La battaglia di Valibona e Lanciotto Ballerini

“Comandante dal settembre 1943 la I Formazione Garibaldina Toscana, la guidò valorosamente per 4 mesi nelle sue molteplici azioni di guerra. Con soli 17 uomini affrontava preponderanti forze nemiche e, dopo aver inflitto fortissime perdite, sì da costringerle a ritirarsi su posizioni retrostanti, assaliva arditamente da solo, a lancio di bombe a mano, l’ultima posizione che ancora minacciava la sorte dei suoi uomini. Cadeva, nel generoso slancio, colpito in fronte dal fuoco nemico.”

Monte Morello, 3 gennaio 1944

 70 anni fa, nelle montagne di Valibona, morì l’eroe campigiano, medaglia d’oro al valor militare, Lanciotto Ballerini. Venerdì 3 gennaio c’è stata la commemorazione, nonostante il brutto tempo, e adesso ci piace ricordarlo così, con poche righe.

Lanciotto nacque a Campi Bisenzio il 15 agosto 1911 da una famiglia di macellai e la sua gioventù fu caratterizzata da un’intensa attività sportiva nel campo pugilistico, ove conseguì buoni risultati, diventando campione dei pesi medi italiano nella categoria primi pugni nel 1929.

Dagli anni trenta, la sua vita fu segnata dalle avventure militari dell’Italia fascista, che portarono Lanciotto a partecipare alla guerra di Etiopia dove ricevette una medaglia al merito ed il grado superiore per aver salvato la vita dei suoi commilitoni durante un attacco nemico, al suo rientro in patria fu festeggiato come un eroe ed i fascisti gli fecero dono della tessera che lui prontamente rifiutò.

Scoppiata la seconda guerra mondiale, Ballerini fu inviato con le truppe di occupazione in Grecia ed Jugoslavia dove si distinse per aver detto alle popolazioni civili di allontanarsi dalle zone belliche: la notte di nascosto usciva dal campo ed avvertiva i villaggi che il giorno dopo sarebbero stati colpiti dall’artiglieria italiana, permettendo ad uomini, donne e bambini di trovare rifugio in luoghi più sicuri: qui prese contatto con i partigiani titini.

Nel giugno 1943  fu rimpatriato per dolori reumatici causati dai disagi patiti nel fronte di guerra. Dopo l’armistizio, nell’autunno 1943 Lanciotto si recò sul Monte Morello, ove organizzò e diresse una delle prime formazioni partigiane che si costituirono in Toscana. Questa formazione comprendeva non solo partigiani italiani ma anche altri provenienti da tutta l’Europa (uno scozzese, un serbo, un croato, un ucraino ed un russo).

Il 3 gennaio 1944 la Formazione Garibaldi d’assalto “Lupi Neri” si trovava presso Case di Valibona sui monti della Calvana, quando fu aggredita da due colonne composte: una da circa 80 militi fascisti repubblicani, più i carabinieri di Prato e Vaiano, l’altra da circa 60 fascisti della “Muti” con i carabinieri di Calenzano, accerchiarono il borgo di Valibona a seguito di una segnalazione. Lanciotto affrontò con determinazione l’avversario, dando modo di sganciarsi al grosso dei compagni, infliggendo grosse perdite agli attaccanti e cadendo alfine eroicamente mentre stava abbattendo da solo, con l’uso di bombe a mano, le postazioni nemiche aventi tre mitragliatrici. Le altre vittime del gruppo di Lanciotto furono il sardo Luigi Giuseppe Ventroni, addetto alla mitragliatrice, rimasto gravemente ferito e ucciso bruciato nel fienile fortilizio e il russo Vladimiro Andrey catturato dai fascisti e giustiziato sul posto. Il popolo di Campi seppe però dare un ultimo grande schiaffo morale agli assassini del suo eroe, poiché partecipò ai suoi funerali nonostante le torve minacce dei repubblichini che cercarono invano di impedire il rito religioso ed il trasporto della salma al cimitero.

Dopo la morte gli sono state intitolate varie strade, vie e piazze in tutta la Provincia di Firenze.

Nel 1944 fu dedicata a lui la squadra di calcio di Campi Bisenzio, che infatti ancora oggi si chiama Lanciotto Campi Bisenzio; anche lo stadio della cittadina è intitolato a Lanciotto Ballerini.

Lanciotto è morto per noi, per donarci una vita migliore, ma è un eroe troppo spesso dimenticato.

La sua brigata era modernissima: uomini di varie nazionalità che combattevano per la pace mondiale, per abbattere ogni forma di discriminazione e ingiustizia sociale.

Aveva una figlia, Amapola, piccolissima, che ancora oggi ricorda il suo babbo valoroso. Dobbiamo ricordare insieme a lei, dobbiamo conoscere e far conoscere perché “dove c’è conoscenza, c’è anche memoria”.

Non dobbiamo permetterci di sprecare il suo dono, quello della libertà, dobbiamo combattere come fece lui, giovanissimo campione, un modello sempre attuale.  Solo così avverrà la sua vittoria, la nostra vittoria: solo così Lanciotto e i suoi avranno giustizia.

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