IL sistema paese: l’idea della borghesia italiana per il rilancio economico

Da qualche anno a questa parte si sente usare nei più disparati contesti, dai testi universitari di glottodidattica agli articoli di giornale sull’economia, ai discorsi di premier e politici italiani ma in particolar modo quando si parla di imprese italiane all’estero, questa curiosa espressione: “il sistema paese”.

Questa dicitura pare riferirsi ad un, in parte realizzato e in parte auspicato, agire coordinato, “a sistema”, di tutti gli attori economici e sociali italiani, al fine di fare grande il paese sullo scenario mondiale. Quindi un coordinamento tra imprese, banche, istituzioni, esercito, istituti di cultura, privati, emigranti e figli di emigranti uniti coralmente nella loro italianità.

Le parole sono importanti, le parole creano la realtà, come insegna la linguistica generale nell’ipotesi Sapir-Whorf, il linguaggio è una teoria del mondo, nell’esprimere un qualcosa di concreto o reale la sua denotazione linguistica gli dà una colorazione, una sfumatura sempre differente a seconda dei termini utilizzati.

Un’espressione come questa non è in alcun modo neutra ma mostra dei precisi intenti e un determinato abito mentale della classe dominante italiana. Questa dicitura ben esemplifica l’atteggiamento con cui la borghesia della penisola si approccia al nuovo mondo globalizzato e con cui vorrebbe condurre il paese ad agire sullo scenario mondiale, facendo una sintesi tra i due modelli di maggior successo della storia italiana dell’ultimo secolo: la mafia e il fascismo.

Quando al giorno d’oggi si parla di sistema non può non venire in mente la dicitura ‘O sistema, titolo del documentario autoprodotto da Oliva e Scanni nel 2006 ed espressione comunemente usata dai napoletani per riferirsi alla malavita locale al posto dell’istituzionale camorra.

Quando invece si parla di unità corale di intenti tra privati, aziende e Stato al fine di fare grande il paese a livello economico, geopolitico e culturale nella competizione internazioneale, non si può non pensare al corporativismo fascista che proponeva l’unione tra padroni e lavoratori di ogni settore dell’economia al fine di far funzionare al meglio il comparto produttivo, sorvolando completamente sul conflitto tra le due classi di chi detiene la proprietà dei mezzi di produzione e chi possiede solo la propria forza lavoro.

Con una visione di tal fatta ciò che viene proposto è il solito modello massonico-mafioso di consorteria tanto amato dalla borghesia italiana (ma anche internazionale) che sempre vediamo affacciarsi appena guardiamo oltre la cortina della retorica liberista, per cui la tanto decantata autoregolazione del libero mercato è in realtà sempre minata dall’azione di gruppi di interesse, dal favoreggiamento di persone legate da appartenenza comune o amicizia, sia a livello di aziende sia nell’interazione tra aziende e stati nazionali. Se non bastasse il recente scandalo dell’Expo, la vicenda di cronaca di questi giorni in cui vediamo protagonisti il ministro Lupi, l’imprenditore fiorentino Perotti e il neolaureato Marco Lupi, rampollo del ministro, ben esemplifica cosa intenda la borghesia italiana per “sistema paese”: utilizzare il paese per fare i propri interessi, dentro e fuori i confini nazionali.

Questa proposta è basata sul tacito presupposto che il buon andamento economico di una nazione si rifletta sulle condizioni di vita di tutta la popolazione, mentre guardandosi intorno nel panorama mondiale ci si accorge immediatatmente che la grandezza del PIL di uno stato non va in alcun modo di pari passo col benessere dei suoi cittadini, basta chiedere ai lavoratori dei fast food americani in lotta per l’aumento dei loro infinimi salari o ai milioni di lavoratori cinesi che fanno la fame pur producendo merci per tutto il mondo. Esempio paradigmatico è la vicenda del Cile post colpo di Stato del ’73, in cui la dittatura di Pinochet ha portato avanti politiche economiche fortemente neoliberiste, per cui a fronte degli ottimi livelli di crescita economica troviamo una diffusa miseria tra gli strati più bassi della popolazione.

Se da una parte l’idea di sistema paese si configura come una visione eticamente squallida, dall’altra è soprattutto una narrazione volta a creare nelle classi subalterne un’idea di matrice corporativa necessaria a per far seguire a tutta la popolazione la volontà delle classi dominanti.

Questo genere di narrazioni vanno avversate in ogni modo contrapponendo una diversa visione del mondo in cui sia centrale lo scontro tra gli interessi delle diverse classi. Ora più che mai, in un periodo di attacco alle condizioni di vita dei lavoartori è urgente costruire una contronarrazione che ricostruisca tra di loro una coscienza di classe i cui interessi e bisogni siano nettamente disgiunti da quelli di chi possiede i mezzi di produzione.

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