Dopo le “morti bianche” a Prato. The show must go on: gli affari prima di tutto

Promesse e lacrime di coccodrillo per la gioia dei telespettatori e rassicurazioni per il portafoglio degli investitori.

“Al di là di ogni polemica o di una pur obbiettiva ricognizione delle cause che hanno reso possibile il determinarsi e il permanere di fenomeni abnormi, sollecito a mia volta un insieme di interventi concertati al livello nazionale, regionale e locale per far emergere – osserva il presidente Napolitano – da una condizione di insostenibile illegalità e sfruttamento, senza porre irrimediabilmente in crisi, realtà produttive e occupazioni che possono contribuire allo sviluppo economico toscano e italiano.”

L’inossidabile Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano

Il rogo avvenuto al Macrolotto industriale di Prato, nella notte di domenica 1 dicembre, conclusosi con un bilancio di 7 morti e 2 feriti gravi, è diventato un caso di interesse nazionale. Indignati dalle condizioni lavorative ai limiti dello schiavismo, con conseguente violazione dei diritti umani, i rappresentanti delle amministrazioni locali (sindaco Cenni e governatore della regione Rossi), del governo ed il presidente della repubblica Giorgio Napolitano, si sono sentiti in dovere di mostrare la loro partecipazione ed il loro cordoglio. Nel momento del primo impatto emotivo, quando è ancora mediaticamente necessario mostrare ai cittadini solamente la propria indignazione per una così grande tragedia, le autorità promettono misure drastiche, con giri di vite polizieschi affinché questo non si ripeta. Allo stesso tempo, si sono subito sentite in dovere di assicurare la salvaguardia del tessuto economico della produttiva area industriale pratese.

Di fronte allo spauracchio della crisi economica, non si concede più nemmeno il tempo canonico di falsa indignazione in cui si promettono mari e monti, controlli e legalità, in cui si finge stupore e rammarico per una situazione nota da tempo a chiunque lavori nella zona o abbia conoscenti o amici di amici che lo fanno (cioè più o meno tutti gli abitanti dell’ area fiorentina). Adesso bisogna subito affrettarsi a rassicurare gli investitori, assicurare loro che la grassa fetta di guadagno, pagata con sudore e sangue, non verrà toccata, che potranno continuare a vendere il made in italy producendo con costi da terzo mondo.

Anche l’Amministrazione Comunale di Prato fa il suo sfoggio di buoni sentimenti con ipocrisia annessa, proclamando la giornata di lutto cittadino e presenziando a fianco dei cinesi la fiaccolata di commemorazione dei morti. Amministrazione che ha vinto le elezioni cavalcando le paure della gente, promettendo il pugno di ferro contro l’immigrazione clandestina e la delinquenza, mettendo militari in piazza e facendo irruzioni nei negozi degli stranieri con agenti che si calano dall’elicottero in puro stile hollywoodiano. Insomma marciando sulla paura del diverso e fomentandola per quanto potevano.

Tutto quanto infarcito di buona vecchia retorica sui diritti umani, sempre invocati nelle democrazie occidentali, per mettere alla berlina ed invadere paesi con governi non abbastanza proni ai voleri dei paesi NATO. Ed ecco il teatrino d’indignazione di fronte all’opinione pubblica, artefatto, quest’ultimo, di giornalisti ammeastrati e pagati per dire alla gente cosa pensare.

Sette cinesi morti nel Prato di casaOvviamente non ci sono colpevoli da punire, se non qualche fantomatico cinese introvabile e clandestino. Il perpetuarsi della situazione è dovuta alla mancanza di accordi con l’ambasciata e col governo cinesi, che tanto si sa, sono dei malvagi dittatori, oltre alla lunga mano della misteriosa triade: la micidiale mafia cinese. La responsabilità dell’accaduto non è perciò da ascriversi al Governo Italiano, alle amministrazioni locali. Ne escono pulite anche le grandi firme della moda, che sempre chiudono un occhio, spesso tutti e due, sulle condizioni lavorative di persone (che poi non sono proprio persone ma solo dei cinesi), che sgobbano per 15 ore al giorno per salari che chiamarli da fame è un complimento, in nome dei profitti colossali che l’industria dell’abbigliamento e della pelletteria portano a politici ed imprenditori (nella retorica del capitalismo, anche a tutti i cittadini grazie alla famosa teoria del trickle down che funziona solo nella fantasia dei chicago boys).

Per rendersi conto di quanto sia enorme il profitto che viene realizzato, basta dare un’occhiata ai prezzi dei vestiti in uno dei negozi che costellano il centro-vetrina della nostra città. Ci si aspetterebbe che per produrre oggetti il cui prezzo al dettaglio è così esageratamente più alto delle materie prime di cui sono costituiti, ci sia della manodopera altamente specializzata e di conseguenza profumatamente pagata. Il profitto dell’imprenditore rimarrebbe comunque molto elevato, ma alla rapacità dei capitalisti il profitto non basta mai, perciò più è possibile spremere i lavoratori, meglio è. Per questo motivo, alle aziende italiane che operavano nel settore tessile, sempre più si stanno sostituendo gli odiati cinesi che vengono a casa nostra a rubarci il lavoro: è una guerra tra poveri, una corsa al ribasso dove chi riesce a sopportare più privazioni e lavorare per il tozzo di pane più piccolo vince una vita del più bieco sfruttamento, per gli altri disoccupazione e povertà.

Questo è un momento di crisi economica in cui, come in tutte le crisi del passato, i ricchi arricchiscono e i poveri impoveriscono: un ottimo momento per fare affari. Dopo aver spostato la maggior parte della produzione nei paesi “in via di sviluppo”, per avere minori costi di produzione e di manodopera, negli anni passati la nuova strategia dei capitalisti occidentali è di riportare in patria la produzione, e con essa anche i diritti dei lavoratori e le regolamentazioni vigenti nel terzo mondo, cioè pochissimi o meglio nessuno. Puntando sempre più a livellare la situazione mondiale, per cui non ci saranno più aree del mondo in cui lo stato, costretto dalla situazione storica e da anni di dure lotte dei lavoratori, garantisce una certa redistribuzione della ricchezza tra le classi sociali, ma porteranno l’uguaglianza a livello planetario, per cui i poveri saranno tutti ugualmente pezzenti e schiavizzati, mentre i ricchi saranno tutti ugualmente grassi ed opulenti.

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