Negli USA si torna a parlare di smantellare le carceri

Alcuni giorni fa sul Washington Post è comparso un articolo sulle carceri (qui l’articolo intero). Il contenuto dell’articolo redatto da Patricia O’Brien segna una differenza abissale con quanto scritto sui giornali nostrani negli ultimi anni, imbalsamati dal dogma dell’emergenza. In quel periodo, nelle carceri italiane, l’emergenza era stabilito fosse il “sovraffollamento” e solo su quello si sono impegnati i “nostri” media, ignorando i problemi di fondo che concernono il tema della galera. Gli articoli sul “sovraffollamento” sono stati, per lo più, dettati dalla condanna e conseguente multa affibbiata dalla Corte europea allo stato italiano per violazione della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, per le condizioni inaccettabili cui lo stato italiano costringeva la popolazione detenuta. Condanna che ha gettato nello sconforto i benpensanti-nazionali che si sono lamentati, chiedendo al governo di porvi rimedio. Ma solo al “sovraffollamento”. Non certo iniziando una pur minima riflessione sulla devastazione e sulle sofferenze che il carcere impone a chi rinchiude e contiene, sulla sua violenta separazione e sradicamento dalla vita, dalle relazioni, dalla socialità, dagli interessi. Non una analisi sulla inadeguatezza di questo strumento e sulla necessità di liberarci dal carcere.

Patricia O’Brien riprende un articolo pubblicato a gennaio scorso sul New York Times, dall’ex direttore dello stesso giornale, ora columnist, Bill Keller, (qui l’intero articolo) che trattava lo stesso tema: «dovremmo smetterla di vedere le prigioni come una parte inevitabile della vita». La loro intenzione è cominciare a svuotare le carceri femminili, all’interno della forte critica al complesso carcerario in sé, proponendo trattamenti “esterni” dove le cose funzionano meglio dell’incarcerazione.

Alcuni dati confortano la critica al carcere: «147mila bambini negli Usa hanno la madre in carcere»; «gli stati americani spendono più di 52 miliardi di dollari all’anno per i loro sistemi carcerari. Il governo federale spende inoltre decine di miliardi di dollari per sorvegliare, perseguire e catturare persone, sebbene alcune ricerche mostrino che la carcerazione danneggi il benessere individuale e non migliori la sicurezza pubblica». E anche che il carcere per le donne ha solo perpetuato la crescita dei complessi industriali carcerari e il numero delle persone incarcerate continua a crescere.

I due analisti concordano con le analoghe considerazioni che nel Regno Unito fanno i sostenitori dell’abolizione del carcere femminile, posizione -ci dicono- sostenuta dalla Camera dei Lord, che «propongono la comunità per le delinquenti non violente, e per quelle violente la custodia in piccoli centri vicino alle loro famiglie»,

Concludono con proposte dal profilo basso che «se non possiamo chiudere le carceri femminili, possiamo almeno rallentare la loro espansione».

Keller, da parte sua, spiega che negli ultimi anni l’atteggiamento dell’opinione pubblica verso le carceri è cambiato (meno forcaiolo), anche grazie alla generale diminuzione dei reati commessi, ma a fronte di questo calo tra il 1984 e il 2008, per esempio, il numero di persone condannate all’ergastolo è quadruplicato, arrivando a oltre 140 mila detenuti.

Keller propone:

-cambiare le leggi sulle condanne;

-cambiare il sistema di controllo e sostegno:

-cercare di diminuire la recidiva offrendo possibilità concrete a chi esce dalla prigione, ricordando che ogni anno negli Stati Uniti vengono scarcerate più di 650 mila persone: due terzi di loro sono arrestate nuovamente nel giro di tre anni.

Spunti di riflessione, critiche della prigione, proposte, anche se tenui, troppo fiacche secondo me, comunque tentativi di allontanarsi da questa deriva forcaiola in voga che rischia di travolgere le società in cui viviamo. Un dibattito che solo in questo triste paese non riesce a decollare. Un dibattito che, se ci fosse, potrebbe costituire la base per spingere più avanti una discussione sul tema dell’abolizione del carcere. Certo, lo so, i motivi dell’esistenza del carcere non risiedono nel carcere stesso. Il carcere esiste per mantenere l’ordine capitalista, ed è quello l’obiettivo principale da colpire per abolirlo. Però, iniziando a mettere in discussione -concretamente- l’esistenza del carcere, si può dare un bel colpo alla tirannia del profitto, del denaro, della sopraffazione, in concreto sgretolando la dittatura del capitalismo.

Tratto da: contromaelstrom

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