Emergenza casa, la storia dei piaggesi Hassan e Vittoria è la storia di un intero Paese

Pubblichiamo questo interessante contributo da “L’Altracittà” inquadrante la vicenda nella giusta prospettiva storica e politica, mostrando che il problema casa è frutto ancora una volta di logiche di mercato e speculazione.

La guerra tra poveri, esplosa con il “furto” di un alloggio popolare in via Liguria, alle Piagge, ci porta ancora una volta ad affrontare il tema dell’emergenza casa che vede protagoniste, a Firenze e provincia, migliaia di persone private del diritto ad un tetto e quattro mura dove vivere con dignità. Usiamo i dati e le analisi del Rapporto 2014 sulla condizione abitativa edito dalla Regione Toscana e iniziamo il ragionamento intrecciando alcuni numeri.

Sul territorio fiorentino sono censite 507.270 abitazioni per 453.235 famiglie residenti, la differenza è di 54.035 appartamenti eccedenti. Le famiglie in graduatoria per una casa popolare nei 43 Comuni della provincia sono “appena” 5.136, meno del 10% delle case sfitte (su di esse va fatta un po’ di tara considerate le seconde case frutto dei piccoli risparmi, ma non certo su quelle affittate a nero o in mano alla speculazione). Le unità abitative di Edilizia Residenziale Pubblica (ERP), quelle che un tempo si chiamavano case popolari, sono 12.638: di esse 312 (2,5%) sono sfitte (ben 193 perché in attesa di manutenzione) e 172 (1,3%) occupate da persone senza titolo, in genere sistemate da amministratori comunali per coprire delle situazioni di emergenza. Le occupazioni vere e proprie sono invece praticate all’interno di edifici afferenti alla grande proprietà privata.

Molti di noi hanno ben presente parte di quelle 54.035 abitazioni vuote. Sono diffuse un po’ ovunque nelle nostre città e sono spesso di recente edificazione e altrettanto di frequente figlie della speculazione. Gli imprenditori edili le tirano su prioritariamente per poterle offrire in garanzia alle banche e accedere così a nuovo credito (facendo girare l’economia costruendo nuovi palazzi, bontà loro). Se volessero davvero venderle la logica tipica del mercato liberista porterebbe ad un abbattimento del prezzo del mattone, facilitando così l’acquisto della prima casa per molte di quelle persone che oggi si trovano costretti a convivenze forzate o ad abitare lontano dal posto di lavoro.

La costruzione di nuove case, che in certi periodi della nostra storia recente ha visto raggiungere delle vette parossistiche, oltre a non essere utile per chi la casa non ce l’ha, è anche pericolosa se consideriamo la cementificazione spinta e il relativo acuirsi del rischio idrogeologico. Il modello economico sviluppista basato sulla speculazione edilizia ha infatti mangiato ben 5 milioni di ettari di suolo agricolo tra il 1950 e il 2000, come ci ha ben descritto Tomaso Montanari nei giorni scorsi dalle pagine di Repubblica. Tra il 1995 e il 2006 è stato edificato un territorio grande poco meno dell’Umbria, in un inarrestabile processo che oggi trasforma in cemento 8 metri quadrati di Italia al secondo.

Capite bene che qualcosa non funziona nel mercato della casa. E la disperazione degli ultimi – di coloro che non hanno un alloggio, che dormono in macchina, che sono accampati nei campi della Piana fiorentina, che desiderano una casa popolare, che occupano palazzi abbandonati dai grandi speculatori privati (come ad esempio l’hotel Concorde in via Baracca, supportati dal mai così indispensabile Movimento di lotta per la casa), che addirittura sono costretti a “rubare” l’appartamento ad un’altra famiglia bisognosa – è una disperazione che non può assolutamente trasformare queste persone nei capri espiatori di una situazione esplosiva. Eppure stampa e tv in questi giorni stanno indicando un nemico esplicito ad un’opinione pubblica sempre più disorientata e disinformata: il povero. Costretto ad occupare case che “per legge” non gli spettano.

E qui si apre un pessimo capitolo per la nostra democrazia. Perché i responsabili di questa situazione non sono i poveri, ma altri tre soggetti, ben identificabili negli stessi soggetti che hanno messo in ginocchio il nostro Paese: l’imprenditoria, la finanza e la politica Quella che definiamo “emergenza casa” va attribuita infatti ai costruttori, alle banche che lucrano vendendo loro il denaro necessario, ad una classe politica in gran parte complice e forse ancor più responsabile, considerato che non dispone del mandato di fare profitto a tutti i costi – sociali e ambientali – bensì di quello della tutela del bene comune e dei diritti sanciti dalla Costituzione, a partire dal diritto alla casa.

Questa responsabilità ha radici lontane. Restando all’epoca repubblicana ricordiamo come molti storici indichino nell’abbattimento della riforma urbanistica (voluta dal ministro Dc ai lavori pubblici Fiorentino Sullo a metà degli anni Sessanta) che prevedeva una nazionalizzazione dei suoli edificabili per venire incontro ai bisogni della popolazione, una delle concause del Piano Solo, il colpo di stato preparato nel 1964 per fermare il nascente centro-sinistra. Eugenio Scalfari, tornato recentemente su quella vicenda, ha ricordato come “Il business italiano, già colpito dalla nazionalizzazione dell’industria elettrica, tremava al pensiero che i socialisti volessero attuare la nazionalizzazione dei suoli edificabili, che avrebbe spezzato la speculazione sulle aree ed avrebbe impresso un corso diverso allo sviluppo delle città, delle coste, insomma del Paese”. L’allora segretario del Psi, Pietro Nenni, intravide il “tintinnar di sciabole” e indusse il suo partito a ripiegare. La rendita e la gestione privatistica del suolo era salva; la maggioranza degli italiani fu condannata così ad una pessima gestione del territorio con i frutti che oggi raccogliamo.

Anche Antonio Cederna analizzando la Strage di Piazza Fontana del 12 dicembre 1969, madre della strategia della tensione che avvelenò l’Italia per un ventennio, teorizzò che tra le motivazioni degli attentatori potesse esserci il tentativo di ostacolare le ipotesi di riforma urbanistica e dell’intervento pubblico in edilizia all’ordine del giorno dello sciopero del 19 novembre del 1969. Anni dopo, nel 1980, la Corte Costituzionale smontò l’innovativa legge Bucalossi del 1977 e cancellò la possibilità di ricorrere all’esproprio per pubblica utilità previsto dal 1971. Fino ad arrivare ad oggi, con la legge Lupi che intende sancire definitivamente la privatizzazione dell’urbanistica.

Questa è la storia – un po’ più complessa di quella che appare – di Hassan, l’uomo iracheno che ha una casa in via Liguria, e di Vittoria, la donna tunisina che ha creduto di risolvere i suoi problemi occupandola.

di Cristiano Lucchi, da L’Altracittà del 19\9\2014, .

Leggi anche:

DISTRUTTO DALLE FIAMME IL CAMION DELLA COOPERATIVA IL CERRO

SFRATTI E CRIMINALIZZAZIONE DEI MOVIMENTI: QUEL CHE ACCADE A CAMPI ACCADE DAPPERTUTTO

E’ GUERRA ALLE NOSTRE CONDIZIONI DI VITA: COME CAMBIANO LE CITTÀ E QUALI SCUSE CI RIFILANO

SFRATTI E CRIMINALIZZAZIONE DEI MOVIMENTI: QUEL CHE ACCADE A CAMPI ACCADE DAPPERTUTTO

NON LASCIAMO ISOLATE LE LOTTE, CONTRO JOBSACT E GOVERNO RENZI

CRISI DELL’ECONOMIA MONDIALE: ALLACCIATEVI LE CINTURE!

Facebook

YouTube