Mondiali in Brasile, ecco chi sono i No Copa

Nasce in periferia la protesta contro i mondiali di calcio in Brasile. La gente urla: «Não vai ter Copa!», questa coppa non s’ha da fare [Solange Cavalcante]


di Solange Cavalcante*

La protesta nasce dai movimenti sociali brasiliani, dalle piazze e dai partiti di sinistra (non quella liberista del PT, al governo) contro la negazione dei diritti. Urlano: “Não vai ter Copa”. La coppa del mondo di calcio in Brasile non s’ha da fare. Per capire le loro ragioni profonde, seguiamo l’itinerario da loro proposto per non andare ai Mondiali 2014.

Per non andare ai Mondiali si può partire dalla Comunità del Pinheirinho (Piccolo Pino), nella città di São José dos Campos, vicino a San Paolo del Brasile. Bisogna però sapere che qui, prima vivevano almeno 1600 famiglie – uomini, donne e bambini che, la notte del 22 gennaio del 2012, furono violentemente sgomberate da duemila soldati della Polizia Militare in assetto di guerra. Sette persone furono uccise e diverse rimasero ferite. Quella gente occupava i terreni dell’azienda fallimentare di Naji Nahas, uno speculatore finanziario pluricondannato. Dopo lo sgombero, un miliardo di metri quadri di terreno rimasero completamente vuoti. E fino ad oggi, tutta quella gente vive ancora sotto i ponti.

Per non andare ai Mondiali si può anche prendere per la BR-153 fino alla capitale Brasília. L’anno scorso c’è stato un traffico incessante di rappresentanti delle nazioni indigene, là recatisi per protestare contro le proposte di legge che avrebbero consegnato la loro terra all’agrobusiness. Gli stessi indios che si sono battuti contro la costruzione dell’impianto idroelettrico di Belo Monte, nello Stato di Pará, e la diga che porterà al disboscamento e all’inondazione delle loro comunità.

Se preferite potete passare da Rio de Janeiro, la “cidade maravilhosa”, dove le forze di polizia da anni occupano le favelas con la scusa di applicare il “Programma di Pacificazione” contro la violenza. L’anno scorso, a forza di pacificare con le armi, la Polizia Militare ha fatto sparire il muratore Amarildo Dias de Souza, mentre tornava a casa dal lavoro, nella Favela da Rocinha.

E siccome siamo a Rio, e l’argomento è la Coppa, parliamo del mitico stadio del Maracanã. Nel marzo scorso la FIFA determinò lo sgombero della comunità di indios che vivevano proprio accanto allo stadio, dove sorge il Museo dell’Indio. Gli indios, per loro, non stanno bene neanche in un museo.

Al di là di questi casi, partono quotidianamente denunce da ogni lato del Brasile, da gente sfrattata o da piccoli artigiani cui viene impedito di svolgere il proprio mestiere, e le loro feste tradizionali – è proprio la FIFA a dominare lo scenario, con lo scopo di ripulire i luoghi dove si giocherà (o forse no) il calcio più bello del mondo.

Ed ora possiamo passare da São Paolo del Brasile, questa grigia megalopoli nevrotica, che non riflette mai abbastanza su quanto bello sia il Brasile. Consigliamo di percorrere un’itinerario attraverso gli shopping centers della città. Ne troverete per lo meno una ventina di questi templi del lusso. Negli ultimi giorni, i proprietari e i loro migliori clienti hanno deciso che le comitive di ragazzi poveri non possono più entrare per il loro “rolezinho” – quel “giretto” che i ragazzi squattrinati sono soliti fare per i centri commerciali, senza però comprarsi un bel niente. Questa è l’unica “movida” possibile per tanti giovani, in Brasile. Appioppare alla Polizia Militare il ruolo di buttafori, sembra pertanto ragionevole. Dopotutto la presenza di questi ragazzi spaventa la gente per bene. Sarà per come si vestono, per come parlano e per come si comportano. Ebbene. Chiamano la Polizia Militare per far loro scegliere, scientificamente, sotto la minaccia delle armi, chi può passare e chi no. Ci sono stati addirittura degli arresti. Il reato? Essere neri. Per chi non lo sapesse, non tutti i poveri brasiliani sono bianchi – ma tutti i neri sono certamente poveri.

I media, la borghesia e i politici fanno di tutto per negare il filo rosso che collega la politica di sterminio e le sparizioni di poveri come Amarildo dalle favelas, la strage di Belo Monte, l’ineguaglianza e la povertà generale, gli sgomberi e i divieti alle vecchiete di Salvador di Bahia a cui la FIFA proibisce di vendere gli acarajé, le tradizionali crocchette sacre di origine africana, durante la Coppa.

La capacità della popolazione brasiliana di calcolare che 2+2 fa 4, non dev’essere sottovalutata. “Don’t come to Brazil” è lo slogan che questo fine settimana a San Paolo, i giovani gridavano, cercando di comunicare il loro disagio. Ci sono stati altri scontri con la polizia. E guarda caso, il titolo del principale quotidiano, la Folha di S. Paulo, questo lunedì è stato: “Arresti: la maggior parte sono giovani della periferia”.

*giornalista brasiliana, autrice di “Compagni di stadio – Sócrates e la Democrazia Corinthiana”, di prossima uscita per Fandango

da Popoff

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