Chi paga realmente il “Diritto allo Studio”? Qualche dato in pillole.

A seguito dell’articolo di Repubblica“La “nuova classe operaia” non va all’università” ed a proposito di selezione di classe e diritto allo studio negato, proponiamo un articolo scritto lo scorso anno (Ottobre 2014) dal Collettivo Politico di Scienze Politiche ma, chiaramente, ancora attuale…

1) Il primo dato nazionale da cui partire è questo: dal 2003 al 2013 gli iscritti totali agli atenei italiani – tra studenti, dottorandi e specializzandi – sono calati del 7%. Una cifra notevole che è il prodotto diretto della selezione di classe operata dall’università-azienda e volta ad escludere le classi meno abbienti dall’istruzione universitaria, indirizzandole direttamente verso gli ingranaggi della disoccupazione e dello sfruttamento lavorativo. Questa selezione avviane sia attraverso i tagli ai fondi statali per il Diritto allo studio, sia attraverso i criteri meritocratici che dominano l’erogazione delle borse di studio e gli stessi esami, considerando che chi proviene da una famiglia con un alto “capitale culturale” incontra minori difficoltà nel percorso di studi rispetto a chi parte da un livello più basso, perché proviene da un contesto sociale difficile. Inoltre, la retorica classista della meritocrazia penalizza, e spesso esclude, dalla borsa di studio gli studenti lavoratori e i pendolari, solo perché questi hanno maggiori difficoltà a produrre tutti i C.f.u. richiesti.
2) Nello stesso periodo (2003-2013) il Fondo di Finanziamento Ordinario (cioè il fondo statale che sovvenziona le università pubbliche) si è assottigliato del 10%. Questo enorme disimpegno dello stato è colmato, in parte, dall’afflusso di fondi privati provenienti da aziende interessate a controllare direttamente alcuni settori didattici e della ricerca e, in parte, dall’aumento del 51% in soli dieci anni delle tasse versate dagli studenti. Si calcola che, in media, ogni studente paga oggi +69% rispetto al 2003. Inoltre bisogna considerare che, a fronte dei tagli al FFO, le entrate complessive degli atenei italiani sono aumentate del 57%, mentre la qualità della didattica è solo peggiorata e la selezione di classe è aumentata.
Per quanto riguarda l’UNIFI, Dal 2009 al 2011 l’ateneo fiorentino ha tagliato oltre il 30% dei corsi di laurea, mentre tra il 2011 e il 2013 ne sparivano altri 13.
Tuttavia, questo dato quantitativo, già di per se inquietante, non registra la “qualità” dell’insegnamento, sempre più dequalificato, nozionistico e ideologico. Infatti, i contenuti, le modalità di trasmissione del sapere e i ritmi di studio – la catena di montaggio lezione-studio-esame – impongono a noi studenti un ruolo completamente passivo e alienato, inculcandoci una forma mentis basata sulla competizione e sulla produttività.
3) Il Diritto allo Studio Universitario è finanziato in parte dalle istituzioni regionali e in parte dalla Tassa Regionale per il Diritto allo studio a carico degli studenti. Mentre i fondi a disposizione delle regioni si riducono a causa delle politiche di austerity, le entrate derivanti dalla Tassa Regionale sono aumentate del 73%. Si tratta di un tributo che non è né proporzionale né progressivo ma colpisce indistintamente ed in modo iniquo tutti gli studenti a prescindere dalla condizione economica di ciascuno.

Quindi siamo noi studenti – e soprattutto gli studenti meno abbienti e le loro famiglie – a pagare per un diritto che dovrebbe essere garantito dalla istituzioni e che, invece, viene ormai utilizzato contro di noi per disciplinarci e formarci come forza lavoro precaria a basso costo. È giunto il momento di far sentire la nostra voce in modo chiaro,

* I dati menzionati sono reperibili sul quotidiano La Repubblica del 27 luglio 2014.

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