Dalla Edison a Red: ovvero il feticismo della merce-libro

Alcuni dipendenti Edison ci raccontarono, pochi giorni prima della chiusura della libreria per la quale lavoravano, una storia alquanto singolare. Non molto tempo prima del nostro incontro si era recato nel loro negozio un signore dai modi distinti, intenzionato a comprare un paio di metri di libri. La richiesta apparve così bizzarra che il libraio Edison incaricato di facilitare le operazioni di acquisto del signore pensò immediatamente ad uno scherzo. In realtà, l’avventore non aveva né perso il senno né tantomeno voleva burlare il dipendente. Più candidamente cercava oggetti d’arredamento all’interno della Edison. Il signore infatti, trasferitosi in una nuova abitazione e comprata una grande libreria, rimasta però desolatamente vuota per la sua scarsa propensione alla lettura, intendeva acquistare libri come se si trattasse di stoffa per un vestito, con la precisa finalità di completare il suo nuovo salotto. Il cliente inoltre gradiva testi della stessa casa editrice e della stessa collana. Detto altrimenti, voleva la certezza assoluta, o quasi, che non si potesse minimamente sospettare che quei tomi che si metteva in casa li avesse letti veramente. Questa è sempre stata infatti la nostra sensazione a fronte di librerie composte da file di testi con costola e colori identici, magari anche disposti con numerazione crescente del volume da sinistra verso destra.

La storia raccontata è al tempo stesso grottesca e mortificante. Molti, probabilmente anche buon diritto, potrebbero semplicemente derubricarla come la stravaganza di un signore culturalmente modesto e non degno di particolari attenzioni. In realtà, pur non rinunciando a considerarlo un caso estremo, almeno così vorremmo augurarci, la suddetta storia ci sembra esemplificativa del rapporto che lega una fetta sempre più ampia di clienti, chiamarli lettori sarebbe veramente un complimento eccessivo, e la merce-libro. Negli ultimi anni infatti, i libri hanno assunto un nuovo ruolo all’interno dell’immaginario collettivo plasmato e stuprato dal pensiero unico dominate. Nei salotti televisione-centrici di italiche famiglie piccolo-borghesi, intellettualmente modeste e sostenitrici di un individualismo più separatore dal resto della società che squisitamente competitivo, il grande rimosso, ovvero il libro, miracolosamente riappare. Facendolo assume però forme nuove ed aberranti. Non si presenta più infatti come strumento e veicolo di conoscenza, ma come oggetto da esposizione, simboleggiante l’apparente non adesione del soggetto proprietario alla società dei reality show. Questi ultimi diventano quindi il meritato riposo dopo lunghe giornate di lavoro nelle piovose serate invernali: inconfessabile patologia, specialmente quando il soggetto si ritiene, magari anche in forma blanda, interessante culturalmente. Il libro rappresenta invece, all’interno di questa costruzione, la presentazione fittizia di sé da regalare agli amici che giungono il sabato sera a casa per mangiare insieme ed allontanare la solitudine.

All’interno di una siffatta cornice di senso, la bizzarra richiesta del signore appare probabilmente meno singolare. Aprendo un qualsiasi catalogo di arredamento troverete probabilmente una parziale conferma di quanto andiamo dicendo. Infatti, un tratto comune accompagna molti salotti e camere da letto che vengono esposti e fotografati: la presenza di libri. Poco cambia inoltre se questi appaiono disordinatamente disposti su tavolini in cristallo, oppure chirurgicamente sistemati su librerie modernissime. Il libro, depotenziato dalla sua essenza profonda, liberato da quell’auraun po’ noiosa un po’ antica di chi non riesce a trovare passatempi ed interessi moderni, diviene un oggetto cult. Si trasforma quindi in quel grimaldello, sufficiente e necessario, per raggiungere un’altra finalità. Quale questa sia nello stato di cose presenti non è difficile da immaginare: il profitto. Non stupisce quindi la proliferazione di locali che vendono alcool, spesso anche di pessima qualità, contornati da libri. Questi appaino infatti determinanti per creare quel senso di originalità, per imbonire in una atmosfera fintamente interessante aspiranti bohémien serali, prontissimi però, nelle ore diurne, a tornare tristi e  grigi ingranaggi del sistema.

La trasformazione della ormai ex libreria Edison in Red (Read Eat Dream) da parte del gruppo Feltrinelli, dove una parte certamente non residuale dello spazio sarà dedicata alla gastronomia, è quindi l’apoteosi di questa colonizzazione dell’immaginario. Sia ben chiaro, non che l’apertura avvenuta nei decenni scorsi di grandi librerie non avesse favorito un’ulteriore deriva in senso merceologico del libro, aprendo inoltre, almeno in qualche misura, la strada all’ulteriore passaggio al quale noi oggi assistiamo. Esempi di quanto affermiamo sono certamente la trasformazione dei librai in dipendenti costretti a guardare sul computer l’esatta posizione del prodotto sugli scaffali; il costante brusio presente nelle grandi, almeno per dimensioni, librerie; la rapidità e la volgarità con la quale molte persone scelgono il proprio libro. Anche perché, se si volesse sostenere il carattere di non-merce del libro, se si volesse negare la progressiva trasformazione, quasi antropologica ci verrebbe da dire, del lettore medio, si dovrebbe ipotizzare, quasi deterministicamente, un possibile o probabile fallimento della nuova apertura del gruppo Feltrinelli. Noi invece crediamo, come già altre esperienze in questa direzione dimostrano, che l’operazione si risolverà in un grande successo commerciale. La ragione è semplice da intuire: il mercato crea consumatori a propria immagine e somiglianza. Questa umanità disumanizzata affollerà Red, dove troverà il suo porto naturale. Il tempo sarà, ma speriamo di sbagliarci, galantuomo nei nostri riguardi.

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