Giancarlo Antognoni, la grande bellezza del nostro calcio

Un punto fermo. Per tutti noi. qui a Firenze. E non è retorica, ma molto più semplicemente la vita. La nostra. Perchè lo abbiamo guardato dalla curva, da quella prospettiva folle e lontana che sfugge a qualsiasi logica ma partecipa a qualsiasi emozione. Giancarlo che correva, stoppava, ripartiva e lanciava. I capelli biondi che danzano a ogni cambio di direzione. E il pallone che vola, telecomandato dal suo padrone, ragazzo col sorriso semplice. Antognoni, la grande bellezza del nostro calcio, il protagonista di avventure che non finivano mai. Il capitano. L’unico dieci. Il biondo che diventa grigio ma cambia solo un soffio. Domani lui compie sessant’anni. E in Palazzo Vecchio il vicesindaco Dario Nardella gli consegnerà le chiavi della città nel salone dei Cinquecento. Un giorno importante. Anche se le chiavi del nostro cuore gliele abbiamo consegnate fin da subito, dal giorno in cui Nils Liedholm lo lanciò in campo a Verona. Era il ’72. Applausi e poesia: quello era il ragazzo che giocava guardando le stelle. Se accorse l’Italia, se ne accorse Firenze, che aveva trovato nei piedi e nei movimenti dolci e autorevoli di un ragazzo umbro, il sentimento della sua storia e della sua arte. Un nuovo David, un nuovo sogno: Giancarlo Antognoni, creativo, acquistato per poco meno di 500 milioni dall’Asti Ma.Co.Bi, era l’uomo destinato a diventare bandiera. L’ultima. E per questo la più preziosa di sempre.

Ma quante storie dal quel giorno di ottobre di quarantadue anni fa. Il capitano ha attraversato la nostra vita senza uscirne mai. Ci siamo tenuti per mano. Per entusiasmarci, sognare e farci coraggio a vicenda. E quel silenzio. E la paura. Il cuore precipitato in fondo allo stomaco nel giorno più buio. Il corpo sull’erba, il respiro che sembra fuggire via. Le lacrime. Il sollievo. E adesso il ricordo di quel ragazzo con la testa bendata su un letto d’ospedale, con la moglie Rita accanto. Immagini incancellabili. Come quelle di un’Italia fatta di sentimenti veri. Pertini, Bearzot: anime belle, protagonisti di un viaggio pazzesco. E lui era lì, il nostro agente speciale infiltrato in quel blocco bianconero. Nel destino una finale saltata ma la felicità per una Coppa del mondo per sempre anche sua. Perché per non tradire il viola lui aveva rinunciato a molto, ma anche trovato una città di amici e di devoti. Gratitudine. Tanta. Corrisposta. Perché Antognoni era così: fedele. E il calcio era anche un’altra storia.

Ma Firenze lo amava come si ama il primo amore, e l’innamoramento non finiva mai. Per il suo genio calcistico. La sua armonia. E la sfortuna, che gli piombò di nuovo addosso. Un contrasto cattivo, una gamba spezzata. Giancarlo ancora una volta costretto a uscire di scena. Come ci somigliamo noi e il nostro capitano. Sul più bello succede sempre qualcosa. E quel qualcosa noi ce lo trasciniamo dietro ancora. Lungo una strada che Antognoni non ha mai perso di vista. L’uomo che diventa dirigente. Che viaggia e trova giocatori, compreso un altro dieci chiamato Rui Costa. Giorni felici, anche quelli. Prima del tracollo e di un addio che lui non avrebbe mai voluto pronunciare. Era l’inizio della fine di un’era. Era il salto nel buio di una Fiorentina destinata a ricominciare da sottozero. Che botta, per tutti. Frequentatori di montagne russe, nemici della tranquillità, drogati di bellezza e di numeri dieci: Giancarlo, Roberto, Manuel Rui. Quello fedele, quello fuggito, quello che disse addio mentre dalla maratona piovevano lacrime e garofani. E adesso Firenze festeggia il suo eroe, il ragazzo che giocava guardando le stelle, l’uomo che ha scelto di restare qui. Lui è il punto fermo del nostro lungo viaggio nel viola. E non è retorica. E’ la nostra vita. Auguri Giancarlo, capitano vero.

Tratto da: Repubblica.it

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