“Le donne della squadra di Renzi”, tra book fotografici e quote rosa

Tra infiniti articoli relativi a Matteo Renzi e alla sua campagna elettorale per le primarie troviamo una gallery fotografica pubblicata da La Nazione che titola “Firenze, ecco le donne della squadra elettorale di Matteo Renzi”.

La prima cosa che salta all’occhio è la scarsa profondità con cui La Nazione le presenta. Pare di trovarsi di fronte a una sorta di book fotografico in cui ci sono mostrate le facce delle suddette nell’assenza di un qualsiasi contenuto. Non ci è dato sapere se questo delizioso quotidiano riservi la stessa disarmante superficialità anche agli uomini candidati membri del team visto che, come prevedibile, non è presente una gallery degli “uomini della squadra elettorale di Matteo Renzi”.

Il punto su cui però ci interessa concentrare la nostra attenzione è che La Nazione pare sottintendere che il sesso di queste persone sia determinante per l’attività politica che andranno a svolgere. Noi non stiamo qui affermando che non esiste alcuna differenza tra uomini e donne; ma pensiamo che si tratti di «differenze nell’eguaglianza». In questo caso ci sembra che La Nazione, sottolineandole, alimenti l’opposizione maschile/femminile, edificata intorno a generi costruiti socialmente e quotidianamente operata nella nostra società e in particolare dai media mainstream. Quando si parla di «quote rosa» le donne sono stigmatizzate, al contrario dell’uomo a cui non si richiede di identificarsi come tale nel momento in cui svolge una determinata attività, perché non si dà una «quota blu» – posto che si accetti l’attribuzione di tali colori in base al sesso.

Ci teniamo a sottolineare che riteniamo le «quote rosa» una rivendicazione riformista e incapace di cogliere il problema del dominio, fulcro intorno al quale la questione del sessismo si articola. Battersi perché delle quote di potere vengano concesse a persone di sesso femminile significa alimentare e giustificare il cardine da cui il problema ha origine e attorno a cui ruota.
Significa sostenere che le donne hanno bisogno di essere tutelate dagli uomini, coloro che concederanno queste «quote», per andare a ricoprire un ruolo utile solo a perpetuare nuove forme di abuso nei confronti delle classi subalterne. Chi sostiene le «quote rosa» propone di mantenere intatta una struttura gerarchica ma di cambiarne il genere, un «governo al femminile», in cui la «femmina» è però costretta a farsi «maschio» assumendo un ruolo di comando.

Posto che comprendiamo l’importanza del fatto che le donne entrino a far parte del dibattito politico perché originariamente più sensibili a certe tematiche, e posto il ruolo che ha avuto l’accesso delle donne a diritti liberali come il voto, la proprietà e il salario nel secolo scorso, non abbiamo paura di dire che le concessioni, oggi, non fanno per noi.
Se attualmente esistono germi di progresso, di tensione verso l’emancipazione da generi costruiti socialmente e verso un processo collettivo di riappropriazione autonoma del sé,  non possono che passare attraverso lotte reali e quotidiane per la costruzione di relazioni sociali che tendano all’annullamento dei rapporti verticali e autoritari propri di una società patriarcale.

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