Bangladesh, la fabbrica di “like” e “follower”. Ecco i forzati del successo online

Una troupe della britannica Channel 4 scopre a Dakha i laboratori in cui, h24, si producono consensi su Facebook e Twitter a pagamento. Un business che impiega circa 20mila persone per 12 dollari al mese. Il manager: “E’ tutto legale, se poi è immorale è un problema di chi ce lo commissiona”
dall’inviato ETTORE LIVINI

Bangladesh, la fabbrica di "like" e "follower". Ecco i forzati del successo online

LONDRA – Basta operai ammassati in capannoni maloedoranti impegnati a cucire per due lire scarpe destinate ai mercati occidentali. Stop al lavoro forzato, spesso minorile, per produrre maglioncini e capi d’abbigliamento delle grandi firme. Lo sfruttamento della manodopera a basso costo nei paesi in via  di sviluppo entra ufficialmente nell’era 2.0 e si getta nel business del web con la sua ultima novità: la fabbrica dei “Like” su Facebook. A scoprirla a Dakha sono stati gli inviati di “Dispatches” programma della rete televisiva inglese Channel 4 che domani racconterà ai suoi spettatori come la capitale del Bangladesh si sia trasformata in una sorta di immensa catena di montaggio di “click” che secondo le stime impiega circa 20-25mila persone. Il loro compito? Ore e ore alla tastiera per generare milioni di Like (prezzo 15 dollari per mille) sui siti dei clienti o inventare a pagamento migliaia di follower fittizi ma attendibili su Twitter. Si rinnova il lavoro, rigorosamente ospitato in capannoni e località senza alcuna sicurezza, resta la stessa la paga: 12 dollari al mese, o per chi preferisce incassare in base alla produttività  -  come va di moda nel mondo del capitalismo  -  un dollaro ogni mille click.

I redattori della trasmissione britannica, dopo aver aperto su Facebook la pagina “Perché le zucchine sono così trascurate” – si sono presentati in loco alla sede della Shareyt.com e sono riusciti senza alcuna difficoltà e in pochi minuti (“se vuoi Id reali ci serve molto tempo, tre o quattro ore” dice nel video il venditore) a mettere assieme oltre 600 “Like”, dieci volte quelli di qualsiasi sito al mondo che si occupi di zucchine. Nel trailer del documentario Russel, rappresentate dell’azienda di Dakha, spiega che i pollici di Facebook sono solo una piccola parte del suo lavoro (organizzato in tre turni giornalieri 24 ore su 24). Centomila visioni su Youtube, per dire, vengono via alla cifra da saldo di “tre dollari”.

Bangladesh, la fabbrica di "like" e "follower". Ecco i forzati del successo online
L’homepage di Shareyt.com

L’industria dei falsi “Like” è da tempo uno dei grandi crucci del social di Mark Zuckerberg. Lo scorso anno i bilanci della società stimavano in una cifra non troppo lontana dall’8% il totale dei click di origine fraudolenta. Pochi in termini percentuali, ma molti per una realtà che sta cercando di vendere al ricchissimo e importante mondo della pubblicità i pollici rialzati come un’unità di misura attendibile per capire il successo o meno di un prodotto o di una campagna.

L’obiettivo è erodere almeno in parte lo strapotere di Google in questo mercato. Facebook a fine 2012 ha avviato una sorta di pulizia radicale del mondo dei Like provando a concentrarsi sui siti più a rischio. La pagina di poker online Texas Holdem Poker, secondo il sito Socialbakers, ha perso così in poche ore 112mila Like, Farmville e Cityville, due videogiochi, 45mila. Shakira, Lady Gaga e Justine Bieber, che a dire il vero non hanno troppo bisogno di drogare i loro numeri visto che viaggiano attorno ai 50 milioni di fan, ne hanno lasciati per strada più o meno 50 mila e Cristiano Ronaldo 18mila.

Il mercato dei follower e del Like farlocchi resta però fiorentissimo anche perché il 31% circa dei consumatori online, assicura Gartner International, basa le sue scelte d’acquisto proprio su questi parametri. E il lavoro a basso costo di paesi poveri come il Bangladesh è il posto ideale dove trovare la materia prima. Russel, nel documentario di Channel 4, rivendica ad esempio con orgoglio di aver creato 59mila Like per Monopoly, un casino sul web che aveva preso in licenza il nome dalla Hasbro, titolare del marchio. Sul sito della Shareyt. com appare anche un link al video pubblicitario della Coca Cola per il Superbowl 2010, protagonista Mr. Burns dei Simpson, che ha oltre 6 milioni di visioni su YouTube. “Il nostro lavoro è del tutto legale  -  sostiene Russell nel video  -  se è immorale è un problema di chi me lo commissiona”.

da Repubblica

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