Da Chernobyl a Tianjin, due dei tanti esempi degli effetti distruttivi del capitale

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Anche al sottoscritto quello che è accaduto sei giorni fa nel porto industriale di Tianjin ha fatto balenare in testa, mutatis mutandis, la terribile catastrofe nucleare di Chernobyl. Ricordate? Correva l’anno di disgrazia 1986, piena era Gorbaciov: dopo l’esplosione del reattore n. 4 della centrale nucleare V. I. Lenin per giorni il governo russo, impantanato in una sempre più improbabile Perestrojka, fece di tutto per minimizzare l’evento, sia nei confronti dell’opinione pubblica nazionale, secondo i tradizionali standard sovietici di “glasnost ecologica” (vedi distruzione del lago d’Aral, in Asia centrale, ad esempio), sia nei riguardi dell’opinione pubblica internazionale (europea, in primis), la quale in qualche modo si trovò a fare i conti con la famigerata nuvola radioattiva Made in Chernobyl, uno dei pochi “beni di consumo” allora esportati dal collassante Capitalismo con caratteristiche sovietiche.

Come ammetterà Gorbaciov parecchi anni dopo, l’allarme sulla reale dimensione del fall-out radioattivo arrivò dall’odiato Occidente, e precisamente dalle stazioni di rilevamento radioattivo di alcuni paesi scandinavi. «La nostra unica preoccupazione, in quei momenti, fu di evitare il panico», si giustificherà anni dopo l’ex Presidente, il quale non mancherà di ricordare agli amici occidentali con la puzza democratica sotto il naso che «Negli Usa vi fu un incidente analogo a Three Mile Island*, e nessuno ne seppe niente fino a che le autorità decisero di rendere nota la cosa. E in Francia non si sono ancora spente le polemiche perché il governo aveva dato disposizione di minimizzare gli effetti della nube radioattiva per evitare che fossero messe in discussione le centrali francesi. La glasnost non trionfava ovunque» (La Stampa, 15 aprile 2006). Diciamo pure che a causa del Capitalismo la salute e la stessa vita degli individui sono costantemente minacciate, e che basta un niente, una pura “fatalità”, un “errore umano”, per decidere della vita di centinaia o di migliaia di individui. Siamo dunque appesi, per usare il rigoroso linguaggio materialistico, al destino cinico e baro? A me piace chiamarlo Dominio capitalistico. Ma ognuno può chiamarlo come preferisce, anche Nessuno, come peraltro io stesso ho suggerito qualche giorno fa.

Comunque sia, non c’è dubbio che la vicenda atomica di ventinove anni fa contribuì a far luce sui termini economici (produttivi, finanziari, tecnologici, scientifici) e politici (catena di comando, rapidità nelle decisioni, rapporto dei vertici dello Stato con l’opinione pubblica, ecc.) della lunga crisi cha da lì a poco avrebbe portato al crollo dell’Unione Sovietica, epilogo che getterà nello sconforto non pochi “comunisti” e che farà storcere il muso a non pochi amanti dell’equilibrio imperialistico multipolare. «Per me ci fu un “prima” e un “dopo” Cernobyl», dirà Gorbaciov. Per molti tifosi dell’Unione Sovietica e della Guerra Fredda vi fu un prima e un dopo Muro di Berlino.

La Cina di Xi Jinping non è nemmeno lontanamente paragonabile, quanto a solidità economica e a stabilità politica, alla moribonda Russia di Gorbaciov; lungi da chi scrive profetizzare un prossimo esito sovietico dell’attuale Celeste Regime Cinese. Tuttavia qualcosa mi dice che in questi catastrofici giorni lo spettro di Chernobyl si sia affacciato alla coscienza dei cari leader di Pechino. D’altra parte, il regime cinese ha sempre ben presente la lezione sovietica, e negli ultimi venticinque anni ha fatto di tutto (bagno di sangue compreso: vedi il massacro di Piazza Tienanmen) per allontanare l’incubo della disgregazione politica, sociale e nazionale del Paese. Senza dubbio i continui rovesci borsistici (l’ultimo è di oggi**) non aiutano a tranquillizzare i sempre più inquieti leader cinesi.

Come sempre accade in questi casi, il Presidente Xi Jinping ha giocato la carta della «punizione esemplare», annunciando una «repressione senza precedenti» contro lo stoccaggio illegale di sostanze pericolose, e la carta della «trasparenza» (e infatti la censura dei media e dei social network cinesi si è presto fatta più stringente del solito!). D’altra parte, la Cina conosce una lunghissima tradizione di sovrani inclini a sparare contro il Quartier Generale per punire i cattivi di turno e vendicare i torti subiti dai più deboli, trattati alla stregua di minorati sociali. Una gestione del conflitto sociale che ha sempre avuto successo, anche ai tempi del Grande Timoniere.

imageC’è da dire che la sciagura non ha colto di sorpresa gli abitanti di Tianjin: «Già a maggio, si legge su Radio Free Asia, gli abitanti della zona erano scesi per le strade della città chiedendo maggiore attenzione verso l’inquinamento ormai fuori controllo della zona» (Formiche.net). Vediamo cosa scriveva Radio Free Asia il 27 maggio scorso: «Un residente locale soprannominato Xue ha detto che circa la metà della popolazione del suo comune (circa 8.000 persone) aveva protestato negli ultimi giorni. “La protesta è andata avanti per diversi giorni, ma non un funzionario è venuto fuori per trattare la questione con le popolazioni locali. I nostri figli e i nostri nipoti sono stati colpiti dall’inquinamento. C’è inquinamento nell’aria e nel terreno. L’impianto è troppo vicino alle nostre case. C’è un odore terribile che esce da esso, e si tratta probabilmente di sostanze velenose. Qui abbiamo un tasso di cancro di circa il 20 per cento superiore alla media”». Ecco perché Xue e i suoi compagni di sventura (sperando che non siano morti) certamente non si sono sentiti rassicurati dalle parole proferite da Wen Wurui, responsabile della protezione ambientale di Tianjin (uno dei candidati al ruolo di capro espiatorio), subito dopo “l’incidente”: «I livelli di inquinamento dell’aria sono costantemente sotto controllo». Sotto controllo sono certamente i sudditi del Celeste Capitalismo. Fino a quando?

«Tutto il cielo si è incendiato», ha raccontato un pompiere cinese intervistato in ospedale il 14 agosto; «l’onda d’urto mi ha catapultato in aria. Il mio casco è volato via. Era come un altro mondo, con fiamme che cadevano come pioggia sulla mia testa». Purtroppo si tratta del nostro mondo, e come scrivevo sopra basta una “fatalità” per rivelarne l’essenza infernale. Forse aveva ragione George Orwell: «Per vedere cosa c’è sotto il proprio naso occorre un grande sforzo».

* Nel 1979 a Three Mile Island la fusione totale del nocciolo venne evitata all’ultimo momento (si fuse soltanto il 25 per cento). A Cernobyl non si arrivò mai alla fusione del nocciolo, ma ci fu un’esplosione da cui fuoriuscì una parte del combustibile radioattivo.

** «Giornata nera per le Borse cinesi: il listino di Shanghai ha chiuso in ribasso del 6,15%, Shenzhen del 6,58%. Le vendite sono scattate con l’iniezione di liquidità da 17 miliardi di euro della Banca centrale cinese anche per compensare la fuga di capitali all’estero, una mossa che secondo gli analisti dimostra la necessità di continue misure di sostegno all’economia» (Il Sole 24 Ore). Qualcosa di “strutturale” non va nella Fabbrica del mondo?

da https://sebastianoisaia.wordpress.com/

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