Alluvioni, ecco come in Toscana il troppo cemento uccide.

Un territorio strapazzato, non più amico e vicino, ma sfruttato per implacabile e strafalciona sete di guadagno: ora e subito. Ecco, secondo il geologo, la ragione per cui il maltempo si traduce in disastro. «Purtroppo anche nella civile Toscana dove pure le norme ci sarebbero», dice Nicola Casagli, docente di geologia applicata all’università di Firenze e membro della commissione grandi rischi, dove tutti si sono temporaneamente dimessi in attesa di vedere i promessi interventi del governo in difesa della libertà di espressione scientifica. «Siamo congelati ma disponibili per le emergenze come quella delle zone toscane colpite dal maltempo. Non siamo incoscienti». Incoscienti sono invece coloro che hanno usato e usano il territorio per i loro interessi: «Abbandonando le coltivazioni tradizionali e spargendo cemento». Speculazione agricola e speculazione edilizia: i due nodi del disastro, secondo Casagli.

Sulla stessa lunghezza d’onda, pur da un punto di vista diverso, il climatologo. «Nelle aree di Massa Carrara e Grosseto ci sono stati sicuramente episodi meteo eccezionali. Ma le bombe d’acqua cadevano anche con il vecchio clima». dice uno dei più esperti del settore, Stefano Tibaldi, direttore meteo dell’Arpa Emilia Romagna. Dunque? «La differenza è che adesso, come tra l’altro dimostrano inequivocabilmente dati e modelli del Cnr, il riscaldamento globale ha reso i fenomeni estremi più frequenti e probabili. Un rischio così ravvicinato che davvero non è comprensibile perché in un paese con un territorio così degradato e esposto al rischio idrogeologico si parli di spendere per il ponte sullo stretto una cifra che basterebbe a mettere in sicurezza l’intero territorio, salvare vite umane e economia, impiegare lo stesso numero di lavoratori».

Un territorio maltrattato anche in Toscana, dice Casagli. «Le cause del dissesto stanno nello spopolamento delle montagne e nell’abbandono in collina dell’agricoltura famigliare e diversificata a favore di quella industrializzata, assai meno attenta al territorio». Addio ai muretti, ai terrazzamenti, alle canalizzazioni curate «a favore delle spianate di vigneti che rendono di più». Massa Carrara e Grosseto, due aree diverse ma simili nel dissesto, riflette il geologo. Sotto le Apuane le frane sono fatte di polveri che si trasformano in fango e minacciano gli uomini, nel grossetano sono più lente e pericolose per gli edifici. «Tra il mare e le Apuane le piogge sono più frequenti e a Grosseto di episodi disastrosi se ne è visti tre: nel 1992, verso gli inizi del 2000 e adesso». Ma, «nonostante da ambedue le parti sia caduta una pioggia particolarmente intensa, a Massa 200 millimetri concentrati in sei ore, a Grosseto 150 in tre ore, il disastro è avvenuto perché le bombe d’acqua hanno messo in crisi il reticolo idrografico minore, e a volte anche maggiore. Era abbandonato, sporco di vegetazione e di detriti». In Maremma un ponte caduto ha ucciso tre persone: «I fiumi erodono e depositano detriti scavando ai lati: sorvegliare i fiumi significa anche sorvegliare le sponde».

Territorio trascurato e invaso dal cemento. «Si è costruito dentro canali, impluvi, aree di golena  continua Casagli  Non mi era mai capitato nel resto d’Italia, l’ho dovuta vedere a Mulazzo, vicino a Aulla, una casa costruita sotto l’arco di un ponte che fermava le acque del fiume». Dispiace al geologo e lo stupisce il fatto che «in una regione che è stata ed è all’avanguardia per le norme sulla sicurezza del territorio ci sia un consumo del suolo così esagerato e sconsiderato, non giustificato dall’aumento di popolazione che non c’è, ma solo dalla speculazione edilizia». Cui secondo lui soggiacciono anche le amministrazioni. «Finché la forma di finanziamento dei Comuni restano gli oneri di urbanizzazione le amministrazioni preferiscono autorizzare le edificazioni che investire nella regimentazione del rischio». E poi, conclude Casagli, «è questione di cultura: in Italia quella del territorio non esiste. In Usa e in Giappone la si insegna a scuola. Qui perfino gli ingegneri non studiano più geologia».

Qui, conclude il climatologo Tibaldi, «uno Stato ignora i cambiamenti climatici. Fa finta di non vedere che, se pure la responsabilità di un singolo disastro come quello presente non si può attribuire direttamente all’effetto serra, è inconfutabile che gli episodi estremi si moltiplicano per il surriscaldamento e non si può più dire speriamo che non succeda. Succederà e per conservare bisogna attrezzarsi. Invece preferiamo investire denaro in opere elefantiache che ci espongono sempre più al rischio piuttosto che per eliminarlo».

Tratto da  Repubblica Firenze con il titolo ““Bombe d’acqua e troppo cemento. il mix micidiale che devasta la regione”

Facebook

YouTube