Rai di tutti? Non più – Sullo sciopero dell’11 giugno

 L’11 giugno i lavoratori e le lavoratrici della Rai hanno scioperato in maniera massiccia (con punte del 95% in certi settori, minime del 65%, e una media nazionale del 75%). Cosa significa questo taglio per Renzi? Perché ha presentato i/le dipendenti Rai come dei privilegiati? Perché hanno scioperato? Cosa stanno difendendo? A due settimane di distanza dall’evento cerchiamo di ragionare su quello che stanno nascondendo gli attacchi mediatici del Governo: una possibile futura privatizzazione di un’azienda partecipata statale e la reale situazione dei lavoratori e delle lavoratrici Rai, tutt’altro che privilegiati.

L’11 giugno i lavoratori e le lavoratrici della Rai hanno scioperato in maniera massiccia (con punte del 95% in certi settori, minime del 65%, e una media nazionale del 75%). Cosa significa questo taglio per Renzi? Perché ha presentato i/le dipendenti Rai come dei privilegiati? Perché hanno scioperato? Cosa stanno difendendo? A due settimane di distanza dall’evento cerchiamo di ragionare su quello che stanno nascondendo gli attacchi mediatici del Governo: una possibile futura privatizzazione di un’azienda partecipata statale e la reale situazione dei lavoratori e delle lavoratrici Rai, tutt’altro che privilegiati.

Prima dello sciopero

Il prelievo di 150 milioni
Il fatto scatenante è stato il famigerato prelievo che il governo Renzi ha previsto dal canone Rai di quest’anno, un prelievo di 150 milioni di euro a copertura dei costi del Decreto Irpef (per essere chiari: quello degli 80 euro); una cifra considerevole a bilancio già approvato per l’azienda partecipata Rai.
Il direttore della Rai Gubitosi è subito pronto ad accettare ma tutti i sindacati, compreso l’Usigrai, si dicono contrari al taglio. La Camusso ricorda tra l’altro che la Rai è già creditrice dello stato per quasi 2 miliardi di euro.

La battaglia mediatica: davvero il nemico di Renzi sono gli sprechi?
Renzi comincia la sua campagna mediatica: il 13 maggio a Ballarò difende la sua ragione dicendo che la Rai può far fronte alla situazione vendendo Raiway e tagliando gli sprechi nelle sedi regionali – perché, dopo aver abolito i costi delle provincie e ridotto le spese di dirigenti e politici, solo la Rai non dovrebbe partecipare alla Spending Review? Poi al Festival dell’Economia di Trento, dopo la dichiarazione dello sciopero da parte dei sindacati (Confederali, alcuni minori di categoria e l’Usigrai, quello dei giornalisti Rai), il suo attacco alla Rai si fa durissimo: “Ho soltanto un dispiacere: se avessero annunciato lo sciopero la settimana delle elezioni anzichè il 40,8% prendevo il 42,8%. Quando devono fare sciopero lo facciano poi andremo a confrontare i numeri della Rai. Noi non abbiamo fretta, io invito la Rai a discutere del servizio pubblico e dei prossimi anni. Ma se vogliono discutere dei numeri ci trovano preparati sull’argomento”, “E’ umiliante questa polemica sullo sciopero, quando nel paese reale tutte le famiglie tirano la cinghia”. Con queste semplici frasi, si conquista facilmente l’amore degli italiani – infatti è diffusissimo il malcontento per il pagamento del canone a una Rai che per larga parte della sua programmazioni non fa “Servizio Pubblico” e che si mostra sempre ricchissima nei suoi talk show, nei suoi programmi d’intrattenimento e nella fiction: gli sprechi, l’enorme quantità di soldi che circolano in Rai li percepiamo guardando la maggior parte delle trasmissioni, ogni tanto trapelano notizie sui megastipendi di alcune stars e presentatori televisivi. Renzi minaccia tagli e di ridare una sistemata a questa azienda che si crede l’unica a poter non partecipare ai sacrifici che il paese sta facendo. In realtà, perché il suo operato venga approvato, quella che sta fomentando è solo una guerra tra poveri, perché chi andrà a pagare questi tagli saranno lavoratori e lavoratrici, gli stessi che “nel paese reale” “tirano la cinghia”.

Nei giorni successivi agli attacchi di Renzi, su tutti i giornali si trovano notizie più o meno unanimi che parlano degli sprechi perpetrati in Rai, nessuno appoggia lo sciopero indetto dai sindacati e raramente si trova qualcuno che non metta tutto insieme: gli sprechi e i costi del lavoro, in cui si nascondono però sia le retribuzioni necessarie e minime della maggior parte dei dipendenti e i mega-stipendi di dirigenti e stars. L’elenco delle grosse spese sciorinate dai giornali – immediatamente identificate dall’opinione pubblica con “i numeri” su cui Renzi si dice preparatissimo – è enorme e vale la pena di soffermarcisi un attimo ed elencarne almeno alcune, per vedere dietro numeri che pretendono di restituire solo neutri dati tecnico-gestionali, il lavoro e la fatica che vengono nascoste. Secondo “Il Giornale” e “La Repubblica” che unanimi riportano questi dati, il prezzo carissimo che gli italiani pagano per le sedi regionali Rai è: “solo” per l’edizione di mezzanotte del TGR si spendono 4 milioni di personale; la manutenzione edile “solo” per Milano, Torino, Roma e Napoli supera i 9 milioni ogni tre anni; le “sole” pulizie arrivano a 36 milioni in 4 anni – cifre riducibili per Renzi se le sedi venissero accorpate, dato che nella sede di Sassari lavorano solo 7 persone in 1700 m2, a Genova solo 3 piani su 12 della sede sono occupati, in quella fiorentina di 18.000m2 solo 132 persone – “un appartamento di tutto rispetto” per ogni dipendente commentano ironicamente i giornali, senza che si possa trovare un senso a questa ironia, visto che la maggior parte di quei dipendenti prende dei salari normalissimi. Poi c’è Giletti che segnala che a Campobasso lavorano in 100, e che questo è uno spreco e chi dice che tre telegiornali nazionali anche lo siano.
In questa confusione si mette tutto insieme: elementi di malagestione dell’azienda, come il fatto di avere delle sedi mezze vuote (senza peraltro domandarsi il perché siano arrivate ad esserlo) e che possono essere effettivamente considerati degli “sprechi”, insieme a lavori essenziali, come quello di pulizia, o i telegiornali, che sono tra i pochi esempi considerabili in prima approssimazione come “servizio pubblico”. Sfruttando l’ignoranza di chi non può sapere come si producano servizi televisivi, la forma spettacolare della televisione stessa contribuisce a questo gioco: a comparire effettivamente sono i giornalisti – chi è che si ricorda che dietro quella finale messa in onda, quel servizio, quell’intervista in studio ci sono operatori e operatrici, registi/e, macchinisti/e, truccatori e truccatrici, montatori e montatrici, etc… Il nemico di Renzi sono i lavoratori e le lavoratrici e l’attacco è quello al mondo del lavoro. Le notizie relative al costo del lavoro in Rai (36%) che appare troppo alto rispetto alle altre emittenti (Sky/7%, Mediaset/13%), rappresenta un tassello in questo quadro.

La rottura del fronte sindacale e la delegittimazione del diritto di sciopero

L’Usigrai (Uninone Sindacale Giornalisti RAI) risponde a tono a chi attacca le sedi regionali facendo presente a cosa servano e a cosa sono dovuti i costi; le 21 sedi regionali e le 24 redazioni producono: ognuna tre tgr al giorno (8.500 h. di tv all’anno), due radiogiornali (6.200 h. all’anno); Buongiorno Regione e Buongiorno Italia, un tg scientifico, un settimanale, varie rubriche quotidiane e settimanali, senza contare i servizi per i tg nazionali realizzati su tutto il territorio italiano – una risposta che cerca di spostare il discorso su un piano reale, che, pur non facendo emergere i lavoratori e le lavoratrici, fa emergere almeno il lavoro che fanno; ma purtroppo si tratta di una risposta strumentale e passeggera. Infatti basta l’emendamento che viene fatto passare al Senato che salva le sedi regionali Rai a far rompere il fronte sindacale e a far ritirare l’Usigrai. Sicuramente una vittoria per il governo e qualcosa che rivela la frattura di classe che esiste tra i/le dipendenti Rai. Inoltre l’Usigrai commenta: “la riforma della Rai, l’anticipo della Concessione di Servizio pubblico di 2 anni, la lotta all’evasione del canone, norme per “rottamare” i partiti e i governi dal controllo della Rai, sono finalmente al centro del dibattito politico”. “Ora vediamo se il governo è in grado di tenere il passo della sfida riformatrice o sono solo annunci. Restano tutte le preoccupazioni e contrarietà per la vendita di quote di RaiWay fatta solo per far cassa, senza una idea strategica per il Paese sul tema delle torri di trasmissione. E la nostra convinzione che il prelievo di 150 milioni di euro, versati dai cittadini per il Servizio Pubblico, sia illegittimo”. “Riterremmo grave che il Direttore generale della Rai e il CdA non agissero a tutela del patrimonio aziendale avviando urgentemente un ricorso”. “Pur assumendo una decisione diversa da altre sigle sindacali, pretendiamo il massimo rispetto per chi ha scelto di confermare lo sciopero: un diritto garantito dalla Costituzione che non può essere deriso con commenti e termini sprezzanti” – ma nonostante questa nota, di fatto non scioperano accanto agli altri dipendenti Rai: i giornalisti hanno salvato i posti di lavoro che interessavano a loro grazie al salvataggio delle sedi regionali, tutte le altre considerazioni sembrano chiacchere. Anche la Cisl si ritira dopo che l’Agi (l’Autorità di Garanzia per gli scioperi) dichiara illegittimo lo sciopero per un cavillo: la troppa vicinanza, che dovrebbe essere di almeno dieci giorni, con lo sciopero del 19 giugno. Il direttore generale Gubitosi, che si dice preoccupato dei tagli ma sembra esserlo di più dello sciopero, dichiara: “Lo sciopero è un errore”. “La rai deve lavorare ancora di più per essere promotrice del cambiamento che il paese chiede e di cui può e deve essere parte. Io poi vengo dal privato; sono abbastanza alieno al concetto di sciopero per una richiesta dell’azionista”. L’ex direttore generale Celli intervistato parla dello sciopero come di una “cazzata” proprio ora che viene data ai dipendenti la possibilità di ridisegnare l’azienda, ma non si capisce di che dipendenti parli e di quale possibilità. E ricorda che la tv di stato non è un “bacino anti-disoccupazione”, “bisogna essere imprenditori di se stessi. Oggi il posto fisso è una realtà che non esiste più. I posti di lavoro si costruiscono a partire dalla propria professionalità”.
Lo sciopero dei dipendenti Rai, ma forse più in generale lo sciopero, viene dipinto come qualcosa di illegittimo e incomprensibile nella situazione in cui getta il paese – i dipendenti e le dipendenti Rai fanno spendere agli italiani abbastanza soldi, che male c’è se ne ridanno un po’ indietro al paese? Lo sciopero viene fatto passare come una forma illegittima di protesta e di lotta per i propri diritti lavorativi o per la difesa di un servizio pubblico, si cerca di immobilizzare le capacità di mobilitazione di lavoratori e lavoratrici proprio perché si teme che la conflittualità possa essere altissima, e lo sarebbe se ci fosse più coscienza di classe e se non ci fosse un continuo lavoro per annacquare le rivendicazioni e la forza dei lavoratori e delle lavoratrici con la retorica dell’ “interesse pubblico” e del “bene comune”. Il processo di “incapacitazione”[cit. Rosangela Pesenti] di lavoratori e lavoratrici è stato profondo negli ultimi decenni e quindi il presidente del Consiglio e il direttore generale della Rai pensano di potersi permettere di fare dichiarazioni pubbliche del genere; i lavoratori e le lavoratrici in piazza l’11 non la pensavano così e si son dichiarati  pronti a umiliare Renzi molte altre volte.

Lo sciopero

La giornata di lotta
Normale che lo sciopero sia stato così denigrato nei giorni precedenti, poiché quando i lavoratori e le lavoratrici lottano insieme (sindacati Slc Cgil, Uilcom, Uil, Ugl telecomunicazioni, Snater, Libersind Conf Sal) rischiano di far emergere altre verità, ed è quello che è avvenuto mercoledì 11 giugno: lo sciopero, con lo stop di tg e dirette, è riuscito a rendere visibili proprio coloro che sono i/le dipendenti Rai che lavorano per far andare avanti il palinsesto Rai, ma che restano invisibili sullo schermo e nelle narrazioni dominanti travolti dalla retorica degli sprechi e di chi li considera dei privilegiati. Inoltre hanno presidiato 22 piazze in tutta Italia “davanti alle diverse sedi aziendali o con cortei che sono giunti, a Milano, davanti all’Expo gate a piazza Cairoli, a Torino, davanti alla sede del consiglio regionale in piazza Castello”. “Segnaliamo favorevolmente, nonostante il ritiro dello sciopero da parte dell’Usigrai, sindacato dei giornalisti, la partecipazione di tanti di essi, sia attraverso lettere di solidarietà e condivisione sia attraverso la partecipazione fisica ai presidi”- recita il comunicato dei sindacati aderenti allo sciopero. Al di là delle motivazioni specifiche dello sciopero, che a breve andremo ad analizzare, questo ha dato la possibilità di sostituire alla retorica messa in atto da Renzi per giustificare il suo operato la realtà dei 13.000 dipendenti Rai: essi guadagnano in media 1.500 euro al mese; di questi circa 10.000 tra quadri, impiegati ed operai hanno una media di stipendio che è di circa 1.400 euro e 1000 lavoratori hanno un contratto a tempo determinato e percepiscono tra gli 800 e i 1100 euro al mese solo per i mesi di durata del contratto. Molti lavoratori della Rai hanno anche avuto gli 80 euro in busta paga. Renzi purtroppo però parlando di sprechi in Rai riesce a far credere a chi lo ascolta ben altro, a far pensare che quello della Rai sia un mondo di privilegiati – a questo un lavoratore in lotta di Indignerai, dopo aver citato le cifre di cui sopra, risponde “se avere uno stipendio di questi tempi è un privilegio, è un messaggio molto aggressivo”, e con questa frase coglie la fase di attacco generalizzato ai lavoratori e alle lavoratrici del pubblico che il governo sta mettendo in atto là dove ci sono ancora delle garanzie minime.

Le ragioni dello sciopero attraverso le interviste fatte al presidio di Via Teulada in corrispondenza dello sciopero dell’11 giugno:

Un lavoratore di Raiway: “Stiamo scioperando contro un decreto legge che è stato dichiarato da molti costituzionalisti incostituzionale in quanto preleva da una tassa di scopo 150mln di euro, […] è partito un ricorso al Ministero per lo Sviluppo Economico perché se lo stato vuole recuperare quei soldi è giusto che li restituisca a chi ha pagato, a quelli che hanno corrisposto il canone. Le cose che pesano su questo sciopero sono prima di tutto la vita di Raiway, Raiway è l’unico asset di telecomunicazione ancora pubblico dopo lo smantellamento di Telecom. […] nel 2001 non fu venduta proprio per motivi di sicurezza strategica. La cosa grave è che Raiway verrebbe venduta adesso nell’attesa del rinnovo della convenzione Rai-Stato. Logicamente un’azienda che viene venduta prima di una commessa di 20 anni, come è la convenzione Rai-Stato, è un’azienda che viene venduta a un valore inferiore perché è chiaro che il mercato premierebbe dopo una commessa così ampia perché ovviamente la Rai non può che valersi di Raiway (inoltre Raiway è stata appena riammodernata per il passaggio al digitale terrestre con una spesa di circa 700 milioni di euro presi dal canone). La quotazione sul mercato logicamente evita il mantenimento in mano pubblica, l’abbiamo visto con Telecom, e quindi questa è una cosa che viene privata ai cittadini, non ai lavoratori Rai, non ai mezzi busti, non ai tanti appalti che vengono continuamente foraggiati in questa azienda. Noi siamo lavoratori noi siamo disponibili a dare 150 milioni cacciando gli appalti, cacciando i potentati, cacciando gli sprechi, cacciando tutte le clientele che ci sono e sono state messe dalla politica, nessun partito escluso. […] Il rischio è qualcosa di antidemocratico, è una manovra sul riassetto del servizio pubblico senza un confronto con i proprietari del servizio pubblico. Senza una legge sul conflitto d’interessi, senza che per esempio De Benedetti che adesso ha i soldi Lodo Mondadori, possa comprare lui la rete e fare il terzo operatore per competere con Berlusconi. […] La cosa più spregevole è voler rincorrere la Bbc che ha più costi, più incarichi, minor prodotto però qualcuno pensa che bisogna arrivare a quel modello che è un po’ ammaestrato. Nessuno ha detto, nessuno ha fatto, nessuno ha pensato che la Rai potesse contribuire magari togliendo il tetto pubblicitario del 4% che è obbligatorio ed è stato in passato elemento che ha favorito Mediaset e le private”.

Angelo Sciaiola, presidente dell’associazione generici dello spettacolo: “Noi diciamo che gli sprechi vanno eliminati ma non facendo così i tagli. Forse i tagli andrebbero quando fai i film di fiction all’estero coi soldi della rai, forse sarebbe giusto andare a indagare chi sono i politici di riferimento, …”, poi è preoccupato perché “i 150 mln bisogna vedere dove li vanno a tagliare, li andranno a tagliare anche nella fiction, nei film che la Rai sovvenziona ecco perché siamo qua,.. oltre a sostenere la causa degna della Rai, noi c’abbiamo paura che nei nostri confronti venga fatta un taglio netto”.

Un dipendente Rai, Stefano: “Scioperiamo come dipendenti, visto che poi la rappresentanza dei giornalisti, l’Usigrai ha deciso di non scioperare. Dipendenti Rai vuol dire programmisti, registi, tecnici audio, operatori, truccatori, scenografi, parrucchieri. Migliaia di lavoratori che realizzano tutti i giorni programmi della radio e della televisione. Scioperiamo perché la politica del governo, il decreto che preleva così bruscamente 150 milioni di euro, a bilanci chiusi, […] è evidente che tende a indebolire l’azienda, a favorire manovre di privatizzazione, di svendita, di messa in crisi dell’intero sistema del servizio pubblico. Noi da anni con i nostri sindacati, le nostre associazioni denunciamo una Rai che è un carrozzone clientelare, una Rai spreca soldi, una Rai che fa troppi appalti esterni, una Rai che fa troppi favori ai politici. Noi siamo i primi a dire che questa Rai va riformata, va cambiata, va modernizzata, ma tutto nel senso del servizio pubblico. La Rai per noi è un bene comune, la Rai ha dei tesori inestimabili come il grande archivio radio-televisivo che raccoglie la storia dell’intero paese, d’Italia dal dopoguerra a oggi. Tutto questo deve essere messo a disposizione dei cittadini con una Rai efficiente, libera, attenta alla cultura, creativa, attenta alla società. Noi questo chiediamo. Molta gente pensa che stiamo difendendo dei privilegi, rendite di posizione. Molta gente pensa che i dipendenti Rai sono una massa di raccomandati. […] Abbiamo una massa di lavoratori non garantiti, a partita iva, finti liberi professionisti, senza le garanzie sindacali, senza la mensa, senza la malattia. Tutto questo va sanato, questo però è un valore enorme, in Rai abbiamo ancora oggi delle enormi professionalità che non vengono sfruttate. Noi oggi scioperiamo per questo”.

Una dipendente Rai:Noi oggi scioperiamo perché sulla Rai si sono dette tantissime falsità. Sicuramente è un’azienda che deve essere ristrutturata e sicuramente ha bisogno di un processo di efficientamento, però i tagli i 150 milioni che vogliono togliere vanno a colpire semplicemente la capacità di produzione e vanno a favorire semplicemente la concorrenza. Noi pensiamo che la Rai sia un bene pubblico di tutti i cittadini e la proteggiamo contro la svendita perché ci teniamo ai nostri posti di lavoro, e ci teniamo soprattutto che l’Italia abbia una televisione pubblica degna di questo nome. Dopodichè se le riforme quelle serie le vogliamo fare noi siamo pronti, non ci spaventano affatto. Noi non siamo i raccomandati che si racconta fuori. In Rai ci sono tantissime persone che guadagnano delle cifre per cui in busta paga hanno avuto il bonus di 80 euro. Ci sono precari che sono precari da 10-12 anni, quindi ci ribelliamo a questa immagine che viene data di noi di un’azienda sprecona, inefficiente, di tutti raccomandati. […] Purtroppo in questo paese ormai passa il messaggio che se uno ha un contratto regolare e delle tutele è un privilegiato. Io francamente a questa cosa mi ribello. Io non voglio che si perdano le tutele, anzi vorrei che tutti quanti le guadagnassero. Io non credo che se noi affossiamo un’azienda pubblica grande come la Rai che tra l’altro produce lavoro non solo per i dipendenti, ma per un indotto enorme (tutto il sistema cinematografico – delle troupe, degli appalti, del cinema – comunque ha un appoggio molto forte nella produzione Rai). Se la Rai crolla, e togliendole 150 milioni all’improvviso a piano industriale già avviato, non può che crollare, crolla tutto una parte di indotto e di servizi che alla Rai fanno capo. Noi lavoriamo e guadagniamo delle cifre assolutamente normali, quelle che si sentono sono le cifre del cosiddetto sopra la linea, cioè sono le cifre dei dirigenti e dei dirigenti giornalisti, sui quali siamo d’accordo: va fatta una riforma,[…] è irregolare, come è irregolare che ci siano degli appalti miliardari, come è irregolare che le stars prendano dei compensi enormi. Noi guadagniamo delle cifre normali e soprattuto ci teniamo a conservare un bene che è un bene pubblico di tutti i cittadini italiani, non solo dei lavoratori della Rai”.

Due dipendenti Rai (Cgil): “Il motivo è quello che hai detto te: che siamo lavoratori anche noi, vogliamo dimostrare alla società civile che, oltre a esserci solo i soliti ignoti, esistono pure lavoratori che fanno il loro lavoro cercando di dimostrare che questa è un’azienda in cui si fa cultura, informazione anche libera, nazionalpopolare a volte, però va bene anche quello”. Il taglio “si ripercuoterà sicuramente sul servizio e sull’occupazione, ma non soltanto sull’occupazione dei lavoratori Rai ma su tutto l’indotto che la Rai produce quando sta sul territorio, anche su chi fornisce servizi e chi fornisce strumenti alla Rai stessa. Ad esempio una per tutte è il personale delle mense che tutti se lo scordano o il personale delle pulizie che fa le pulizie normalmente dentro i nostri stabilimenti. Quindi c’è tutto un sistema quando si fanno i tagli su un servizio pubblico su cui si va a incidere direttamente, non solo su di noi […]. Ma la cosa più grave è che questi 150 milioni in realtà tutti gli sprechi e il malcostume dell’azienda non li andrà a toccare minimamente. Quelli rimarranno comunque nascosti tra le pieghe del sistema politico e economico […] e che noi continuamente denunciamo, sempre inascoltati da tutti”. “Io dopo 30 anni di Rai guadagno 1800 euro, credo che esistano dei colleghi che guadagnano anche 900 euro dopo 20 anni di Rai. Precari all’estremo. Quindi abbiamo una cultura di quello che è la solidarietà dentro a questa azienda, vogliamo dimostrarlo, siamo qui per questo, solo per questo”. Inoltre “la Rai c’ha un patrimonio culturale nascosto, che son le teche Rai, su cui sistematicamente nessuno di quelli che si è occupato di riforme si è preoccupato di metterle in sesto e di recuperarle come memoria sistematica di questo paese, quel materiale potrebbe essere utilizzato addirittura per fare cultura nelle scuole ma non viene utilizzato ed è tenuto lì a morire”.

Una dipendente, truccatrice:
“Scioperiamo oggi contro questo decreto legge 66 – praticamente Renzi […] sa benissimo che non si prendono la responsabilità politica che stanno distruggendo la Rai per vendere le antenne […]. Vendendo le antenne, le prenderà un privato [...]. È questo per cui stiamo scioperando. C’è questo disegno da tanti anni. Stanno sempre cercando di farlo. Siamo sempre noi lavoratori con 1200 euro al mese di stipendio che ci togliamo una giornata di lavoro per far sentire la nostra voce. Perché poi ecco l’Usigrai che sono stati un po’ toccati perché volevano togliere le sedi regionale poi si sono messi d’accordo in qualche modo, e si sono tolti da questo sciopero, siamo rimasti noi ma fieri di essere qui perché noi appunto che siamo operai, lavoratori che diamo il sangue a questa azienda, ci crediamo, siamo tutti professionisti che fuori verremmo pagati molto di più ma siamo contenti di essere entrati in Rai venti anni fa. Questo posto di lavoro ci appartiene e la politica non può mettere sempre le mani dappertutto. Dicono sempre che vogliono togliere la politica dalla Rai, ma non è vero. Continuano a mettercela la politica disgregandola e non si assumono neanche la responsabilità. Ecco qua, siamo qui, siamo in tanti. Dovremo essere sempre di più a difendere la Rai, per difendere la nostra Rai perché teniamo al nostro lavoro e teniamo al lavoro di tutti. […] stanno mettendo tutti i bastoni tra le ruote in modo che la Rai non ce la farà più ad andare avanti con la partecipazione statale, arriverà un privato e farà i propri comodi, noi lotteremo perché finché c’abbiamo la voce per farlo lo faremo sperando che qualcuno ci ascolti”.

Per cosa lottare, cosa difendere

Servizio Pubblico o Bene comune?
Come abbiamo letto nelle interviste, lavoratori e lavoratrici Rai difendono il Servizio Pubblico considerandolo “un bene comune come l’acqua” (dall’intervista fatta a un lavoratore Indignerai su Corrispondenze Operaie il 9 giugno/RadioOndaRossa), indicano quali siano davvero gli sprechi e parlano di riforma dell’azienda e di sua difesa da una privatizzazione, che potrebbe portarla a non essere più democratica. A tal proposito i sindacati ricordano a conclusione dello sciopero che il Servizio Pubblico “è un bene comune che va liberato dal controllo di partiti e governi. Il contributo più importante che la Rai può e deve offrire al paese è legato ad una vera riforma che investa sulla qualità dei prodotti culturali. Una Rai libera da sprechi, mega consulenze, super stipendi ed appalti inutili. Tutte voci, queste, non intaccate dalla richiesta di 150 milioni di euro. L’altra Rai, quella colpita, è quella dei ‘titoli di coda’, fatta da quegli stessi lavoratori che beneficiano degli 80 euro in busta paga e che oggi hanno manifestato con chiarezza il loro dissenso”. Un lavoratore di Indignerai (sempre nell’intervista fatta su “Corrispondenze operaie”) afferma: “Noi come dipendenti Rai ci siamo uniti […] circa tre anni fa in un movimento chiamato Indignerai perché volevamo denunciare quello che della Rai non ci piaceva, gli sprechi e lo sperpero di denaro pubblico utilizzato in trasmissioni che poco hanno avuto e hanno a che fare col Servizio Pubblico. In questi anni abbiamo affrontato molte battaglie e ora ci troviamo a quello che potremmo definire lo scontro finale, […] quella per il Servizio Pubblico Rai che viene messo in discussione”, “lo sciopero al contrario di quello che fa passare la stampa e un’autocensura interna della Rai è uno sciopero non a difesa di una casta ma a difesa del Servizio Pubblico perché gravemente a rischio. Noi chiediamo che non vengano messe in atto le scelte del governo[…], non si proceda con la vendita di Raiway e chiediamo una seria riforma della Rai che renda partecipi anche i cittadini e utenti facendo leva sugli articoli 43 e 46 della Costituzione che prevedono l’ingresso di cittadini e lavoratori all’interno delle scelte aziendali di interesse generale. Non stiamo difendendo il nostro orticello, […] ci stiamo giocando che l’elettore non sia più libero e informato nel momento in cui entra nell’urna”.

Quando si invocano principi come quelli di informazione democratica e di Servizio Pubblico il rischio è però quello di porsi sullo stesso piano di Celli o Gubitosi, che rispettivamente richiamano alla necessità di non perdere l’occasione di “ridisegnare l’azienda” o invocano il “bene del paese”. Anziché riferirsi ad un astratto interesse generale e finire così per nascondere i giochi di potere che costituiscono un’informazione che si vorrebbe “imparziale”, dovremmo provare piuttosto a rivendicare il nostro interesse di parte in quanto lavoratori e lavoratrici di tutti i luoghi di produzione, Rai compresa; quindi anche un forte interesse nel fatto che chiunque si trovi sfruttato nel luogo di lavoro o in preda al ricattato dalla disoccupazione, possa trovare nella produzione culturale televisiva e cinematografica qualcosa che lo liberi da ciò che lo opprime e che sia la voce di chi si trova nelle stesse condizioni, e non qualcosa che offre  immaginari che  imprigionano e  rendono invisibile la possibilità di una società diversa, o palliativi che aiutano a distrarsi e a sopportare ciò che si subisce quotidianamente.
Ma, mentre a volte vediamo che i lavoratori e le lavoratrici prendono senza volerlo una posizione vicina a quella dei padroni, aziendalista e quanto mai pericolosa (come quando si propone addirittura di alzare il tetto pubblicitario del 4%), altre volte nelle parole di questi/e vediamo quello che potrebbe essere effettivamente un controllo dell’informazione e della radiotelevisione, al servizio di tutti/e quelli/e che devono lavorare per vivere. In parole come Bene comune o frasi come “tutto questo deve essere messo a disposizione dei cittadini con una Rai efficiente, libera, attenta alla cultura, creativa, attenta alla società”, c’è proprio quella volontà di cambiare radicalmente le cose che va sostenuta. Per questo bisogna appoggiare i/le dipendenti Rai quando difendono il Servizio Pubblico dalla privatizzazione: infatti la televisione pubblica potrebbe avere un ruolo assai diverso da quello che ha, anche se lo vediamo solo là dove alcuni programmi, alcuni servizi, alcuni film riescono a dare qualcosa di diverso, sfuggendo a una selezione quasi automatica e al legame stretto che la Rai ha con l’ideologia e la cultura della classe dominante. Questo può avvenire anche perché la Rai non deve necessariamente badare allo share come fa un privato, potendo fornire il servizio anche in luoghi sperduti dove un privato non avrebbe alcun interesse ad investire (ma dove al contrario la Rai fa arrivare anche piccole reti private locali che portano un contributo al servizio pubblico).

Il DL Irpef e la riforma che si delinea all’orizzonte
Nel frattempo il DL Irpef ha avuto il si definitivo alla Camera il 18 giugno: il taglio di 150 milioni è stato confermato, con la cessione di quote Raiway e la dismissione di Raiworld e l’obbligo del mantenimento delle sedi regionali (in compenso, dicono, ma non è così perché i 150 milioni sono comunque una cifra superiore, la Rai è esclusa dai tagli del 2,5% quest’anno e del 4% il prossimo destinati alle partecipate pubbliche).
Tre sono i punti in agenda di cui ha parlato Peluffo, membro del PD in Commissione di Vigilanza Rai, per cominciare il processo di riforma: il primo è la “consultazione su missione e funzione del Servizio Pubblico coinvolgendo cittadini e opinione pubblica”, poi ci sarà la discussione parlamentare per il rinnovo anticipato alla primavera 2015 della convenzione Stato-Rai e entro il 31 dicembre la proposta di riforma del canone. Niente di più vago: sono dichiarazioni che cercano di mettere a tacere quello che questo prelievo andrà a significare per i/le dipendenti Rai, e che usano pericolosamente parole simili a quelle dei lavoratori e delle lavoratrici.

Il problema più reale: la perdita del posto di lavoro
Ciò che in fondo preoccupa i lavoratori e le lavoratrici, al netto di ogni discorso sul servizio pubblico, sebbene venga poi sempre da loro stessi messo in secondo piano, è  che, visto che la vendita di quote Raiway non sarà sufficiente a coprire il prelievo di 150 milioni, i tagli vadano a colpire posti di lavoro.“Una privatizzazione potrebbe cambiare le sorti nel futuro dei lavoratori all’interno della società…” infatti anche se al momento si parla di cedere massimo il 49%, “quello che può provocare questa scelta è il mancato rinnovo della concessione [Stato-Rai di Servizio Pubblico]. Nel 2016 potremmo non ricevere più il tanto odiato canone ma potremmo ricevere 6-7000 esuberi…”.
La preoccupazione non pare neanche così infondata viste alcune dichiarazioni fatte da Gubitosi sul come far fronte al taglio del governo rispondendo all’Usigrai che, prima di sfilarsi dallo sciopero, aveva dichiarato di temere che si trattasse di un lasciapassare per il DG per ridurre il personale: non ne ha bisogno per farlo, infatti da quando è in Rai ha cominciato un’opera di riammodernamento e già nel 2013 ha ridotto il personale di 700 unità: “La Rai va ringiovanita. […] fa parte del piano e della natura delle cose ridurre una parte della popolazione più anziana e assumere, anche se in numero minore, dei giovani”. In questi due anni Gubitosi è già riuscito a diminuire i costi della Rai di 100 milioni per anno. La sua politica aziendale è ottimizzazione, non tagli, dice lui. Adesso infatti, seppur Gubitosi sia pronto a dare questi 150 milioni per il decreto Irpef, anche lui non può nascondere la problematicità di questo prelievo: sarà “difficile trovare dove ridurre”, oltre che esserci “i livelli occupazionali da rivedere”, “penso, ad esempio, che il ridimensionamento degli investimenti in cinema e fiction potrebbe produrre rilevanti criticità sia sul piano interno (palinsesto) sia all’esterno dell’azienda con riguardo alla filiera produttiva dell’audiovisivo”. Bisognerà cercare di fare interventi con un disegno più ampio, quello da lui già iniziato nei due anni precedenti, “ottimizzare i risparmi e contenere la conflittualità”.
Infatti i sindacati a conclusione dello sciopero denunciano che “lo squilibrio dei conti che deriva dalla richiesta dei 150 milioni di euro sta già producendo effetti sull’occupazione: dal blocco delle stabilizzazioni dei precari all’annunciato ridimensionamento degli organici”. Tutto questo si andrebbe ad aggiungere a una situazione già difficile per i lavoratori e le lavoratrici dell’azienda: il turnover interno è infatti sfavorito perché la produzione interna della Rai (sebbene sia ancora la più alta in Europa) si è molto esternalizzata, con costi maggiori per l’azienda – infatti molti programmi (Format) son prodotti da privati (che la Rai paga tantissimo come per esempio il famosissimo “Che tempo che fa” il cui produttore è Endemol, cioè Berlusconi) che spesso impongono i propri tecnici e registi; poi c’è il precariato che è aumentato notevolmente negli ultimi anni e che coi tagli si rischia aumenti ancora. Allo stesso tempo dopo la spending review di questi ultimi anni (dicono alcuni lavoratori in un’intervista di Repubblica), capita di fare dirette per 13 h. consecutive, montarsi tutto da soli perché son stati tagliati i tecnici – un esempio di cosa vuol dire tagliare sul costo del lavoro: lavorare in meno e lavorare di più.

Intanto il giorno dopo lo sciopero, 12 giugno, in CDA sono avvenute nuove nomine: un nuovo direttore e due vicedirettori nella direzione radio. I sindacati aderenti allo sciopero indignati hanno dichiarato: “In un periodo di attacchi mediatici che indicano i lavoratori come fannulloni e privilegiati, troviamo paradossale che i vertici aziendali nominino dei nuovi dirigenti e al contempo chiedano ulteriori sacrifici ai lavoratori”. Ricordano che il 9 giugno Gubitosi aveva inviato a tutti i Direttori una comunicazione: “Ogni Direttore, anche in ambito giornalistico, sotto la propria responsabilità personale e contabile, è tenuto a ricoprire posizioni vacanti con risorse che abbiano già il relativo inquadramento o il corrispondente trattamento economico”. “Magari a Gubitosi – coninua il comunicato dei sindacati – sarà sfuggito l’enorme numero di Direttori “senza incarico” alle sue dirette dipendenze che probabilmente potrebbero ricoprire i ruoli vacanti. Su tali argomenti ci stupisce il silenzio del Direttore del Personale che quotidianamente impone tagli ai lavoratori…”. “Quindi contestiamo, se confermata, la scelta di procedere con le nomine di nuovi Direttori che aggraverebbero ulteriormente il costo del lavoro. In questa fase è prioritario impegnarsi piuttosto per sollecitare il CDA ad occuparsi del ricorso all’articolo 21 del decreto Irpef, che sottrae alla Rai i 150 milioni di euro nel 2014.” “Già le recenti nomine dei sei Vice Direttori a RaiNews avevano sollevato indignazione tra i lavoratori. Questo ulteriore atto, successivo alle preoccupanti parole del Direttore Generale sulla tenuta dei livelli occupazionali, dimostra totale noncuranza per i lavoratori che già da tempo sopportano tagli e maggiori carichi di lavoro.”

È proprio guardando a questo attacco, così forte e così aggressivo ai lavoratori e alle lavoratrici, ai loro diritti, che avviene in Rai come ovunque, che la difesa del Servizio Pubblico come centro delle rivendicazioni si palesa come qualcosa che agisce da freno ideologico per una presa di coscienza di classe, limita la radicalità che potrebbe avere la lotta di questi lavoratori e lavoratrici, che avrebbero a loro disposizioni potenti strumenti di lotta e grandi numeri e finiscono invece per chiedere una riforma che non potrà mai essere nel senso che vogliono. La forza che hanno messo in campo i lavoratori e le lavoratrici è quella di chi ha paura di perdere tutto, del licenziamento e di chi vive tutti i giorni una vita di sfruttamento e che non può sopportare di essere poi chiamato “privilegiato”. Quello che possiamo sperare è che questi lavoratori e lavoratrici continuino a lottare nonostante abbiano perso questo scontro sul prelievo dei 150 milioni, che riescano ad andare oltre la logica della riforma, che questa lotta che li ha uniti continui a unirli per lottare contro le condizioni di sfruttamento che vivono e contro le prossime e future mosse che si preparano contro di loro.
Oltre a sperare, è nostro compito dare il nostro contributo perché questo avvenga.

da http://clashcityworkers.org/index.php

 

Facebook

YouTube