Guerre, le armi italiane nei conflitti

Da Roma il 41% dell’export bellico Ue in Israele. Ad Assad fortini equipaggiamenti per 17 miliardi.

La destra spagnola al governo di Mariano Rajoy ha sospeso, «in via cautelativa», la vendita di armi a Israele. In Gran Bretagna, dopo un acceso dibattito in parlamento, anche l’esecutivo conservatore di David Cameron è intenzionato a limitare il suo export bellico a Tel Aviv. Il timore di Londra riguarda 12 licenze di «componenti che possono essere parte dell’equipaggiamento impiegato dall’Israel defence forces a Gaza», se la tregua nella Striscia dovesse saltare.

SILENZIO IN AULA. In Italia, invece, nessuna discussione in Aula e neanche nessun annuncio di valutare la questione dello stop delle commesse, come chiesto, tra gli altri, da Emergency con un appello e da Sinistra ecologia e libertà con un’interrogazione alla Camera.

CON GAZA E CON ISRAELE. Sulla guerra di Gaza, il ministro degli Esteri Federica Mogherini ha salomonicamente inviato a «non cedere all’idea che ci si debba dividere tra gli amici di Israele e quelli della Palestina, e che si debba scegliere da che parte stare nel conflitto tra due disperazioni e tra due esasperazioni».

30 M-346 VERSO TEL AVIV. In merito alla polemica sulla commessa dei 30 aerei M-346 da addestramento della Alenia Aermacchi (gruppo Finmeccanica) – due dei quali consegnati a luglio per il training dei piloti dei cacciabombardieri israeliani e potenzialmente trasformabili, per diritto di acquirente, in bombardieri leggeri – il ministro della Difesa Roberta Pinotti ha dichiarato che «l’Italia è da sempre sensibile alle esigenze di sicurezza di Israele, non fornendo però al Paese sistemi d’arma di natura offensiva».

BOOM DI EXPORT ITALIANO. Nessuna ammissione sul fatto che il nostro Paese sia, per forniture, il primo armatore di Israele dell’Unione europea. Il volume di vendite è equivalente quasi a quello di Francia, Germania e Gran Bretagna messe insieme, come spiegato da Rete italiana per il disarmo, la cui richiesta di stop all’export è stata egualmente ignorata da Roma: nel Partito democratico, solo la fronda guidata da Pippo Civati ha aderito all’appello.

Sia chiaro, l’Italia non ha accresciuto solo la quantità di armamenti a Israele: negli ultimi 10 anni, ha puntato a rafforzare il giro di commesse orientali, verso India, Pakistan e le tigri del Sud Est asiatico.

Oltre il 40% delle armi Ue vendute allo Stato ebraico sono italiane

Dai dati aggiornati dell’Osservatorio permanente sulle armi leggere e sulle politiche di sicurezza e difesa (Opal), che ha accorpato diverse statistiche anche dai rapporti annuali Ue sul settore, verso Israele nel 2012 sono state rilasciate autorizzazioni per l’export italiano di sistemi militari per oltre 470 milioni di euro.

Un’indagine Comtrade ha poi rivelato che, dal 2008 al 2012, quasi altri 16 milioni di euro sono derivati dalla vendita di armi leggere a Israele.

Allo stato attuale, oltre il 41% del totale degli armamenti regolarmente esportati dall’Ue verso Israele è di produzione italiana.

GLI ACCORDI DEL CAV. Dell’exploit è stata galeotta anche l’amicizia tra l’ex premier Silvio Berlusconi con le lobby della destra israeliana, al potere alternato con i governi di Ariel Sharon e Benjamin Netanyahu, foriera del Memorandum del 2003 tra Israele e Italia (legge nel 2005) nel settore militare e della difesa.

LE FORNITURE DI MONTI. Decisivo, in questa cornice, è stato il successivo accordo del 2012 del governo di Mario Monti «per la fornitura a Tel Aviv di velivoli per l’addestramento al volo e dei relativi sistemi operativi di controllo»: gli M-346 di ultima generazione che l’Israeli air force ha salutato come l’inizio di «una nuova era» e che frutteranno alla Alenia Aermacchi, con la consegna entro il 2016, introiti per oltre 600 milioni di euro.

ESERCITAZIONI CONGIUNTE. La linea Berlusconi-Monti è stata sostanzialmente confermata dal governo bipartisan di Matteo Renzi. E tra le imprese italiane che commerciano armi con Israele, figurano anche Simmel Difesa, Beretta, Northrop Grumman Italia, Galileo Avionica, Oto Melara ed Elettronica spa.

Il rafforzamento della collaborazione tra l’industria bellica italiana e quella israeliana (con relativo acquisto, nell’ultimo biennio, di quasi 51 milioni di euro armi da Israele) è stato suggellato, secondo il Programma per il secondo semestre 2014 del ministero della Difesa italiano, dalla concessione del poligono sardo di Capo Frasca, per esercitazioni che da settembre coinvolgeranno caccia di Tel Aviv oltre a quelli di Paesi alleati.

Roma guida la crescita del commercio bellico in Europa

I dati sulla crescita dell’export italiano non riguardano solo le forniture a Israele. Secondo uno studio del 2013 del colosso statunitense Ihs Global Insight, specializzato in ricerche di mercato, il primato del trend europeo è soprattutto merito dell’Italia: dal 2008 al 2012 le aziende del nostro Paese hanno fatto segnare un boom del 58%, contro, per esempio, il +13% delle commesse della Francia.

FINMECCANICA LEADER. In un contesto globale del +30% del commercio di armi, la quota italiana risulta salita dal «2,6 al 3,4%», con Finmeccanica leader, al terzo posto in Europa e al nono nell’industria mondiale della difesa.

A investire si va soprattutto nel grande mercato asiatico, dove i budget per gli armamenti delle potenze emergenti sono in espansione e sono destinati a sorpassare, entro il 2021, le spese della Difesa di Stati Uniti e Canada.

DIVERSIFICARE IL MERCATO. Come l’Opal, nel 2013 gli attivisti inglesi di Campaign against arms trade hanno accorpato diversi dati sulla vendita di armi, dai quali emerge come, tra il 2001 e il 2011, l’Italia abbia diversificato il suo export di armi, allargandolo dai Paesi del blocco atlantico al Medio Oriente e al Pacifico.

CONTRATTI CON L’ARABIA. Primi clienti, con commesse fino a 5 miliardi di euro, sono rimaste Germania e Gran Bretagna. Ma oltre che con Usa, Spagna e Francia, le aziende italiane hanno firmato contratti per un export fino a 3 miliardi di euro anche con l’Arabia Saudita (primo partner non europeo, soprattutto per aerei e droni), Turchia (maggior acquirente di armi pesanti) e India (maggior acquirente di armi leggere).

SOSTEGNO AI SOLDATI SIRIANI. I circa 17 milioni di euro in licenze per equipaggiamenti militari all’esercito di Bashar al Assad, su un totale di 28 milioni – molto più dei 2,5 milioni degli inglesi, secondi rivenditori del regime – hanno poi fatto dell’Italia il primo fornitore europeo di Damasco, almeno fino alla vigilia della guerra civile.

In attesa dei nuovi dati completi sul 2013, altri grandi mercati dell’ultimo decennio per l’Italia, con commesse fino a 1 miliardo di euro, oltre la Polonia, sono state infine la Libia di Mu’ammar Gheddafi, gli Emirati Arabi, il Pakistan e la Malesia: in effetti, prima di atterrare a Israele, gli M-346 avevano già raggiunto Kuala Lumpur e Abu Dhabi. E nuove partnership per l’industria della Difesa sono in preparazione con Singapore.

di Barbara Ciolli

Tratto da http://www.lettera43.it/

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