La Monsanto semina dati…per raccogliere profitti

http://assets.climate.com/wp-content/uploads/2014/02/13232352/screenshot_pwt.png

Di seguito un pezzo interessante che ha il merito di mostrare come la concorrenza globale spinge i grandi colossi a spartirsi il mondo, forzando anche interi continenti a “svilupparsi” in base alle esigenze del capitale.

Tim McDonnell, Mother Jones, Stati Uniti. Traduzione a cura di Internazionale

La multinazionale statunitense è alla ricerca di nuove quote di mercato per fermare il calo dei profitti. E punta sui servizi informativi per i coltivatori, sfruttando il suo enorme archivio di dati sui terreni agricoli e sul clima

Tutti conoscono la Monsanto come il più grande produttore al mondo di sementi geneticamente modificate, un colosso globale dell’agricoltura che ha ricevuto accuse di ogni tipo: di averci fatto diventare dipendenti dai pesticidi e di aver spinto molti contadini indiani al suicidio. Ma questa, in realtà, è solo l’ultima identità di un’azienda in continua evoluzione.

Nel 1901, quando la Monsanto fu fondata da un farmacista di St. Louis, il suo primo prodotto era un dolcificante artificiale. Nei decenni successivi passò ai prodotti chimici industriali, e nel 1945 lanciò sul mercato il suo primo erbicida per l’agricoltura. Negli anni cinquanta produceva detersivi per lavanderie, il famigerato insetticida Ddt e componenti chimici per le bombe atomiche. Negli anni sessanta produsse grandi quantità di agente Arancio, il defoliante tossico usato nella guerra del Vietnam. Negli anni settanta diventò una delle maggiori produttrici di luci a led. È stato più o meno in quegli anni che Robb Fraley, oggi direttore tecnologico della Monsanto, entrò in azienda come esperto di biotecnologie. Allora, ricorda Fraley, l’azienda si occupava di pozzi petroliferi, plastiche, tappeti e molto altro. All’inizio degli anni ottanta la Monsanto cominciò a interessarsi alla biotecnologia, e alla fine degli anni novanta era ormai un’azienda biotech a tutti gli effetti.

Ma ora c’è una nuova evoluzione all’orizzonte: “Non fatico a immaginare che in cinque o dieci anni diventeremo un’azienda informatica”, spiega Fraley. Proprio così: la Monsanto sta puntando sui dati. La scommessa è adattarsi ai cambiamenti climatici, mettendo insieme informatica e scienza genetica, che da una generazione è il con- troverso marchio di fabbrica dell’azienda.

Mercati internazionali

I dati, del resto, incidono fortemente sul bilancio: nel suo rapporto annuale per il 2013 la Monsanto ha giustificato il calo dei ricavi dando la colpa alle informazioni lacunose sul clima e sulle tecniche di coltivazione usate dai suoi clienti. Inoltre i servizi informativi di raccolta ed eleborazione dei dati possono aiutare l’azienda a sbarcare (portando con sé le sue sementi) in mercati internazionali inesplorati, dall’Africa al Sudamerica. Qualunque cosa si pensi della Monsanto non si può dire che non sia attenta ai cambiamenti climatici. Fraley mi ha detto che dal 1981 gli scienziati della Monsanto stanno registrando uno spostamento a nord di circa trecento chilometri delle aree di coltivazione del mais nel Midwest degli Stati Uniti. Questo significa che tradizionali baluardi come il Kansas stanno diventando meno produttivi, mentre per i prodotti della Monsanto si aprono nuovi mercati in zone come il North Dakota e il sud del Canada. Ma secondo Fraley i fenomeni più interessanti stanno emergendo su scala più ridotta. “Bastano un paio di gradi di differenza perché cambino i tempi in cui si schiudono le uova degli insetti o si diffonde una malattia”, dice. “Per questo i modelli di previsione delle condizioni microclimatiche assumono un grande valore, perché possono dirci non solo quali terreni, ma anche quale parte di un terreno tenere sotto osservazione”.

Nel 2013 la Monsanto ha fatto un grande investimento nell’analisi dei dati, spendendo circa 930 milioni di dollari per comprare la Climate Corporation, un’azienda tecnologica di San Francisco che in origine vendeva agli agricoltori assicurazioni sui raccolti. Le tariffe erano fissate usando dati meteorologici tra i più accurati in circolazione. Oggi il prodotto di bandiera della Climate è un’app per smartphone, Climate Basic, che mappa tutti i trenta milioni di terreni agricoli statunitensi, includendo anche i dati sul suolo e sul clima. L’app rileva in tempo reale condizioni meteorologiche, temperatura e umidità del terreno e dice cosa aspettarsi nell’arco di una settimana. Il trattore verde indica qual è il giorno miglio- re per lavorare la terra. Se inserisco altre informazioni come le sementi piantate, posso sapere quando fare la mietitura e quanta resa devo aspettarmi. La versione a pagamento dell’app fornisce indicazioni più dettagliate, per esempio sulla quantità di acqua e di fertilizzante da usare.

I grandi database sono da tempo uno strumento fondamentale per la Monsanto. Per isolare i geni che determinano caratteristiche vantaggiose nelle piante (per esempio, la resistenza alle siccità o agli insetti) in modo da riprodurli in nuove varietà di sementi, bisogna passare al setaccio miliardi di coppie di basi in un genoma. Questo è uno dei motivi che spiegano perché negli ultimi vent’anni la biotecnologia è cresciuta di pari passo con la capacità di calcolo dei computer. Negli anni ottanta la Monsanto ha cominciato a costruire uno dei più grandi database agricoli del mondo mettendo insieme i risultati di innumerevoli studi sul campo condotti su una grande varietà di sementi in molte condizioni sperimentali. E la Climate è sembrata un investimento allettante, offrendo la possibilità di integrare i suoi database sul clima con i dati sulle sementi. Oggi, sotto la guida della Monsanto, una decina di ricercatori della Climate estraggono dati sul clima da satelliti, stazioni meteorologiche pubbliche e altre fonti. Una volta elaborati dagli analisti e dai pro- grammatori di software, i dati alimentano l’app Climate Basic.

Per i coltivatori il vantaggio può essere enorme: la Monsanto calcola che di norma durante il periodo di crescita gli agricoltori compiono circa quaranta scelte di fondo su quali semi piantare o quando seminare. Ogni scelta comporta un’opportunità di risparmio sulle materie prime (acqua, carburante, sementi, trattamenti chimici). Un risparmio che a volte può tradursi in un vantaggio ambientale per la collettività (meno inquinamento da fertilizzanti e pesticidi). Ma, soprattutto, quelle scelte possono anche aiutare gli agricoltori ad au- mentare i profitti.

Nel 2013 il rialzo dei costi delle materie prime e il calo dei prezzi dei prodotti agricoli sono costati agli agricoltori del Midwest statunitense 560 dollari per ettaro coltivato a mais e 250 dollari per ettaro coltivato a soia. I dati informatici, dice Friedberg, rivelano che scelte apparentemente di poco conto – per esempio, uno scarto di quattro o cinque giorni nella semina – possono avere conseguenze notevoli sulla resa dei raccolti e sui ricavi degli agricoltori.

Risparmi sui costi

L’agricoltura di precisione è anche una fondamentale strategia di adattamento al clima. Gli strumenti della Monsanto potrebbero rivelarsi preziosi per gli agricoltori che faticano ad adattarsi ai cambiamenti delle condizioni climatiche, spiega Rebecca Shaw, ricercatrice dell’Environmental defense fund (organizzazione non proit per la difesa dell’ambiente) e studiosa dei collegamenti tra agricoltura ed ecosistemi. Con l’acqua che scarseggia “non possiamo permetterci sprechi”, dice Shaw. “È importante riuscire a capire meglio cosa serve ai raccolti e quando intervenire, e poi mettere in pratica quello che abbiamo imparato”. L’agricoltura “analitica”, dice Shaw, permetterà di razionalizzare l’intero processo e avere risultati identici (se non addirittura migliori) risparmiando sui costi delle materie prime.

Naturalmente quella dei dati è una strada a doppio senso. Ogni nuovo utente della Climate è per la Monsanto una nuova fonte d’informazioni in tempo reale sui clienti: che tipo di prodotti usano, quanto producono, quanti ricavi fanno e così via. Secondo MattErickson, economistadell’American farm bureau federation, la principale organizzazione di agricoltori statunitense, i coltivatori devono essere molto prudenti quando accettano di condividere i dati sulle loro attività con un soggetto esterno. L’aspetto fondamentale, dice Erickson, è che gli agricoltori e la Monsanto siano sulla stessa linea quando si tratta di decidere se e come condividere i dati con altri, per esempio rivenditori o compagnie di assicurazioni sui raccolti. È la stessa logica per cui a tutti noi piace essere informati su come Google o Facebook usano i nostri dati personali. “La cosa che preme di più è la trasparenza”, dice Erickson. “Fare in modo che i coltivatori sappiano esattamente come sono usati i loro dati”.

Secondo la politica sulla privacy della Climate, gli agricoltori restano proprietari dei dati anche dopo che li condividono, e le informazioni non possono essere usate per scopi che loro non hanno approvato esplicitamente. L’idea di Fraley, però, è sfruttare i dati per proporre ai clienti prodotti e servizi personalizzati. Se per esempio un agricoltore ha un raccolto malato o infestato dagli insetti, riceverà un annuncio che pubblicizza dei trattamenti chimici specifici. “Ci sono opportunità enormi a livello di marketing. Le stiamo solo esplorando”, dice il manager. Problemi di privacy a parte, i coltivatori statunitensi sembrano rispondere favorevolmente. Secondo Friedberg, prima dell’acquisizione da parte della Monsanto meno di quattro milioni di ettari di terreni agricoli sui 65 milioni complessivi negli Stati Uniti erano coltivati con l’aiuto del software della Climate. Oggi sono 24 milioni. In altre parole, più di un terzo dei terreni agricoli statunitensi è coltivato seguendo i dati sul clima della Monsanto. E i numeri continuano a crescere: la Climate sostiene che gli utenti di Climate Basic sono passati dai 30mila della primavera del 2014 a più di 70mila alla ine dell’anno.

Per la Monsanto il mercato statunitense è solo l’inizio. Gli sforzi per aumentare le rese dei raccolti sono particolarmente importanti nei paesi in via di sviluppo. Si prevede che nel 2050 la popolazione mondiale supererà i nove miliardi, e oltre la metà della crescita demografica sarà concentrata in Africa. La Fao stima che la produzione alimentare dovrà aumentare del 70 per cento. Secondo l’ultimo rapporto delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, tuttavia, da qui al 2050 l’Asia meridionale e l’Africa subsahariana – le due regioni con il maggior tasso d’insicurezza alimentare – registreranno un calo dell’8 per cento delle rese agricole a causa dell’aumento delle temperature e di precipitazioni sempre più sporadiche. Fraley stima che nell’Africa centrale una fattoria produce in media meno di un decimo del mais che lo stesso appezzamento renderebbe negli Stati Uniti, nonostante la qualità della terra e il clima siano sostanzialmente uguali. In parte il problema è la cattiva selezione delle sementi, spiega, ma la biotecnologia da sola non basta a colmare la distanza. Il punto è che i paesi africani sofrono anche di una cronica carenza di dati sul clima che i coltivatori statunitensi danno per scontati. L’Africa subsahariana (escluso il Sudafrica) ha una stazione meteorologica ogni 619mila chilometri quadrati, gli Stati Uniti ne hanno una ogni 36mila chilometri quadrati.

La necessità di dati migliori diventa ancora più pressante nel momento in cui i cambiamenti climatici cominciano ad alterare i modelli delle precipitazioni, rendendo inadeguate pratiche agricole consolidate da generazioni. Uno studio delle Nazioni Unite del 2012, per esempio, mostra che tra gli anni settanta e il 2000 in Tanzania l’inizio della stagione delle piogge si è spostato in avanti di un mese e che le precipitazioni sono diminuite di quasi il 30 per cento.

In compenso, gli agricoltori dei paesi in via di sviluppo hanno i telefoni cellulari. Ed è qui che la Monsanto vede un’opportunità. “Sarà importante avere informazioni sui raccolti e sulle zone geograiche dove al momento non abbiamo clienti, in modo da allargare la nostra area d’inluenza e conquistare nuovi spazi”, dice Fraley. “Quando l’informazione stessa diventa un affare si aprono grandi opportunità”.

Oltre alle previsioni del tempo, i servizi per la telefonia mobile possono aiutare i coltivatori africani a individuare parassiti e malattie: per esempio, inviando un messaggio con la foto di un insetto misterioso si possono ricevere indicazioni su come sbarazzarsene. E soprattutto, grazie ai cellulari gli agricoltori dei villaggi più sperduti possono mettersi in contatto con i mercati delle città per vendere i loro raccolti, dice Andrew Mattick, un ex consulente agricolo della Banca mondiale che ora lavora in Mozambico. Spesso gli agricoltori delle campagne sono così isolati dai mercati che è impossibile sapere se il prezzo a cui vendono il loro prodotto è giusto o no. “Quando sei scollegato dai mercati”, spiega Mattick, “non hai idea di quanto costa un cavolo a Maputo”. I dati trasmessi sul cellulare possono aiutare a colmare questo divario. La Monsanto ha già attivato un’offerta in India, dove secondo Friedberg circa tre milioni di piccoli agricoltori hanno richiesto un servizio di messaggistica che di fatto è una versione sempliicata di Climate Basic. In Sudamerica è in corso un lavoro di mappatura capillare dei terreni, dice Fraley, mentre in Africa, dove l’azienda ha ancora un mercato ristretto, si stanno sviluppando dei servizi via sms. Questi strumenti “cambieranno l’agricoltura per i piccoli coltivatori di tutta l’Africa”, dice Fraley. “Anche un agricoltore che non sa leggere o scrivere può interpretare intuitivamente le informazioni che riceve via cellulare”.

Ovviamente, il servizio dati è solo una parte dell’offerta. In India e in tutta l’Africa (a parte quattro paesi) esistono severe restrizioni sui raccolti ogm. Ma quando gli agricoltori africani cominceranno a condividere i dati sulle loro fattorie, dice Fraley, la Monsanto “batterà questa strada per proporre le sue sementi. Ci viene data la grande opportunità di fornire sementi migliori ai coltivatori africani”.

I dati forniti gratuitamente in Africa possono restituire informazioni su pratiche agricole, malattie, parassiti e condizioni climatiche. Queste informazioni possono essere usate per produrre sementi studiate ad hoc per i terreni africani, da vendere poi agli agricoltori locali. La macchina è già in moto: nel maggio del 2014 la Monsanto ha annunciato i risultati del primo raccolto fatto in Kenya di una nuova varietà di mais resistente alla siccità a cui stava lavorando dal 2008. La resa è il doppio della media nazionale, sostiene l’azienda.

Ma il vero test per la corsa ai dati della Monsanto sarà vicino a casa. Agli agricoltori che hanno già richiesto i servizi dell’azienda i ricavi dei raccolti dei prossimi anni diranno se un’app per smartphone può davvero far aumentare la produzione di mais e portare più soldi nelle loro tasche. Friedberg è convinto di sì: “Tutto cambia appena cominci a vedere i vantaggi”.

Leggi anche:

Sulle autoproduzioni e i loro limiti. Dal basso e non solo

Cina: il cimitero dell’hi-tech dove finiscono smartphone e pc da tutto il mondo

Oltre la clandestinità: lo sfruttamento umanitario del lavoro nelle campagne del mezzogiorno

Cosa sono gli O.C.A: Orti Collettivi Autogestiti di Firenze

Podolinskij e Marx, una traccia teorica perduta?

L’impatto ambientale della produzione di carne bovina

Migrazione internazionale, il lato oscuro del pomodoro italiano

Il prezzo del maiale

La produzione peer to peer come alternativa al capitalismo

Facebook

YouTube