Risposta alla domanda: che cos’è l’autonomia? La Convivialità di Ivan Illich, parte terza

Continua da Risposta alla domanda: che cos’è l’autonomia? la convivialità di Ivan Illich, parte seconda

3. Conseguenze politiche: lotte conviviali e non conviviali

Volendo trarre delle conclusioni politiche dalle analisi di Illich, prendiamo in considerazione innanzi tutto la sua critica dell’interpretazione del pensiero marxista data nei paesi del socialismo reale. Egli infatti sostiene che tali paesi, in quanto attuano un monopolio radicale dell’industria paragonabile, anzi, che si paragona direttamente ai paesi capitalisti, non siano affatto società conviviali e che perciò non rappresentino affatto una reale alternativa al capitalismo.

Il monopolio dell’interpretazione industriale del marxismo funge da barriera e mezzo di ricatto contro ogni forma del marxismo giudicata eterodossa perché industrialmente poco efficiente. […] L’interpretazione esclusivamente industriale del socialismo fa sì che comunisti e capitalisti parlino lo stesso linguaggio, misurino in maniera analoga il grado di sviluppo raggiunto da una società. (pag. 48)

Ma dire che i paesi “comunisti” e quelli capitalisti parlano la stessa lingua equivale a dire che sono, in fondo, la stessa cosa e che quindi, poiché è venuto prima il capitalismo, si tratta semplicemente di due varianti del capitalismo stesso. Ovvero, quello dei paesi socialisti in realtà non è vero socialismo. La realizzazione di quest’ultimo di conseguenza coincide con l’instaurazione di una società conviviale. “L’ideale proposto dalla tradizione socialista non si tradurrà nella realtà se non si invertono le istituzioni regnanti e non si sostituisce l’attrezzatura industriale con strumenti conviviali.” (pag. 30)

Quindi il socialismo, secondo Illich, non può essere realizzato secondo i criteri del monopolio radicale del modo di produzione induatriale, ma potrà realizzarsi solo se coloro che porteranno avanti l’abolizione dello stato di cose presente si metteranno in una ottica conviviale. Altrimenti non faranno che riprodurre lo stato di cose presente, invece di abolirlo.

Come dicevo all’inizio, ci interessa Illich perché sembra un autore importante per definre in che cosa consista la tanto decantata autonomia rivendicata da diversi gruppi politici oggi attivi in Italia. A tale proposito è particolarmente interessante il seguente passo:

Mentre la crescita dell’attrezzatura aldilà delle soglie critiche non fa che produrre uniformazione regolamentata, dipendenza, sopraffazione e impotenza, la scelta austera dello strumento conviviale è garanzia d’una libera espansione dell’autonomia e della creatività umane. (pag. 42)

Può sembrare strano, oggi in Italia, che ciò che porta all’autonomia risulti essere una scelta austera. L’austerità ha per noi oggi un significato negativo, che associamo istintivamente alla crisi economica che incombe ormai da sei anni sulle nostre teste.

È diventato un luogo comune l’analisi del concetto di crisi secondo il doppio ideogramma cinese che rappresenta questo concetto: com’è noto, esso è composto dal “pericolo” e dalla “opportunità”. Chi porta avanti lotte contro lo stato di cose presente, e si pone perciò dalla parte dei subalterni, vede nella crisi un pericolo, o meglio, questo è ciò che traspare dalla retorica di queste lotte, che ha la tendenza spesso ad enfatizzare la minaccia per surriscaldare gli animi.

Io invece sono dell’avviso che bisognerebbe iniziare ad esaltare, anche a livello retorico, l’opportunità che la crisi ci offre di mettere in questione il nostro stesso stile di vita, che è quello che ci lega mani e piedi all’attuale ordine sociale. Non diversamente la pensava Illich, il quale scriveva nel ’73, proprio l’anno dell’inizio della crisi energetica che portò ad un vertiginoso aumento del prezzo del petrolio e che costrinse diversi paesi dell’Europa occidentale alla famigerata Austerity. Le misure varate qui in Italia dall’allora presidente del consiglio Rumor furono drastiche e chi le ha viste probabilmente ancora se le ricorda.

Scriveva Illich a quei tempi che “[…] la crisi aperta delle istituzioni dominanti va salutata come l’alba di una liberazione rivoluzionaria nei confronti di quelle che mutilano la libertà elementare dell’essere umano al solo scopo di ingozzare un sempre maggiore numero di utenti. Questa crisi mondiale delle istituzioni può farci pervenire ad un nuovo stato di coscienza circa la natura dello strumento e l’azione da condurre perché la maggioranza della gente ne assuma il controllo.” (pag. 30)

D’altra parte sapeva bene che questa presa di coscienza non era facile: una dismissione dell’industria potrebbe sembrare una minaccia innanzi tutto per chi ha di meno. Come si fa a salutare con gioia una situazione che manda sul lastrico le persone, che le butta in mezzo di strada e le affama? Come si fa a pensare che in una situazione del genere bisogna produrre di meno?

[…] il passaggio dall’attuale stato di cose a un modo di produzione conviviale rappresenterà per molti una minaccia alla loro stessa possibilità di sopravvivenza. Secondo l’uomo dall’immaginazione industrializzata, i primi a soffrire e a soccombere a causa dei limiti imposti all’industria sarebbero i poveri. (pag. 30)

Illich non nega che questo modo di vedere le cose sia in parte giusto: il passaggio alla società conviviale ha un costo, e neanche basso. Si tratta di affrontare un travaglio sociale e personale non indifferente, rinunciando a tante delle cose che oggi ci vengono somministrate senza troppe preoccupazioni per noi, a tante delle comodità alle quali siamo abituati. “Il passaggio a una società conviviale sarà accompagnato da sofferenze estreme da una parte e dall’altra. […] Perché sia possibile, la sopravvivenza nell’equità esige sacrifici che sarebbero insostenibili se non fossero scelti consapevolmente.” (pagg. 32-33)

Per questo c’è bisogno di un nuovo stato di coscienza. E coloro che intendono superare lo stato di cose presente non possono esimersi dagli aspetti negativi di questo superamento, non possono rifiutare i sacrifici e le privazioni necessarie affinché il passaggio sia realizzabile. Non si può pensare che la rivoluzione sia fattibile senza sforzo, che possa arrivare grazie ad un po’ di impegno investito nei tempi morti fra lo studio, il lavoro e le uscite con gli amici.

Ma d’altra parte non possiamo nemmeno scoraggiarci e pensare che un simile passo sia troppo difficile o troppo pericoloso. Come già sapeva Kant, a cercare di convincerci di ciò ci sono già quelli che vogliono continuare a tenerci in uno stato di minorità, di eterna adolescenza, impedendoci di raggiungere l’autonomia.

A far sì che la stragrande maggioranza degli uomini (e con essi tutto il bel sesso) ritenga il passaggio allo stato di maggiorità, oltreché difficile, anche molto pericoloso, provvedono già quei tutori che si sono assunti con tanta benevolenza l’alta sorveglianza sopra costoro.

Dopo averli in un primo tempo instupiditi come fossero animali domestici e aver accuratamente impedito che queste pacifiche creature osassero muovere un passo fuori dal girello da bambini in cui le hanno imprigionate, in un secondo tempo mostrano ad esse il pericolo che le minaccia qualora tentassero di camminare da sole. (Risposta alla domanda: che cos’è l’Illuminismo? Cit.)

Diventa chiaro allora perché l’austerità è la virtù dell’uomo conviviale. Essa è la capacità di rinunciare al superfluo e al nocivo, anche e soprattutto quando si presenta sotto forma di servizi utili e di comforts. Solo a chi è capace di queste rinunce si dischiude la gioia di una vita nella società conviviale, il cui frutto più bello, aldilà dell’autonomia individuale, è la possibilità di vivere relazioni umane degne di questo nome, di riscoprire il senso di nozioni comuni come quella di amicizia.

L’uomo che trova la gioia nell’impiego dello strumento conviviale io lo chiamo austero. […] L’austerità non significa infatti isolamento o chiusura in se stessi. Per Aristotele come per Tommaso d’Aquino, è il fondamento dell’amicizia. Trattando del gioco ordinato e creatore, Tommaso definisce l’austerità come una virtù che non esclude tutti i piaceri, ma soltanto quelli che degradano o ostacolano le relazioni personali. L’austerità fa parte di una virtù più fragile, che la supera e la include, ed è la gioia, l’eutrapelia, l’amicizia. (La convivialità, pag. 15)

Queste riflessioni gettano una differente luce sui recenti “movimenti contro l’austerity”, nati sulla scia dei provvedimenti presi dai governi degli ultimi anni a partire da quello di Mario Monti per far fronte alla crisi. Risulta evidente che se in qualche modo essi puntano ad una forma sociale di autonomia, hanno mancato completamente il bersaglio sia dal punto di vista teorico che da quello retorico: la crisi è un’opportunità per iniziare a configurare una società conviviale, e l’austerità che ci viene imposta deve tramutarsi in una virtù che ci permetta il cambiamento.

Di conseguenza bisogna stare attenti al messaggio che si manda con campagne come quella sulla riduzione delle bollette: esse contengono un contenuto di segno opposto alla convivialità, e sono perciò fortemente contrarie all’autonomia. Infatti pretendere di ricevere l’erogazione dei servizi senza nemmeno pagarli, se diventa un fine politico e non un mezzo, promuove una forma di vita parassitaria rispetto all’attuale ordine sociale, che è quanto di più distante dal soddisfare i bisogni con le proprie forze. In pratica è come chiedere di vivere da carcerati.

Con questo non intendo sostenere che bisogna pagare le bollette o che, mettiamo, è sbagliato occupare gli stabili sfitti di proprietà degli speculatori. Dico solo che il ragionamento dev’essere più ampio e che bisogna stare molto attenti ai nomi che diamo alle cose, alle parole che usiamo, alle retoriche che mettiamo in campo, per evitare che ciò che facciamo diventi un boomerang e si rivolga contro i nostri stessi intenti.

D’altra parte proprio qui a Firenze c’è un progetto politico che ha indubbi tratti di convivialità, ed è l’Assemblea per Mondeggi bene comune, e che recentemente ha fatto un notevole balzo in avanti avviando il presidio contadino nell’ex-azienda agricola di Mondeggi, per far rinascere questa risorsa del territorio.

Le diverse direzioni in cui si articola il progetto rispondono puntualmente alle cinque dimensioni dell’equilibrio indicate da Illich: la difesa di questi duecento ettari di terreno coltivabile dalla speculazione assume proprio la forma di una difesa dell’equilibrio ecologico attraverso la promozione “dell’agricoltura contadina come strumento di autodeterminazione alimentare e salvaguardia del patrimonio agro-alimentare, e sostenere un’agricoltura naturale nel pieno rispetto dell’ambiente, degli esseri viventi e della dignità umana.” (Art. 5 della carta dei principi).

Inoltre “sostenere esperienze di ritorno alla terra come scelta di vita e opportunità di lavoro alternativo al lavoro dipendente attraverso forme di autogestione” (art. 4) è senz’altro un tentativo di risposta al monopolio radicale dell’industria nel rispondere ai bisogni. Come anche “ generare ricchezza diffusa (sociale, ambientale, relazionale) costruendo un’economia locale che si autosostiene, che conserva il patrimonio naturale ed edilizio e lo mantiene accessibile e fruibile” (art. 3)

La promozione dell’agricoltura contadina si dovrebbe sviluppare anche attraverso la costituzione di una vera e propria “scuola”, termine che di per sé non piacerebbe ad Illich, ma sicuramente apprezzerebbe la diffusione e la condivisione di saperi sulla coltivazione che di certo vanno contro la superprogrammazione e la perdita di intenzionalità. E si oppone anche all’obsolescenza ricostruendo il contatto con le tradizioni contadine.

Infine l’accento posto sull’autogestione e sulla dimensione comunitaria del progetto Mondeggi si oppone evidentemente ad ogni forma di polarizzazione del potere e della produzione.

Nell’articolo 7 emerge anche la virtù dell’austerità (qui chiamata sobrietà, perché il termine austerità non gode di molte simpatie oggi): “Promuovere stili di vita sobri basati sulla pratica: -di forme di autocostruzione e autorecupero. -dell’autosufficienza energetica con tecniche povere e nuove tecnologie che non compromettano la vocazione agro-alimentare della terra.”

Insomma, si tratta di un progetto politico con tutti i requisiti per essere considerato “conviviale”.

Posso solo augurarmi che il progetto che sta prendendo forma a Mondeggi sia non solo di esempio per permettere il decollo di altre situazioni analoghe, ma che fornisca anche un modello “teorico” per progetti politici di altra natura ma che hanno bisogno di altrettanta chiarezza sui propri intenti.

-Purple Pain

Leggi anche:

Risposta alla domanda: che cos’è l’autonomia? la convivialità di Ivan Illich, parte seconda

Risposta alla domanda: che cos’è l’autonomia? La Convivialità di Ivan Illich, parte prima

Podolinskij e Marx, una traccia teorica perduta?

Avviato il presidio contadino a Cuculia per far rinascere Mondeggi

A proposito dei test Invalsi

Il primato dei beni non esclusivi come chiave dello sviluppo umano pleromatico

La bolla scientifica e tecnologica

Politiche industriali di sinistra o lotta di classe?

La produzione peer to peer come alternativa al capitalismo

La classe non è acqua. Un’antologia sulla categoria di classe in Marx

ALLE ORIGINI DELLA CRISI: ovvero dell’insostenibilità del capitalismo

La forza delle mediazioni e il bisogno di organizzazione

Lo spazio-tempo capitalistico e il suo sviluppo tendenziale

La classe “fuzzy” del 99%

Facebook

YouTube