Mores communes: militantismo stadio supremo del presobenismo

http://www.inventati.org/cortocircuito/wp-content/uploads/2014/03/global_revolution.jpgIl militante consacra il “tempo libero” che gli obblighi professionali e scolastici gli concedono, a ciò che egli stesso definisce “lavoro politico”: occorre stampare e distribuire volantini, comporre e attaccare manifesti, partecipare alle riunioni, prendere contatti, preparare incontri ecc. […] è nella misura in cui non rappresenta un prolungamento dei suoi desideri, bensì obbedisce ad una logica che gli è estranea, che l’attività militante si avvicina al lavoro. Come il lavoratore non lavora per sé, il militante non milita per sé: il risultato della sua azione non può essere misurato con il piacere che egli ne trae. Lo sarà dunque attraverso il numero di ore dedicate all’attività politica, il numero di volantini distribuiti ecc. La ripetizione, la routine dominano l’attività del militante. La separazione tra esecuzione e decisione rafforzano l’aspetto “funzionariale” di questa attività.

Organisation des Jeunes Travailleurs Revolutionnaires, Militantismo stadio supremo dell’alienazione, 1972

Uno spettro si aggira per i nostri quartieri: il tempo libero. Scomparso dai manuali del buon vivere dopo la sua fusione indotta con il tempo di lavoro, bistrattato e deriso come piaga da estirpare, si aggira ansioso in cerca di una quiete che non riesce a trovare. Annichilito soprattutto dalla malattia suprema del mondo moderno: l’assillante attivismo venato di presobenismo. Negli ultimi anni inoltre una non-dichiarata crociata contro il tempo libero ha unito parrocchie con diverse verità rivelate: conservatori e progressisti, camerati e compagni: tutti appassionatamente uniti contro questo temibile spettro. Niente di nuovo, si può pensare. Il biasimo gettato sull’otium latino, raffinata occupazione intellettuale troppo spesso confusa semplicemente con il dolce far niente, è d’altronde una caratteristica fondante delle società industriali, dedite al contrario all’esaltazione del negotium, ovvero della sfera economica.

L’agile pamphlet Il diritto alla pigrizia scritto oltre un secolo fa da Paul Lafargue, genero di Karl Marx, rimane ancora oggi un ottimo punto di partenza per chi abbia voglia di introdursi alla tematica. Lafargue, con accenti spesso molto vicini a quelli di Proudhon, cosa che irritava non poco il barbuto di Treviri, sottolineava l’esistenza nel proletariato francese di una malattia per lui inconcepibile: l’amore per il lavoro. Questa follia veniva rappresentata da Lafargue con la drammatica immagine di quei lavoratori licenziati e senza niente da mangiare che bussano disperatamente alle porte delle fabbriche, chiedendo quindi sfruttamento, invece di assaltare i granai pieni del frutto del proprio lavoro. La sua impostazione rimane però saldamente ancorata ad una visione classica: tempo di lavoro e tempo di vita appaiano infatti a questi come due sfere distinte e separate. Non sorprende quindi come la principale richiesta di Lafargue riguardi la riduzione dell’orario di lavoro a tre ore giornaliere (siamo, pare meritevole ricordarlo, nel 1880), all’interno di una prospettiva che tende a confondere e sovrapporre Freizeit e Freiheit, ovvero tempo libero e libertà.

Un passo decisivo nella comprensione di come il primo elemento non si traduca automaticamente nel secondo viene compiuto dagli studiosi della cosiddetta Scuola di Francoforte: attenta e precisa nello smascherare come l’oppressione nelle opulenti società occidentali risieda proprio nelle apparenti nuove opportunità che venivano garantite agli individui: consumo, hobbies ed intrattenimenti pseudo-culturali. Tale prospettiva ci permette inoltre di cogliere come anche le attività di evasione non solamente siano preordinate dall’industria culturale, ma funzionali a garantire allo stesso tempo controllo sociale e sostegno al circuito di accumulazione economica. La messa a profitto da parte del capitale del nostro tempo libero, l’opacizzazione e la quasi piena scomparsa della distinzione tra questo e il tempo di lavoro, rappresenta quindi lo stadio degenerativo finale di un sistema che nega a priori anche la parziale realizzazione umana nel tempo di non-lavoro.

Due esempi possono aiutare a chiarire il quadro. Il primo riguarda la costante necessità che abbiamo di mediare i rapporti intrattenuti con amici, parenti e partner(s) (al plurale per i fortunati!) con attività altre: la pizza al ristorante, la visione di un film oppure di una partita, alla televisione così come allo stadio, il consumo di alcol e di sostanze in genere. Sia premesso, niente di male nel godere di tutto questo. Quando però tali attività assurgono il ruolo di uniche situazioni nelle quali una distorta convivialità può essere trovata, sono spie di una profonda miseria intellettuale e di assoggettamento a finti bisogni imposti. La gratificazione trovata da molti in tutto questo non può inoltre essere considerata sintomo di sincera accettazione dell’esistente. Al contrario, dato che la risposta è fornita da soggetti alienati che accrescono tramite tale gestione del tempo libero la propria alienazione, dimostra solamente la potenza del controllo.

Il secondo esempio è probabilmente più noto e di più facile comprensione, dato che riguarda il social media per eccellenza: Facebook. La schermata iniziale ci accoglie con un eloquente è gratis e lo sarà per sempre. Peccato che la gratuità non riguardi in realtà il servizio offerto, peraltro veramente gratuito, ma la straordinaria mole di dati ed informazioni che forniamo senza ricevere niente in cambio condividendo link e mettendo il classico “mi piace”. Questi dati, elaborati attraverso potentissimi algoritmi, diventano preziose informazioni sui nostri gusti e desideri, da considerarsi endogeni per quanto a loro volta artificiosamente creati. Tali informazioni, inoltre e soprattutto, sono preziosissimi per i grandi gruppi economici in grado di creare e calibrare i propri prodotti rispetto alle aspettative dei consumatori. Ovviamente Zuckerberg e compagnia non regalano le preziosi informazioni di cui entrano in possesso, ma vendendole ottengono lauti guadagni. Facebook è quindi il più straordinario esempio di messa a produzione del tempo libero de-umanizzato. Lavoriamo insomma anche quando siamo assolutamente convinti di riposarci.

L’ultimo step di questa discesa agli inferi riguarda la messa a “produzione” della militanza politica. Sarebbe infatti sciocco pensare che il mondo circostante non influenzi anche chi lo critica, il militante è figlio del suo tempo e vive le stesse contraddizioni dei suoi coetanei “normali” (con “normali” si intendano coloro che non “perdono tempo” con la politica). No, non siamo necessariamente migliori e non c’è niente di male a dirlo.

Infatti anche negli ambienti “antagonisti” tutto deve essere finalizzato al raggiungimento di un risultato immediato, fosse anche solo un briciolo di visibilità. Non importa se le azioni intraprese determinano un avanzamento politico di ciò che si pretende di difendere e propagare. L’importante è fare, agire: sempre sorretti dall’insensata prospettiva che esistano rivoluzioni per osmosi e che le pratiche generino voglia di emulazione, determinando la diffusione di radicalità.

Noi compagni risultiamo così sempre eternamente indaffarati: travolti dalla rapidità della vita ed incapaci di separare tempo libero e tempo di lavoro, ovvero militanza. Stritolati tra scadenze imposte, rituali cortei, attacchinaggi e volantinaggi, sfrenati aggiornamenti di siti e blog, non riusciamo a trovare un momento per riflettere su quanto stiamo portando avanti; per discutere, studiare, organizzarsi meglio. Nonostante gli sforzi nell’auto-rappresentarci come, almeno parzialmente, liberati, finiamo per riprodurre le stesse dinamiche che la società capitalistica impone a tutti. La messa a produzione di ogni secondo del nostro tempo per finalità definite rivoluzionarie diventa un’ossessione.

Così il militante produttivo, incline sempre alla materialità e concretezza del proprio agire, rappresenta uno dei tanti esempi di una società senza alcun interesse per l’otium latino: che era e rimane un’occupazione intellettuale spesso ben più utile dell’utile. Forse, però, questa figura sociale non è così nuova, se già ad uno straniato Andrea Pazienza, nel film a lui dedicato, viene ricordato: “O diventi produttivo per il Movimento, o vaffa…”. A volte si vorrebbe quasi scegliere la seconda opzione, ma poi di dare una simile soddisfazione a tutti quelli che amano il negotium non ci va proprio.

Leggi anche:

La Grande Bellezza: un Oscar al nostro disagio esistenziale

Rivali o compagni? Miseria e potenziale del lavoratore nel XXI° secolo

Mores communes: perché tutti condividono la foto di uno che piscia in Piazza Duomo?

Mores communes: estintori in erasmus

Il calcio è un esercizio di relazione complesso…

Esercito Ribelle: l’attitudine giusta per fare la rivoluzione

Necessità di protagonismo: occupy your mind

Facebook

YouTube