Il denaro non puzza. Ecco chi guadagna nel sistema dei rifiuti livornese

Nella città con una delle TIA più alte d’Italia i rifiuti sono un business per i privati. E ora aleggia anche l’incubo inceneritore che sarebbe la pietra tombale per una raccolta differenziata seria

soldi_cestinoL’incendio alla ditta Galletti ha riaperto la ferita dei quartieri nord e chiama il causa direttamente il modello livornese di smaltimento rifiuti. Un sistema in cui per i privati c’è tutto da guadagnare mentre per i cittadini non resta che pagare e subire sulla propria salute un modello ormai in controtendenza con chi è all’avanguardia con raccolta differenziata e riciclo. Anche l’Unione Europea ha iniziato a tracciare un solco chiaro in questo senso: raccolta differenziata spinta e negli inceneritori solo ciò che non si può differenziare o riciclare. E dove mettono in pratica il modello “Rifiuti zero”, in modo serio e non per marketing politico, si avviano verso il superamento di inceneritori e discariche. A Livorno invece, con un Piano Interprovinciale dei Rifiuti costato 300mila euro e riempito di dati truffaldini per perorare la causa del nuovo megainceneritore, i nostri governanti sono anni che lottano politicamente e culturalmente contro i nuovi modelli di raccolta e smaltimento. Anche la Regione Toscana ha ripensato al piano regionale incentrato sugli inceneritori per dare priorità a una raccolta differenziata che deve arrivare al 70% entro il 2020 (anche perchè continuiamo a pagare multe salate per il fatto di essere sotto la cifra indicata dall’Unione Europea). Un leggero cambio di rotta, che però non basta, dovuto al lavoro dei comitati che si occupano di salute e rifiuti e di chi diffonde e pratica sui propri territori il sistema “Rifiuti Zero” che ormai riguarda 4 milioni di italiani e centinaia di comuni.

Ma chi ci guadagna con il modello Livorno? Partiamo dal fatto che Aamps, nonostante le promesse del Comune, non ha un terreno dove stoccare e selezionare i materiali raccolti quindi è costretta a portarli da Galletti (sfalci e potature) e da Lonzi (carta, imballaggi, plastiche, vetro e alluminio). Questi però prendono anche rifiuti industriali dei privati, pericolosi e non e, come abbiamo già scritto più volte, tutto ciò avviene senza parametri di sicurezza accettabili visto che ci sono stati 7 incendi in 10 anni causando gravi problemi di ordine ambientale e sanitario. Nell’ultimo incendio da Galletti hanno preso fuoco degli imballaggi e poi si è esteso a dei copertoni. Tutta roba che era lì da tempo e che doveva essere smaltita. Ma chi doveva vigilare sui volumi e gli smaltimenti? Arpat. E allora siamo a posto… E i certificati di prevenzione incendi chi li concede? I vigili del fuoco. Ma dopo 10 anni di incendi come mai continuano a prendere fuoco rifiuti e imballaggi senza mai scoprire come e perchè? Viene il dubbio che intorno ai privati e ai rifiuti ci siano tanti interessi che fanno sì che in molti chiudano gli occhi. Così come molti hanno chiuso gli occhi quando la discarica di Vallin dell’Aquila era una miniera d’oro, anche per i privati che buttavano lì, a prezzi modici o senza prezzo, i rifiuti di mezza Italia. Tanto che ad oggi Aamps continua a spendere 1 milione di euro circa all’anno a causa del “revamping” e del percolato di quella discarica, chiusa da anni, che nasconde decenni di segreti e arricchimenti sulle nostre spalle.

Aamps, e quindi noi con la TIA, spende però anche per smaltire i rifiuti differenziati. Il rifiuto organico (cassonettino marrone) viene portato a Montespertoli a Publiambiente con spesa di 95 euro/tonnellata più 13 euro/T per il viaggio. Lì ci fanno il compost e lo vendono per fini agricoli. O meglio, si regala noi con i nostri soldi, perchè a Livorno non c’è un impianto di compostaggio e quindi a noi ci costa a differenza, ad esempio, di Grosseto.

Per il cartone invece il Comieco (Consorzio Nazionale Recupero e riciclo) ci dà 94 euro/T come contributo alla raccolta, per la carta grafica invece 67 euro/T per il primo 25% e poi dai 5 ai 7 euro per il restante 75%. Soldi incassati che tuttavia non fanno rientrare della spesa per personale, raccolta e trasporto. Per il multimateriale invece la Revet spa ci dà da 55 a 76 euro/T, ma anche qui la cifra non copre le spese. C’è da dire che in Italia i soldi corrisposti a tonnellata per il materiale raccolto sono di gran lunga inferiori che nel resto d’Europa. Tutto questo per fare un favore all’industria privata che paga un contributo irrisorio per smaltire i propri imballggi (in Germania devono pagare il 100% dei costi di smaltimento, da noi il 30% e il 70% lo paghiamo noi). Comunque Revet spa, da buon monopolista con tanto di deleghe, poi rivende il tutto sul mercato a prezzi molto superiori rispetto a quelli corrisposti ai Comuni.

Appare chiaro quindi che Aamps sia in balìa di soggetti esterni per ogni fase dello smaltimento. Il rifiuto da noi è una spesa, da altre parti è un prodotto da rivendere o riusare. Aamps, nonostante le promesse, non è mai stata dotata di spazi per raccogliere, stoccare e preselezionare i rifiuti differenziati in modo da movimentare volumi maggiori e di maggiore qualità (e quindi pagati di più sul mercato). Da noi si punta tutto sugli inceneritori, dai costi altissimi sia di costruzione che di gestione e pagati con le nostre “bollette”.

Ora il sindaco Cosimi ha annunciato la raccolta porta a porta nel quartiere La Venezia. Un’operazione che puzza di propaganda politica di fine mandato. Il porta a porta, infatti, ha un senso se viene inserito in un contesto preciso di scelte e investimenti, e se prevede l’approdo alla cosiddetta “tariffa puntuale”, cioè la Tia che viene pagata da utenze private o imprese in base agli effettivi rifiuti prodotti e alla qualità della propria differenziazione. A Livorno, per ora, pare un salvataggio in calcio d’angolo dopo anni di soldi spesi in un sistema costoso, inquinante dove molti privati si sono arricchiti e noi abbiamo pagato una Tia altissima. Una manovra, anche, che vuole nascondere la prossima mossa: il raddoppio dell’inceneritore del Picchianti. Fermiamoli!.

tratto da Senza Soste n.84 (luglio-agosto 2013)

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