Fashion Feminism: perché una precaria deve applaudire una donna ricca?

flappers011

tratto da https://abbattoimuri.wordpress.com/

Mi sveglio. In casa già qualcuno urla per un turno al cesso. Siamo in quattro e stiamo in tre stanze appena. Io dormo in un lettino a scomparsa, lo stesso in cui dormivo quando ero una bambina. Devo correre per il mio turno all’ipermercato. Concedono un part time per uno stipendio da fame. Devo riempire gli scaffali e posizionare bene i prezzi dei prodotti. Accompagno scatole strapiene di ogni cosa da un punto all’altro di quell’enorme bottega. Se faccio la brava e mi accontento è possibile che mi chiamino anche per le prossime feste. Contratto a scadenza fissa, stagionale, e poi vaffanculo allo stipendio, per piccino che tu sia, ti vorrei nella tasca mia.

Quando esco recupero momenti persi all’università. Devo dare almeno tre materie, perché altrimenti mi sono fatta il culo per pagare tasse che non sono servite a niente. Ho preso i libri da uno che ci aveva studiato sopra prima di me. Li ha sottolineati e in qualche passaggio ha pure usato l’evidenziatore e io non ci capisco un cazzo. Però forse se fotocopio in bianco e nero le parti che non capisco verrà fuori una pagina leggibile. Ho anche una specie di ragazzo. Lo incontro tra una corsa e l’altra e qualche sera ci nascondiamo da qualche parte a pomiciare. Siamo riusciti a fare sesso in modo soddisfacente solo un paio di volte da tre mesi a questa parte. Però in compenso siamo andati, insieme, alla manifestazione studentesca e questo ci soddisfa. D’altronde è attraverso le lotte comuni che si cementano sodalizi che durano in eterno.

Farei parte anche di una specie di collettivo che si occupa di questioni di genere. Le poche volte che riusciamo ad incontrarci, incasinate come siamo tutte quante, si nota che quelle più disponibili sono le stesse che non devono faticare per campare. Studiano, dormono, escono, i genitori pagano tutto e quindi hanno anche il tempo di dedicarsi all’attivismo. Così succede che a discutere in nome di tutte, già dal principio delle esperienze movimentiste, sono sempre quelle che hanno soldi e tempo. Avevo detto che sarebbe stato bello discutere di precarietà ma è arrivata una signora tal dei tali, ben vestita, di quelle che vanno spargendo il verbo femminista nei luoghi di reclutamento giovani, e ha detto che abbiamo l’emergenza quote rosa. Bisogna essere preparate per quando arrivano le elezioni e far capire al mondo che una eletta donna è meglio di un eletto uomo. Chissà come la prenderebbe la signora se sapesse che non voto da un po’ di anni e non intendo neppure ripensarci.

Poi con le altre si parla del fatto che sarebbe comunque bello portare “le nostre parole d’ordine” all’iniziativa dell’otto marzo indetta dalle signore di partito. Chissenefrega se quelle parole poi saranno inghiottite, fagocitate, invisibilizzate in men che non si dica. Noi andremo lì solo per fare numero a far finta che le donne sono tutte unite per mezzo della fica. Se poi approfondiamo gli obiettivi si vede che noi giovani precarie ci facciamo dettare l’agenda politica da quelle che arrivano in tailleur e collana di perle. Ma ci sono anche quelle che vestono casual e sono ricche come le altre. Sono le borghesi di sinistra, per le quali il trucco è essere ricche e non darlo troppo a vedere.

Finisce che organizzano una giornata all’insegna di obiettivi dei quali non mi frega un cazzo. Le quote rosa, la censura delle immagini sessiste, le cosce scoperte in televisione e quando chiedo se qualcuna sa spiegare perché mai tra me e loro non esistono pari opportunità, nessuna sa rispondere. Anzi, una mi dice che sono maschilista, perché il femminismo per antonomasia è ormai rappresentato dalle ricche e borghesi signore che ci dettano la linea. Un’altra dice che se fossi davvero femminista certe cose non le direi perché si sa che il vero nemico è il maschio. Bisogna restare unite. Unite un paio di ovaie.

Qualcuna dice che se le donne potessero comandare redistribuirebbero le ricchezze. Allora, dico, redistribuisci un po’ di soldi che tu hai e io invece no. Perciò le vedi un po’ sconvolte e ci sono quelle altre, le universitarie un po’ meno precarie di me. che guardano a quelle altre donne come si guarda ad una opportunità per fare carriera. E’ tutta questione di ingraziarsi le baronesse giuste, così prima o poi le universitarie borghesi sostituiranno in vetta a talune organizzazioni le altre che diranno di se’ d’essere le “storiche” di un femminismo italico la cui “storia” è stata fatta a suon di egemonie culturali, censure e rimozioni di quel che non piaceva ad alcune.

Alle riunioni c’è chi si scompone a parlare anche di nere, di badanti, di immigrate. Qualcuna dice che bisogna liberare quelle col velo e poi si parla di infibulazione e dato che sono tanto aperte c’è quella che porta in seno al gruppo anche la tematica lesbica. Non di quelle lesbiche che sono precarie, scappate da casa e soffrono tanto quanto me, ma si parla di lesbiche borghesi che hanno soldi per pagare il mutuo e sognano di istituzionalizzare la propria esistenza con un progetto familiare che io non potrò mai permettermi.

Di me non parla mai nessuno, perché per prima sono io a non riuscire mai a parlarne. Non me ne lasciano il tempo. Ultimamente parlano di madri e sono lì a sponsorizzare la linea di governo sull’aumento della natalità e io penso alla mia pancia vuota, a quei momenti in cui tra lavoro e università non riesco a mangiare un cazzo fino a sera perché un panino è già troppo costoso per le mie finanze. Mi chiedo cosa siamo diventate, tutte quante, e perché mai ci siamo fatte trascinare dentro cortei in cui si recita una rivoluzione che non ha niente di rivoluzionario. Si finge una lotta per le pari opportunità, si canticchiano canzoni nostalgiche del ’68, qualcuna inventa nuovi slogan, ma quel che non si riesce mai a fare è un’azione che punti all’unione di obiettivi prima che di generi. Che me ne frega se tu sei donna e sono donna anch’io se io non ho un soldo per campare e tu invece ti annoi e mangi anche dieci volte al giorno. Che me ne frega dei tuoi obiettivi, di entusiasmarmi delle battute finto/femministe delle moderne e ricche sacerdotesse che pretendono di insegnarmi di cosa è fatto il femminismo. Che me ne frega del fashion feminism che mi vede sotto al palco ad applaudire la più alta in rango mentre pronuncia il verbo.

Allora dopo un giorno in cui ho lavorato, studiato, ho tentato di esistere e respirare, capirete che trovarmi ad applaudire signore con le quali non ho nulla in comune se non la fica, per me, è assolutamente fuori discussione. Mi faccio la mia lotta con chi mi somiglia e sono a casa per le 21.00 così precedo di poco qualcun altro e riesco anche a farmi una doccia. Ecco, il mio femminismo dice che oggi io dovrei essere in grado di avere un po’ di tempo per me stessa. Invece non ce l’ho. E tu, ce l’hai?

Ps: è una storia vera. grazie a chi l’ha raccontata. 

Leggi anche:

SE GLI UOMINI AVESSERO PIÙ ASCOLTO TRA LE FEMMINISTE

L’ESIGENZA DI RESTITUIRE IL GIUSTO VALORE ALTEMPO DELLA VITA

LORELLA ZANARDO E LA MISERIA DI UN CERTO TIPO DI FEMMINISMO

Seguici su

Facebook

YouTube