5 punti sulle vicende del lavoro in Italia

Pubblichiamo questo interessante punto della situazione sul mondo del lavoro in Italia e tematiche annesse tratto da Marxpedia:

Noi siamo qua. 5 punti sulle ultime vicende del lavoro in Italia.

1. L’Ikea è l’ultimo episodio.

Ogni controriforma dei contratti dal 2009 in poi ha promesso di rafforzare la contrattazione aziendale a scapito di quella nazionale.
La conseguenza apparentemente paradossale è stata una pioggia di disdette dei contratti aziendali integrativi da parte del padronato. Quanto accade all’Ikea è l’ultimo episodio. Indebolire il contratto nazionale è quindi propedeutico a cancellare o peggiorare quello aziendale. Con un forte contratto nazionale i lavoratori possono utilizzare la contrattazione aziendale per migliorare le condizioni di base. Senza contrattazione nazionale, le aziende possono disfarsi anche di quella integrativa. Semplicemente, azienda per azienda siamo più deboli.

Senza forti lotte sul contratto nazionale, i contratti integrativi salteranno in continuazione o saranno usati come ulteriori grimaldelli peggiorativi.

2. Profitto 24 su 24, 7 su 7. Come al Carrefour.

La massimizzazione del profitto è necessità vitale del capitale. Tale massimizzazione passa dall’aumento dello sfruttamento del singolo minuto passato a produrre (plusvalore relativo) e dell’aumento del tempo assoluto passato a produrre (plusvalore assoluto). Ciò che accade nella produzione non può non riflettersi nella distribuzione e sull’intera socialità. Così nasce l’aberrazione degli ipermercati aperti 24 ore su 24, 7 giorni alla settimana. La distribuzione a ciclo continuo sta dietro alla produzione a ciclo continuo. Impossibile fermare l’una senza mettere in discussione l’intero modello produttivo. Non è quindi un problema di costumi del consumatore da cambiare, ma di cambiare l’economia per mutare i costumi.

Dalla Fiat fino ai grandi supermercati, la lotta per la salvaguardia del tempo libero, delle domeniche, delle festività, delle pause, della riappropriazione di un tempo libero socialmente fruibile diventa chiave e dovrebbe essere materia di un’unica vertenza generale.

3. Undicesimo comandamento: non echeggiare mai Repubblica. Il tema della casta sindacale

Come vi immaginate una redazione di un giornale e in particolare di Repubblica? Un gruppo di penne alla ricerca della verità che indagano la realtà cercando gli scoop che raccolgono per strada? Forse avete visto troppi film di supereroi. I giornali non ricercano. I media producono notizie su commissione.

Repubblica solleva il tema del calo degli iscritti della Cgil e a cerchi concentrici la notizia è ripresa da tutta la stampa alimentando la campagna sulla casta sindacale.

Non stiamo con la Repubblica e non stiamo con la Camusso. La crisi della Cgil non la misuriamo in iscritti, tanto quanto non misuriamo la rappresentatività di Cisl e Uil con la stessa moneta. Un sindacato con una corretta linea sindacale può anche perdere iscritti.

Viceversa, anche se aumentasse numero degli iscritti, la linea Cgil rimane fallimentare e in piena crisi di strategia. Scriveva Petrarca: non ho pace e non trovo da far guerra. Per quanto riguarda il ciclopico apparato di funzionari Cgil bisognerebbe dire: non voglio la guerra ma non trovo come fare pace. Pachiderma concertativo legato a una concertazione che non c’è, la Cgil è considerata avversario di Renzi ma non vuole avere nemiche le mille leve con cui il Pd tutt’oggi le può garantire proventi a tutti i livelli istituzionali.

4. Ora il diritto di sciopero e di assemblea.

Dopo il Jobs Act rimane poco da cancellare. Il diritto di sciopero e di assemblea è la prossima tappa dello scontro. Ecco perché la stampa ha costruito il caso Pompei (hanno messo alla pubblica gogna i lavoratori del sito archeologico per aver tenuto un’assemblea sindacale…che ha bloccato il servizio…come se questo fosse il problema di un sito archeologico lasciato cadere a pezzi dallo Stato borghese).

Anche qua si rischia di ripetere lo stesso copione dell’articolo 18. Il sindacato confederale scenderà a difesa del diritto di sciopero, dopo averlo già indebolito e sotterrato in grossa parte delle categorie. Si rischia di rivedere una mobilitazione grande nei numeri ma incapace di penetrare nei luoghi di lavoro.

5. L’ineludibile tema della Cgil

Ci spiace non poterci unire con facilità al coro di chi denuncia il tradimento dei vertici della Cgil. Ci spiace perché tale coro canta sempre note vere e orecchiabili. Il punto è che dal Jobs Act, passando per l’ala metalmeccanica della Fiom, la Cgil è sempre al centro: dei tradimenti, delle finte mobilitazioni, delle mobilitazioni spontanee addormentate dai vertici sindacali. Significa che il tema delle sue riserve organizzative e di consenso nel settore più passivo dei lavoratori non può essere eluso. Deve essere affrontato. Se solo realtà come Usb o Si Cobas avessero una strategia per penetrare nelle contraddizioni confederali, potrebbero rapidamente sbaragliare i confederali in più di una realtà lavorativa.

Ma, ahimè, dire che la Camusso è una merda, non è una strategia, per quanto la Camusso sindacalmente e politicamente parlando, lo sia.

Solo promuovendo la mobilitazione nelle aziende e “estraendo” da questa mobilitazione attivisti in grado di essere strateghi della classe sul terreno politico e sindacale, dentro e fuori le organizzazioni sindacali, troveremo quell’umanità in grado di tirarci fuori dalla palude. Dal particolare al generale e ritorno.

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