Una premessa per “leggere” Draghi che parla del Quantitative Easing

b_300_0_16777215_00_images_01_documenti_articoli_2015_01_15_draghi-bce.jpgRipubblichiamo un articolo de Il sole24ore perché contiene alcuni dati interessanti per capire come le politiche finanziarie europee stiano mettendo in atto una sorta di circolo vizioso che, a partire dall’acquisto di titoli bancari, incide direttamente sulle sulle condizioni di vita di noi lavoratori, peggiorandole.

Per riuscire a districarci nella lettura, però, ci pare necessaria un premessa. Giusto per intenderci e avere una chiave interpretativa, torniamo all’ABC: cos’è il tasso di interesse bancario? Perché se prendo in prestito, ad esempio, 1000 euro dovrò restituire, ad una data scadenza, quei mille più il 5, 4, 3%?

Il tasso di interesse bancario, in generale, rappresenta la quota di profitto che da questa somma si ricava in seguito ad un ipotetico investimento da parte del richiedente del prestito. Anche se la somma ottenuta in prestito fosse utilizzata per acquisto di merci, la presunzione rimane la stessa: se acquisto merce, vuol dire che ho lavorato produttivamente, ho una entrata o un salario, cioè parte del capitale variabile socialmente impiegato. Può concludersi che  l’interesse dipende dal saggio medio di profitto (in ultima analisi dal plusvalore) a domanda di denaro stabile e, giusto per la cronaca, attualmente, il tasso di sconto della BCE è dello 0,5%, degli Usa dello 0,25%, del Giappone dello 0,1%.

Solo l’illusione temporale ci fa credere che siano le crisi finanziarie  a provocare la crisi nel settore produttivo, in realtà è l’opposto: il calo del tasso medio di profitto in USA, ad esempio, comincia negli anni ’50, ma la prima crisi finanziaria si manifesta nel 1970.  Da allora, le cosiddette manovre monetarie anticicliche, le continue ristrutturazioni produttive, hanno solo tamponato il problema ed evitato il peggio, rimandando a crisi finanziarie successive sempre più intense.  Le crisi finanziarie rivelano la decrescente profittabilità nella sfera produttiva e rappresentano sia il campanello d’allarme sia la conseguenza della crisi produttiva.

Allo stesso tempo, il settore finanziario tende a congelare i crediti verso le imprese produttive in crisi, paralizzandole totalmente. Fallimenti e disoccupazione ne sono la diretta conseguenza (quindi, in sintesi: distruzione e concentrazione di capitali, centralizzazione, ristrutturazione, ecc).
Facciamo 2+2 e traiamo le conseguenze della enorme concentrazione di capitali già in atto nel mondo.
Tutta la manfrina sulla deflazione non è altro che questo: sovrapproduzione, calo produttivo, merci invendute e calo dei prezzi; ma attenzione a far festa!

In regime capitalista e iperliberista la forza lavoro è una merce al pari di altre e subisce le stesse dinamiche di “prezzo” delle altre merci ma in misura più critica, dovuta alla concorrenza spietata (disoccupazione in costante rialzo…), per cui la cura BCE (politica del mercato aperto con acquisti di titoli di stato, altrimenti detto Quantitative Easing) è un palliativo che cerca di tamponare l’intamponabile.

Alla luce di queste considerazioni va interpretato l’articolo seguente: Draghi, serve terapia shock (sole24ore, 10/01/2015).

Se qualcuno fosse invece interessato a un’interpretazione marxista della crisi, segnaliamo Dalla crisi di plusvalore alla crisi dell’euro, di Guglielmo Carchedi.

da http://www.clashcityworkers.org/

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