I territori reinventati del football mondializzato

Ludovic Lestrelin*

tratto da http://www.communianet.org

Il calcio sembra essersi emancipato dalle sue basi locali e nazionali. Giocatori, immagini, capitali circolano su scala mondiale, costruendo un mercato globalizzato alimentato da molteplici prodotti derivati, competizioni extra-territoriali e altri circuiti promozionali il cui contributo non si riduce più ai soli sostenitori locali. Il fenomeno dei “sostenitori a distanza”, che testimonia le modalità rinnovate della costruzione dei sentimenti di appartenenza, non deve tuttavia essere analizzato all’insegna dello sradicamento spaziale.
Le pratiche di questi sostenitori rivelano infatti l’importanza dei luoghi associati al club sostenuto, in particolare lo stadio dove le tifoserie locali sono allo stesso tempo in prima linea nella promozione dell’identità locale del club e nelle mobilitazioni per difendere il suo radicamento spaziale.

A partire dagli anni 80, il calcio di alto livello ha conosciuto un notevole sviluppo economico e finanziario sotto l’effetto delle logiche neo-liberali.
Il fenomeno della “trasformazione del tifoso in consumatore e della marginalizzazione dello spettatore non pagante”, particolarmente evidente in Inghilterra, pur estendendosi in misura minore ad altri campionati europei, ha progressivamente cambiato la sociologia degli stadi e la maniera di vivere gli incontri.
Il linguaggio da marketing impregna i discorsi dei dirigenti dei club che, avendo come bersaglio un pubblico familiare, intendono fare della partita una esperienza di divertimento in senso lato e proporre alla loro “clientela” servizi svariati che vanno dall’animazione alla ristorazione, allo shopping, al settore alberghiero. Protetti e ultrasicuri, restaurati o costruiti secondo gli standard del confort e della multifunzionalità, gli stadi sono diventati una specie di scrigno al servizio del potere finanziario e sportivo dei club. Questi tendono anche a uscir fuori e a rendersi autonomi dal loro ambiente prossimale nonostante le squadre siano storicamente il simbolo di una collettività, un “noi” legato a un territorio (una città, una regione). Essi accolgono, infatti, uno spettacolo che, più ancora che quello degli spettatori, mira a raggiungere principalmente l’insieme dei telespettatori su scala nazionale, perfino mondiale, uno spettacolo il cui sistema economico è fondato su molteplici forme di extraterritorialità. Quest’ultime riguardano in primo luogo i principali attori dello spettacolo: i giocatori stessi.


La mobilità geografica dei calciatori professionali

Le regole comunitarie, tra cui il famoso decreto Bosman del 1995, garantiscono attualmente la libera circolazione degli sportivi nell’ambito dell’Unione Europea e la diminuzione delle quote di giocatori stranieri, particolarmente di quelli provenienti dall’Africa e dall’America latina. La speculazione sulle trasferte e l’esplosione della massa salariale dei club accompagnano il rinnovamento accelerato degli effettivi. Un tempo eroi nostrani, vicini e accessibili, oggi i giocatori sono vedettes molto più distanti, la cui vita privata spicca talvolta nelle riviste consacrate alle celebrità. I legami di identificazione tra i giocatori e il pubblico ne risultano rimodellati. Il reclutamento può essere talvolta frenato nella prospettiva di allargare la notorietà del club a livello internazionale, come nel caso recente dell’acquisto da parte del Paris-Saint-Germain di David Beckham (il giocatore inglese, ormai in pensione, ma molto conosciuto e apprezzato in Asia). Il club della capitale è anche quello che, per la prima volta in Francia, ha schierato, contro l’Olimpique Lione lo scorso dicembre, una squadra composta totalmente di giocatori stranieri. I calciatori sono tuttavia la parte emergente di un’economia che si basa più largamente sulla circolazione di numerosi altri elementi, segnando così la fine di una versione puramente locale dello spettacolo del calcio.

La profusione di immagini

Assicurando più che nel passato una visibilità nazionale e internazionale, la mediatizzazione partecipa al processo di affrancamento territoriale dei club. Nell’ambito di un considerevole mercato economico, la copertura televisiva ha offerto alla maggior parte delle persone la possibilità di seguire il percorso e i risultati delle squadre straniere e di apprezzare così il loro stile di gioco. La televisione ha di fatto partecipato all’ascesa della “consumazione globale” di alcuni club, di cui si può percepire la portata osservando le maglie del Manchester United o del Real Madrid comprate e portate a londra, Singapore o San Paolo. I diritti televisivi degli incontri di Premier League (il campionato d’Inghilterra) sono così venduti alle catene televisive di tutto il mondo, specialmente in Asia. Nel corso della stagione 2013-2014, il loro importo arrivava fino a 4,4 miliardi di sterline, di cui 1,4 miliardi solo per la vendita dei diritti internazionali. Internet e le nuove tecnologie allargano di pari passo l’audience così come la fama delle squadre. Segnale di questa evoluzione anche il fatto che il Barcellona propone una versione del suo sito in castigliano e catalano, ma anche in Inglese, francese, indonesiano, cinese, giapponese, portoghese e arabo. In Francia il PSG ha aperto di recente una versione indonesiana.

La circolazione dei capitali e gli investitori

La riprova di un’intensa circolazione è il fatto che essa si applica ai dirigenti e proprietari di club così come ai capitali. La storia del calcio europeo è fortemente legata al mondo industriale. Senza evocare il caso italiano, tedesco o inglese, la Francia possiede alcuni esempi famosi dei rapporti stretti intessuti, nella prima metà del XX° sec., tra club e alcune grandi imprese locali, i primi essendo considerati dai dirigenti delle seconde come un metodo di controllo dei piaceri dei loro operai. E’ il caso del Racing club di Lens della compagnia dei minatori, del FC Sochaux-Montbéliard e di Peugeot o ancora dell’AS Saint-Etienne e del gruppo Casino, così come dei club sostenuti dal potere municipale. Tuttavia, la crisi del mondo industriale accelera negli anni 70 la rimessa in discussione del modello operaista e paternalista del calcio. Le sponsorizzazioni divengono una specie di reddito e i legami tra società e imprese assumono nuove forme.
La vicenda di Luc Dayan, medico di formazione poi imprenditore nel campo della comunicazione, è esplicativa di questa nuova era economica e delle operazioni capitalistiche all’opera nel calcio da una ventina d’anni a questa parte. Inizialmente introdotto nel PSG, partecipando attivamente al suo riavvicinamento a Canal Plus all’inizio degli anni 90, compra il club di Lilla allora in seconda divisione al prezzo simbolico di un franco nel 1999, lo ristruttura e poi lo cede nel 2004. Un tempo interessato alla ripresa del PSG, indirizza i suoi progetti nei confronti dell’OGC di Nizza e dell’AS Cannes.. poi fa dei brevi passaggi al FC Nantes e al RC Strasburgo per trovarsi infine, tra il 2012 e il 2013, alla testa del RC Lens (comandato dal Credito agricolo per organizzarne la cessione). Giornalista, poi a capo di una società di produzione audiovisiva, Francis Graille è stato a sua volta successivamente dirigente del Lilla poi del PSG mentre Bernard Caiazzo, proveniente dal mondo del marketing, è oggi alla testa dell’AS Saint-Etienne dopo esser stato legato qualche tempo all’Olimpique Marsiglia.
L’arrivo di investitori stranieri segna una tappa supplementare nello sganciamento dei club europei dal tessuto economico locale. Dopo i russi (l’oligarca Roman Abramovitch ha investito dal 2003 nel club londinese di Chelsea), e, in seguito, gli Americani (John Henry e Tom Werner, già proprietari del club di baseball di Boston, sono alla testa del Liverpool FC, la famiglia Glazer occupa quello del Manchester United), i miliardari asiatici affermano la loro presenza nel calcio inglese. L’uomo d’affari malesiano Tony Fernandes è l’azionario principale dei Queen Park Rangers, il cui capitale è ugualmente detenuto dall’investitore siderurgico indiano Lakshmi Mittal. L’uzbeko Alisher Ousmanov è il secondo più grosso azionista di Arsenal dopo l’imprenditore americano Stan Kroenke. La famiglia reale di Abou Dhabi ha ricomprato Manchester City all’ex primo ministro thailandese Thaskin Shinawatra. Il gruppo agro-alimentare indiano Venky’s ha preso nel 2010 il controllo dei Blackburn Rovers, etc. Quanto alla Francia, si conosce il caso recente del PSG, detenuto tra il 2006 e il 2011 da un fondo d’investimento americano e poi, a partire da questa data, dal Qatar Investment Authority, e dell’AS Monaco, ripreso da un oligarca russo nel 2011.
La circolazione dei capitali si traduce d’altronde nella quotazione in borsa di alcuni club. Dopo aver considerato le piazze di Hong Kong e Singapore, Manchester United ha introdotto il 10% del suo capitale sul New York Stock Exchange nel 2012.

Sviluppo del marketing e giri di promozione

Avendo di mira un mercato nazionale e perfino internazionale di consumatori, le società europee si impegnano nelle logiche di diverse promozioni commerciali. Una delle leve più utilizzate consiste nello sviluppo di una rete di distribuzione dei prodotti derivati, più o meno estesa geograficamente. Il Manchester United possiede dei magazzini in varie parti del mondo, in particolare un megastore a Singapore e un altro a Dublino, e diversifica le sue attività. Così, la società Manchester United Food and Beverage Asia ha aperto un Manchester United Restaurant and bar nel centro di Bangkok nel 2008. Due ristoranti erano già stati aperti in Indonesia e un altro a Séoul in Corea del Sud. In Francia, l’Olimpique Marsiglia ha aperto una boutique ad Algeri nel 2008 e intende sviluppare le sue attività commerciali in Africa e Medio oriente, una strategia di espansione nella quale si è ugualmente impegnato il PSG. Due squadre europee organizzano, d’altro canto, dei tornei estivi negli Stati Uniti e in Asia che vanno di pari passo a operazioni commerciali nella speranza di aprirsi a nuovi mercati. L’acquisto di un giocatore asiatico può a questo riguardo essere un investimento redditizio, fonte di redditi ricavati dalla vendita di maglie nel suo paese di origine.

Competizioni extra-territoriali

Il processo di distanziazione territoriale riguarda anche le competizioni. Due esempi recenti sono significativi. Qualche anno fa la Premier League inglese ha annunciato che studiava il progetto (che doveva essere messo in atto nella stagione 2010-2011) di esportare alcuni dei suoi incontri. Ciascuno dei venti club del campionato avrebbe disputato un 39° incontro della stagione (in gennaio), ossia avrebbe organizzato dieci incontri supplementari che sarebbero stati sorteggiati e messi all’asta nelle città candidate. Supposto che rientrassero circa sette milioni di euro per ciascun club, questo progetto mirava soprattutto al mercato assai redditizio dell’Asia e del vicino Oriente attraverso l’accoglienza degli incontri da parte delle grandi metropoli mondiali: Hong Kong, Singapore, Dubai, Pechino ma anche Sidney, New York, Los Angeles o ancora Johannesburg. Il progetto non ha per il momento visto la luce, incontrando l’ostilità dei tifosi inglesi, dei giornali, di alcuni allenatori e della federazione europea di calcio (UEFA) attraverso la voce del suo presidente Michel Platini.
In forma più modesta, il football francese si è impegnato dal 2009 in poi in una strategia di promozione internazionale attraverso l’organizzazione del trofeo dei Campioni (che oppone ogni estate il vincitore del campionato francese al vincitore della Coppa di lega) in territorio americano (a Montreal e poi a New York) e africano (Rades, Tangeri, Libreville).

La dispersione geografica dei tifosi

Gli sviluppi fin qui descritti hanno favorito l’emergere di club “acchiappa-tutto” nel senso in cui, relativamente staccati dal contesto locale, perfino dal quadro nazionale per quanto riguarda i più rinomati (preferibilmente rivolti alla assai redditizia Champions Ligue), tendono a coinvolgere un pubblico estremamente ampio e esteso su un piano spaziale.
La mediatizzazione delle competizioni europee, la diffusione dei campionati stranieri e la presenza di giocatori internazionali nei club nazionali incoraggiano un certo decentramento della prospettiva, la proiezione verso nuovi spazi e l’interesse per il calcio d’altri paesi. In Francia, in Inghilterra, in Germania etc., gli appassionati “europeizzano” le loro pratiche sviluppando in modo particolare degli interessi incrociati per numerose squadre, una specie di oggetti secondari di identificazione. Altri concepiscono una passione esclusiva per una squadra che non è la più vicina, in senso geografico, al loro luogo di residenza, perfino in alcuni casi collocata a parecchie migliaia di chilometri dal loro paese. La possibilità di seguire un club a distanza, l’attenzione spostata verso un “altrove calcistico” non sono fenomeni del tutto nuovi. Ma, una volta, una attitudine di questo genere era legata, in modo massiccio, alla situazione degli espatriati e, dunque, all’esistenza della diaspora. D’altra parte, le società situate nei paesi aventi una forte storia di emigrazione hanno da lungo tempo dei tifosi sparsi per il mondo: società italiane, spagnole, portoghesi, greche, scozzesi, etc. Giustappunto bisogna sottolineare il fatto che la televisione ha fortemente facilitato l’espandersi del fenomeno e di conseguenza la nascita, specialmente nelle grandi città cosmopolite come New York o Londra, di gruppi più o meno organizzati basati su una comune appartenenza di origine. A Parigi, i tifosi del Benfica Lisbona (raggruppati all’interno della Casa Benfica nel 14° distretto) possono trovarsi fianco a fianco, tra gli altri, con i tifosi del Napoli, della Lazio e della Roma, della Juventus, del Galatasaray, dell’Arsenal, del Celtic Glagow, del Boca Juniors, ma anche del Nantes, del Saint-Etienne, dell’Olimpique di Marsiglia e del PSG. Caffè e Pub sono allora luoghi privilegiati di raduno, una sorta di sostituto degli stadi, più difficilmente accessibili a causa della lontananza geografica.

Il rinnovamento dei sentimenti di appartenenza

Tuttavia la televisione genera una continuità che non dipende più soltanto dagli espatriati.
Ormai sono coinvolti individui che non hanno alcun legame tangibile con la città o la regione in cui le società sono impiantate. In questi casi le adesioni si basano sulla logica emozionale. La società prescelta è quella che fa vibrare per ragioni sportive: il suo gioco, i suoi giocatori o i suoi successi. In Francia, la vittoria dell’OM nella finale della Coppa dei campioni del 1993 contro il Milan ha notevolmente stimolato le identificazioni extraterritoriali. Ma è appurato che l’attrazione a distanza è tanto più generalizzata, intensa e duratura quando le società dispongono di una storia sportiva antica, sono dotate di un’identità marcata legata agli attori che hanno fatto questa storia (giocatori, dirigenti, tifosi) e che sono inseriti in rapporti di competizione con altre società provviste di qualità analoghe. Le squadre, infatti, sono considerate nella loro relazione reciproca e il sostegno a una società è anche una presa di posizione contro una o più società avversarie.
In altri termini, essendo basata sulle rappresentazioni associate alle squadre presenti sulla scena mediatica, l’identificazione non poggia unicamente su aspetti sportivi, ma possiede una forte dimensione simbolica e fantasmatica.
Così accade ad esempio per il PSG e l’OM in Francia che sembrano incarnare, agli occhi dei loro sostenitori, due opposti universi che fanno sistema e cristallizzano tutto un immaginario sociale, culturale, finanche politico. I sostenitori dell’OM, presenti su tutto il territorio nazionale compresa la regione di Parigi, associano il club della capitale al potere e all’establishment, ai media (visto che Canal Plus è stato l’azionista principale tra il 1991 e il 2006) e al show-biz ma anche ai “Fachos” (incarnati da una frangia minoritaria ma molto mediatizzata di hooligans che occupano la tribuna Boulogne a partire dagli anni 80).
Per contrasto, l’OM è percepito come il rappresentante dell’”anticapitalismo” francese, del popolo e del cosmopolitismo, dell’arte di arrangiarsi e dell’anticonformismo, della passione e del calore mediterraneo. Altrettanti aspetti e valori nei quali le persone possono riconoscersi attraverso una specie di scelta volontaria, pur non essendo di origine marsigliese. Al punto che il calcio sembra costituire un buon rivelatore di quei “nuovi sentimenti d’appartenenza sempre meno collegati alla collocazione fisica in un dato territorio.” [R.Poli “Football et identité”, Neuchatel 2005].
Allora, dobbiamo ipotizzare un calcio sradicato, sul modello di un mondo deterritorializzato? Da un lato, le trasformazioni che riguardano il calcio tendono a cancellare sempre più i riferimenti locali. Dall’altro però, gli appassionati continuano malgrado tutto a coltivare il rapporto col territorio, ma quest’ultimo è cambiato nei fatti ed è divenuto molto più complesso. Reinventato, è organizzato dentro nuovi perimetri, intorno a una periferia dai confini ampi e fluidi, dove si trovano attualmente sostenitori a distanza, e intorno a un centro dove si collocano in particolar modo i luoghi alti che simboleggiano la squadra.

L’attrattiva dei luoghi alti centrali

Sono numerosi i sostenitori a distanza che cercano di recarsi nella città che ospita il loro club feticcio. La proiezione immaginaria verso la squadra viene quindi raddoppiata da un rapporto fisico con uno spazio. Alcuni si rivolgono a offerte private provenienti da agenzie di viaggio che propongono soggiorni “chiavi in mano”. Altri si mettono insieme per dividere le spese e autorganizzare spostamenti collettivi in auto o minibus. Presenti in tutta la Francia ma anche in Belgio, in Svizzera, in Germania, i gruppi che sostengono l’OM (un centinaio nel 2009) basano l’essenziale della loro attività su dei viaggi sistematici per seguire il club. Una simile osservazione può essere fatta al riguardo di altre squadre europee. Il Barcellona, per esempio, tiene in piedi una rete mondiale di 1.450 penas (tifosi della squadra)
Permettendo di scoprire i luoghi, i personaggi e le situazioni, a lungo immaginate attraverso il prisma della televisione e dei giornali, l’atto di presenza nei luoghi più possibili vicini al club è percepito come una maniera di confortare e autentificare la passione. Strutturando lo spazio investito dai sostenitori a distanza, organizzando il loro cammino, parecchi tipi di luoghi alti possono essere raggiunti. Il giorno dell’incontro è dapprima l’occasione di una esplorazione parziale e “orientata” della città. I tifosi a distanza cercano allora di camminare sulle tracce della società e della comunità dei suoi partigiani. I caffè o i pub conosciuti per la visione collettiva degli incontri o per il fatto di accogliere la sede di una tifoseria, le boutiques del club che espongono magliette, scarpe etc. sono così dei passaggi obbligati. L’acquisto di prodotti derivati nutre il sentimento di identificazione e si inserisce più profondamente nella memoria della visita che passa anche attraverso l’uso importante della fotografia. Ma è soprattutto lo stadio l’oggetto di tutte le attenzioni. Sovraccaricato di significato, appare come il cuore del territorio del club e vivere un incontro dalle tribune è un’esperienza emozionale forte. E’ dunque una certa rappresentazione della città, come spazio dedicato al calcio, che anima l’azione dei sostenitori a distanza. Frequentando questi luoghi emblematici, sono portati a entrare in contatto con i sostenitori che vivono nella prossimità immediata del club. Ora, se le forme del seguito calcistico si ricompongono, l’attaccamento alla squadra locale perdura e il riferimento al territorio rimane forte.

L’esaltazione dell’identità locale come reazione

A partire dagli anni 80, lo sviluppo di una modalità di tifare fino all’estremo, denominata “ultras”, che rivendica la sua indipendenza nei confronti dei dirigenti delle società, corrisponde specularmente al processo di razionalizzazione economica del calcio. Non essere semplici spettatori ma essere protagonisti dello spettacolo (attraverso l’animazione nelle tribune, una specie di spettacolo nello spettacolo) rifiutare di essere trattati come clienti, avere una visione critica della vita del club, formano il progetto di questi tifosi. Abilmente organizzati, agiscono come gruppi di pressione difensivi per elementi che vanno oltre la difesa dei colori storici o della bandiera della squadra, come la scelta del giorno e degli orari degli incontri influenzato dalle televisioni, l’eccesso di commercializzazione, i prezzi dei posti etc.. Piccoli giornali autoprodotti, volantini, scioperi del tifo, boicottaggio delle partite, sollecitazioni per i dirigenti con canti e striscioni e ancora le manifestazioni sono i mezzi espressivi utilizzati da parecchi anni dai tifosi ultras. “I giocatori, gli allenatori, i dirigenti e gli azionisti passano, solo i tifosi restano fedeli”, questa potrebbe essere in definitiva la formula che riassume il sentimento dominante tra questi appassionati che si definiscono cittadini fieri della loro città o della loro regione. Così si sono poco a poco posti come i rappresentanti e i garanti dell’identità e dei valori emblematici di un territorio di cui il club è portatore, insomma di un certo patrimonio. Da allora “l’attaccamento al territorio” è in questo caso il primo criterio di definizione di un tipo di tifo “autentico”, più ancora di quanto lo siano la passione o le conoscenze in materia di calcio: colui che non ama la sua città o la sua regione non può essere un buon tifoso.

Mobilitazione per l’ancoraggio spaziale

Al di là della promozione dell’identità locale assicurata dai sostenitori ultras, fioriscono le mobilitazioni per difendere l’ancoraggio spaziale delle società. E’ particolarmente vero per le questioni che riguardano gli stadi, che non sono soltanto, agli occhi del pubblico, dei luoghi per vedere giocare a calcio. Questi appaiono come figure della memoria collettiva e d’una storia comune che è giusto rispettare, perfino riverire e onorare. Tutto un linguaggio patrimoniale che paragona il recinto a un monumento dello sport locale può cristallizzarsi talvolta al momento delle operazioni di naming (il fatto di attribuire alla squadra il nome di uno sponsor) e più ancora per ciò che concerne le ricollocazioni e i traslochi. A Parigi, quando i nuovi dirigenti del PSG hanno per un certo periodo progettato di lasciare il Parc des Princes o di demolirlo per costruire un nuovo stadio, si è formato nel 2012 un collettivo di appassionati di lunga data del club allo scopo di contestare questo progetto con la creazione di un manifesto dal titolo “Giù le mani dal mio Parc” e ha cercato di mobilitare il sostegno soprattutto da parte degli amministratori locali.
L’Inghilterra conosce esempi di azioni più clamorose. Nel 2003, il Wimbledon FC, situato a Sud di Londra, presieduto da un imprenditore sud-africano e il cui principale azionista è Norvegese, lascia la capitale inglese secondo il metodo delle franchigie nord-americane per installarsi a un centinaio di Chilometri più a Nord, a Milton Keynes, dove è stato costruito uno stadio nuovo fiammante con 28.000 posti. Nel momento in cui la squadra è passata in seconda divisione, il dislocamento è stato presentato come prima tappa della riconquista della posizione di prestigio occupata tra il 1986 e il 2000. Si forma subito una cooperativa di tifosi dissidenti. Denominata Dons’Trust , fonda una squadra concorrente, l’AFC Wimbledon, rappresentante del club autentico. Questa nuova società ha adottato i colori originali del Wimbledon e passa oggi in quarta divisione. Quanto al Wimbledon FC, è diventato nel 2004 il Milton Keynes Dons FC, vegeta in terza divisione e ha dovuto restituire, sotto le pressioni ricevute, alla città di Wimbledon tutti i trofei conquistati all’epoca dell’Wimbledon FC.
La visione patrimoniale, culturale e sociale portata avanti da alcune tifoserie trova dopo qualche anno una traduzione economica attraverso la crescita dell’azionato popolare. Fondato nel 2000 in Inghilterra, oggi esteso a tutta l’Europa e beneficiando del sostegno della commissione europea, Supporters Direct è un’associazione che opera per riformare la governance del calcio incoraggiando la partecipazione attiva dei sostenitori nel capitale dei club. Ad esempio, in Francia, sostiene il progetto intorno al FC Nantes portato dai collettivi alla Nantaise.
Queste diverse iniziative ricordano che le società di calcio sono qualcosa di più che imprese private di spettacolo. Ancorate da decenni su un territorio, incarnano una comunità, la sua storia, il suo immaginario. In breve, hanno un significato sociale, elemento fondamentale della loro popolarità. Lavorare con i tifosi, riflettere sull’appropriazione degli stadi da parte del pubblico, valorizzare la loro ricchissima storia (che non si riassume con l’esposizione dei trofei e con una narrazione epica), mostrare il loro profondo radicamento nella società locale sono ben lungi dal significare il ripiegamento sul passato ma costituiscono, al contrario, altrettanti assi di sviluppo. Un club non è mai così forte e attrattivo, ben al di là del suo ambiente prossimale, di quando esprime un’identità territoriale consolidata. Detto in altri termini, la tradizione non entra in conflitto con la modernità, ma ne è la chiave di volta.

*Tradotto da Rosalba Volpi dalla rivista francese “Mouvements” 2014/2 n. 78 da pag. 13 a pag. 23.

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