Livorno – L’ossessione per il nuovo ospedale: Rossi e il supremo sprezzo del ridicolo

rossi-640Capiamo perfettamente che, a meno di un anno dalle prossime elezioni regionali, il reuccio di Bientina Enrico Rossi cerchi in tutti i modi di distribuire appalti.

In tutti questi anni ormai abbiamo imparato a conoscerlo: la Toscana è diventata un feudo personale dove le comunità locali non contano niente e il territorio è terra di conquista per i cementatori di ogni genere.

Ma come farà Rossi a costruire il nuovo ospedale senza il consenso del Comune di Livorno non ci è chiaro: forse intende comprarsi un terreno edificabile e farlo costruire lì.

Ed è davvero divertente che il Pd locale e regionale stia proponendo un secondo referendum sul nuovo ospedale, sia perché su questo tema hanno straperso il primo e probabilmente anche le elezioni amministrative, sia perché i dirigenti (locali e nazionali) di questo partito non sono mai stati particolarmente entusiasti quando si è trattato di ascoltare l’opinione dei cittadini. In città nessuno si è dimenticato dello scippo del referendum sull’offshore, che fu impedito con qualche artificio di dubbia legittimità, e degli esiti tragicomici di Cisternino 2020. Ma per ricordare chi sono gli attuali paladini della partecipazione vale la pena di ripercorrere brevemente la storia del referendum sul nuovo ospedale.

La partecipazione ai tempi del Pd

La proposta di questa consultazione popolare fu accolta con ostentato fastidio: al momento della raccolta delle firme Marco Ruggeri, il doppio consigliere del Pd livornese e regionale, aveva dichiarato: “Non credo che per discutere occorra un referendum”.

L’assessore Nebbiai non mancò di sottolineare con molta eleganza che il costo per le casse comunali sarebbe stato di ben 470mila euro.

Il “governatore” Enrico Rossi disse: “se le imprese decidessero di fare ricorso potrebbero buttare all’aria il bando [falso, n.d.a.] e farci soffrire non poco. Ho l’impressione che ci sia un’opposizione che fa battaglie sul nulla e discute solo per affermare la propria identità”. E con il suo solito rispetto per la volontà dei cittadini tenne a sottolineare che, comunque fosse andata, il nuovo ospedale si sarebbe fatto lo stesso, anche se in un luogo diverso da quello previsto. L’ha detto allora e lo ripete oggi.

In campagna elettorale, si badi bene, il sindaco Cosimi non aveva dato indicazione per l’astensione ma si era “impegnato a difendere il progetto della sua giunta e invitare i cittadini a votare a favore del nuovo ospedale”.

A sostenerlo Tirreno, Confindustria, Cna e vari “vip” cittadini, come Maurizio Viti, medico e consigliere comunale (piuttosto assenteista) del Pd, che gettò sulla bilancia tutto il suo prestigio di primario ospedaliero: “Se passa il referendum potrei decidere di prendermi i miei 500 giorni di ferie e di andare in pensione dopo. Di lasciare l’ospedale insomma”.

Perfino il vescovo durante la Messa in Duomo si lanciò in un’appassionata omelia, nella quale proclamò: “E son trecento milioni di lavori: lavori pubblici, appalti, reclutamento di manodopera locale, misure anticrisi”.

L’alto prelato deve aver equivocato il Terzo comandamento, interpretandolo in modo un po’ distorto: “Ricordati di cementificare le coste”.

Alla fine il referendum ci fu e, come si ricorderà, vi parteciparono 28mila livornesi. Di questi circa 21mila manifestarono la loro contrarietà e solo 7 mila votarono a favore: il 5% dell’intero corpo elettorale.

Una sconfitta nettissima del progetto, ma perché il referendum fosse valido era necessaria un’affluenza del 50%, quorum altissimo se si tiene conto che alle precedenti elezioni regionali si era arrivati appena al 55%.

Il Pd probabilmente sapeva che avrebbe ottenuto pochi consensi e per tener basso il quorum erano stati messi in atto tutti i meccanismi possibili e immaginabili: dalla riduzione e spostamento dei seggi alla concessione del voto a circa 8mila stranieri e sedicenni tornati poi naturalmente nel dimenticatoio, alla natura di referendum “consultivo” sottolineata più volte per anticipare che se il risultato fosse stato sfavorevole si sarebbe fatto il contrario di quanto deciso dagli elettori.

Ci si mise anche il tempo: quella giornata di novembre fu fredda e piovosa, e il Comune si salvò in corner.

L’esultanza di amministratori e funzionari piddini fu piuttosto scomposta, come se la mancata partecipazione fosse un vanto di cui prendersi il merito. E come se l’astensione corrispondesse a un voto favorevole alla costruzione del nuovo ospedale.

Precedenti che tolgono ogni legittimità all’improvvisa passione per i percorsi partecipativi dei dirigenti piddini, e in particolare del “governatore” Rossi, indagato per il famoso “buco” dell’Asl di Massa e che ha già annunciato la ricandidatura anche in caso di rinvio a giudizio.

Rossi è veramente il primo paladino della partecipazione popolare.

È quello che parla diun ambientalismo cattivo, di destra,che persegue un’ecologia antimodernista, nemica dello sviluppo, ovvero coloro i quali sono contrari alla Tav ed agli inceneritori”.

E su Rossi vale la pena di ricordare una storia molto istruttiva avvenuta a pochi chilometri da qui ma che dalle nostre parti non è molto conosciuta. È la storia del pirogassificatore di Castelfranco di Sotto.

Un precedente illuminante

Nel 2009 la ditta Waste Recycling presenta al Comune di Castelfranco di Sotto un progetto per l’attivazione di un “pirogassificatore” nel suo territorio.

Il “pirogassificatore” è un inceneritore di rifiuti speciali sotto falso nome (come accade nel caso dei più noti “termovalorizzatori”) per dare ad intendere che si tratta di un impianto di nuova concezione. Il brevetto è della NSE di Empoli.

Il presidente della Waste Recycling è l’ex vicesindaco piddino di Santa Croce, mentre nella NSE sono presenti la figlia di un altro sindaco piddino e Agostino Fragai, ex assessore regionale piddino, alle relazioni esterne. Al progetto partecipa anche la finanziaria della Regione, la FIDI Toscana.

Nel 2010 Asl, Arpat e Autorità di Bacino decidono che per attivare l’impianto brucia-monnezza non c’è nemmeno bisogno della Valutazione di Impatto Ambientale e il progetto va avanti.

Ricordiamo che i dirigenti di Asl e Arpat sono di nomina regionale e che in taluni casi (come in quello della rimozione del funzionario regionale del settore ambiente Zita) il presidente Rossi ha dimostrato di essere – per così dire – piuttosto severo verso coloro che rallentano eccessivamente le procedure autorizzative.

Di fronte all’opposizione dei cittadini il Comune di Castelfranco, inizialmente favorevole, chiede l’attivazione di un “percorso partecipativo”, che costa – chissà perché – ben 130mila euro. Viene nominata una giuria popolare che alla fine si esprime nettamente contro il pirogassificatore: 45 voti contro, nessuno a favore. Una disfatta.

La Waste Recycling chiede allora alla Regione di mandare avanti lo stesso il progetto utilizzando una legge regionale secondo la quale se grandi opere considerate strategiche sono bloccate da questioni “burocratiche”si può ricorrere al commissariamento.

Agostino Fragai, che ironia della sorte era stato il promotore della legge regionale sulla partecipazione, commenta così “La legge non è stata ignorata: è semmai il suo spirito che è stato tradito, perché qualcuno ha pensato che potesse diventare un referendum sul sì o sul no con una giuria composta da persone che vivono nel giro di 3 chilometri dal previsto impianto, acerrimi nemici del pirogassificatore”.

Ancora più chiaro Enrico Rossi, che in questo video al minuto 4 e 32” pronuncia una frase diventata ormai leggendaria: “Basta, non abbiamo da dirci niente. Quando lei vincerà… Il percorso partecipativo non è fatto per dire di sì o di no, vi hanno informato male. Il mio parere è questo e non faccio un passo indietro”.

Nel marzo scorso il Consiglio di Stato ha ribaltato la sentenza del Tar Toscana favorevole ai comitati ambientalisti. Vedremo come andrà a finire.

Questa sarebbe la concezione della partecipazione che ha il Pd, alla quale rispondiamo con un sonoro pernacchione.

Livorno ha già scelto: si deve voltare pagina

Con il risultato delle ultime amministrative Livorno l’ha detto chiaramente: l’epoca in cui per quattro soldi si svendeva il territorio va “consegnata alla storia”. La città non ha altro tempo da perdere con l’assurdo progetto del nuovo ospedale, né con un secondo referendum (che peraltro si trasformerebbe in un’altra pesante sconfitta elettorale per il Pd) né con qualche bizzarro comitato di esperti di cui parla Rossi. Gli “esperti” sul nuovo ospedale di Livorno si sono già espressi: non si tratta di qualche professorino aziendalista cresciuto sotto la Torre, ma di tutti quei livornesi, professionisti della sanità, urbanisti, ambientalisti e semplici cittadini, che hanno smascherato tutte le magagne del progetto: dal taglio dei posti letto alla svendita delle strutture territoriali, dalla devastazione dell’ambiente ai tentativi di speculazione immobiliare, dai limiti del modello per intensità di cura al regalo fatto ai privati con il project financing.

A proposito: forse un comitato di esperti in effetti andrebbe nominato, per realizzare un audit e capire se la concessione di appalti per un miliardo e cento milioni di euro ai privati a fronte di prestiti di 80 milioni configura il reato di usura (così come sta ipotizzando la magistratura veneta nel caso della costruzione di alcuni ospedali in quella regione). Così, forse, ad un rinvio a giudizio se ne aggiungerebbero altri.

da Redazione Senzasoste – 15 settembre 2014

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