Angry Workers – Le condizioni di vita e lavoro nei magazzini della logistica londinese

aww1Riceviamo e pubblichiamo. Ci limitiamo qui a un solo brevissimo inciso. Leggere il vivido resoconto in cui questi compagni inglesi, questi lavoratori arrabbiati (Angry workers of the world), raccontano delle condizioni di vita e lavoro nei magazzini della logistica londinese, dei propri sforzi nell’organizzarsi sul posto di lavoro e sul territorio, delle difficoltà incontrate, degli strumenti utilizzati, dei passi fatti in avanti e di quelli fatti indietro, non colpisce solo per la famigliarità di quelle situazioni, quelle problematiche, quelle condizioni che la lotta dei facchini della logistica, qui in Italia, ha avuto il merito di scoperchiare e iniziare ad aggredire. A vederlo in prospettiva, c’è qualcosa di più.
C’è, oggi come ieri, un sistema capitalistico globale che, costretto a rinnovare e rivoluzionare continuamente i propri fattori e strumenti di produzione e con essi i rapporti sociali che ne derivano, pone esso stesso le condizioni per il continuo risorgere, in forme più o meno nuove, di quell’esercito, ormai compiutamente internazionale, di sfruttati che mettendosi in collegamento tra loro possono rappresentare essi stessi, in carne e ossa, il superamento del capitalismo stesso, traghettando l’umanità fuori dalla sua preistoria.
Mentre negli ultimi 20/30 anni pennivendoli e opportunisti ci raccontavano con dovizia di particolari la morte del marxismo e la morte della classe operaia, relegando qualche scampato esemplare di tuta blu in qualche terra lontana dell’estremo oriente; la “fine” della fabbrica fordista significava l’allargamento all’intero globo del processo di valorizzazione capitalistica, dove i reparati della vecchia fabbrica diventano intere metropoli e intere nazioni e la catena di montaggio é costituita da flotte di navi, aerei, tir, autostrade e rotte intercontinentali. In questo contesto nuove leve proletarie si vanno a concentrare, popolando sobborghi, periferie e nuovi distretti industriali, ma soprattutto ponendo le condizioni per una loro unione e organizzazione. Il resoconto dei compagni inglesi, alla luce delle esperienze che stiamo facendo in Italia, ci raccontano anche di questo. Marx, in merito all’impetuoso sviluppo delle forze di produzione, evidenziava come fosse lo stesso capitalismo a creare i propri becchini; l’immane lavoro che resta è quello di prendere le pale e organizzarsi.

GR***FORD? DOVE DIAVOLO E’?

Una sintesi del nostro sforzo di organizzazione condotto fino ad oggi nel settore magazzinaggio/logistica e perché abbiamo bisogno di aiuto!

Un piccolo gruppo di noi dall’inizio di gennaio 2014 ha lavorato cercando di organizzare sindacalmente alcuni dei molti magazzini che occupano l’area tra l’A40 e la M4, a 15 km da Heathrow e parte del corridoio di west London, un’enorme area industriale che serve Londra e ne tiene pieni gli scaffali. Park Royal copre 700 ettari e occupa 40 mila persone, soprattutto nella produzione, magazzinaggio, distribuzione, logistica e call center. È una delle aree industriali più vaste in Europa, e si trova nella zona 4 della Piccadilly Line (linea del Metrò di Londra). Le aree circostanti sono un misto di abitazioni degli anni ’50 e ridotte industriali e di magazzini. Ma l’intera area sembra quasi uno spazio vuoto, anche se circa il 60% del cibo consumato a Londra vi entra attraverso questo settore occidentale di magazzini…
Mentre scriviamo dietro i nostri schermi sentendoci super-alienati abbiamo la sensazione che il nostro cibo sia prodotto molto lontano, che larghe masse di lavoratori appartengano a un’era remota, che la ‘new economy’ regni suprema. Meditiamo: “dov’è finita la classe operaia?”. Ma concentrandosi solo su questo aspetto dell’economia ignoriamo il fatto che stanno emergendo nuove concentrazioni di vaste forze lavoro, praticamente sulla soglia di casa nostra. Ha avuto luogo un processo di ricomposizione in cui, se saliamo sul metrò per 45 minuti, possiamo vedere gli effetti di nuovi flussi di immigrazione e come il capitale sta organizzando se stesso e noi stessi in questo lavoro di massa a basso salario che è un modello per le condizioni di lavoro sotto l’austerità.
Tra il 2008 e il 2013 il numero dei lavoratori occupati nel magazzinaggio e nelle attività di supporto nel Regno Unito è aumentato da 256.000 a 315.000 [1]. Ciò riflette una tendenza analoga, anche se al momento su una scala ridotta, a quanto sta avvenendo negli USA, dove grandi concentrazioni di lavoratori sono messe insieme in grandi complessi logistici, quali Inland Empire in California. Riteniamo che questa concentrazione di lavoratori che in gran parte vivono e lavorano nello stesso luogo presenta un’opportunità di organizzazione, che è più difficile quando si ha una forza lavoro meno numerosa o dispersa. Anche se noi stessi entreremmo nel sindacato, ci sono poche illusioni su quello che i sindacati posso fare per noi, forza lavoro in gran parte con il salario minimo, a zero ore. Tra l’aeroporto di Heathrow, importante passaggio, e i supermercati e negozi del centro di Londra c’è una catena di fabbriche di trasformazione, imballaggio e distribuzione interconnessi.
Lavorando qui, si ha il senso reale di come il capitale si deve organizzare a fronte di margini di profitto più stretti, di come il loro terreno sia instabile, dove sono i punti deboli e dove possiamo cominciare a sviluppare una risposta collettiva. La gentene ha pieni i coglioni. Se qualcosa può partire qui, c’è molto cui la gente si può collegare. Ad es. di recente ci sono state vertenze al centro di distribuzione Argos, in circostanze direttamente paragonabili a quelle nelle quali lavoriamo. Ma era difficile ottenere informazioni su quello che stava veramente succedendo e su come ci potevamo collegare con quei lavoratori. La nostra speranza è di costruire dei collegamenti con questi tipi di lavoratori, quindi se qualcuno può aiutarci, se sentite di vertenze locali dentro i magazzini o siete lavoratori di magazzino, mettetevi in contatto…

Non siamo robot!
Lavoriamo in due dei grandi centri logistici in quest’area, in centri di distribuzione che forniscono prodotti alimentari a due grandi catene di supermercati e a una società di cosmetici di lusso (in totale circa 700 lavoratori). Facciamo soprattutto “picking” ossia andiamo a prendere gli ordini, mettiamo il materiale giusto nel posto giusto per il negozio giusto [2]. Lavoriamo tutti per la stessa agenzia interinale, per la stessa società di logistica ma per società diverse in due siti diversi. Le moderne strategie del capitale sono ovunque alle volte molto abili, alle volte del tutto caotiche, dallo scanner che attacchi al braccio e dito che registra ogni tuo movimento agli scarabocchi di somme fatti con penna biro su scatole di cartone. L’introduzione di nuove tecnologie è ovviamente un modo per cercare di controllarci. Ma non ci fanno diventare robot. La gente trova il modo di ingannare il computer. Memorizzano i codici e trovano il modo di svignarsela e nascondersi per mezz’ora nello spogliatoio senza essere individuati. Parliamo ancora tra di noi mentre facciamo il picking, un miscuglio di nazionalità e di esperienze, su cosa ci ha portato qui, com’è la vita nel nostro paese, sulla situazione di merda qui, le ultime voci su chi e stato licenziato, chi ha una convocazione disciplinare, come ce ne sbattiamo, come sfuggire all’occhio vigile del capo, come dovremmo lavorare più lentamente, che stiamo cercando un altro lavoro,, uno che (si spera) sia pagato meglio…

Divide et impera
Ma naturalmente ci sono divisioni tra noi che dobbiamo affrontare in ogni tipo di tentativo serio di organizzazione. La prima e probabilmente più importante è quella tra i lavoratori fissi e a temporanei. Mentre la forza lavoro precaria è spesso non sindacalizzata, ci sono sindacati che operano nei magazzini più grandi, per i soli interessi dei lavoratori fissi. Tuttavia anche tra quelli fissi c’è un basso tasso di sindacalizzazione, con la consapevolezza comune che in ogni caso non possono fare molto, non per le cose importanti: salari, turni, ritmi di picking. A molti non sembra valere la quota mensile. I sindacati non fanno molto per le divisioni tra fissi e temporanei (a tempo indeterminato e a termine) che fanno lo stesso lavoro ma hanno trattamenti diversi: in un magazzino i lavoratori fissi sono pagati più di 9£ l’ora per lo stesso lavoro per il quale un temporaneo riceve appena più del salario minimo. In un altro impianto i nuovi lavoratori fissi hanno la stessa paga dei temporanei, e l’unico vantaggio sono i turni garantiti. I lavoratori fissi più anziani con un contratto migliore prendono più di 9£, quindi anche tra i nuovi fissi c’è malcontento. La vistosa erosione dei salari e delle condizioni in un periodo di tempo così breve è pericoloso per il management: sono costretti a fare rapidi tagli che rompono le scatole ai lavoratori e creano risentimento nei confronti della società, e al tempo stesso contano di avere la collaborazione di questi stessi lavoratori e di avere il lavoro fatto sempre più velocemente per tenere alti i profitti.
La seconda grande divisione è tra le diverse nazionalità. La forza lavoro è in maggioranza polacca, anche se ci sono numerose lavoratori di altre nazionalità dell’Europa Orientale, in numero crescente da Romania, Bulgaria e altri paesi dell’Europa Meridionale (portoghesi, italiani). Ci sono anche molti lavoratori dall’Asia Meridionale e dall’Africa.
L’alta disoccupazione nei loro paesi di origine ha provocato emigrazione su larga scala, soprattutto giovani che finiscono col fare un lavoro molto più schifoso di quelli per cui si erano qualificati nei loro paesi. Lo stress di questi lavori, combinato con la scarsa conoscenza della lingua spesso hanno l’effetto di far restare queste persone all’interno dei loro gruppi etnici/linguistici, soprattutto nel caso della ‘comunità polacca’, che costituisce la maggioranza in gran parte dei luoghi di lavoro, il che significa che il polacco è spesso la lingua più parlata. Essi ricevono sostegno materiale dai polacchi che sono già qui, ad es. nel trovare un alloggio (che normalmente è a prezzi inaccessibili se si passa per un’agenzia, il che significa che tanti finiscono col vivere in spazi ristretti senza un contratto), un lavoro, nel rapporto con la burocrazia, cose tipo ottenere i crediti fiscali per lavoratori o l’iscrizione all’assicurazione pubblica. Ma ciò significa che è relativamente facile lavorare e vivere senza imparare l’inglese più di tanto e restando attaccati agli altri polacchi.
Una cosa che ovviamente il capitale sfrutta nell’approfondire le divisioni tra i lavoratori.
L’area ospita anche una popolazione indiana di più vecchio insediamento, che si è meglio sistemata e fa parte della piccola borghesia, occupando spesso posizioni di quadri intermedi e di proprietari di case o di negozi. Alcune donne polacche sono importunate per strada da indiani più anziani, che le prendono per prostitute, per cui c’è una certa base materiale perché i lavoratori polacchi di più recente immigrazione, che non sono abituati a questa ‘diversità’ escano con sospetti e idee razziste contro gli indiani, o ‘chapattas’, come vengono chiamati. Mentre questo si dissolve in grande misura quando lavoriamo tutti fianco a fianco (ci sono molti immigrati indiani più recenti che fanno lo stesso lavoro di merda), rimane sempre un senso di ‘stai coi tuoi’ e di dare immediatamente fiducia alle persone che parlano la stessa lingua, anche quando possono essere dei responsabili.
I dirigenti lo sanno, per cui promuovo deliberatamente capi polacchi e indiani per assicurare che queste relazioni di tipo clientelare siano riprodotte dentro i magazzini.
Ciò che spaventa è che è solo il discorso UKIP sulla concorrenza e la diffidenza nei confronti degli ‘stranieri’ a far presa in magazzino. La sinistra su conciona su quant’è bello il multiculturalismo, ma ciò p in gran parte irrilevante in un constesto in cui le divisioni tra i diversi gruppi di lavoratori immigrati possono influenzare notevolmente la loro capacità di fare causa comune contro i loro veri nemici.
I polacchi intorno a Gr**nford nella maggior parte condividono appartamenti e stanze, il che permette di ridurre gli affitti (che sono da strozzini) e rende loro possibile accettare salari più bassi rispetto ai lavoratori ‘inglesi’. Parecchi dei polacchi che conosciamo pensano di tornare presto in Polonia (anche se questo risulta essere un’illusione), e quindi lavorano su turni di 16 ore, con l’idea che ciò sia per un breve periodo.
Allora è più facile che turni di 12 ore diventino la norma per tutti. Gli indiani di recente immigrazione in genere conoscono meglio l’inglese a causa della storia coloniale, e quindi possono trovarsi avvantaggiati sul posto di lavoro in termini di promozioni anche se hanno una minore anzianità di servizio. Questo può provocare risentimenti. E viceversa dove la manodopera è prevalentemente polacca: “Perché li stabilizzano se non sanno neanche parlare l’inglese? Non è giusto” ecc. Quindi vediamo come la retorica anti-immigrazione del governo funziona ance come modo di infiammare le divisioni tra diversi gruppi di recente immigrazione, specialmente quando si hanno luoghi di lavoro che sono spesso costituiti da lavoratori non inglesi. Dobbiamo affrontare le realtà di queste differenze in termini dei nostri sforzi di organizzazione. Non ci possiamo permettere di ignorarle semplicemente e fare appello a un’unità volontaristica.

La grande stretta
Il lavoro è ripetitivo, profondamente noioso, i livelli di stress sono alti coi capi che cercano di spremere più lavoro da noi, sapendo che ci sottrarremo alla prima occasione.
Devono sempre pensare al modo di tenerci sotto pressione: come ottenere il massimo da una forza lavoro che riceve un salario di merda e può andarsene per un altro lavoro senza pensarci due volte.
Far continuare a lavorare sodo richiede il massimo dei loro sforzi: dal farti rapporto ogni giorno sul tuo rendimento nel picking, alla cancellazione del tuo turno se non realizzi l’obiettivo, a chiamarti per un colloquio disciplinare sul tuo rendimento, all’esposizione di graduatorie giornaliere della produttività per farti confrontare con gli altri, minacce quotidiane di perdere il lavoro nella riunione all’inizio di ogni turno se non lavoriamo più in fretta o non seguiamo le loro regole, grandi quantità di tempo dei capi spese a perseguitarci, a dire alla gente di smettere di parlare e lavorare più velocemente, concentrarsi di più, impiegando in continuazione più personale in modo da poter tirar via i più lenti, test arbitrari anti-droga e alcool…
Un metodo che usano per ‘motivare’ è quello di farci ballare davanti agli occhi la carota del ‘contratto a tempo indeterminato’. Se abbiamo un buon ritmo di picking, siamo adempienti, se ci facciamo il culo per fare turni extra a loro piacimento e in genere siamo ossequienti, ‘potremmo’ essere stabilizzati. Tuttavia questo avviene raramente. L’agenzia interinale fa la stessa cosa: decide a chi vengono assegnati i turni e chi no, cancella turni, alle volte per ‘punizione’ se sei stato ammalato la settimana precedente.

Contro cosa lottiamo
C’è stato un conflitto di recente scoppiato per un piano per tagliare la retribuzione dello straordinario per i lavoratori temporanei in un sito. Insolitamente per quest’area, questi lavoratori temporanei per gli straordinari sono stati pagati 9 £ l’ora.
Un bel giorno il management chiese ai lavoratori di firmare qualcosa che di fatto taglia il ‘bonus’. Alcuni rifiutarono di firmare. La manodopera in gran parte maschile e polacca contava su questa paga dello straordinario, lavorando come bestie su turni di 12-16 ore per risparmiare un po’ di soldi. Una minoranza consistente rifiutò di firmare e accetto uno ‘sciopero’ dello straordinario. Il giorno dopo che l’azienda fece questo tentativo distribuimmo un volantino, che suscitò una serie di discussioni nel magazzino.
L’azienda vide uno sforzo collettivo e fece un annuncio che rinviava il taglio di quattro settimane. Distribuimmo un altro volantino il giorno che dovevano introdurlo, esponendo come vedevamo la situazione. L’azienda aveva già reso inefficace lo sciopero degli straordinari chiedendo di fare gli straordinari ai lavoratori fissi, che li fecero.
Si diedero inoltre da fare assumendo nuovi lavoratori da un’altra agenzia interinale.
Alla fine misero in atto il taglio senza reazioni e i tentativi di risposta collettiva non si concretizzarono. Ci fu un tentativo di organizzare una riunione fuori del luogo di lavoro, ma ci furono i soliti problemi: persone che non si presentarono, alcuni che arrivarono erano ubriachi, alcuni volevano uno sciopero a gatto selvaggio senza preoccuparsi delle conseguenze perché in ogni caso volevano lasciare quel lavoro, la gente era stanca di lavorare nel turno serale, fu tutto piuttosto caotico.
In aggiunta a tutto questo, la rotazione del personale è elevata, la popolazione al lavoro è mobile. Mentre questo rende ovviamente difficile organizzarli e costruire una collettività antagonistica nei confronti dell’azienda in un singolo magazzino, significa anche che la gente ha esperienza di altri magazzini della zona, non sono attaccati al posto di lavoro per cui possono essere più disponibili a correre dei rischi e le idee e la resistenza si possono diffondere più facilmente. Le persone restano in contatto tra loro, gruppi di persone si muovo insieme verso nuovi posti di lavoro. Lavoratori che sono licenziati da un sito riescono a trovare un lavoro dall’altra parte della strada, anche se lavorano per la stessa società! Ma c’è spazio per l’azione: un gruppo di noi di recente fece una dimostrazione presso un’agenzia interinale che stava trattenendo il pagamento delle ferie ad alcuni di noi. Mentre quando avevamo cercato di ottenere i soldi individualmente ci avevano preso in giro per 6 settimane (es. “vi abbiamo già mandato il P45, per cui è troppo tardi per farvi avere il pagamento delle ferie adesso”, “dovete chiamare l’ufficio centrale, è una cosa che non ci riguarda più”; “sarà sul tuo conto corrente entro venerdì”; “Sì, vi dobbiamo i soldi ma devo esaminare i dettagli, ti richiamo” (cosa che naturalmente non fecero mai…) una volta che 10 di noi abbiamo occupato il loro piccolo ufficio facendo casino, abbiamo ottenuto i soldi nel giro di mezz’ora. Tra i dirigenti ma anche tra molti lavoratori c’è l’idea che “gli stranieri non faranno tanto”, che può essere usata a nostro vantaggio: non ci aspettavano, e furono naturalmente nervosi quando videro cartelli e volantini, un livello di organizzazione che poteva essere ampliata se necessario [3]. Ci sono altri piccoli esempi di iniziative collettive cui abbiamo preso parte: lettera di protesta ai dirigenti contro lo straordinario obbligatorio, visita di gruppo all’ufficio dell’agenzia interinale dopo che ci avevano chiamati mezz’ora prima del solito, ma poi avevano rifiutato di pagarcela. Sono stati piccoli passi “multi-nazionali”, ma rimasero dentro i confini dei micro-conflitti quotidiani.

Che fare?
Il problema è: come ci organizziamo in queste condizioni, che si ritrovano in tutto il settore della logistica e a basso salario? Non possiamo contare sulla legge o i diritti giuridici. La Direttiva sui Lavoratori Interinali (Agency Workers Directive) è per gran parte inutilizzabile dato che le leggi si possono aggirare facilmente (ad es. la clausola che i lavoratori interinali che hanno lavorato con continuità per 12 settimane in un dato luogo di lavoro hanno diritto alla stessa retribuzione e condizioni dei lavoratori a tempo indeterminato viene aggirata o interrompendo il lavoro su quel posto per una settimana o facendo firmare un contratto ‘a tempo indeterminato’ con l’agenzia interinale. La legge è quindi in gran parte inutile. Non possiamo far affidamento sul sindacato, che sta solo (o in gran parte) usando la legge. Non siamo un’organizzazione che può promettere successi ai lavoratori. Possiamo solo cercare di promuovere tentativi di fare le cose in modo collettivo, senza che nessuno debba rischiare individualmente e fare l’eroe. Perché il giorno dopo, state sicuri, saranno licenziati. Parliamo alla gente mentre stiamo facendo il picking, ma è difficile tenere conversazioni più lunghe. Le pause sono sfalsate e brevi, sufficienti solo a mandar giù un po’ di pollo e patatine in mensa o mangiare degli avanzi della sera prima in un container pieno di spifferi. La gente è d’accordo che è un lavoro di merda. La gente smette di lavorare alla prima opportunità – di solito un guasto al sistema, che significa che non c’è pronto niente per il picking. I lavoratori sono d’accordo che il salario non è sufficiente per vivere, alcuni fanno due o tre lavori contemporaneamente per far quadrare i conti o per risparmiare qualcosa per il futuro.. Abbiamo buoni contatti con persone nelle immediate vicinanze, ma far girare la voce più lontano è difficile. Per organizzare collettivamente la gente richiede un mezzo capace di suscitare una discussione collettiva. Quindi, il buon vecchio volantino! Tempestivo, conciso, e che presenti in qualche modo la situazione comune, come uno specchio, a una forza lavoro divisa. Da quello, vedremo cosa emergerà…
Ma in un’area dove le voci girano e la gente ti conosce, non li possiamo distribuire in prima persona…I lavoratori dei magazzini/logistica in varie città d’Italia (Piacenza, Milano, Padova, Verona e Bologna) stanno lottando da più di un anno, spesso con una violenta repressione della polizia. Una minoranza di lavoratori, molti clandestini dal Nordafrica, si sono iscritti a un sindacato sindacalista, S.I. Cobas [4] e attuato molti blocchi ai cancelli per fermare i camion in entrata e in uscita. Possiamo discutere dei limiti di questa tattica e della comparabilità della situazione generale alla nostra, ma una cosa cruciale di cui là essi hanno bisogno e hanno avuto è il sostegno di studenti e attivisti di centri sociali di sinistra nelle città vicine. È difficile fare le cose da soli a causa della composizione della forza lavoro e di come è organizzato il processo lavorativo. Riteniamo che lo stesso valga qui. È difficile incontrare o organizzare riunioni con i compagni di lavoro perché facciamo tutti turni diversi, sono esausti, hanno tempo e capacità limitate per, ad es. far uscire un giornale locale per i lavoratori dei magazzini. Per questo c’è bisogno di coinvolgere persone esterne per aiutare l’ “autorganizzazione” dei lavoratori. Abbiamo in programma di distribuire tra breve un volantino ai compagni di lavoro nei due magazzini dove lavoriamo. Il tempo è maturo, dato che un buon numero di persone che hanno cominciato nello stesso periodo assieme a noi, che sono lì da alcuni mesi, sono vicini al punto di rottura: lottare o andarsene. C’è la sensazione che qualcosa deve succedere, ma con tutte le divisioni interne e i turni diversi pensiamo che un volantino al momento giusto possa galvanizzare una qualche azione all’interno, diffondere l’idea di una strategia comune di “rallentamento” di cui si è parlato in diverse conversazioni con singoli, e anche collegare i lavoratori in entrambi i magazzini. Naturalmente non possiamo farlo noi in prima persona perché lavoriamo lì. Né ci travestiamo in costume da pollo per distribuirli. Quindi questo appello per un sostegno pratico!
Se hai del tempo libero e vuoi coinvolgerti in qualsiasi aspetto del nostro lavoro, dal volantinare a fare un giornale, a fare una discussione…. Contattaci! Terremo anche una sessione alla Anarchist Bookfair (fiera del libro anarchica) se la gente vuole farsi vedere e saperne di più…

Alcuni AngryWorkers (lavoratori arrabbiati)

Per il testo in inglese, clicca qui.

da https://lanternarossa.wordpress.com/

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