Recensione del libro “Nell’acquario di Facebook”

Mantenersi a galla nel vasto acquario di Facebook, soprattutto se non vogliamo apparire come pesci annegati, è quanto meno complicato.

Il collettivo di scrittura conviviale Ippolita in questo libro analizza tutte le sfaccettature del caso Facebook, brillante baluardo dell’avanzamento massificato del web 2.0.

Dai Right Libertarians di Facebook al progressismo democratico di Google, dalla filosofia della trasparenza totale all’occultismo della supremazia nerd, dal Power Default al profiling a scopi giudiziari e propagandistici.

Questo libro riassume in maniera semplice ma efficace (anche grazie a note chiare ed esplicative) gli avvenimenti più significativi: da Arpanet fino a poco prima del cosiddetto Datagate.

In un contesto di trasparenza totale, sventolato come condizione necessaria e sufficiente per la liberazione mondiale (dalle “primavere arabe” alla “rivoluzione verde” iraniana) tramano nel buio interessi tanto trasparenti quanto occulti.

Nel mondo Binario dello 0-1 non c’è spazio per le interpretazioni: o è nero o è bianco, o sei pro o sei contro, o “I like it” o cambia pagina, l’etere offre tutto ciò che ti può piacere, non c’è bisogno di esprimere disappunto, se non ti piace, vattene.

Costruisci la tua rete di amici, magari sconosciuti, in base ad analogie politiche, musicali, sessuali: ciò che non ti piace non lo troverai.

Esattamente in questo modo Facebook & C. riesce a fatturare milioni di dollari l’anno, tracciando una linea che contiene la tua identità, i tuoi sogni, i tuoi bisogni, offrendoti, di conseguenza, un 3×2 sul Diazepam se sei depresso o uno sconto del 40% su abbigliamento Los Angeles Lakers dopo aver scrutato i metri di post inutili su chi sia meglio tra Briant e O’Neill.

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Questa è la parola d’ordine, se lo farai sarai più felice, più contiguo, meno solo. Per associazione, su questa filosofia si fonda Facebook, ma anche i cugini Twitter e Google+, che dell’anarco-capitalismo(espressione quanto mai paradossale, non compresa del tutto neanche da coloro che ne vantano i pregi e se ne fanno promotori) della Silicon Valley made in California hanno fatto la propria Bibbia.

Più veloce ma più grande, o più potente ma più piccolo.

Nell’era degli algoritmi finanziari e della frenesia informazionale non c’è un attimo da perdere.

Il tempo, si sa, se non è denaro, quanto meno crea valore aggiunto.

E’ proprio il caso degli smanettoni della Silicon Valley, che del dinamismo frenetico hanno fatto la loro bandiera e i loro conti in banca a 10 zeri.

Grandi difensori della libertà di informazione o, meglio, della libertà di poter informare (espressione che tange il cosiddetto “stalking”) i paladini del Minarchismo Americano, da Gates a Jobs a Zuckerberg, svettano per perspicacia e potere, dotati di una forte competenza tecnica che fornisce loro un controllo e un dominio di dati pari, forse, a una qualche intelligence governativa; stringono alleanze con quest’ultime, con governi più o meno democratoidi, tutto in nome della condivisione totale, della trasparenza, bombardandoci con tormentone che “solo i delinquenti hanno qualcosa da temere”.

Così arrivò il DataGate: un timido giornalista del Guardian rivela, grazie alle informazioni passate da Edward Snowden, che gli USA spiano da anni Alleati e Avversari secondo una lista di affidabilità risalente alla guerra fredda: l’indignazione si fa avanti, gli occidentali si sentono traditi dalla Mother Eagle; sembrano tutti sorpresi, ma neanche più di tanto, sono decenni, infatti, che gli stati nazionali agiscono in questo modo e nessuno cade dalle nuvole, ma l’opinione pubblica deve essere scandalizzata, perchè come ci insegna la filosofia della trasparenza totale, ciò che è palese e chiaro non è più un pericolo. La NSA continua a vedere quale marca di profilattici scegli e con chi li usi per fare le corna al tuo partner, niente è cambiato, dopo lo scandalo del DataGate, l’opinione pubblica non ha variato il suo giudizio riguardo la diffusione dei propri dati personali, dai social media ai servizi di posta elettronica, ancora una volta l’entusiasmo della trasparenza totale eclissa la portata reale del fenomeno.

Quello che ci rende vulnerabili spesso, non è il controllo in se, ma l’ignorare di essere controllati.

Il cosidetto Default Power, ovvero il potere delle impostazioni standard, dettato dall’azienda fruitrice del servizio di social sharing, tiene le redini di ciò che può essere diffuso o no, impostando in maniera standard una serie di parametri, non c’è bisogno di esplicare quanto sia pericoloso un sistema del genere per dei semplici fruitori che non hanno la curiosità (o la paranoia) di smanettare nelle impostazioni del proprio acccount. Infatti secondo una logica di “superiorità etica” e di “neutralità politica” ci viene fatto credere che la piattaforma sappia, secondo una derivazione statistica, cosa sia meglio per noi, impostando in maniera default alcune impostazioni che si ripropongono ad ogni aggiornamento di sistema.

Ti sei stupito quando, postando le foto delle vacanze al mare, l’amico facebook ti suggeriva chi erano quelli a cui sei abbracciato tracciando un riquadro sul volto tanto preciso quanto inquietante?

Di cosa ti stupisci? Hai creato una linea indissolubile che lega te ad altre persone, per associazione, siete contigui, potenzialmente simili, virtualmente identici.

Come suggeriscono gli amici di Ippolita: “Il problema è la pratica del Dominio, non la Tecnica in sè, che non esiste più di quanto esista la Natura in sé” e noi, in merito, concordiamo, aggiungendo che non esiste la gratuità, nessuno ti regalerà mai nulla, ricordatelo, e se non riesci a individuare la merce che ti stanno cercando di vendere, preoccupati, perchè vuol dire che l’oggetto in vendita sei tu, o parte della tua identità.

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