Recensione del “Marxismo” di Massimo Mugnai: come procede la (vera) dialettica oltre la “dialettica”

Il testo di Massimo Mugnai (la voce “Marxismo” scritta nel 1995 per l’opera di Paolo Rossi) si inserisce nella tradizione del marxismo analitico, corrente prevalentemente anglosassone, che, negli intenti più costruttivi, voleva reinterpretare e riesporre il pensiero marxiano con i metodi della filosofia analitica. Riunitisi attorno al circolo filosofico del “September group”, e auto-definitisi “No-Bullshit Marxism Group”, G.A. Cohen, Jon Elster, Philippe Van Parijs, Robert Van Der Veen, e John Roemer dettero vita ad un dibattito che ruotava attorno ai principali aspetti del materialismo storico e dialettico. Il gruppo era abbastanza eterogeneo: se un Cohen tentava di difendere la concezione della storia di Marx (cfr. “Marl Marx’s theory of history: a defence”, Princeton University Press, 1978), Elster si scagliava contro ogni forma di applicazione della dialettica, che egli considerava mero oscurantismo hegeliano.
Nell’esporre le varie interpretazioni del marxismo, Mugnai sceglie di dare molta importanza all’approccio analitico, ed espone concetti quale plusvalore, profitto e sfruttamento avvalendosi degli strumenti analitici della logica formale.

Il testo è sicuramente interessante, ma ha il difetto che ebbe, in generale, quest’approccio nel suo complesso: i marxisti analitici avevano individuato il giusto scopo e hanno camminato lungo la giusta direzione, ma in senso opposto, allontanandosi così dal loro condivisibile obiettivo.
Essi volevano attualizzare il marxismo, riesporlo alla luce della nuova filosofia analitica, volevano epurarlo da tutti i lati che porgono il fianco a eventuali critiche metafisiche, ma scelsero quindi di buttare via il bambino con l’acqua sporca: provarono a disfarsi della dialettica.

Il loro tentativo era encomiabile, perché, allora come oggi come, riattualizzare il testo di Marx e proporre esempi attuali può aiutare ad agevolarne la diffusione. Essi sbagliarono però il loro bersaglio critico: la dialettica, infatti, è proprio ciò che rende vivo il marxismo. Gli aspetti filosofici delle opere di Marx ed Engels che filosoficamente possono essere oggi più datati sono quelli legati ad un certo modo di definirsi materialisti. Se allora, avendo alle spalle un idealismo così potente come quello di Hegel, era pressoché necessario dichiararsi materialisti per poter portare avanti il dibattito filosofico e scientifico, oggi questa operazione, politica, prima ancora che filosofica, è meno necessaria. Di più se si usa il metodo dialettico, non ha senso concedere una qualche “priorità” alla materia o allo spirito: entrambe, per la legge della compenetrazione degli opposti, faranno parte a “pari merito” della dicotomia dialettica.  Il rapporto tra dialettica e metafisica (hegeliana), poi, è semplicemente un falso problema. Hegel ebbe il merito di concepire un sistema filosofico del movimento, del divenire, e in movimento, in divenire; ebbe però il demerito di volerlo fermare, di volerlo interrompere: l’esigenza di giustificare politicamente lo stato prussiano come ultimo stato dello Spirito Assoluto lo portò a sovracaricare le sue categorie dialettiche di un contenuto metafisico e deterministico ad esse improprio, e la sua piaggeria filogovernativa gli impose di inserire la sintesi come terza fase dialettica al fine di poter considerare totalizzante il carattere del governo prussiano. Hegel innescò una filosofia che aveva tutte le carte in regola per seguire passo passo il divenire storico, però le spense il motore là dove più gli conveniva.

Se l’hegelismo fu un sistema aperto nel contenuto ma chiuso nella forma, il pensiero di Marx non scivolò mai in nessuna forma di determinismo o dogmatismo: la sua è una visione del mondo in eterno movimento, che non è schiava del suo stesso metodo, ma che, proprio in virtù di questo, riesce ad essere un sistema filosofico aperto.

I no-bullshit marxists, invece, presero l’abbaglio di considerare questo vero e proprio patrimonio teorico una inutile zavorra di cui doversi liberare. Questo rifiuto dogmatico della dialettica impedisce di capire molti snodi cruciali dell’analisi marxiana, e porta anche il Mugnai a trarre delle conclusioni poco condivisibili:

[…] un atteggiamento radicalmente riduzionista porta Marx e negare a quegli elementi che una tradizione posteriore chiamerà sovrastrutturali (diritto, ideologia, lo Stato medesimo, appunto…) una sia pur parziale autonomia rispetto alla «base» materiale costituita dai rapporti economici” (M. Mugnai, “Marxismo”, in “Filosofia”, vol. IV, p. 277-8)

Diamo invece la parola ad Engels:

“Lo sviluppo politico, giuridico, filosofico, religioso, letterario, artistico ecc., poggia sullo sviluppo economico. Ma tutti agiscono e reagiscono gli uni sugli altri e sulla base economica. Non è già che la situazione economica sia causa, essa solo attiva, e tutto il resto nell’altro che effetto passivo. V’è al contrario, azione e reazione reciproca” (Engels, “Lettera a W. Borgius”, in Marx, “Il Capitale”, Primo libro, UTET, p. 1033).

La situazione economica quindi non è l’unica causa attiva a trovarsi in una situazione di totale autonomia, ma anche gli elementi “sovrastrutturali” oltre a re-agire, agiscono essi stessi. La dialettica non lega deterministicamente tutti gli aspetti microscopici in relazione uno-a-uno con tutti gli aspetti microscopici opposti, ma studia le interazioni dei grandi fenomeni in contrapposizione sul piano macroscopico, individuando le tendenze generali e lasciando in totale “autonomia” rispetto alle loro “basi” materiali per dirla con Mugnai, i singoli aspetti, le controtendenze locali. Il rapporto dialettico tra macro-tendenza e micro-controtendenze che troviamo nella trattazione della caduta tendenziale del saggio di profitto è un modello metodologico che si può applicare quasi a tutti gli aspetti del pensiero marxiano: il fatto che una struttura materiale economica determini “in ultima istanza” una sovrastruttura non vuol dire che i singoli fenomeni di questa siano legati a doppio filo ai singoli fenomeni di quella.
Rifiutando la dialettica Mugnai conclude, nel 1995, la sua trattazione con parole che ormai suonano già fuori dalla storia: “nel futuro immediato – siccome gli ideali socialista e comunista sembrano esser venuti meno a livello mondiale – non è da escludere la rinascita ed il potenziamento di un capitalismo aggressivo” . 13 anni dopo, in un futuro appunto “immediato” è scoppiata la crisi dei subprime, è esploso il movimento Occupy, i testi di Harvey dedicati a Marx sono andati a ruba tanto al nord come nel sud dell’America, libri divulgativi, perfino a vignette, come quello di Bensaïd hanno avuto grandi successi di pubblico. L’interesse per queste idee non è certo venuto meno, anzi, uno dei bracci destri di Sarkozy (J. Attali) ha scritto la più vasta biografia di Marx degli ultimi 10 anni, considerandolo “lo spirito del mondo”, e perfino un cialtrone come Piketty cerca di strappare un briciolo di notorietà grazie al nome di Marx.

Il capitalismo, contrariamente alle previsioni di Mugnai, non si è “potenziato” ma è entrato in una crisi che stiamo pagando tutti e dalla quale, a distanza di ben sette anni non ne siamo ancora … ( dialetticamente?) … usciti.

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