Acque pericolose: anomalie e pericoli dietro lo sversamento delle acque del Cisam

Da Senzasoste

Proponiamo l’articolo sullo sversamento delle acque del Cisam nel canale dei Navicelli che si può trovare anche sul giornale cartaceo attualmente in distribuzione. Lo pubblichiamo online quasi in contemporanea con l’incontro di ieri sera alla Circoscrizione 4 a Livorno con Giorgio Ferrari (fisico nucleare) e Angelo Baracca (professore di fisica). Rappresenta solo una piccola parte delle cose dette e illustrate ieri sera, ma rimane un ottimo contributo per capire quali sono i pericoli e le anomalie che si celano dietro lo smantellamento del reattore nucleare del Cisam, di cui le acque sono solo uno dei problemi, e forse nemmeno il principale. Come si legge nell’articolo, la prima anomalia è proprio l’iter autorizzativo di tutto il progetto di smantellamento (decommissioning), che mostra come sia stata data mano libera ai militari scavalcando le normali procedure in materia nucleare che avrebbero dovuto coinvolgere anche, quantomeno, Ministero della Sanità e dell’Ambiente. Per quanto riguarda le acque da sversare, ci è giunta voce che le operazioni siano iniziate proprio ieri e Giorgio Ferrari ha spiegato bene, e a livello tecnico, come la prima parte dello sversamento dovrebbe essere quella meno pericolosa e più facile, mentre la parte finale riguarderebbe le acque più contaminate. Redazione 16 novembre 2013

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ACQUE PERICOLOSE

Il CISAM di San Piero a Grado, ormai una vera e propria discarica di rifiuti radioattivi, sta per sversare nel Canale dei Navicelli 750mila metri cubi di acque “decontaminate”. Le strutture militari possono contare su una normativa molto permissiva, ma restano forti dubbi sulla regolarità dell’iter autorizzativo e sulle procedure tecniche previste.

canale-navicelliIl CISAM di San Piero a Grado è una struttura militare nella quale dal 1963 al 1980 ha funzionato un reattore nucleare. Dopo lo stop al reattore si è praticamente trasformata in una discarica di scorie radioattive (si parla di 700 metri cubi tra i quali anche uranio impoverito).

Com’è noto nel gennaio scorso il comandante del CISAM, l’ammiraglio De Bernardo, ha comunicato che 750mila litri di acqua usata per il raffreddamento del combustibile del reattore verranno “decontaminati” e sversati nel canale dei Navicelli.

Sindaco e Assessore all’Ambiente del Comune di Livorno si sono svegliati dopo nove mesi dalla pubblicazione della notizia, lamentando di non essere stati né informati né invitati alle varie riunioni tenutesi a Pisa. Il solito teatrino già visto nel caso dei bidoni tossici, quando se la prendevano con la Capitaneria di Porto.

In ogni caso, com’era prevedibile, neppure dopo essersi “informati” hanno trovato qualcosa da obiettare.

Eppure dalla documentazione disponibile l’iter autorizzativo e le procedure tecniche previste suscitano diverse perplessità.

Aspetti tecnici

Il CISAM intende decommissionare l’intero impianto nucleare in più fasi. Nella prima fase è previsto di eliminare l’acqua presente nella piscina del reattore (circa 700 t) ed in alcuni serbatoi (circa 50 t). L’acqua verrà trattata per concentrare la parte radioattiva che poi verrà mescolata con malta cementizia e inserita in fusti di acciaio che costituiranno un rifiuto permanente. Dopo la “decontaminazione” ci sarebbe lo sversamento nei Navicelli.

Successivamente si dovrà procedere alla decontaminazione, compattazione e cementificazione di tutti i materiali metallici che sono venuti a contatto o con il combustibile o con l’acqua contaminata.

Il metodo scelto per trattare l’acqua contaminata si basa sull’evaporazione controllata in modo da far concentrare gli elementi radioattivi più pesanti. Tuttavia questo metodo non dà sufficienti garanzie per gli elementi più leggeri come ad esempio il Trizio (un isotopo dell’idrogeno), molto pericoloso sia perché emette particelle b di elevata energia, sia perché se inalato o ingerito induce mutazioni e tumori; e dato che è molto simile all’idrogeno è di difficile rilevazione ed eliminazione.

Le informazioni fornite sono piuttosto carenti sulle procedure di lavorazione, sull’impianto di trattamento dell’acqua, sull’immagazzinamento del concentrato radioattivo (rifiuti), su tutti gli aspetti legati al trattamento dei rifiuti metallici, su come verranno realizzati i recipienti di contenimento del concentrato radioattivo e dei metalli e su come e dove questi saranno immagazzinati.

Il CISAM probabilmente aspetta che sia la ditta incaricata a presentare il progetto esecutivo.

Dalle analisi (limitate) dell’acqua contaminata redatte dall’ENEA, si può desumere che siamo in presenza di un rifiuto radioattivo di seconda categoria, vale a dire con livelli medi di radioattività.

Procedure autorizzative

Anche su questi aspetti non mancano le perplessità. La procedura di VIA (Valutazione di impatto ambientale) non è stata applicata, interpretando la normativa europea ed italiana in senso restrittivo. Poi sono stati raggiunti accordi con la Provincia che fanno riferimento a leggi riguardanti i rifiuti normali (non quelli radioattivi). Il CISAM infatti ha deciso di trattare l’acqua contaminata (che è un rifiuto nucleare) all’interno del suo stabilimento fino a renderlo compatibile con i limiti di legge per i rifiuti di provenienza non radioattiva. A questo punto lo hanno presentato come liquido industriale normale che si può scaricare nelle acque pubbliche previa autorizzazione della sola Provincia. In pratica per un rifiuto che per sua origine è e resta radioattivo, e che pertanto sarebbe dovuto ricadere sotto le prescrizioni del D.L. 230/95 (che fissa le regole generali in materia di radiazioni ionizzanti ivi comprese tutte le attività che riguardano i rifiuti nucleari) si è separato in modo artificioso il processo di trattamento-smaltimento.

Nel caso della VIA la normativa europea stabilisce che questa non si applica solo quando sono in ballo motivi di difesa nazionale. Per i rifiuti nucleari dice espressamente che le attività militari sono escluse, in quanto la procedura si applica alla gestione dei rifiuti radioattivi, dalla generazione fino allo smaltimento, quando questi derivano da attività civili.

Ma il reattore del CISAM è stato chiuso nel 1980 e il combustibile è stato portato via, quindi le attività militari sono cessate da lungo tempo e quel che resta da fare riguarda attività industriali, di smantellamento e confinamento di un impianto e dei rifiuti che vi sono stati prodotti e che giacciono nel sito da oltre 30 anni. Tanto è evidente la natura civile di queste attività che gli stessi militari hanno usufruito di strutture pubbliche (esterne al loro controllo) per immagazzinare il combustibile proveniente dal CISAM che è stato portato a Saluggia nel reattore Avogadro, e poi oggi chiedono di scaricare in acque pubbliche i loro rifiuti. Se fosse tutto ancora sotto l’egida del segreto militare e della difesa nazionale, allora dovrebbero tenersi tutto in casa.

Ma quando si ha a che fare con i militari bisogna mettere in conto che le regole che lo Stato impone a tutti gli altri non valgono più: infatti per quanto riguarda le autorizzazioni necessarie al CISAM per svolgere le attività di trattamento, smaltimento e immagazzinamento dei rifiuti radioattivi, nel 2005 è intervenuto un atto legislativo (DPCM 24/06/05 n.183) che attribuisce la competenza al Ministero della Difesa esautorando i ministeri dell’Ambiente, Industria, Lavoro, Sanità e Interni e gli enti locali!

Un vero e proprio regalo del governo di allora (Berlusconi) ai militari, per cui ci troviamo di fronte all’assurdo che non solo gli si concede di applicare le leggi a loro piacimento, ma si stabilisce anche che sono i controllori di se stessi non dovendo sottostare a nessun regime autorizzativo se non quello del Ministero della Difesa. Nel caso specifico dei rifiuti radioattivi si arriva addirittura a stabilire (Art. 4, par. 3 lettera b) che la struttura militare competente in materia è proprio il CISAM! Quindi la stessa struttura che ha prodotto i rifiuti nucleari è incaricata di trattarli, conservarli e sorvegliarli senza alcun controllo di un ente terzo.

I precedenti sono piuttosto inquietanti. Alla fine degli anni ’60 veniva descritta un’operazione di smaltimento condotta “con la più fanciullesca, incredibile imperizia, a petto nudo, senza guanti né tuta” a seguito della quale “tutti rimanevano contaminati, primo fra tutti il capo del laboratorio radio-protezioni”.

Più di recente, un esposto sui rifiuti radioattivi stoccati in pineta denunciava la presenza di “più di cento bidoniabbandonati per anni all’aperto. (…) Con il tempo i contenitori si sono deteriorati. Alcuni sono arrugginiti, altri hannoevidenti fori con la possibilità che parte del materiale sia uscito”.

Teniamo gli occhi aperti.

Vertenza Livorno. Rete per la difesa della salute e dell’ambiente

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