Lebowski: that’s the way! Intervista a un ultras grigionero

Pubblichiamo un altro articolo/approfondimento, tratto dal nostro cartaceo numero 10, uscito la scorsa settimana.

Una folla di tifosi colora gli spalti con sciarpe, bandiere e fumogeni. Cori incessanti a sostegno della squadra. Esplosioni di gioia incontenibile ad ogni gol fatto, momenti di tensione e nervosismo per ogni gol subito. No, non stiamo parlando della gloriosa Curva Fiesole, né della Curva Sud di Roma o della Curva B di Napoli… a Firenze c’è una squadra appena promossa in 2° categoria (la penultima categoria esistente) che si chiama Centro Storico Lebowski: una realtà molto particolare e non solo per lo strano nome ispirato al film dei fratelli Cohen. A rendere speciale il Lebowski sono i suoi tifosi: gli ultras della Curva Moana Pozzi. Circa un centinaio di ragazzi e ragazze, a volte di più, che cantano, sbandierano e imprecano per una squadra di dilettanti, seguendola ovunque, anche nei più putrescenti impianti sportivi della profonda provincia fiorentina.
Ma perché questa scelta così singolare? Perché non “limitarsi” a tifare per la Fiorentina o per qualsiasi altra squadra di serie A? Perché passare la domenica pomeriggio andando in treno fino a Vicchio per vedere, magari sotto la pioggia, un match dilettantistico? Non sarebbe più comodo rimanere seduti sul divano a guardare le prodezze dei top player sui canali di sky calcio?
Ne parliamo con D. uno dei fondatori della Curva Moana Pozzi.

-Quando nasce la tifoseria del Lebowski?

La tifoseria del Lebowski prende vita nel 2004.

-Come vi è venuto in mente di andare a tifare per una squadra di terza categoria?

Diciamo che è partito tutto da una compagnia di ragazzi. Una di quelle compagnie che si ritrovava nella tipica piazza ai margini del centro città (In questo caso Piazza D-Azeglio), tra le ultime compagnie di quella generazione che al posto di suonare i cellulari, suonava i campanelli per vedere se c’era l’amico in casa, e che teneva ancora come principio di ritrovo la regola non scritta della ‘stessa ora, stesso posto, stesso bar’. Ecco, la maggior parte della compagnia andava allo stadio, nel settore piu’ caldo: la curva. Un luogo totalmente autogestito dai suoi avventori, che diventava quasi magico durante quei novanta minuti di partita, durante i quali si arriccchiva di musica, colori, coreografie, effetti pirotecnici strabilianti ed emozioni che solo chi c’è stato puo’ comprendere. Peccato che con l’avvento del cosiddetto ‘calcio moderno’ l’ambiente della curva cominciava a stare stretto alla suddetta compagnia che soffriva di tutte le modernità di un gioco, quello del calcio, oramai votato al lucro e all’uccisione totale dei sentimenti e delle emozioni, un gioco che perdeva sempre di più nei valori e vedeva ogni giorno guadagnare in marciume e repressione nei confronti di chi l’aveva sempre vissuto con amore. I ragazzi della compagnia decisero di staccarsi da questo frenetico loop di denaro, mafiette e marchette che era diventato il calcio delle serie ‘maggiori’, per ritornare a quella libertà di curva che avevano assaporato, ma che si erano visti via via sottrarre sotto gli occhi. Decidono cosi’ di resettarsi, ripartire da zero. Decidono di andare a tifare per il calcio vero, quello ancora libero. Decidono di tifare una squadra di terza categoria, (la serie Z, per tradurla a chi non mastica calcio) dove le leggi dei soldi e della repressione non incidono in nessun modo sulla libertà degli individui di esprimere i propri sentimenti di amore per uno sport e per una squadra di calcio.

-Che differenza c’è tra il tifo nel calcio dilettantistico e quello in serie A?

La libertà. In terza categoria è pressocché totale, il tifoso, l’ultras, si puo’ esprimere liberamente, puo’ dedicare tutto il suo amore alla propria squadra. In serie A, ma diciamo pure in tutte le serie professionistiche, la repressione ha raggiunto dei livelli Tatcheriani. L’ultras non è libero, e questo limita molto il tifo.

-Quando giocate fuori casa vi ritrovate spesso a fare trasferte in paesini sperduti della provincia fiorentina, ci racconti qualche aneddoto delle cose più strane che vi sono successe.

Era Gennaio, la temperatura rasentava lo zero e si doveva andare a giocare a Grignano, nella zona periferica di Prato, in un campo accanto a un cimitero. Più o meno l’equivalente di un calcio nelle palle appena ti risvegli da una sbronza colossale. In qualche modo dovevamo riuscire a farci prendere bene quella che poteva sembrare la peggiore trasferta di sempre. Beh, grazie al cervello di qualcheduno dei nostri premi Nobel, ci presentammo a Grignano facendo finta di aver sbagliato strada, con uno striscione che recitava “Grignano sabbie d’oro” (inveche che Lignano S.D’O.), e vestiti tutti da mare: ombrelloni, maschere, costumi da bagno, pinne, palloni, sdraio e altri oggetti marinari. Non ti dico le facce della gente quando qualcheduno del gruppo entroò nel circolo del paese con le pinne ai piedi, chiedendo indicazioni per un lago. Come rendere indimenticabile quella che sarebbe stata sicuramente una trasferta grigia e noiosa.

-Pensi che molti di quelli che vengono a vedere il Lebowski lo facciano anche per sfuggire al controllo e alla repressione che imperversa nelle curve delle grandi tifoserie?

Chiaramente si. Molti secondo me si avvicinano al nostro ambiente anche per sfuggire al clima repressivo che si respira nel calcio delle “grandi serie”. Raggiunge dei livelli intollerabili e personalmente rispetto e ammiro tantissimo chi ancora si vive lo stadio e la curva a una certa maniera. Tanto di cappello, ma io preferisco stare a qualcosa di piu’ autentico, vero e libero!

-Sugli ultras l’opinione pubblica si mostra schizofrenica: da un lato viene esaltato il “dodicesimo uomo” in campo, si apprezza il tifo, le coreografie ecc. dall’altro gli ultras sono considerati la feccia della feccia, avanzi di galera fascistoidi che scaricano le proprie frustrazioni picchiandosi allo stadio e insultando gli avversari. Facciamo un po’ di chiarezza…

Fare chiarezza su questo argomento è sempre un problema: dico solo che secondo me si guarda troppa tv e si legge troppi giornali, non ci si fida più dei propri occhi e ci rimettiamo sempre più spesso al giudizio degli altri, si va avanti alla cieca, per sentito dire. Le cose bisogna viverle per poterle giudicare. Punto. Nella mia esperienza personale posso dirti tranquillamente che lo stadio, la curva, mi hanno trasmesso valori che non si imparano da nessun’altra parte. Valori che servono davvero nella vita, valori sinceri e di cuore. Poi la gente si faccia i suoi trip mentali… io sono orgoglioso di far parte tutt’ora di una curva.

-Si fa anche un gran parlare di ultras e politica, voi vi sentite una curva politicizzata?

Ti risponderei di no. E poi mi dovrei correggere dicendoti che comunque noi eravamo e siamo una grossa compagnia di amici. E amici, se uno e’ comunista e l’altro e’ fascio,(soprattutto a 15-16-17 anni) e’ difficile che lo si diventi, o almeno per noi era cosi’. Quindi veniamo tutti da una certa posizione politica. In curva non ne facciamo, non portiamo simboli, ma siamo tutti ragazzi che bene o male frequentano certi ambienti. Chiaro poi ci s’ha sia il discotecaro gabberino, che il fricchettone reggae&amore, ma non vuol dire che la domenica tu non li veda insieme abbracciati a cantare per il Lebowski.

-Qual è il motivo che spinge te e tutto lo zoccolo duro della curva Moana Pozzi a presenziare a tutte le partite in casa e fuori col caldo il freddo la pioggia o la neve?

La maglia grigionera. Dovresti vedere com’è bella. Fa venire i brividi.

 

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