Recensione “L’altro Marx”: il nostro solito Karl.

Superato il #disagio della fastidiosa introduzione dove tocca leggere che “la dottrina politica di Marx […] ha cambiato il mondo in peggio” o che “bisogna gettare alle ortiche le rovinose dottrine politiche di Marx e trarre frutto dal suo acume intellettuale”, la lettura del libro può agilmente prendere il largo. Sicuri del fatto che Marx non ha dato ricette politiche ma ha semplicemente analizzato scientificamente le tendenze del sistema economico nel quale viviamo, e ben sapendo che egli non era affetto da schizzofrenia quindi non era scisso tra un Dottor Jekyll che inventava dottrine politiche rovinose e un geniale M. Hyde dotato di acume intellettuale, possiamo immergerci nella Russia degli ultimi anni del XIX secolo e dei rapporti tra i protagonisti di quell’epoca ed lo scienziato di Treviri. “L’altro Marx” di cui ci parla Cinnella, è il solito Marx. È il Marx dialettico, studioso accanito della storia, e profondo indagatore delle tendenze sociali ed economiche del suo tempo: è un pensatore che non ha mai abbandonato il suo metodo di analisi e, anzi che ipostatizzare, assolutizzare, i risultati ottenuti, scelse di mettere costantemente le sue teorie alla prova dei fatti.
Partendo da una scarsa considerazione del mondo slavo in generale, Marx ed Engels, entrati in contatto diretto con i rivoluzionari russi a causa dei lavori della Prima Internazionale, ed acquisendo sempre più fonti sulla situazione della Russia, cambiano opinione fino ad arrivare ad un sincero entusiasmo per le comuni rurali russe. Ciò che non cambiano è il loro metodo di analisi. Quando Cinnella sostiene: 

“Sorpreso dall’ampia diffusione e dalla vitalità dell’obščina, egli si mise a divorare i ponderosi materiali inviatigli da Daniel’son per cercar di capire quello strano paese che pareva sfuggire alle leggi generali dell’accumulazione capitalistica” (p. 330 edizione digitale)

non capisce che ciò che Marx chiamava “leggi” (si pensi anche alla legge della caduta tendenziale del saggio di profitto) erano da intendere per lo più come tendenze, e per chi segue un approccio dialettico non è possibile individuare una tendenza senza scoprire, almeno, una controtendenza ad essa opposta. Non si tratta di fissare una legge assoluta e dogmatica e di cercare di braccare il fenomeno “fuggitivo” che vorrebbe beffarla: si tratta di individuare una tendenza, elaborare una teoria, confrontarsi con i fatti, e studiare i casi particolari, locali, in cui la tendenza generale non si verefica. Per Marx, quindi, l’accumulazione originaria è stata una forte tendenza presente nell’occidente europeo, accompagnata da casi “contro-tendenziali”. Anni prima di studiare la realtà dell’obščina, infatti, egli notò che proprio l’Italia settentrionale era “sfuggita”, per dirla con il Cinnella, alla tendenza dell’accumulazione originaria:

In Italia dove la produzione capitalistica si sviluppa prima che altrove anche il dissolvimento dei rapporti di servitù della gleba ha luogo prima che altrove. Quivi il servo della gleba viene emancipato prima di essersi assicurato un diritto di usucapione sulla terra. Quindi la sua emancipazione lo trasforma subito in proletario eslege, che per di più trova pronti i nuovi padroni nelle città, tramandate nella maggior parte fin dall’età romana. Quando la rivoluzione del mercato mondiale dopo la fine del secolo XV distrusse la supremazia commerciale dell’Italia settentrionale, sorse un movimento in direzione opposta. Gli operai delle città furono spinti in massa nelle campagne e vi dettero un impulso mai veduto alla piccola coltura, con dotta sul tipo dell’orticoltura.”

Il testo del Cinnella, aldilà di questi errori di metodo, e dei luoghi comuni sul presunto determinismo di Marx ed Engels sparsi qua e là, resta un libro fondamentale che illumina gli ultimi risultati teorici conseguiti da Marx prima della sua scomparsa.
Se nel caso dell’Italia la controtendenza non porta a niente di buono ma al formarsi, nelle parole di Engels, di un “capitalismo straccione”, nel caso della Russia la controtendenza all’accumulazione originaria riesce a salvaguardare qualcosa di veramente molto prezioso. Le comuni rurali, sopravvissute leopardianamente in “social catena” come una ginestra nelle aride steppe russe, possono diventare per Marx il punto di partenza di una rivoluzione radicale su scala internazionale e, oltre all’importanza politica che egli vede in questo fenomeno, c’è un’importanza antropologica: egli vede in questa struttura sociale un modello per una nuova umanità.
Le comuni rurali russe, alle quali andava aggiunta l’industrializzazione occidentale, davano finalmente una sommaria risposta tangibile, contemporanea e reale all’annosa domanda “come sarà, se mai sarà, il comunismo?”.

Il libro, infine, porta alla luce il “giallo” della corrispondenza tra Marx e la Zasulic del 1881, ipotizzando come mai sia stata taciuta su consiglio di Plechanov, maestro di Lenin, fino ad esser ripescata 42 anni dopo, per caso, nel 1923 dal bolscevico Rjazanov…

Lasciamo ovviamente al lettore la soluzione del giallo.

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