Appunti sullo Sblocca-Italia: un decreto realizzato per i profitti dei grandi gruppi d’affari

Sono passati circa due mesi dall’approvazione dello “Sblocca Italia” e sentiamo l’esigenza, come fatto già col Decreto sulla Terra dei Fuochi[1], di provare a scrivere qualcosa sul decreto, al di là della retorica di regime. Come vedremo, infatti, il contenuto di questo provvedimento riguarda tutti noi molto da vicino.

Ma andiamo con ordine.

Grazie ad un’imponente campagna mediatica portata avanti unanimemente da tutti gli organi di informazione, il governo Renzi – presentato come innovatore, che avrebbe “sbloccato” l’Italia facendola uscire definitivamente dalla crisi, facendo ripartire l’economia e rilanciando l’occupazione – ha goduto di un ampio appoggio di massa, utilizzando la retorica dell’unità nazionale e del “siamo tutti sulla stessa barca” per avere le mani libere e approvare una serie di provvedimenti, che a suo dire, avrebbero dovuto cambiare la rotta del paese. Se andiamo ad analizzare la direzione presa dal governo, in realtà, ci accorgiamo che la rotta non è affatto cambiata e che il governo sta difendendo – ancora una volta – gli interessi dei “soliti noti”.

In queste righe, pur non volendo analizzare a 360 gradi l’intervento del governo (per un’analisi più dettagliata sui provvedimenti del governo Renzi in materia di lavoro e rilancio dell’occupazione vedere: Jobs Act), e concentrandoci su quanto previsto dallo Sblocca-Italia, si può evincere che lo scopo del Governo è quello di garantire, in tutti gli ambiti toccati dal decreto,  – dal settore delle grandi opere fino all’edilizia, passando per quello ambientale più in generale – un consolidamento ed incremento dell’accumulazione di ricchezza dei grandi gruppi industriali e finanziari italiani.

Dando un’occhiata agli articoli del decreto dedicati alle grandi opere pubbliche, non può non saltare agli occhi ciò che avviene relativamente alle concessioni delle tratte autostradali italiane: l’intervento in questo ambito è, infatti, un ottimo esempio di quali interessi si fa paladino il governo Renzi. La questione delle concessioni delle tratte autostradali è da anni al centro del dibattito pubblico, poiché molto importante per i più sfegatati difensori del libero mercato. Quest’ultimi, vorrebbero il cambiamento dell’attuale situazione (in cui il Governo, attraverso decreti o altri metodi diretti, assegna le concessioni) con la definizione di chiari e validi criteri di assegnazione, per quanto riguarda la gestione delle tratte, a società private attraverso gare pubbliche in cui prevalga l’offerta migliore cosi che, a detta loro, il funzionamento del mercato permetterebbe maggiori profitti ai privati, parallelamente all’ottenimento del miglior servizio possibile a parità di costo per gli utenti. Questi signori sognano uno Stato che sia esterno agli interessi economici dei privati, che svolga il solo ruolo di garante della concorrenza tra i vari detentori di capitali: ciò che vediamo accadere nella realtà, invece, è che più si sviluppa il sistema capitalistico, più è forte la commistione tra interessi privati e potere politico: ecco perché crediamo che questi signori siano solo – nel migliore dei casi – dei sognatori.

Lungi da noi aggrapparci alla vana speranza che, una maggiore concorrenza tra capitalisti possa migliorare le condizioni di vita di milioni di lavoratori, ciò che ci interessa rilevare tornando al decreto, è che ciò che fa il governo Renzi con l’Articolo 5[2] è facilitare e automatizzare enormemente le procedure di rinnovo delle concessioni alla loro scadenza, concedendo praticamente “a vita” ai grandi gruppi economici del settore[3] le autostrade del nostro paese, consentendo a questi di assicurarsi profitti per i prossimi decenni. Profitti che si vanno ad aggiungere alle montagne di denaro “guadagnato” fino ad oggi, grazie anche alle modalità con cui vengono aumentate le tariffe: le società concessionarie decidono unilateralmente l’aumento e lo comunicano allo Stato che si limita a ratificare.

Un altro esempio è quello dell’articolo 6[4], riguardante la banda larga (ovvero  nel campo delle telecomunicazioni, indica generalmente la trasmissione e la ricezione di dati inviati e ricevuti simultaneamente, sullo stesso cavo o mezzo radio grazie all’uso di tecniche di trasmissione che supportino e sfruttino un’ampiezza di banda superiore ai precedenti sistemi di telecomunicazioni detti invece a banda stretta.) Con tale provvedimento, il governo ha inteso promuovere gli investimenti per la realizzazione di reti di comunicazione elettronica a banda larga, riconoscendo un credito d’imposta pari al 30% delle spese sostenute dall’impresa che realizza l’intervento infrastrutturale. Si tratta di un bonus da utilizzare in sede di dichiarazione dei redditi e dell’imposta regionale sulle attività produttive, dove con il pretesto di colmare il digital divide viene fatto l’ennesimo regalo alle grandi imprese del settore (una su tutte Telecom) che potendo usufruire di sgravi e agevolazioni fiscali, fondi e concessioni gratuite di spazi pubblici vedranno aumentare i loro profitti in maniera esponenziale

Ma l’esempio che ci sembra sicuramente più emblematico di quanto detto fino ad ora è quello che riguarda Bagnoli e il suo commissariamento[5] (art.33). Questo articolo contiene tutta una serie di deroghe per il Commissario straordinario cui il Governo affida la gestione della “riqualificazione” della zona di Bagnoli; deroghe che vanno da quella in materia urbanistica spettanti alle Regioni, a quella del Codice dell’ambiente (che svincola anche il Soggetto Attuatore), spettante al Ministero dell’Ambiente, che con questa deroga è totalmente estromesso[6]. Insomma con la solita retorica tanto cara al governo Renzi dell’esigenza del “fare” si annullano tutta una serie di garanzie di rispetto di norme in materia ambientale, di trasparenza e di appalti per permettere agli stessi interessi privati che negli ultimi 20 anni hanno già inghiottito un miliardo di euro (peggiorando solo la già drammatica situazione di Bagnoli) di continuare a speculare sulla pelle di chi vive nell’area flegrea e non solo. A tutto questo si aggiunge il restringimento dei pochi spazi di democrazia (almeno formale) rimasti nel nostro paese, attraverso la figura del Commissario straordinario[7] infatti, vengono totalmente privati di potere decisionale e di controllo sia gli enti locali che le popolazioni che vivono su quel territorio. Da quest’esempio ancora una volta possiamo verificare la reale funzione della legge (in questo caso della Costituzione): strumento di mantenimento dell’ordine costituito, pronto ad essere violato ogniqualvolta ciò sia funzionale ad una nuova accumulazione di ricchezza.

Lo Sblocca-Italia interviene direttamente anche sulle questioni che riguardano il ciclo di smaltimento dei rifiuti. Anche in questo caso, come in precedenza, da una parte ci sono le chiacchiere e i buoni propositi, dall’altra il governo non solo non fa niente per favorire la raccolta differenziata e un ciclo “virtuoso” che possa portare al rifiuto zero, ma tenta in tutti i modi di dare un’accelerata alla costruzione di nuovi impianti di incenerimento. La norma che sicuramente più evidenzia quanto appena detto, nello specifico,  è quella che determina una gestione dell’incenerimento dei rifiuti non più a livello regionale ma bensì nazionale.  Se un inceneritore, infatti, può bruciare, senza problemi e senza il bisogno di autorizzazioni particolari, i rifiuti che provengono da tutta Italia e non solo quelli della sua regione, può funzionare sempre a pieno regime, massimizzando i profitti. Questo significa  essenzialmente due cose: che chi costruirà e gestirà gli impianti di incenerimento avrà margini di guadagno elevatissimi e che gli enti locali saranno sempre più disincentivati a fare la raccolta differenziata perché in ogni caso non c’è nessuna intenzione di “spegnere” gli inceneritori (quelli che già esistono e quelli che dovrebbero essere costruiti nei prossimi anni).

In estrema sintesi per fare soldi con gli inceneritori c’è bisogno che funzionino a pieno regime, ovvero c’è costante bisogno di rifiuti da bruciare, perciò meno raccolta differenziata si fa, più rifiuti ci sono e meglio è per chi gestisce gli impianti di incenerimento.  Un bel regalo del governo Renzi a chi ha intenzione di arricchirsi ancora inquinando intere aree del nostro paese (poiché la cosa non riguarda solo il sud come, erroneamente, molto spesso siamo portati a pensare) senza tener conto dei territori e della salute delle popolazioni, perché quando è in gioco l’accumulazione di profitto tutto passa in secondo piano.

Sia chiaro che non nutriamo nessuna ingenua illusione verso la cosiddetta “green economy”, i padroni non hanno pregiudizi “ideologici”, ma semplicemente ricercano il campo dove ci sono maggiori possibilità di guadagno. Quindi se ritengono che la raccolta differenziata o le energie rinnovabili (giusto per fare due esempi) siano campi più redditizi di altri  vi investono senza troppi problemi. In alcuni settori, infatti, sembra che le borghesie europee si stiano indirizzando proprio in questa direzione (pur non precludendosi alcuna strada) e la direttiva dell’Unione Europea, che impone entro pochi anni la chiusura degli inceneritori, esplica in maniera abbastanza chiara questa tendenza.

Ma allora perché in Italia si vogliono addirittura costruire nuovi inceneritori? Evidentemente il “rottamatore” Renzi, al di là delle belle parole, deve rispondere agli stessi blocchi di potere che hanno gestito il ciclo dello smaltimento dei rifiuti fino ad oggi e che, almeno in Italia, vogliono continuare a fare profitti puntando anche sull’incenerimento.

Conclusioni

Dalle riflessioni che abbiamo buttato giù in queste poche paginette sembra abbastanza chiara la necessità di provare a costruire un’opposizione quanto più ampia possibile contro questo provvedimento, ma non solo. Le lotte di questi ultimi mesi ci indicano la strada da seguire. Collegare le vertenze che si diramano sui singoli territori per opporsi allo Sblocca Italia, non può che rappresentare il primo passo necessario per gettare le basi di una futura vittoria che, inevitabilmente, deve prevedere  un salto di qualità politico. Lo Sblocca Italia, cosi come abbiamo provato a dimostrare, altro non è che l’ennesimo provvedimento emanato per favorire gli interessi di chi, non solo in questo paese, sfrutta uomini, donne e ambiente. Provvedimento che non può e non deve essere analizzato singolarmente, ma come tassello di un puzzle più generale, in cui tutte le decisioni sono collegate e interdipendenti e dove anche quelle che possono apparire “meno comprensibili”, in realtà, sono funzionali agli interessi della classe dominante. La risposta da mettere in campo deve essere, quindi, la più generale possibile: non basta l’unione dei singoli percorsi contro questo o quel provvedimento, ma un’unione più generalizzata contro il governo e gli interessi di cui si fa portatore.

[1] http://www.laboratoriokamo.com/2014/05/19/riflessioni-questione-ambientale-documento/

[2] Per il testo completo dello Sblocca Italia e dell’art. 5 consultare il link: http://www.altalex.com/index.php?idnot=68802

[3]  Primo fra tutti il gruppo Benetton: http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/10/03/autostrade-il-regalo-del-ministro-lupi-ai-concessionari-vale-6-miliardi-lanno/1141313/

[4] http://www.agendadigitale.eu/infrastrutture/1053_sblocca-italia-il-testo-integrale-dell-articolo-su-banda-larga.htm

[5] Per il testo completo dello Sblocca Italia e dell’art. 33 consultare il link: http://www.altalex.com/index.php?idnot=68802

[6] Deroghe sono, inoltre, concesse anche rispetto alle modalità di gara ad evidenza pubblica per la nomina dei soggetti attuatori.

[7] Il Commissario straordinario deve render conto solo alla Presidenza del Consiglio, e quindi rappresenta una diretta emanazione del potere esecutivo.

da http://www.laboratoriokamo.com/

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