Valentina Nappi sull’ anticapitalismo

Pubblichiamo questo intervento di Valentina Nappi (tratto da Micromega) pur non condividendone tutti i passaggi, perchè interessante rispetto alla situazione “italiana”: dalla diffusione di piccole proprietà (non solo immobiliari), alle condizioni oggettive e sociali che ancora tengono in piedi tanto un governicchio Renzi, quanto un’organizzazione sindacale marcescente. Nel “paese anomalo”, capitalisticamente parlando, ancora ci si accontenta delle briciole e, in assenza di un’organizzazione se non di massa quanto meno radicata socialmente, il rischio di spinte reazionarie di cui l’autrice parla potrebbe manifestarsi in nuove forme.  

Se sei un compositore di musica d’avanguardia e scrivi pezzi per pianoforte che si suonano con il culo, devi preoccuparti della politica. Al tempo del nazismo ti avrebbero accusato di fare arte degenerata. Oggi sei ’soltanto’ oggetto del sarcasmo dei giornalisti di destra e, sotto certi governi, rischi di vederti tagliare i fondi. Un discorso per certi versi analogo, anche se un po’ differente, vale se sei un professore che promuove ‘idee strane’ che sembrano minare certe categorie tradizionali (ad esempio se cerchi di insegnare che la coppia omosessuale non è né più né meno ‘naturale’ di quella eterosessuale). E se sei una pornostar, invece? Se sei una pornostar che incarna la logica dicotomica santa/puttana, forse saresti andata bene anche ai nazisti (ma forse no, perché la tua condotta sarebbe comunque ricaduta nei ‘comportamenti anti-sociali’). Se invece sei una pornostar che promuove l’idea che ‘tutte le donne dovrebbero essere troie’ e che ‘tutte le ragazze dovrebbero essere ragazze ultra-facili’, allora nella Germania nazista, ma anche nell’Italia fascista, avresti certamente fatto una brutta fine. E avresti seri problemi anche oggi, in Europa, qualora prendessero il potere certi movimenti nazionalisti, xenofobi e antimoderni. Quindi della politica devi preoccuparti, inevitabilmente. Ed è per questo che ho deciso di dedicare questo post al problema del fascismo, dando ovviamente per scontato che chi sta dalla mia parte deve essere antifascista nel senso più radicale possibile. Contrariamente a quanto pensano molti imbecilli, non si tratta di essere ‘antifascisti in assenza di fascismo’, bensì di essere radicalmente antifascisti in presenza del concreto rischio di derive fasciste.

È del tutto evidente il legame tra fascismo e piccola e media borghesia. Inoltre, non è difficile capire che in assenza di piccola e media borghesia non può esserci, e non avrebbe potuto esserci, alcuna deriva fascista (ma tutt’al più una rivoluzione comunista). Si tratta di constatazioni di assoluta evidenza, constatazioni del tutto banali. Il fascismo storico fu espressione della mobilitazione della piccola e media borghesia immiserite contro le due classi allora egemoni, la grande borghesia industriale e finanziaria e il proletariato. Da qui il duplice carattere, rivoluzionario e reazionario, del movimento e del regime: reazionario contro le istanze egualitarie del proletariato, ma rivoluzionario rispetto a un ordine esistente (anche internazionale) imperniato sulla tutela degli interessi del grande capitale. Non a caso Mussolini, nella dichiarazione di guerra del 1940, chiamerà i nemici ‘democrazie plutocratiche’. È evidente l’analogia con diversi movimenti a noi contemporanei, analogia rafforzata dal fatto che anche nell’Italia postbellica la gran parte della piccola e media borghesia non si sentiva più rappresentata da una classe politica liberal-democratica che mostrava ogni giorno di più incapacità e decadimento morale.

Il fascismo è dunque lotta ‘al di là della destra e della sinistra’ (che vuol dire: non egualitarista) contro il grande capitale e contro la politica dei ‘fantocci’ liberali che del grande capitale sono espressione. La retorica fascista della lotta fra ‘lavoro’ (quello del commerciante, del piccolo imprenditore) e grande capitale finanziario, retorica che si traduce negli slogan dei piccoli imprenditori che ’si alzano tutte le mattine’ e ‘lavorano più dei loro dipedenti’ e ‘portano sulle spalle il Paese’, oscura la vera lotta di classe che è innanzitutto quella tra il piccolo commerciante con la Porsche Cayenne e il commesso sottopagato in nero, tra il piccolo imprenditore e l’operaio ricattabile che non gode delle tutele dell’articolo 18 perché i dipendenti sono meno di quindici… Certo, il grande capitale finanziario globale non è il bene assoluto, ma rappresenta un problema che non è progressivo affrontare nella presente fase storica, poiché anche chi è comunista deve capire che in Occidente non ci sarà mai un’evoluzione verso la socializzazione dei mezzi (anche finanziari) di produzione fin quando sopravviveranno diffusi interessi di tipo piccolo e medio borghese (e l’eventuale prevalere, qui ed ora, di tali interessi su quelli del grande capitale, vedi eventualità di una deflagrazione dell’eurozona, porterebbe esclusivamente svantaggi alla classe operaia, vedi potere d’acquisto dei salari). Nella presente fase storica, le grida contro il grande capitale finanziario globale sono grida in difesa della piccola e media borghesia. Sono grida reazionarie. Il processo di centralizzazione dei capitali è infatti condizione necessaria per un autentico progresso storico, e l’alternativa è restare impantanati nella dialettica borghese fra liberalismo ‘critico’ e fascismo. Anche il comunista, soprattutto il comunista, deve sperare che l’evoluzione postborghese del capitalismo contemporaneo vada avanti. Si tratta di un processo che richiederà raffinati equilibrismi affinché sia scongiurata la presa del potere da parte di movimenti fascisti (uno dei pericoli principali risiede nell’alleanza fra borghesia e disoccupati, e il grande capitale deve persuadersi della necessità di portare i disoccupati dalla propria parte).

Non è difficile capire che la mentalità e i valori fascisti corrispondono alla mentalità e ai valori di una piccola e media borghesia in difficoltà: la visione tradizionalista della sessualità è legata a una concezione della figlia femmina come fattore di riproduzione della piccola impresa familiare (discorso analogo per la mentalità omofoba e la concezione del ruolo del figlio maschio), l’insofferenza per il formalismo giuridico è legata a un modo paternalistico e ‘comunitario’ di gestire i problemi con i dipendenti, l’antiscientismo è legato alla paura di essere sopraffatti dal grande capitale, l’antirazionalismo è legato alla paura della superiorità di un’organizzazione su larga scala della produzione, la paura delle avanguardie è legata alla percezione di un mondo che cambia in maniera sfavorevole alla propria classe, eccetera.

Il fascismo parla il linguaggio dell’antitecnocrazia, esplicita o mascherata da antiplutocrazia, e si propone come forma non egualitaria di antiplutocrazia quando esiste la possibilità concreta di una svolta egualitaria, e come anticapitalismo quando una svolta egualitaria non è plausibile (ad esempio perché sono necessari certi sviluppi storici ulteriori, ad esempio la fine della piccola e media borghesia). Oggi il fascismo si chiama anticapitalismo.

Valentina Nappi

(20 ottobre 2014)

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