Leonard Bundu, intervista al pugile campione d’Europa

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“Ho visto il carcere durante la guerra civile
ma ora sono il più grande d’Europa”

Leonard Bundu, campione europeo dei pesi welter, è stato nominato miglior pugile europeo dell’anno. Un riconoscimento ambitissimo che rilancia il movimento italiano. Papà della Sierra Leone, madre di Firenze, dall’infanzia turbolenta a Free Town (”Ero in una banda che giocava a fare i gangster”), all’arrivo in Italia, alla consacrazione sul ring

 Free Town, è un bel nome per una città. Prende origine dagli schiavi liberati, che fondarono un insediamento in questo lembo di terra dell’Africa Occidentale. E’ li, nella Capitale della Sierra Leone, che è nato ed ha vissuto la sua adolescenza Leonard Bundu. Ora quel ragazzo che scorrazzava per quelle strade polverose, talmente irrequieto da assaggiare più di una volta il carcere, ha quaranta anni ed è divenuto l’uomo di punta del pugilato italiano e non solo. A giugno sarà infatti premiato ad Amburgo come miglior pugile europeo dell’anno. Una enorme soddisfazione per Leonard, pelle scura, accento fiorentino, innata simpatia e predisposizione naturale alla battuta.

Ora Leonard è un pugile di alto livello e un uomo tranquillo, ma non sono sempre state rose e fiori

”Con i miei amici a Free Town formavamo delle bande, ascoltavamo musica rap ed amavamo tenere una atteggiamento da gangster. Spesso tutto questo degenerava in risse di strada, arrivava la polizia e ci metteva dentro. Mai grossi periodi, 2, 3 giorni, però non scherzavano”
Come se non bastasse, nella Sierra Leone c’era anche la guerra civile?
”Quando mi capitava di essere sbattuto dentro non è che stessi insieme ai miei amici a ridere e scherzare. Lì ci stavamo noi, chi aveva rubato un arancio, chi aveva ucciso, i ribelli della guerriglia. Tutti chiusi dentro una stanza di piccole dimensioni, non era un giochino”
Lei quindi è il classico stereotipo del ragazzo dei bassifondi che trova nel pugilato il riscatto sociale?
”Niente di tutto questo, in Sierra Leone con la mia famiglia stavamo abbastanza bene. Mio padre era architetto e lavorava per il governo. Quando è venuto a mancare lui ci siamo trovati in difficoltà, ma alla fine ce la siamo sempre cavata”.
La pelle nera, il purissimo accento fiorentino purissimo. Come funziona?
”Funziona che mio padre era venuto in Italia a Firenze per laurearsi in architettura, mentre mia madre insegnava matematica. Lui proprio in matematica non era un granché e lei gli dava ripetizioni…”

Una volta sposati, il trasferimento in Sierra Leone?
”Si, ma poi mia madre è riuscita a far venire tutti in Italia per studiare. Mio fratello e mia sorella ce l’hanno fatta, mentre io ero lo scapestrato di famiglia. A dire il vero anche io ho un titolo di studio. Ho fatto il liceo scientifico in Africa, vale lo stesso (giù una risata)”
Quindi l’arrivo a Firenze e il primo contatto con la boxe?
”C’era una palestra vicino casa, sinceramente mi ci sono avvicinato perché non conoscevo nessuno ed avevo voglia di fare amicizie. Poi però il pugilato mi è piaciuto talmente tanto che ne ho fatto una ragione di vita”.
In Italia ha mai avuto problemi di razzismo?
“Sinceramente no, durante qualche scazzottata, magari uno ‘sporco negro’ è pure scappato, ma niente di particolare. Mi sono sentito accolto sempre bene”
Da campione europeo in carica ha messo ko tutti i suoi avversari, eppure da dilettante tentennava
”Non avevo la giusta concentrazione per arrivare molto in alto, anche se ho comunque conquistato un bronzo ai mondiali. La verità è che la boxe ho la prendi con la massima serietà, o è meglio lasciar perdere”
Lei dopo le Olimpiadi di Sydney gli stimoli li aveva persi. Voleva lasciare?
”Sì, ma sono quelle dichiarazioni da marinaio, i pugili fanno un po’ tutti. Mi ritiro, mi ritiro, poi si torna sul ring”

Alla soglia dei quaranta anni ha trovato una importante dimensione europea. Certo, essendo welter ha una concorrenza tremenda, da Mayweather a Pacquiao. Sogna di affrontarli?
”Lo sogno sì, anche se temo che il sogno resterà tale. C’è un sacco di fila per affrontarli che mi sembra veramente impossibile incontrarmi con loro. Magari gli chiedi chi è Bundu e quelli manco sanno che esisto”
Sono proprio inavvicinabili?
”Penso di sì, forse devo inventarmi qualcosa, Magari mi metto a strillare ai quattro venti che Mayweather se la fa addosso al sol pensiero di incontrare Bundu e perdere il titolo da uno di quaranta anni, potrebbe funzionare (altra risata)”
Bundu in famiglia?
”Io e la mia compagnia abbiamo vissuto a Firenze, ora ci siamo trasferiti a Cisterna. Abbiamo due bambini, un maschio ed una femminuccia. Il loro rapporto con la boxe? Il maschio per ora fa kung fu, paradossalmente è la femminuccia a sembrarmi più portata per la boxe. In fondo ormai pure le donne hanno raggiunto un buon livello sul ring”
Quando combatte tra i suoi più accesi tifosi notiamo sempre il cantante Piero Pelù
”E’ stato per molto tempo il compagno di mia sorella Antonella, hanno anche una figlia. Ora si sono lasciati ma restano in ottimi rapporti. E Piero è sempre uno dei miei più grandi sostenitori”
Nel futuro immediato, si profila la difesa dell’Europeo. E ancora in trasferta
”C’è lo sfidante ufficiale Frank Gavin, c’è stata l’asta e l’abbiamo persa. Del resto già c’è la crisi per tutti, di soldi per la boxe se ne trovano ancora meno”
Certo, senza il sostegno di un pubblico come potrebbe essere quello di Roma o Firenze…
”Mah, tutto sommato non è malaccio combattere fuori casa. Sono più rilassato, non ho quell’ansia di non poter deludere il mio pubblico”
E poi, come quando in Inghilterra ha spedito al tappeto Lee Purdy, i sostenitori non mancano. Ma quel grido ‘Bundu Boumayè’?
”Beh, ne ho fatto un grido di battaglia vedendo il film ‘Quando eravamo re’ sul match di Kinshasa tra Alì e Foreman. I ragazzini dello Zaire correvano per strada e strillavano Alì Boumaye, ‘Alì uccidilo’. Io non è che voglia ammazzare nessuno, ma quell’incitamento così africano l’ho voluto fare mio”.

da Repubblica

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