coercizione troveranno nella rete il loro “non-luogo” di comunione incrementando il loro potere di ubiquità e onnipervadenza.

Siti di controinformazione e critica sono realtà interessanti, forse (speriamo) utili, ma non giustificano certo l’esistenza di internet, né tantomeno ne esorcizzano la natura autoritaria; le balle tecno-messianiche o tecno-comunitarie possono far presa solo su chi ignori i tecno-incubi attuali e venturi.
Ben venga che anche moderati, naufraghi internauti, garanti del diritto e del dovere, grafomani da tastiera e ingenui democratici, si indignino per la condanna del signor Ruta, manifestazione in ambito informatico di una piccola parte dell’attività della macchina del dominio.
Alcuni gridano alla “Nuova Inquisizione”, ma si tratta di un solo, piccolissimo scatto dell’ingranaggio dell’autodifesa autoritaria. Trattandosi di una “persona perbene”, non vi è stato un altro scatto, quello delle manette, né l’accompagnamento percussivo dei manganelli.

E’ però stravagante l’assenza di altrettanta passione e indignazione per altri recenti utilizzi di questo reato, esempio della continuità Sovrano-Duce-Democrazia, che hanno colpito compagni verso i quali chi scrive prova sicuramente maggiore affinità e complicità. Compagne e compagni denunciati a Benevento [1] [2], Padova, nel Lazio e altrove, per aver tentato di rompere il muro dell’indifferenza e del torpore sociali, per aver distribuito (o trasportato) scritti intollerabili e lesivi al potere, non depliant e pubblicità varie che, per loro intrinseca “bontà”, possono circolare tranquillamente ricevendo il condono dello sbirro e del censore. Carta che fa paura, carta pericolosa.
L’assenza di libertà nelle strade porta alcuni a cercare asilo politico nella rete, offrendo più che altro un confino altamente sorvegliato.
La libertà è contagiosa come la sua assenza, la retrocessione da un fronte comporta vulnerabilità sugli altri. In un mondo materiale di controllo e repressione, non si può sperare di trovare lidi felici in una struttura come internet, generata per ampliare la sorveglianza a rafforzare il rizoma del controllo.

Basta osservare come le tecnologie vengono prodotte, riprodotte, foraggiate e distribuite, basta guardare in su agli angoli delle strade o leggere gli articoli di genetica e nanotecnologia, per comprendere come sia impossibile e triste auspicare a spazi di libertà virtuali se neanche più i nostri corpi sono estranei alla tassonomia della sorveglianza. Viviamo in un paese dove sono in atto schedature di massa su base etnica, dove vengono create banche dati del DNA e vari altri esperimenti di controllo sociale su ampia scala e repressione preventiva.

Forse sarebbe più comodo dare solidarietà a questo signore pubblicando un comunicato senza conoscere l’operato di questa persona, ma criticare radicalmente il sistema che lo ha censurato, lottare per contrastarne le appendici tecnologiche e repressive, svelarne gli intenti e sabotarne gli ingranaggi, rispecchia maggiormente il nostro concetto di solidarietà.

Per concludere… Se internet fosse cosa buona il dominio lo avrebbe tenuto per sé (come inizialmente i militari stavano facendo)…

informa-azione

Mer, 09/07/2008 – 23:14
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