Francia – Verso un Jobs Act transalpino

bon-macrondi Andrea Martini

 

Anche in Francia, proprio in queste settimane, l’Assemblea nazionale, il parlamento francese, è chiamata a discutere ed approvare una legge che assomiglia molto da vicino al nostro Jobs Act, la “legge Macron”, dal nome del ministro banchiere che occupa nel governo Valls-Hollande il posto di ministro dell’Economia, del recupero produttivo e degli affari digitali.

La legge, nei primi articoli, propone una “lenzuolata” di liberalizzazioni, miranti a deregolamentare e esporre maggiormente alla concorrenza i tariffari degli atti notarili e legali. Ma le lobbies dei notai e degli avvocati, dotate di portavoce molto forti tra gli scranni parlamentari, hanno fatto sommergere questa parte del disegno di legge di centinaia di emendamenti, inducendo il ministro a significativi passi indietro. Il ministro in aula ha perfino riconosciuto di “essersi ingannato”.

La legge propone di alleggerire ulteriormente la tassazione sulle stock-options, cioè su quella parte di compenso ai grandi manager erogata attraverso quote azionarie a prezzo stracciato, piuttosto che in forma direttamente monetaria. L’approvazione, senza emendamenti, di questa misura è stata salutata trionfalmente dai media padronali.

Ma naturalmente il cuore delle liberalizzazioni riguarda i diritti dei cittadini appartenenti agli strati popolari. Vengono attenuate le tutele degli inquilini, “per vivacizzare il mercato immobiliare”, cioè a tutto vantaggio di costruttori e speculatori. E poi, privatizzazioni a tappeto, in particolare nel settore dei trasporti, con la svendita degli aeroporti e l’apertura del trasporto pubblico (bus e treni) all’iniziativa privata. Le conseguenze sui prezzi dei trasporti e sull’inquinamento sono facilmente immaginabili.

Un’altra parte del provvedimento mirava a introdurre nel codice penale il reato di violazione del “segreto negli affari”, per punire qualunque fuga di notizie che potesse ferire l’immagine delle grandi società rivelandone il malaffare o i lati oscuri. Ma la diffusa opposizione dell’opinione pubblica a questa misura ha indotto il governo a rinunciarvi. Ma il passo indietro su questo punto è stato finalizzato a non mettere in pericolo tutto il resto del provvedimento, e in particolare il suo cuore, la destrutturazione del diritto del lavoro e delle tutele dei lavoratori e delle lavoratrici dipendenti.

Al pari del “nostro” Jobs Act, questa legge viene propagandata come una misura che “spezza le rigidità” che bloccherebbero il mercato del lavoro e punterebbe alla “crescita dell’economia francese”, partendo dal primo comandamento dell’ideologia dominante: “ciò che è buono per il padronato è buono per l’economia”, senza alcuna attenzione alle sue conseguenze sulla società e sulla vita di milioni di persone.

Un primo attacco punta a estendere oltre ogni rigidità l’obbligo al lavoro domenicale, peraltro cancellandone la maggiorazione salariale prevista finora dalla legge. Ma non basta, il lavoro notturno viene parificato al lavoro “serale”, abbassando significativamente il premio salariale. Non c’è bisogno di spiegare come tale misura colpisca in modo feroce il lavoro femminile.

Vengono “riformate” le commissioni di conciliazione sulle controversie di lavoro, sostanzialmente cancellandone la funzione. Il motivo di tale controriforma è spudoratamente confessato. In “troppi” casi queste commissioni emetterebbero provvedimenti favorevoli ai lavoratori. Peraltro senza tenere conto che questo accade anche perché nella stragrande maggioranza dei casi sono proprio le lavoratrici e i lavoratori dipendenti a ricorrere contro gli atti unilaterali dei padroni. Per misurare il carattere reazionario di questo provvedimento occorre tenere presente che i tribunali dei prud’hommes (così si chiamano queste commissioni) costituiscono una conquista molto antica del mondo del lavoro. Essi infatti vennero concessi per dirimere le controversie (allora tra artigiani e mercanti) nel XIII secolo dal re Filippo il Bello.

Viene limitato il potere degli ispettori del lavoro e viene depenalizzato il reato di “attività antisindacale”.

E, guarda coincidenza, i licenziamenti economici, nel caso in cui il giudice constati l’insufficienza delle motivazioni aziendali, non saranno più annullati…

Contro questo disegno di legge i sindacati francesi si stanno mobilitando, e lo fanno in modo unitario. La CGT, Solidaires, la CGC, il sindacato degli avvocati e quello della magistratura hanno tenuto una conferenza stampa congiunta e poi una prima manifestazione alla fine di gennaio. Ma il governo sembra voler procedere senza tenere in alcuna considerazione le proteste del mondo del lavoro, al contrario di quello che ha fatto con le lobbies dei notai e dei manager.

La mobilitazione sindacale ha indotto un settore della “sinistra” del PS di Hollande a dissociarsi dal provvedimento, anche questo settore sembra troppo piccolo per impedirne realmente l’approvazione.

Anche la legge Macron però, come il Jobs Act che attende i decreti attuativi, avrà ancora bisogno di qualche tempo per arrivare all’approvazione definitiva. Questo concede a chi si oppone, in Italia come in Francia, la possibilità di un secondo round. Sfida che i sindacati francesi sembrano intenzionati a raccogliere. Lo faranno anche quelli italiani?

In realtà, la natura analoga e l’identica filosofia (quella del Piano Hartz tedesco) che ispira la legge Macron e il Jobs Act italiano, ma anche altre leggi, come quella sul derecho laboral varata nel 2012 dal governo Rajoy nello stato spagnolo (purtroppo avallata a fine gennaio dalla Corte costituzionale iberica), imporrebbero di affrontare questa mobilitazione con un approccio continentale. Ma su questo i sindacati sembrano ancora più sordi che sul resto.

da http://anticapitalista.org/

Facebook

YouTube